Codice Civile art. 2629 - Operazioni in pregiudizio dei creditori (1).Operazioni in pregiudizio dei creditori (1). [I]. Gli amministratori che, in violazione delle disposizioni di legge a tutela dei creditori, effettuano riduzioni del capitale sociale o fusioni con altra società o scissioni, cagionando danno ai creditori, sono puniti, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni. [II]. Il risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio estingue il reato. (1) V. nota al Titolo XI. InquadramentoIl delitto di cui all'art. 2629, riguardante le operazioni in pregiudizio dei creditori, chiude le previsioni del capo II, dedicato agli illeciti penali commessi dagli amministratori delle società. Il reato in questione, introdotto con la riforma del diritto penale societario di cui al d.lgs. n. 61/2002, ha sostituito il previgente art. 2623, n. 1 c.c. (che puniva gli amministratori che eseguivano una riduzione di capitale o la fusione con altra società o una scissione in violazione degli artt. 2306,2445 e 2503 c.c.), rendendo più snella la descrizione della condotta, che non rimanda più alle disposizioni del codice civile, in tema di riduzione di capitale o di fusione. L'assenza di un rinvio formale alle disposizioni civilistiche, tuttavia, non esime l'interprete dal compito di selezionare tra queste ultime quelle idonee ad integrare le modalità penalmente rilevanti (Musco, 182). Il reato in questione è un reato proprio degli amministratori, incentrato sul danno cagionato ai creditori per effetto delle illegittime operazioni di riduzione del capitale sociale, o di fusione con altra società, ovvero di scissione, ed è punito a querela della persona offesa. In tema di bancarotta fraudolenta impropria da reato societario, l'art. 223, comma 2, n. 1, l. fall., ha indicato tra i fatti-reato che possono essere causa o concausa di dissesto societario e, quindi, idonei ad integrare un fatto di bancarotta fraudolenta, quello di cui all'art. 2629. Bene giuridicoLa dottrina maggioritaria ritiene che l'obiettivo di tutela del reato sia la salvaguardia dell'integrità del capitale sociale, quale momento di garanzia dei creditori (Mucciarelli, 330; Musco, 181), come emerge chiaramente dal riferimento normativo del «cagionare un danno ai creditori». Altra dottrina ritiene, invece, che il bene giuridico immediatamente tutelato sia la sfera patrimoniale dei creditori e che, pertanto, l'integrità del capitale sociale sarebbe tutelata in via mediata (Foffani, 1858), solo nella funzione di garanzia nei confronti dei creditori e, quindi, non nella sua dimensione propriamente istituzionale (Maruotti, 170). Soggetti attiviLa fattispecie incriminatrice in esame consiste in un reato proprio. Esso, infatti, può essere commesso dai soli amministratori, i quali, nell'effettuare operazioni di riduzione del capitale, o fusioni con altre società o scissioni, violano disposizioni di legge a tutela dei creditori, così cagionando loro un danno patrimoniale. Agli amministratori sono equiparati i soggetti di cui all'art. 2639 c.c., ossia chi (ai sensi del primo comma) è tenuto a svolgere la stessa funzione diversamente qualificata (ad es. i componenti del consiglio di gestione, nelle società di capitali con sistema dualistico, ovvero i componenti del consiglio di amministrazione nelle società con sistema monistico), o chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione (ad es. l'amministratore di fatto), ovvero ancora chi (ai sensi del secondo comma) è legalmente incaricato dall'autorità giudiziaria o dall'autorità pubblica di vigilanza di amministrare la società o i beni dalla stessa posseduti o gestiti per conto di terzi (cfr. commento all'art. 2639 c.c.). Occorre precisare che gli amministratori non possono addurre a propria scusante la circostanza di aver agito per ordine o su mandato dell'assemblea, non essendo tenuti ad attuare delibere illegali (si veda pure il commento all'art. 2364 c.c., in questo Codice). Potrà, inoltre, configurarsi anche la responsabilità dei sociex art. 110 