Codice Civile art. 2629 bis - Omessa comunicazione del conflitto d'interessi 1.Omessa comunicazione del conflitto d'interessi 1. [I]. L'amministratore o il componente del consiglio di gestione di una società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altro Stato dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, ovvero di un soggetto sottoposto a vigilanza ai sensi del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 2092, o del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, che vìola gli obblighi previsti dall'articolo 2391, primo comma, è punito con la reclusione da uno a tre anni, se dalla violazione siano derivati danni alla società o a terzi.
[1] Articolo inserito dall'art. 31, comma 1, l. 28 dicembre 2005, n. 262. [2] Le parole «del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209» sono state sostituite alle parole «della legge 12 agosto 1982, n. 576» dall'art. 6 d.lgs. 29 dicembre 2006, n. 303. InquadramentoIl reato di omessa comunicazione del conflitto di interessi è stato introdotto dall'art. 31 della legge n. 262 del 28 dicembre 2005 (recante «disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari»), che ha ampliato le disposizioni penali in materia di società e consorzi del codice civile. L'art. 2629-bis c.c. è stato, poi, oggetto di una successiva modifica intervenuta con il d.lgs. 29 dicembre 2006, n. 303, che ha sostituito il richiamo prima operato alla legge 12 agosto 1982, n. 576, con quello al d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209. Il reato in questione evoca quello contemplato dal previgente art. 2631 c.c., abrogato con la riforma dei reati societari, attuata con d.lgs. 11 aprile 2002 n. 61 (che sotto la rubrica «Conflitto d'interessi» così recitava: «L'amministratore, che, avendo in una determinata operazione per conto proprio o di terzi un interesse in conflitto con quello della società, non si astiene dal partecipare alla deliberazione del consiglio o del comitato esecutivo relativa all'operazione stessa (2391 c.c.), è punito con la multa da L. 400.000 a L. 4.000.000»), con l'importante differenza che con la previsione in commento non risulta più punito un conflitto di interessi genericamente inteso, ma solo l'omessa comunicazione di tale conflitto (in relazione a quanto previsto dall'art. 2391 comma 1 c.c., cui il reato in questione rimanda), sempre che dalla violazione siano derivati danni alla società o a terzi. Il delitto in esame punisce con la reclusione da uno a tre anni l'amministratore o il componente del consiglio di gestione di una società con titoli quotati o diffusi tra il pubblico in misura rilevante, ovvero di un soggetto vigilato ai sensi del TUB, del TUF, del d.lgs. n. 209/2005 o del d.lgs.n. 124/1993, il quale violi gli obblighi previsti dall'art. 2391, comma 1, c.c. La tecnica legislativa di rinvio alle disposizioni del codice civile per la descrizione delle violazioni dei precetti penalmente rilevanti è stata criticata in dottrina da molti autori, comportando essa scarsa chiarezza e difficile intellegibilità del testo normativo (Cerqua — Pricolo, 420). Tali incongrue modalità di legiferazione sono state imputate però alla fretta emergenziale causata dai diversi scandali finanziari succedutisi in Italia e all'estero nel periodo pressappoco corrispondente alla sua introduzione, ritenendosi che la novella sia nata proprio dal tentativo del legislatore di fornire una tardiva risposta ai numerosi dissesti finanziari – quali, ad esempio, i casi Cirio e Parmalat – alla radice dei quali sono state individuate gravi situazioni di conflitti di interessi (Rossi, 2). Quanto alla struttura del reato, la fattispecie in commento è formulata come una violazione di precetti contemplati nella norma civilistica di riferimento, ossia l'art. 2391, comma 1, c.c. (come riformulato dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, che ne ha mutato la rubrica in «interessi degli amministratori»), di cui costituisce la proiezione penalistica (Cerqua-Pricolo, 419). Proprio il richiamo alla norma civilistica di riferimento permette di affermare che la figura criminosa de qua presenta un ambito di applicazione più ampio di quanto la rubrica lasci intendere. Essa, infatti, si fonda sulla violazione dell'art. 2391 c.c. che, come dimostra già la rubrica «interessi degli amministratori», non richiede la presenza, in capo all'amministratore, di un interesse in conflitto con quello