Codice Civile art. 2630 - Omessa esecuzione di denunce, comunicazioni o depositi (1) (2).

Rosa Pezzullo

Omessa esecuzione di denunce, comunicazioni o depositi (1) (2).

[I]. Chiunque, essendovi tenuto per legge a causa delle funzioni rivestite in una società o in un consorzio, omette di eseguire, nei termini prescritti, denunce, comunicazioni o depositi presso il registro delle imprese, ovvero omette di fornire negli atti, nella corrispondenza e nella rete telematica le informazioni prescritte dall'articolo 2250, primo, secondo, terzo e quarto comma, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 103 euro a 1.032 euro. Se la denuncia, la comunicazione o il deposito avvengono nei trenta giorni successivi alla scadenza dei termini prescritti, la sanzione amministrativa pecuniaria è ridotta ad un terzo.

[II]. Se si tratta di omesso deposito dei bilanci, la sanzione amministrativa pecuniaria è aumentata di un terzo

(1) Articolo sostituito dall'art. 9, l. 11 novembre 2011, n. 180. Il testo precedente recitava: «[I]. Chiunque, essendovi tenuto per legge a causa delle funzioni rivestite in una società o in un consorzio, omette di eseguire, nei termini prescritti, denunce, comunicazioni o depositi presso il registro delle imprese, ovvero omette di fornire negli atti, nella corrispondenza e nella rete telematica le informazioni prescritte dall’articolo 2250, primo, secondo, terzo e quarto comma, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 206 euro a 2.065 euro. [II]. Se si tratta di omesso deposito dei bilanci, la sanzione amministrativa pecuniaria è aumentata di un terzo». Precedentemente il primo comma era stato modificato dall'art. 42, comma 2, della l. 7 luglio 2009, n. 88 (Legge comunitaria 2008), che aveva inserito le parole: ", ovvero omette di fornire negli atti, nella corrispondenza e nella rete telematica le informazioni prescritte dall’articolo 2250, primo, secondo, terzo e quarto comma,".

(2) V. nota al Titolo XI.

Inquadramento

L'illecito amministrativo di omessa esecuzione di denunce, comunicazioni e depositi trova il suo precedente normativo nell'originaria contravvenzione di cui all'art. 2626 c.c., quanto alle società (depenalizzata ad opera della l. 24 dicembre 75 n. 706) e nell'art. 2635 c.c., per i consorzi (Sciumbata, 99).

Con la riforma del diritto penale societario, di cui al d.lgs. n. 61 del 2002, il legislatore ha riservato natura amministrativa all'illecito, semplificandone il contenuto (il precedente normativo di cui all'art. 2626 c.c., aveva, infatti, un ambito di riferimento più ampio ed articolato, riguardando l'omissione nel termine stabilito dell'effettuazione all'ufficio del registro delle imprese di una denunzia, una comunicazione o un deposito previsti dalla legge a carico degli amministratori, sindaci, liquidatori e preposti all'esercizio di sede secondaria nel territorio dello Stato di società costituite all'estero, o dell'esecuzione in modo incompiuto, ovvero dell'omessa richiesta di una pubblicazione nel Bollettino ufficiale delle società per azioni e a responsabilità limitata, nei casi di pubblicazione prescritta dal codice).

Il campo di applicazione della norma nella vigente formulazione è, invece, circoscritto, come recita la rubrica, alle omesse esecuzioni di denunce, comunicazioni o depositi presso il registro delle imprese (Ardia, 344), nonché all'omessa fornitura di informazioniex art. 2250 c.c.

Sebbene la scelta del legislatore di conservare la natura amministrativa dell'illecito abbia riscosso molti consensi, non sono mancate critiche all'esiguità della sanzione prescritta dalla norma de qua; ciò soprattutto alla luce dell'importanza del bene giuridico da essa tutelato, consistente nella salvaguardia della pubblicità esterna alla compagine societaria, attraverso la puntuale e corretta informazione dei terzi.

