Codice Civile art. 2627 - Illegale ripartizione degli utili e delle riserve (1).Illegale ripartizione degli utili e delle riserve (1). [I]. Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, gli amministratori che ripartiscono utili o acconti su utili non effettivamente conseguiti o destinati per legge a riserva, ovvero che ripartiscono riserve, anche non costituite con utili, che non possono per legge essere distribuite, sono puniti con l'arresto fino ad un anno. [II]. La restituzione degli utili o la ricostituzione delle riserve prima del termine previsto per l'approvazione del bilancio estingue il reato. (1) V. nota al Titolo XI. InquadramentoIl reato di cui all'art. 2627 c.c., introdotto con la riforma del diritto penale societario di cui al d.lgs. n. 61/2002, riprende nella sostanza la formulazione del previgente art. 2621, nn. 2 e 3, c.c. che, sotto la rubrica «false comunicazioni ed illegale ripartizione di utili o di acconti sui dividendi», sanzionava con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 2 a 20 milioni di lire l'illegale ripartizione di utili o acconti sui dividendi. Nell'attuale formulazione il reato è mutato significativamente, avendo assunto la veste di contravvenzione, invece che di delitto, con previsione della pena dell'arresto fino ad un anno, riunendo in un'unica disposizione, sia l'ipotesi del pagamento o riscossione di utili fittizi o che non possono essere distribuiti (di cui all'originario n. 2 dell'art. 2621 c.c.), che l'ipotesi di distribuzione degli acconti sui dividendi (di cui al n. 3), contemplando altresì, al secondo comma, una causa di estinzione del reato. Le previgenti disposizioni legavano, in particolare, la condotta degli amministratori (oltre che dei direttori generali): 1) di riscossione o pagamento di utili fittizi o non distribuibili, alla mancanza di bilancio approvato o in difformità da esso o in base ad un bilancio falso, sotto qualunque forma; 2) di distribuzione degli acconti sui dividendi, alla violazione dell'art. 2433-bis, comma 1 c.c. o alla misura superiore all'importo degli utili conseguiti alla chiusura dell'esercizio precedente diminuito delle quote da destinare a riserva per obbligo legale o statutario e delle perdite degli esercizi precedenti e aumentato delle riserve disponibili, ovvero alla mancanza di approvazione del bilancio dell'esercizio precedente o del prospetto contabile previsto nell'art. art. 2433-bis, comma 5 c.c., oppure in difformità da essi, ovvero ad un bilancio o di prospetto contabile falsi. La complessità descrittiva delle precedenti disposizioni, con numerosi rinvii alle norme civilistiche in tema di bilancio, ha fatto guardare una parte della dottrina con favore al nuovo art. 2627 c.c., per la sua formulazione senz'altro più snella e per la semplificazione del fatto tipico (Santoriello, 143), sebbene siano state sollevate perplessità quanto alla nuova sanzione, ritenuta non adeguata alla gravità dei fatti oggetto di incriminazione (Rossi, 2014; Napoleoni, 193). Anche il reato contemplato dall'art. 2627 c.c. è un reato proprio degli amministratori delle società, procedibile d'ufficio, posto a presidio dell'integrità del patrimonio indisponibile delle società commerciali (Santamaria, 174) In tema di bancarotta fraudolenta impropria da reato societario, l'art. 223 comma 2 n. 1 della legge fallimentare ha indicato tra i fatti-reato che possono essere causa o concausa di dissesto societario e, quindi, idonei ad integrare un fatto di bancarotta fraudolenta, quello di cui all'art. 2627 c.c. Bene giuridicoLa norma incriminatrice è posta a presidio dell'integrità del capitale sociale e delle riserve obbligatorie (Napoleoni, 260), ossia del nucleo di valori costituente il cosiddetto patrimonio indisponibile della società (Santamaria, 174). La nuova fattispecie contravvenzionale, in particolare, intende tutelare i creditori sociali contro la menomazione delle loro garanzie, costituite appunto dal capitale e dalle riserve obbligatorie (Musco, 159). La distribuzione di utili o acconti su utili non effettivamente conseguiti – non corrispondenti cioè a reali eccedenze del patrimonio sociale netto rispetto al capitale – si risolve, invero, nella restituzione in forma simulata dei conferimenti (ossia del capitale reale); mentre il riparto di riserve non distribuibili o di utili ad esse destinate menoma l'integrità delle riserve stesse, o ne impedisce la formazione. Rispetto al passato si registra una limitazione del perimetro di tutela delle riserve obbligatorie, circoscritto ora alle sole riserve non distribuibili «per legge», con conseguente esclusione delle riserve statutarie, che in passato godevano dei presidi di cui ai nn. 2 e 3 del vecchio art. 2621 c.c. (Napoleoni, 194). Secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di illegale ripartizione di utili, la distribuzione di somme di