della società, ma fa un generico riferimento ad «ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, (l'amministratore) abbia in una determinata operazione della società» (di Giuseppe, 198). Il raccordo tra gli artt. 2391 comma 1 e 2629-bis c.c. non appare, tuttavia, di agevole individuazione, atteso che l'art. 2391 c.c. impone un'informativa avente ad oggetto qualsiasi interesse dell'amministratore in una determinata operazione, mentre l'art. 2629-bis sanziona la violazione di tale obbligo. La fattispecie in esame consiste in condotte per lo più omissive caratterizzate però dalla presenza dell'evento di danno, che connota di peculiarità il reato, anche con riguardo al suo inquadramento. In merito al conflitto di interessi – successivamente all'abrogazione dell'art. 2631 c.p. e prima dell'introduzione dell'art. 2629-bis c.p. – la S.C. ha evidenziato che la fattispecie previgente dell'art. 2631 c.c. non è stata riprodotta, a seguito dell'introduzione del d.lgs. n. 61/2002, nel vigente art. 2631 c.c. che prevede la violazione amministrativa di omessa convocazione dell'assemblea, ed è solo in parte riprodotta dal vigente art. 2634 c.c., che disciplina l'infedeltà patrimoniale; ne consegue – nell'ipotesi in cui il reato contestato all'imputato sia quello previsto dal previgente art. 2631 c.c. e non siano ravvisabili gli estremi della fattispecie criminosa di cui al vigente art. 2634 c.c. – che il giudice ha il dovere di assolvere l'imputato e non può ordinare la trasmissione degli atti all'autorità amministrativa (Cass. pen. V, n. 8673/2003). Nella vigenza del precedente art. 2631 c.c. la giurisprudenza di legittimità aveva affermato che la norma de qua prevedeva una ipotesi di "reato di pericolo, la cui previsione è finalizzata a tutelare - mediante la garanzia della correttezza formale delle deliberazioni adottate dai suoi amministratori - la società dalle possibili commistioni dei suoi interessi con interessi ad essa estranei; per la sussistenza del reato, pertanto, non era necessario il verificarsi del danno (configurabile, tuttavia, ai sensi dell' art. 2631 c.c., comma 2 , come circostanza aggravante), dovendo il comportamento dell'agente essere sanzionato anche nel caso in cui dalla delibera la società tragga vantaggio" (Cass. pen., V, n. 6899/2000). A seguito dell'introduzione dell'art. 2629-bis c.c., il danno arrecato alla società od a terzi rientra fra gli elementi costitutivi della fattispecie astratta, da intendersi non più reato di pericolo (Cass. pen, V, n. 29605 del 11/02/2014). Bene giuridico.In ordine al bene giuridico tutelato, si sostiene che l'oggetto della tutela penale del reato di omessa comunicazione del conflitto di interessi sia unicamente il patrimonio della società o dei terzi, a seconda del soggetto su cui ricade l'evento di danno (Cerqua-Pricolo, 420). Infatti, l'obbligo dell'amministratore di dare notizia di qualsivoglia interesse (cd. full disclosure) non implica di per sé rilevanza penale dell'obbligo stesso, essendo necessaria la verificazione dell'evento tipico di danno, sicché va escluso che oltre al patrimonio della società o dei terzi, l'interesse giuridico tutelato dalla norma sia anche la trasparenza della gestione societaria (Cerqua-Pricolo, 420). Di contrario avviso, un'altra parte della dottrina ritiene che l'interesse non debba intendersi connotato di sola patrimonialità, atteso che la norma tutela innanzitutto la trasparenza gestoria ed ha una portata limpidamente pubblicistica (Macrì, 188). In tale ottica, pertanto, deve concludersi che l'interesse non deve essere inteso come esclusivamente patrimoniale e l'oggetto della comunicazione non deve circoscriversi al solo interesse conflittuale, bensì a qualsiasi interesse specifico, personale o di terzi, ma comunque extra-societario e connesso alla delibera societaria (Romano, 811). Soggetti attivi.Il reato di omessa comunicazione del conflitto d'interessi è un reato proprio e, tra i soggetti attivi destinatari del precetto, l'art. 2629-bis c.c. indica specificamente gli amministratori ed i componenti del consiglio di gestione delle società per azioni, rispondenti ad una delle seguenti categorie: I) società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altro Stato dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico «in misura rilevante», nozione, quest'ultima, definita dall'art. 116 TUF, che a sua volta rinvia ai criteri stabiliti dalla Consob, con