c.p., qualora questi abbiano consapevolmente votato le statuizioni illegali (Maruotti, 170). La condottaLa condotta esecutiva del reato in esame si sostanza nella violazione delle disposizioni relative alla riduzione del capitale sociale, alla fusione ed alla scissione. Come evidenziato nel commento all'art. 2626 c.c., tale ultima previsione opera in difetto di una delibera assembleare, mentre è da ritenersi applicabile la fattispecie di cui all'art. 2629 c.c. nella diversa ipotesi in cui, pur in presenza di una delibera assembleare autorizzativa, la riduzione del capitale sia avvenuta, comunque, in violazione delle disposizioni a tutela dei creditori. La fattispecie in commento richiede, dunque, che l'approvazione della delibera da parte dell'organo competente sia stata effettuata in forma illegittima (Di Florio, 193) sempre che non risulti gravemente viziata od inesistente, non configurandosi altrimenti il delitto de quo. La delibera – che gioca il ruolo di presupposto unitario delle figure nelle quali si diversifica la previsione punitiva (Bonilini, Confortini, 6836) – deve riguardare una delle operazioni descritte dalla norma. L'ambito di operatività dell'art. 2629 c.c., infatti, è circoscritto alle disposizioni dettate per le tre operazioni di riferimento a tutela dei creditori, sicché non può essere interpretata come sanzionante qualsiasi disposizione civilistica posta a tutela dei creditori ed interferente con le operazioni alternativamente considerate. Quanto all'operazione di riduzione del capitale, le disposizioni del codice civile di riferimento sono gli artt. 2306 (per le società di persone), l'art. 2445 (per le società di capitali), l'art. 2357-bis, comma 1, n. 1 (riduzione del capitale mediante riscatto o annullamento di azioni) e l'art. 2437-quater, commi 6 e 7 (riduzione del capitale conseguente all'esercizio del diritto di recesso del socio) (Di Florio, 193). Secondo parte della dottrina, il reato è da ritenersi integrato solo in presenza di ipotesi effettive di riduzione del capitale, essendo le riduzioni nominali mere operazioni contabili. In base ad altro orientamento, invece, ad assumere rilevanza penale sarebbero anche le riduzioni nominali (artt. 2446, 2447). Quanto, invece, alle altre due operazioni integranti la condotta incriminata, ossia la fusione e la scissione, le norme di riferimento sono gli artt. 2501 e ss. (per la fusione) e gli artt. 2506 ss. (per la scissione). A tal proposito occorre rilevare che il reato de quo è integrato, in assenza delle condizioni di legittimità di cui agli artt. 2503 e 2506-ter c.c., quando gli amministratori abbiano proceduto all'attuazione delle citate operazioni prima della decorrenza del termine dilatorio di sessanta giorni dall'iscrizione delle delibere. Tra le possibili conseguenze dannose per i creditori, derivanti dalle operazioni di fusione, sono ancora annoverabili, secondo alcuni autori, le operazioni di leveraged buy-out, ossia di fusione a seguito di acquisizione con indebitamento. Ed infatti, nonostante la riforma del 2003 ne abbia ammesso la legittimità, non può escludersi che dalla violazione delle disposizioni che le disciplinano, possa derivare un danno per i creditori (Maruotti, 174). La giurisprudenza di legittimità ha avallato tale interpretazione evidenziando, da un lato, che in tema di reati societari, a seguito della sostituzione dell'art. 2630 c.c. per effetto del d.lgs. n. 61/2002, non costituisce illecito penale l'operazione inquadrabile nel più ampio schema del cd. leveraged by-out, con la quale sia ceduto a credito parte del pacchetto azionario di una società operativa ad altra società, creata in modo strumentale per effettuare il detto acquisto con previsione di indebitamento e al fine di compiere attività di gestione di interesse della prima, per poi essere destinata alla fusione per incorporazione con la medesima e ripianare il debito con gli utili dell'attività posta in essere e, dall'altro, che la condotta descritta, tuttavia, potrebbe integrare il diverso reato ex art. 223 comma