Quanto alla conformazione del precetto, si rileva che la norma è strutturata in chiave sanzionatoria e di supporto delle previsioni normative regolanti il dovere di comunicazione, denuncia e deposito, dalla stessa disposizione solo richiamati (di Giuseppe, 210).

La fattispecie si configura come un illecito amministrativo omissivo, a soggettività ristretta, nella quale l'elemento oggettivo consiste nel mancato adempimento di uno specifico obbligo di pubblicità espressamente previsto dalla legge (Musco, 308).

I soggetti attivi

La norma in esame, sebbene si apra con il riferimento a «chiunque...omette di eseguire», consiste in un illecito i cui destinatari dell'obbligo – sebbene non predeterminati normativamente – sono solo quelli tenuti per legge, a causa delle funzioni rivestite, ad eseguire, nei termini prescritti, denunce, comunicazioni o depositi di atti presso il registro delle imprese. La fattispecie, infatti, richiede che l'autore dell'omissione rilevante sia pur sempre un soggetto che riveste funzioni all'interno di una società o di un consorzio, tenuto all'esecuzione degli adempimenti di cui alla disposizione.

Più in particolare, continuano a rispondere dell'illecito in questione – come nella previgente disposizione dell'art. 2626 c.c.gli amministratori, i sindaci, i liquidatori e i preposti all'esercizio delle sedi secondarie poste in territorio italiano delle società che siano dislocate all'estero, ed in aggiunta i direttori generali.

L'illecito può altresì essere commesso dai soggetti che svolgono funzioni in quelle società che hanno optato per sistemi di direzione e controllo diversi da quello tradizionale (trattasi, in particolare, del sistema monistico e dualistico), nonché da coloro che svolgono di fatto le predette funzioni, ai sensi dell'art. 2639 c.c. Tuttavia, è da ritenere non del tutto pacifica la possibilità di applicare l'illecito de quo anche a coloro che svolgono funzioni di fatto, essendo testuale il riferimento contenuto nell'art. 2639 c.c. circa l'estensione delle qualifiche soggettive ai «reati previsti...» e non agli illeciti amministrativi (Sciumbata, 99).

Dibattuta è anche la possibilità di annoverare, tra i soggetti attivi dell'illecito, i notai, contemplando espressamente il previgente art. 2626 c.c. che la sanzione «si applica al notaio nei casi in cui l'obbligo della denunzia, della comunicazione, del deposito o della pubblicazione è posto dalla legge anche a di lui carico», previsione questa non presente nel vigente art. 2630 c.c. La dottrina che propende per la tesi positiva fa leva sulla ratio della norma, tesa a sanzionare tutte le violazioni inerenti il regime pubblicitario della società (Antolisei, 404) e sul fatto che, con l'entrata in vigore della l. n. 340/2000, il notaio è l'unico soggetto obbligato al deposito per l'iscrizione dei principali atti delle società di capitali (Messina, Grisandi, 593).

Al contrario, si ritiene di condividere la tesi che, proprio facendo leva sulla mancata riproduzione nell'art. 2630 c.c. del disposto sopraindicato, deduce l'inapplicabilità ai notai dell'illecito in questione, tenuto conto della loro estraneità a qualsiasi funzione all'interno della società o del consorzio e della attribuzione ai notai della funzione omologatoria, già di competenza diretta del tribunale, che ne rafforza la posizione di terzietà (Sciumbata, 100).

Nel caso, come quello di specie, in cui siano contemplate diverse categorie di soggetti responsabili per gli adempimenti indicati dalla norma, l'adempimento di uno solo di essi libera anche gli altri; ciò in quanto l'assolvimento dell'obbligo da parte anche di uno solo di tali soggetti impedisce la lesione del bene tutelato, rendendo pubblica la comunicazione, la denuncia o il deposito (Antolisei, 409).

Qualora, invece, nessuno dei soggetti obbligati adempia alle prescrizioni imposte, l'illecito potrà essere contestato a tutti.