un apposito regolamento; II) società sottoposte a vigilanza della Banca d'Italia, della Consob, dell'Isvap e della Covip (Foffani, 916-917). L ' art. 2629 - bis c.c., prevede un reato proprio dell'amministratore di una società il quale violi gli obblighi di cui all' art. 2391 c.c., comma 1 , cagionando un danno per la società o i terzi. Il primo di detti obblighi, gravante su qualsiasi amministratore, ha ad oggetto la comunicazione agli altri amministratori ed al collegio sindacale di ogni interesse che si abbia, anche per conto di terzi, in una determinata operazione della società, nonché la natura, i termini, l'origine e la portata di detto interesse. L'amministratore delegato che si trovi in tale situazione ha poi l'ulteriore obbligo di astenersi dall'operazione, investendone il consiglio di amministrazione (Cass. pen. V, n. 563/2014). Nell'individuazione dei soggetti attivi del reato de quo occorre considerare che accanto al sistema tradizionale di amministrazione, la riforma delle società di capitali ha introdotto altri due modelli organizzativi di amministrazione e controllo. Trattasi dei sistemi «monistico» e «dualistico», i quali, a differenza di quanto previsto dal sistema tradizionale che ammette l'esistenza di un amministratore unico, non consentono la nomina di un organo amministrativo monocratico. Più nel dettaglio, mentre nel sistema tradizionale vi è la presenza di soli due organi di nomina assembleare (l'organo amministrativo – cioè il consiglio di amministrazione o l'amministratore unico – e il collegio sindacale), il sistema dualistico (art. 2409-octies e ss. c.c.) contempla la presenza di un consiglio di sorveglianza (di nomina assembleare) e di un consiglio di gestione (nominato dal consiglio di sorveglianza). Quanto, invece, al sistema monistico, esso prevede la presenza di un consiglio di amministrazione e, al suo interno, di un comitato per il controllo della gestione. La fattispecie in commento non si applica, invece, ai componenti degli organi di controllo – che, ai sensi dell'art. 2391, comma 1 c.c., rientrano tra i destinatari della notizia dell'esistenza di un interesse (di Giuseppe, 200) – né ai liquidatori. Sulla base delle precisazioni della norma circa i soggetti attivi e per effetto del rinvio all'art. 2391 c.c., il reato in questione non è riferibile a tutte le società: l'art. 2391 c.c., infatti, è norma inserita nella disciplina riservata alle società per azioni, sicché gli obblighi di disclosure o di astensione riguardano sotto il profilo civilistico solo gli amministratori di quel modello di società. Inoltre, in forza del rinvio operato rispettivamente dagli artt. 2454 e 2519 c.c., la disciplina si applica, in quanto compatibile, anche agli amministratori delle società in accomandita per azioni e alle società cooperative per azioni (Cerqua-Pricolo, 423). La fattispecie in esame non si applica, invece, agli amministratori di società a responsabilità limitata, per i quali il conflitto è regolato diversamente (art. 2475-ter c.c.) e senza la prescrizione di obblighi. Inoltre, la condotta tipica descritta dall'art. 2629-bis è punita anche se posta in essere da quei soggetti che, pur in assenza di un formale atto di nomina valido ed efficace, esercitano di fatto, in modo continuativo e significativo, i poteri di gestione dell'impresa, per effetto, peraltro, dell'estensione delle qualifiche soggettive di cui all'art. 2639 c.c., anche se in proposito sono state espresse da più autori perplessità. Dubbi sono stati espressi altresì sulla possibilità per i soggetti estranei di concorrere nel reato in questione. Di tali perplessità sembra tener conto anche la S.C. (Cass. pen. V, n. 563/2013) che – dopo aver precisato che l'art. 2629-bis c.c. prevede un reato proprio dell'amministratore di una società, il quale violi gli obblighi di cui all'art. 2391 c.c., comma 1, cagionando un danno alla società o ai terzi – sullo specifico tema del concorso dell' extraneus in tale reato, ha evidenziato che, anche a voler prescindere dalle perplessità, manifestate dalla dottrina che si è specificamente interessata al reato in esame, sulla stessa possibilità giuridica di ipotizzare il concorso dell'amministratore o del sindaco (destinatari della comunicazione sul conflitto di interessi), nella condotta dell'amministratore il quale ometta di comunicare la propria situazione di conflitto, in ogni caso occorre che i concreti comportamenti nei quali il concorso si manifesta, consentendo o agevolando il comportamento degli amministratori in conflitto di interessi o rafforzando il proposito degli stessi, siano compiutamente illustrati; il reato di cui all'art. 2629-bis c.c., ancor prima dell'evento naturalistico, è integrato dalla condotta di violazione degli obblighi relativi al conflitto di interesse degli amministratori, condotta rispetto alla quale il mero atteggiamento passivo degli altri amministratori o dei sindaci interviene come fatto susseguente ed in sé non rappresentativo di un sostegno, anche solo di carattere morale, alla violazione. L'art. 2391, primo comma, c.c., richiamato dall'art. 2629-bis c.p., opera un distinguo tra gli obblighi imposti all'amministratore delegato, rispetto a quelli dell'amministratore unico. Innanzitutto, l'amministratore deve dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse, che per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società. Se si tratta di amministratore delegato, tuttavia, dovrà astenersi dal compiere l'operazione ed investirà della stessa l'organo collegiale, mentre se si tratta di amministratore unico dovrà darne notizia, oltre che al collegio sindacale, anche all'assemblea, alla prima riunione utile. Dunque, alla posizione dell'amministratore delegato è connesso un vero e proprio obbligo –ulteriore rispetto alla comunicazione dell'interesse del quale è portatore – ossia quello di astenersi dal compiere direttamente l'operazione (di Giuseppe, 199), obbligo questo non gravante sull'amministratore unico, che, invece, ha un obbligo informativo ulteriore alla prima assemblea utile. La condottaIn relazione al rinvio alla fattispecie civilistica di cui all'art. 2391, primo comma, c.c. è punibile il comportamento dell'amministratore che violi gli obblighi impartiti dalla citata disposizione, ossia quello di dare notizia agli amministratori ed al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l'origine e la portata. Dalla lettera della norma risulta evidente che il singolo componente del consiglio di amministrazione non ha il dovere di astenersi dal partecipare alla riunione consiliare, ma solo quello di dare notizia dell'interesse di cui è portatore o di quello di terzi. Tale obbligo di comunicazione, invero, sussiste a prescindere dalla partecipazione alla suddetta riunione; peraltro, deve ritenersi che, una volta comunicato il suo interesse, l'amministratore possa finanche partecipare alla delibera ed esprimere il proprio voto sull'operazione «interessata» (Galgano-Genghini, 454). Quanto al contenuto dell'obbligo di comunicazione integrante il reato de quo, esso non è limitato alla mera enunciazione dell'an, ma può ritenersi ottemperato solo allorquando il soggetto attivo abbia precisato anche la natura, i termini, l'origine e la portata dell'interesse di cui è titolare. Pertanto, a rilevare non sono solo le omissioni integrali, ma anche quelle parziali, ossia prive dei requisiti prescritti (Masullo, 2437). Il reato di cui all'art. 2629-bis c.p., caratterizzato dalla presenza di condotte per lo più omissive e di un evento di danno, è stato inquadrato nell'ambito di un reato omissivo improprio «tipico» (Cerqua-Pricolo, 436). In proposito, è stata messa in risalto la peculiarità di tale reato omissivo, configurato attraverso una specifica ed apposita norma di parte speciale, non essendo quasi mai tipica nel nostro ordinamento la previsione del reato omissivo improprio, frutto della combinazione tra una disposizione di parte generale, l'art. 40 cpv. c.p. – che sancisce la clausola dell'equivalenza causale – e la disposizione di parte speciale, che prevede un reato di azione, e quindi una condotta attiva. In contrario, si registra la tesi che nega l'esistenza di reati omissivi impropri espressamente previsti da disposizioni incriminatici, fissando la differenza tra reati omissivi propri e impropri nella diversa tecnica di tipizzazione che il legislatore nel caso ha utilizzato: sarebbero così propri i reati omissivi direttamente contemplati come tali dalla legge (sia o meno presente l'evento naturalistico) e impropri gli illeciti di omissione senza espressa previsione normativa, ma ricavati in via interpretativa da fattispecie predisposte per punire comportamenti attivi (Fiandaca-Musco, 119). Nonostante le condotte di cui all'art. 2629-bis c.c. abbiano natura essenzialmente omissiva, la necessaria verificazione del danno lascia