secondo n. 2 l. fall., quale «operazione dolosa», ove si dia prova che il leveraged by-out attuato attraverso il procedimento di fusione non era, al momento del suo avvio, sorretto da un effettivo progetto industriale (Cass. pen. V, n.23730/2006). Più recentemente è stato ritenuto ravvisabile il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione in una operazione di "leveraged buy-out", realizzata mediante il prelievo di rilevanti risorse da una società, già in stato di dissesto, per fornire all'acquirente le provviste finanziarie necessarie al pagamento delle quote ad un prezzo sovrastimato (Cass. pen. V, n. 34292/2020). Invero, non si è ravvisata in tale fattispecie l'ipotesi di bancarotta semplice di cui all'art. 217, comma primo, n. 2, l. fall., integrata da operazioni di manifesta imprudenza, ma appunto la più grave ipotesi di bancarotta fraudolenta, trattandosi di operazioni comportanti, in pressoché totale assenza di vantaggi, un notevole impegno economico-finanziario della società, dichiarata poco dopo fallita, atteso che le operazioni imprudenti, realizzate pur sempre nell'interesse dell'impresa, sono quelle in tutto o in parte aleatorie o frutto di scelte avventate, tali da rendere palese a prima vista che il rischio affrontato non è proporzionato alle possibilità di successo. Da un punto di vista penalistico, l'accertamento dell'elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di "indici di fraudolenza", rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell'azienda, nel contesto in cui l'impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell'amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell'integrità del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall'altro, all'accertamento in capo all'agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa (Cass. pen. V, n. 38396/2017). Rileva, altresì, nella presente trattazione il frequente fenomeno societario della 'scissione' di una società in crisi, che, allo scopo di superare lo stato di difficoltà in cui versa l'impresa, separa le passività (il c.d. badwill), lasciato nella c.d. bad company, dalle attività (il c.d. goodwill), che vengono trasferite alla società di nuova costituzione, la c.d. new company. Sebbene in dottrina sia stato osservato che in ambito fallimentare le fattispecie incriminatrici che astrattamente possono venire in rilievo ai fini della qualificazione della condotta sono tre (la bancarotta fraudolenta impropria per distrazione, la bancarotta fraudolenta impropria da reato societario, in riferimento all'art. 2629 c.c., che punisce le scissioni contra legem, e la bancarotta per effetto di operazioni dolose), tuttavia la giurisprudenza di legittimità ha sovente affermato il principio che integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione la scissione di società, successivamente dichiarata fallita, mediante conferimento dei beni costituenti l'attivo alla società beneficiaria, qualora tale operazione, sulla base di una valutazione in concreto che tenga conto della effettiva situazione debitoria in cui operava l'impresa al momento della scissione, si riveli volutamente depauperativa del patrimonio aziendale e pregiudizievole per i creditori nella prospettiva della procedura concorsuale (Cass. pen. V, n. 13522/2015; Cass. pen. V, n. 42272/2014; Cass. pen. V, 17163/2018) . Pur avendo chiarito che, in caso di scissione mediante costituzione di nuova società, l'assegnazione a quest'ultima di rilevanti risorse non costituisce di per sé un fatto di distrazione (Cass. pen. V, n. 10201/2013), la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto distrattiva l'operazione di conferimento di tutti gli elementi attivi alla società beneficiaria, qualora detta operazione, sulla base di una valutazione in concreto, avuto riguardo alla situazione di dissesto dell'originaria società al momento della scissione, si riveli avulsa dalle finalità dell'impresa fallita, volutamente depauperativa del patrimonio aziendale e pregiudizievole per i creditori nella prospettiva della