denaro, corrispondenti ad asseriti utili «in nero»– ancorché essi rappresentino il profitto effettivo della gestione – concreta una manomissione del capitale che integra la bancarotta fraudolenta patrimoniale, in quanto, ancorché l'utile non costituisca di per sé l'oggetto materiale della condotta di distrazione fraudolenta, essendo di spettanza dei soci e non della società, quando la sua assegnazione avvenga senza la pre-deduzione dell'onere tributario e della conseguente penalità tributaria (che sorge al momento della erogazione della ricchezza) si riscontra manomissione della ricchezza sociale poiché la distribuzione eccede quanto di pertinenza dei soci (Cass. pen. V, n. 17692/2009; Cass. pen. V, n. 14522/2016). In definitiva, non integra il reato di bancarotta fraudolenta da reato societario in relazione all'art. 2627 c.c., bensì quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, la distribuzione di ricavi “in nero”, non dichiarati, sottratti al patrimonio sociale per fini esclusivamente personali, non versandosi in un'ipotesi di ripartizione di utili dichiarati (Cass. pen V, n. 14522/2016). In merito, poi, al concetto di utile è stato escluso che possa rientrarvi il denaro incamerato dalla società con riserva da parte del cedentedi ripetizione all'esito di un giudizio. In tale ipotesi, infatti, va escluso che possa parlarsi di un utile in senso tecnico, non possedendo la somma introitata i caratteri di definitività e certezza, tali da determinare la natura di utile, laddove avrebbe imposto ai suoi amministratori di sterilizzarla attraverso l'iscrizione di un costo di pari importo nel conto economico avente come contropartita un fondo rischi nello stato patrimoniale (Cass. pen. V, 33110/2018). D'altra parte, la clausola di salvezza di cui all'incipit del primo comma dell'art. 2627 c.c. consente di escludere che, di fronte ad una condotta connotata da natura distrattiva e, pertanto, rientrante a pieno titolo nella più grave fattispecie di cui all'art. 216 comma. 1 n. 1), legge fall., la norma contravvenzionale di cui all'art. 2627 c.c. possa avere margini applicativi (Cass. pen. V, 33110/2018). Soggetto attivoAnche il reato di cui all'art. 2627 c.c. è un reato proprio degli amministratori delle società ai quali sono equiparati i soggetti di cui all'art. 2639 c.c., ossia chi (comma primo) è tenuto a svolgere la stessa funzione diversamente qualificata (ad es. i componenti del consiglio di gestione, nelle società di capitali con sistema dualistico, ovvero i componenti del consiglio di amministrazione nelle società con sistema monistico), o chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione (ad es. l'amministratore di fatto), ovvero ancora chi (comma secondo) è legalmente incaricato dall'autorità giudiziaria o dall'autorità pubblica di vigilanza di amministrare la società o i beni dalla stessa posseduti o gestiti per conto di terzi (cfr. commento all'art. 2639 c.c.). Il legislatore, dunque, ha escluso dal novero dei soggetti attivi i sindaci, dalle cui funzioni esula il riparto dell'utile, così come i liquidatori, giacché la società in liquidazione non distribuisce utili, se non conglobati nella quota spettante a ciascun socio nel riparto dei beni sociali. Sono stati poi espunti, a seguito della riforma, i direttori generali, che figuravano tra i destinatari dei previgenti nn. 2 e 3 dell'art. 2621 c.c. (Conti, 121 ss.); questi ultimi saranno punibili a condizione che l'attività in concreto da essi svolta sia qualificabile nei termini di cui all'art. 2639 c.c. (Santoriello, 91). Si richiamano le medesime considerazioni svolte subart. 2626 c.c. (a cui si rimanda) quanto alla responsabilità – a titolo di concorso eventualeex art. 110 c.p. – del socio beneficiario della indebita ripartizione di somme disposta dagli amministratori. Fatto tipicoL'art. 2627 c.c. è un reato di danno, la cui condotta costitutiva si può manifestare con più comportamenti elencati dalla norma: 1) con la distribuzione di utili o acconti su utili non effettivamente conseguiti; al riguardo, è stato correttamente evidenziato come in realtà non si dovrebbe neppure parlare di utili, tenuto conto che questi rappresentano elementi che superano le passività; se le passività non sono superate non si hanno utili, per cui, in questo caso, ogni distribuzione di somme di denaro costituisce rimborso illegittimo del capitale (Sciumbata, 75 ss.); 2) mediante pagamento di utili o acconti di utili destinati a riserva legale; 3) con la ripartizione di riserve che non possono per legge essere distribuite; in tale ultima condotta non entrano in gioco solo le riserve create con utili, essendo ben possibile che vengano intaccate riserve intangibili, costituite in altri modi, ad esempio le riserve da sovrapprezzo e da rivalutazione, mentre non costituisce reato la distribuzione di riserve statutarie o facoltative (Musco, 163). Le condotte descritte dall'art. 2427 c.c. sono suscettive di integrare nel contempo anche altri delitti, tra cui quello di infedeltà patrimoniale (art. 2634 c.c.) o di appropriazione indebita aggravata (artt. 646, comma 2 c.p.), rispetto ai quali la figura criminosa de qua resta recessiva, stante la clausola di salvezza contenuta nell'incipit della previsione normativa in commento. In proposito, è stato correttamente evidenziato come tale clausola acquisti oggi un significato più ampio rispetto al passato, a causa dell'esiguità del carico sanzionatorio, nel senso cioè che la contravvenzione in questione appare destinata a lasciare il passo all'operatività di altre fattispecie, sanzionate più gravemente, poste a tutela degli stessi interessi patrimoniali (Musco,160). Ai fini del perfezionamento dell'illecito di cui all'art. 2627 c.c. occorre, oggi come ieri, l'effettivo trasferimento delle somme o dei beni ai destinatari, con conseguente loro fuoriuscita dal patrimonio sociale (Musco, 167). Il fatto tipico è descritto come reato di mera condotta a forma vincolata, in quanto la ripartizione (voce verbale questa che ha sostituito la previsione alternativa di «riscuotono o pagano», che compariva nel previgente art. 2621 n. 2 c.c.) si sostanzia nell'attribuzione al socio di una somma non dovuta, con relativa diminuzione del patrimonio indisponibile della società. Il tentativo, trattandosi di una contravvenzione, non è punibile (Santamaria, 176). Elemento soggettivoLa fattispecie in commento, integrante una contravvenzione, pare consentire una punibilità indifferentemente a titolo di dolo o di colpa. La contraria indicazione della relazione al d.lgs. n. 61/2002 – che qualifica la contravvenzione stessa come «strutturalmente dolosa» – non sembra trovare addentellati nella descrizione del fatto tipico, in cui, tra l'altro, non compaiono più quelle aggettivazioni, presenti nelle norme anteriori, utili «fittizi», bilancio (o prospetto contabile) «falso», che, evocando una colorazione fraudatoria della manovra, avrebbero potuto fornire un appiglio alla tesi osteggiata (Napoleoni, 212). In realtà, quando il legislatore ha voluto determinare la punibilità di una contravvenzione a titolo di dolo l'ha indicato chiaramente, come nell'ipotesi di cui all'art. 2621 c.c. (Malavasi, 111) ed, in mancanza di indicazioni del legislatore, nella fattispecie in esame, sarà compito del giudice accertare, in base alle caratteristiche del fatto concreto, se l'azione incriminata sia stata posta in essere dolosamente o colposamente, collegando a tale distinzione gli effetti giuridici previsti dalla legge (Santamaria, 178). Causa di estinzione.All'ultimo comma dell'art. 2627 c.c. è prevista una speciale causa di estinzione del reato consistente nella restituzione degli utili o nella ricostituzione delle riserve prima del termine previsto per l'approvazione del bilancio. Il legislatore ha scelto così di favorire una condotta riparatoria delle conseguenze dell'illecito mediante l'eliminazione del danno cagionato alla società (Malavasi,109), che si pone nella logica della protezione del bene giuridico sino alla massima estensione possibile (Musco, 165); in sostanza si tratta di un ravvedimento operoso che assurge a causa di estinzione del reato (Sciumbata, 77). Il rimborso deve avvenire prima che il bilancio sia approvato e la previsione di siffatto termine impedisce che si protragga il dubbio sulla sussistenza del reato e permette di deliberare in merito al bilancio sociale in modo corretto (Alibrandi, 122). La norma è stata ritenuta ambigua sul piano applicativo (Foffani, 1197), atteso che la restituzione degli utili è un'azione del soggetto beneficiario e non dell'amministratore, che è l'autore del fatto tipico, mentre, quanto alla ricostituzione delle riserve, non si comprende con quali somme debba essere effettuata (Santamaria, 177). BibliografiaAlibrandi, Sub art. 2627, in I reati societari, a cura di Lanzi e Cadoppi, Milano, 2007; Conti, Disposizioni penali in materia di società e di consorzi, in Comm. S.B., Bologna-Roma, 2004; Foffani, Rilievi critici in tema di riforma del diritto penale societario, in Dir. pen. proc. 2001; Malavasi, I nuovi reati societari, Milano, 2008; Musco, I nuovi reati societari, Milano, 2007; Napoleoni, Illegale ripartizione di utili e riserve, in I reati e gli illeciti amministrativi societari, Padova, 2010; Rossi, L'indebita restituzione dei conferimenti (art. 2626 c.c.), in Reati societari, a cura di Rossi Torino, 2005; Santamaria, Illegale ripartizione degli utili e delle riserve, in Diritto penale dell'economia, a cura di Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa, Torino, 2017; Santoriello, La tutela del capitale sociale, in La disciplina penale dell'economia a cura di Santoriello, I, Torino, 2008; Sciumbata, I reati societari, Milano, 2008. |