ipotizzare, l'esigenza di un'ulteriore attività in grado di produrre l'evento richiesto; ciò in quanto, come già evidenziato, ben difficilmente un danno potrebbe derivare dalla mera mancanza di comunicazione: trattasi in realtà di condotta mista di omissione ed azione (Seminara, 553). In ogni caso, la condotta sanzionata, a seconda dei soggetti obbligati, può essere solo omissiva, o anche commissiva. L'utilizzo da parte del legislatore dell'avverbio «altresì», con riferimento agli obblighi gravanti sull'amministratore delegato, ai sensi dell'art. 2391, comma 1, c.c., lascia propendere per la necessaria sussistenza di entrambe le condotte (attiva e omissiva), ma esigenze di razionalità potrebbero portare alla soluzione di segno completamente opposto, poiché sarebbe del tutto irragionevole escludere la rilevanza penale della condotta dell'amministratore delegato, che prima disveli il proprio interesse e poi realizzi l'operazione lesiva. Alle esposte esigenze di sistematicità e razionalità, si aggiungono, poi, quelle di tutela, in omaggio alle quali deve ritenersi incongruo escludere la configurabilità della fattispecie de qua, laddove la realizzazione di una soltanto delle condotte abbia, comunque, portato alla causazione del danno. Da ciò ne consegue, dunque, che può ritenersi sufficiente anche una delle condotte per perfezionare, in presenza di un effettivo pregiudizio, il delitto di cui all'art. 2629-bis c.c. (di Giuseppe, 201, 202). L'evento di dannoLa nuova fattispecie di omessa comunicazione del conflitto di interessi è strutturata secondo lo schema dei reati di evento, quest'ultimo individuato nel danno arrecato alla società o ai terzi. Proprio la presenza di una necessaria componente di danno ne determina la natura non meramente sanzionatoria e formalistica (di Giuseppe, 198). L'evento integra un elemento costitutivo del reato per una serie di ragioni, prima fra tutte, quella che il disvalore della fattispecie è tutto racchiuso nella lesione degli interessi patrimoniali della società o dei terzi ed il danno è l'essenza dell'offensività, non già la ragione di opportunità della sanzione (Cerqua-Pricoli, 431). Minoritario risulta essere l'orientamento, secondo cui si verserebbe in un'ipotesi di condizione obiettiva di punibilità. La norma non precisa la natura del danno, il quale viene menzionato senza alcuna aggettivazione (al contrario di quanto previsto dall'art. 2634 c.c., ove viene qualificato come «patrimoniale»). È stato evidenziato, tuttavia, che il danno in questione debba avere, comunque, natura patrimoniale, ancorché manchi una puntualizzazione normativa al riguardo, avendo il legislatore posto l'obiettivo sul patrimonio come oggetto di tutela, quando ha utilizzato la parola danno (Cerqua-Pricoli, 431). Non manca in dottrina l'opinione di chi ritiene che nella fattispecie il legislatore non abbia inteso fare riferimento al solo nocumento patrimoniale in senso stretto, potendo lo stesso incidere anche solo sulla credibilità della società nel mercato finanziario e sulla sua quotazione nel mercato dei titoli (Ambrosetti-Mezzetti-Ronco, 200). La giurisprudenza di legittimità ricostruisce il danno arrecato alla società od a terzi nel reato di omessa comunicazione del conflitto di interessi, di cui all'art. 2629-bis c.c., come elemento costituivo della fattispecie, danno questo che può consistere in qualsiasi pregiudizio, anche non strettamente patrimoniale (Cass. V, n. 29605/2014). La scelta terminologica adottata dal legislatore è stata quella di richiamare la necessità di un danno, senza aggettivazioni di sorta, come invece si rileva nella correlata fattispecie disegnata dall'art. 2634 c.c. Si tratta di una opzione peculiare, che si registra anche in altre norme novellate tra il 2002 e il 2005, dove peraltro si rinviene come terza ipotesi anche quella in cui per il perfezionamento della condotta di rilievo penale viene considerato sufficiente un "nocumento" (v. l'art. 2635 c.c.). Risulta invero inevitabile la doverosa natura patrimoniale del "danno ai creditori" rilevante ai fini della realizzazione dei reati previsti dagli artt. 2629 e 2633 c.c., vista la peculiarità dei soggetti (titolari di situazioni giuridiche di esclusiva natura economico- patrimoniale, relative alle ragioni di credito vantate) su cui parametrare la lesione, mentre ben potranno avere altra natura il "danno ai soci" conseguente a condotte di impedito controllo ex art. 2625 c.c., come pure i "danni alla società o a terzi" che derivino dalla violazione del dovere di comunicare situazioni di conflitto d'interessi (Cass. pen, V, n. 29605/2014), ai sensi del combinato disposto dell'art. 2629 bis c.c. e dell'art. 2391 c.c., comma 1" (Cass. pen.V, n. 5848/2012). La S.C. perviene a tale conclusione anche in ragione della previsione normativa di cui all'art. 2640 c.c., atteso che, qualora il diritto penale societario dovesse realmente intendersi orientato alla tutela di esclusivi o comunque imprescindibili interessi di natura patrimoniale, il legislatore non avrebbe avuto ragione di prevedere un'attenuante ad hoc, essendo a quel punto già applicabile la circostanza comune di cui all'art. 62, n. 4, c.c. La norma, poi, desta perplessità nella parte in cui prevede espressamente il danno ai terzi. Risulta, infatti, estremamente difficile immaginare casi in cui la violazione degli obblighi impartiti dall'art. 2391, comma 1, c.c. sia espressione di una specifica modalità di lesione del patrimonio di terzi, ciò soprattutto se si considera che gli obblighi di comunicazione e astensione riguardano situazioni di conflitto tra l'interesse della società e quello facente capo all'amministratore. Tale apparente incongruenza si ritiene possa essere superata attraverso un'interpretazione sistematica della norma, il cui ambito di applicazione non è circoscritto al campo strettamente societario, bensì esteso anche a quello bancario e finanziario. In tale ottica, dunque, tra le persone offese dalla condotta incriminata sarebbero annoverabili, oltre alla società, anche i risparmiatori (intesi in senso lato), che ad essa affidano la gestione dei propri beni (di Giuseppe, 204). L'elemento soggettivo.Sul piano psicologico, la fattispecie di reato di cui all'art. 2629-bis richiede la consapevolezza da parte del soggetto attivo della sussistenza di un interesse, da cui scaturisce l'obbligo di comunicazione e la volontà di violarlo, oltre che quella di cagionare il danno richiesto dalla fattispecie. All'amministratore delegato è richiesta, inoltre, anche la volontà di violare l'obbligo di astensione impartitogli. A differenza del delitto di infedeltà patrimoniale. l'art. 2629-bis non prevede la combinazione di dolo specifico ed intenzionale, ma è sufficiente quello generico (Bellacosa, 232). Rapporti con l'infedeltà patrimoniale ex art. 2634 c.c.Il legislatore, nell'intento di rafforzare la tutela del patrimonio societario contro le più gravi forme di abuso del potere gestorio, ha affiancato la fattispecie di reato in esame a quella di infedeltà patrimoniale, di cui all'art. 2634 c.c., determinando non pochi problemi di individuazione dei rispettivi ambiti applicativi. Da un'attenta disamina del rapporto tra le due richiamate fattispecie può rilevarsi che esse si pongono in una situazione di specialità reciproca. Ed invero, mentre l'art. 2629-bis è speciale per i soggetti attivi (amministratori di alcune categorie di società), il reato di infedeltà patrimoniale lo è sotto altri profili. Costituiscono, infatti, elementi specializzanti del delitto di cui all'art. 2634, la condotta esecutiva (limitata al compimento o al concorso della deliberazione di atti di disposizione dei beni sociali), l'evento (circoscritto al danno patrimoniale), il novero maggiormente ristretto dei soggetti passivi (la società e, rispetto ai terzi, la sola categoria presa in esame dall'art. 2634, comma 2, c.c.) ed infine, il dolo (specifico ed intenzionale, anziché generico) (Rescigno, 5783). 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Le nuove società di capitali e cooperative, Padova, 2006; Macrì, Interessi degli amministratori, in Profili e problemi dell'amministratore nella riforma della società, a cura di Scognamiglio, Milano 2004; Rescigno, Sub art. 2629-bis, in Codice civile: Tomo II (Artt. 1678-2969), Milano, 2014; Romano, L'omessa comunicazione del conflitto di interessi e i reati di infedeltà, Studi in memoria di G. Marini, a cura di Vinciguerra, Dassano, Napoli, 2010; Rossi, La legge sulla tutela del risparmio e il degrado della tecnica legislativa, in Riv. soc. 2006; Seminara, Nuovi illeciti penali e amministrativi nella legge sulla tutela del risparmio, in Dir. pen. e proc. 2006; Tosato, Sub art. 2629-bis, c.c., in I reati societari, a cura di Lanzi, Cadoppi, Padova, 2007; Zambusi, L'infedeltà patrimoniale interna degli operatori bancari, Padova, 2005. |