procedura concorsuale, non essendo in tal caso le tutele previste dagli artt. 2506 e ss. c.c. di per sé idonee ad escludere il danno o il pericolo per le ragioni creditorie (Cass. pen. V, n. 6404/2014), assumendo tale manovra i connotati dell'operazione distrattiva per l'assenza di un concreto vantaggio economico e per l'impossibilità di continuare l'attività di impresa (Cass. pen. V, n. 15715/2013). Con particolare riferimento alla scissione, ha osservato Cass. pen. V n. 42272/2014, le tutele normative accordate ai creditori risultano inidonee ad escludere interamente il danno, o quanto meno il pericolo, per le ragioni dei creditori, in quanto, se è vero che ad essi è riconosciuto il diritto di rivalersi sui beni conferiti alle società beneficiarie, che rimangono obbligate per i relativi debiti, "è vero altresì che un pregiudizio per gli stessi è comunque ravvisabile nella necessità di ricercare detti beni" e che, soprattutto, "all'esito di tale ricerca i creditori potranno trovarsi nella condizione di dover concorrere con i portatori di crediti nel frattempo maturatisi nei confronti delle società beneficiarie, con la concreta possibilità che tanto riduca le possibilità di un effettivo soddisfacimento delle loro pretese". Pertanto l'attribuzione alla società beneficiaria di tutti gli elementi attivi della società scissa, rimasta priva di mezzi e di dipendenti, gravata dell'intero passivo fino a quel momento dalla stessa accumulato (così assumendo la sostanziale natura di quella che viene definita come una bad company), è condotta che, all'evidenza, ha comporta un distacco di beni e di attività senza adeguata contropartita, con conseguente compromissione dell'integrità del patrimonio sociale della fallita e della garanzia dei creditori, rilevante ai fini della ricorrenza della bancarotta fraudolenta per distrazione. L'evento: il dannoA differenza della norma che ne costituisce l'antecedente normativo (ossia l'art. 2623, n.1 c.c.), la figura criminosa in esame non è più un reato di pericolo astratto, bensì di danno. Ai fini della sua integrazione è, infatti, espressamente richiesto che le operazioni poste in essere dagli amministratori, in violazione delle disposizioni di legge (a tutela dei creditori), abbiano arrecato un danno ai creditori medesimi. Deve trattarsi di un pregiudizio economicamente apprezzabile e necessariamente derivante dalla descritta condotta incriminata. È, quindi, indispensabile l'accertamento della sussistenza di un rapporto di causalità tra la condotta e l'evento; rapporto accertabile con non poche difficoltà se si considera che i numerosi passaggi e soggetti coinvolti nella modifica del contratto societario potrebbero rilevare come cause interruttive del nesso eziologico. Proprio per ovviare a tale inconveniente, parte della dottrina suggerisce di scindere la verifica sull'accertamento del nesso causale in due fasi: occorre, cioè, prima verificare che la modifica del contratto societario sia una conseguenza della condotta degli amministratori e, poi, che il danno sia effettivamente derivato dalla modifica stessa. Il momento consumativo del reato va, poi, individuato nel tempus in cui il danno si verifica, anche in capo ad uno solo dei creditori. Tale conclusione risulta coerente con la previsione della procedibilità a querela, spettando al singolo creditore la scelta di procedere a fronte della lesione del proprio interesse individuale alla soddisfazione del diritto di credito sorto prima dell'inizio della procedura di riduzione del capitale, di fusione o scissione (Maruotti, 175). L'elemento soggettivoL'elemento psicologico richiesto dalla norma de qua è il dolo generico. Esso presuppone sia la consapevolezza e la volontà di non adempiere le prescrizioni contenute nelle disposizioni di legge a tutela dei creditori, che di causare un danno ai creditori medesimi. La dottrina prevalente ammette la possibilità che il delitto in esame si configuri in presenza anche del solo dolo eventuale (Mucciarelli, 333). Non vi è, poi, unanimità in merito