In proposito la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 21503/2012) ha evidenziato come l'obbligo di depositare il bilancio presso l'Ufficio del registro delle imprese faccia carico a ciascun amministratore, con l'effetto che, se l'obbligo rimane non osservato, ognuno risponderà per fatto proprio e l'irrogazione della sanzione prescinderà da qualsiasi rapporto di solidarietà. Da ciò deriva anche che il pagamento della sanzione applicata per l'inosservanza dell'obbligo in questione a carico di uno degli amministratori non potrà avere effetto estintivo del provvedimento sanzionatorio emesso nei confronti di un altro amministratore, rispondendo ciascuno per un fatto proprio.

Invero, sebbene tale principio sia stato enunciato con riferimento all'obbligo prescritto dall'art. 2435 c.c., esso può essere esteso anche alle altre condotte omissive sanzionate dall'art. 2630 c.c.

La condotta

La condotta configurante l'illecito amministrativo in commento consiste in un comportamento omissivo proprio dei soggetti, cui devono essere imputati gli inadempimenti degli specifici obblighi di pubblicità, previsti dalle norme civilistiche di riferimento (Messina-Grisandi, 589).

La norma in esame, riferendosi a numerosi obblighi sparsi in una pluralità di norme, non consente una elencazione tassativa di essi, i quali varieranno a seconda dei soggetti, delle varie incombenze loro affidate, e dei tipi di società (Antolisei, 406-407). Il registro delle imprese costituisce il traguardo comune ad ogni singolo adempimento che ivi deve essere riportato e la registrazione di ogni singolo atto fa in modo che vi sia una presunzione di conoscenza degli stessi nei confronti dei terzi (Messina-Grisandi, 589).

Tra gli atti rilevanti vanno esemplificativamente indicati quelli aventi efficacia costitutiva – tra cui la costituzione delle società aventi personalità giuridica, le operazioni di trasformazione, fusione o scissione o riduzione del capitale (Sciumbata, 100) – ovvero quelli non aventi tali caratteristiche, come le nomine alle cariche sociali, il deposito del bilancio, o le modifiche statutarie (Messina-Grisandi, 589).

Con le integrazioni apportate dalla l. n. 180/2011, all'articolo in questione risulta punita anche la condotta del soggetto qualificato che ometta di fornire le informazioni prescritte dall'art. 2250 primo, secondo, terzo e quarto comma c.c.

Il riferimento, contenuto nel primo comma dell'art. 2630 c.c., circa l'omessa esecuzione «nei termini prescritti», comporta che il termine di adempimento di ogni singola incombenza pubblicitaria debba essere necessariamente ricavato dalla normativa civilistica di riferimento e che l'eventuale adempimento tardivo non sarà utile ai fini della non applicazione della sanzione – fatta salva la previsione introdotta dalla l. n. 180/2011, in merito agli adempimenti tardivi eseguiti nei trenta giorni successivi alla scadenza del termine di riferimento per ciascun obbligo.

In caso di adempimento parziale, esso assume rilevanza nel caso in cui gli adempimenti tralasciati vadano ad incidere irrimediabilmente sulla natura dell'atto, snaturandone il significato e l'efficacia, in modo articolato da apparire artificiosamente studiati, risultando dirimente il dolo dell'eludere la norma in maniera intelligente (Antolisei, 354; Messina-Grisandi, 590).

L'omesso deposito del bilancio

Il secondo comma dell'articolo in commento è specificamente dedicato all'omesso deposito dei bilanci e prevede in tal caso un inasprimento del trattamento sanzionatorio.

La ragione di tale aggravamento (aumento di un terzo) risiede nella necessità di tutelare in modo più intenso l'interesse pubblico alla tempestiva conoscenza della situazione economica dell'ente, così come rispecchiata nel bilancio. Ciò in considerazione della importante valenza informativa dell'atto in questione per gli azionisti, i soci, i creditori sociali e chiunque vi abbia interesse, consentendo ad essi di conoscere della situazione della società alla fine di ciascun anno sociale. La corretta redazione di tale documento contabile, infatti, consente l'acquisizione di informazioni in ordine alla situazione della società, al fine di valutarne la salute e la solidità (Messina-Grisandi, 591).