all'individuazione del ruolo che il richiamo alle disposizioni a tutela dei creditori avrebbe all'interno della fattispecie in commento. Ed invero, mentre per alcuni autori tali disposizioni integrano il precetto – con la conseguenza che l'errore che cade su di esse, ai sensi dell'art. 5 c.p., non scusa – per altri, l'errore rileverebbe secondo quanto disposto dall'art. 47, comma 3, c.p. (Di Florio, 195). La causa di estinzione del reatoIl comma 2 dell'art. 2629 prevede una causa di estinzione del reato, consistente nel risarcimento del danno ai creditori prima del giudizio. In proposito, si ritiene di condividere la tesi secondo cui il risarcimento debba essere integrale e che, pertanto, debba essere volto a reintegrare tutti i creditori e non solo quello che abbia sporto la querela. Il risarcimento, inoltre, può essere compiuto anche da un terzo (es. l'assicuratore) e produce effetti nei confronti di tutti i concorrenti nel reato (trattandosi, infatti, di una causa di estinzione di natura oggettiva). A differenziare la causa di estinzione de qua con le fattispecie di cui artt. 2627 e 2628 c.c. è, poi, il diverso bene tutelato. Ed invero, nelle fattispecie da ultimo citate, a differenza di quella in commento, si fa riferimento alla reintegrazione del capitale sociale o delle riserve, e non al risarcimento del danno che deve intervenire prima del giudizio (Maruotti, 178). Rapporti con altri reatiL'elemento di differenziazione tra la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 2629 e quella di indebita restituzione dei conferimenti, di cui all'art. 2626 c.c., è costituito dall'evento naturalistico di danno ai creditori. Ne consegue, dunque, che troverà applicazione il reato da ultimo citato, non solo quando gli amministratori abbiano agito in assenza di una deliberazione dell'assemblea – e quindi di propria iniziativa – ma anche quando la restituzione dei conferimenti (ovvero la liberazione dall'obbligo di eseguirli) non abbia cagionato danno ad alcuno dei creditori (Bonilini — Confortini, 6837). La giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che in tema di violazione dell'art. 2629 è corretto escludere che sia possibile pervenire ad una violazione del precetto penale mediante un'operazione di scissione, allorquando le premesse che sorreggono il suo sviluppo siano totalmente aderenti ai dettati normativi. Invero, non è dato ravvisare quale lesione possa derivare da una successione di atti, tutti soggiacenti al regime di pubblicità, che garantisce i terzi, e condizionata al consenso dei soci, senza che in essi sia ravvisabile una qualche infedeltà di comunicazione. In particolare, la figura criminosa descritta all'art. 2629, esaurisce la portata antidoverosa delle condotte in ambito di scissione societaria: un'eventuale dolosità della condotta ai sensi dell'art. 223, comma 3, n. 2, l. fall, si configura, infatti, in situazioni del tutto marginali e dipendenti da peculiari situazioni di fatto. Ne consegue, pertanto, che non sussiste il reato di bancarotta fraudolenta nell'ipotesi di scissione di due società, se i beni non rientrano nel patrimonio della società fallita, ma di quella scissa, atteso che la carenza fisica ed originaria del bene esclude qualsiasi forma di distrazione e, di conseguenza, la sussistenza del reato (Cass. pen. V, n. 45031/2010). BibliografiaBonilini, Confortini, Sub art. 2629, in Codice civile commentato, artt. 1678-2869, a cura di Bonilini, Confortini, Granelli, Torino, 2006; Di Florio, Le operazioni in pregiudizio dei creditori, in Diritto penale dell'economia, a cura di Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa, Milano, 2017; Foffani, Sub art. 2629 c.c. in Commentario breve alle leggi penali complementari, Padova, 2003; Maruotti, I reati societari, in Manna, Corso di diritto penale dell'impresa, Padova, 2010; Mucciarelli, La tutela penale del capitale sociale e delle riserve obbligatorie per legge, in Il nuovo diritto penale delle società, a cura di Alessandri, Milano, 2002; Musco, I nuovi reati societari, Milano, 2007. |