Dibattuta è la configurabilità, o meno, dell'illecito di cui all'art. 2630 c.c., nel caso in cui l'omesso deposito dipenda dalla mancata redazione o approvazione del bilancio da parte dell'assemblea.

In questi casi la dottrina maggioritaria ritiene insussistente la responsabilità degli amministratori sul presupposto che il termine previsto per il deposito del bilancio dall'art. 2435 c.c. non comincerebbe mai a decorrere. In tale prospettiva l'approvazione del bilancio integrerebbe, quindi, un elemento costitutivo dell'illecito (tra gli altri, Antolisei, 409) e l'utilizzo del termine «deposito» non farebbe che avvalorare tale linea interpretativa.

Di contrario avviso è stata, invece, la giurisprudenza di legittimità, formatasi sotto il previgente articolo 2626 c.c., che ha costantemente evidenziato come la responsabilità degli amministratori di società commerciali, per mancato tempestivo deposito del bilancio, ricorra anche in caso di mancato funzionamento della società (Cass. pen. V, n. 2725/1976), e, comunque, indipendentemente dalla avvenuta compilazione del bilancio. Invero, due sono gli obblighi che la legge pone a carico degli amministratori di società commerciali: quello di redigere il bilancio sociale e l'altro di depositarlo, sicché la violazione del secondo obbligo non può venire giustificata con la violazione del primo, essendo la seconda violazione la conseguenza preveduta e voluta della prima (Cass. pen. V, n. 10261/1976).

L'elemento soggettivo.

La contravvenzione in esame, alla stregua dei principî generali sanciti dall'art. 3 della l. n. 689/1981, è indifferentemente punibile a titolo di dolo o di colpa. A tal fine non è necessario fornire la prova dell'esistenza dell'elemento psicologico in capo all'agente, in quanto grava su quest'ultimo l'onere della dimostrazione di aver agito incolpevolmente, essendo la colpa presunta, sulla base del solo comportamento omissivo di quei soggetti sui quali grava l'obbligo giuridico di impedire il verificarsi dell'evento, che costituisce illecito sanzionato.

In ossequio a quanto stabilito dall'art. 5 c.p. e tenuto conto della natura dell'obbligo violato –strettamente attinente alla posizione rivestita dall'inadempiente nella società o nel consorzio – il soggettivo attivo, ai fini dell'esclusione dell'elemento psicologico, non potrà addurre a propria discolpa l'ignoranza del precetto civilistico, ciò neppure se si tiene conto dei correttivi introdotti dalla sentenza della Corte cost. n. 364/1988.

L'esimente della buona fede, per rilevare come causa di esclusione della responsabilità amministrativa, deve fondarsi su elementi positivi idonei ad ingenerare nell'autore della violazione il convincimento della liceità della sua condotta, di cui l'agente è tenuto a fornire prova concreta (Messina-Grisandi, 596).

In ordine al dolo, il soggetto attivo deve rappresentarsi di essere tenuto – per il fatto di rivestire la qualifica funzionale, alla quale la legge civile riconnette l'obbligo della comunicazione, della denuncia o del deposito – al compimento dell'atto entro il termine stabilito (Giordanengo, 2975).

Bibliografia

Antolisei, Manuale di diritto penale. Leggi complementari. I reati e illeciti amministrativi, societari e bancari. La responsabilità degli enti, a cura di Grosso, Milano, 2007; Ardia, La tutela penale dell'assemblea, in Reati societari, a cura di Rossi, Torino, 2005; di Giuseppe, Omessa esecuzione di denunce, comunicazioni o depositi, in Diritto penale dell'economia, a cura di Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa, Milano, 2017; Giordanengo, Sub art. 2630 c.c., in Bonilini, Confortini, Codice delle società, a cura di Abriani, Milano, 2016; Messina, Grisandi, L'omessa esecuzione di denunce, comunicazioni o depositi, in Diritto penale delle società, a cura di Canzio, Cerqua, Luparia, Padova, 2014; Musco, I nuovi reati societari, Milano, 2007; Sciumbata, I reati societari, in La riforma del diritto societario, a cura di Lo Cascio, Milano, 2008.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario