Codice Civile art. 2636 - Illecita influenza sull'assemblea 1.Illecita influenza sull'assemblea 1. [I]. Chiunque, con atti simulati o fraudolenti, determina la maggioranza in assemblea, allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
InquadramentoCon la riforma del diritto penale societario di cui al d.lgs. n. 61/2002, il Legislatore ha sostituito la precedente fattispecie di illecita influenza sulla formazione della maggioranza assembleare, prevista dall'abrogato 2630, comma 1, n. 3, c.c. (che puniva gli amministratori che influivano «sulla formazione della maggioranza dell'assemblea, valendosi di azioni o di quote non collocate o facendo esercitare sotto altro nome il diritto di voto spettante alle proprie azioni o quote, ovvero usando altri mezzi illeciti»), con la nuova fattispecie di cui all'art. 2636 c.c. La novella fattispecie è stata accolta positivamente dalla dottrina avendo, rispetto al passato, il merito di una maggiore determinatezza delle modalità della condotta. Inoltre, con l'introduzione dell'art. 2636 c.c. risulta ampliata la sfera dei soggetti punibili, nonché precisata con chiarezza la natura di reato di evento della fattispecie di illecita influenza sull'assemblea (Musco, 267). La fattispecie abrogata di cui all'art. 2630, comma 1, n. 3, c.c., secondo una dottrina, mirava ad assicurare il corretto funzionamento dell'assemblea, preservando quest'ultima da possibili abusi degli amministratori diretti a falsare la formazione della volontà della maggioranza (Musco, 267). Gli orientamenti in merito alla individuazione del bene giuridico tutelato dalla norma erano, tuttavia, diversificati: accanto a chi lo ravvisava nella salvaguardia della correttezza procedimentale, funzionale alla formazione della maggioranza assembleare, vi era chi lo ravvisava nella protezione delle minoranze azionarie, chi, ancora, nell'interesse di ciascun socio a non essere vincolato da delibere adottate in violazione della legge e chi, infine, nell'integrità del patrimonio sociale (Giunta, 183). Non mancava, inoltre, chi inquadrava la previgente norma nella categoria dei reati plurioffensivi, nella specie, tendente a salvaguardare non solo gli interessi dei soggetti interni alla società ed in primis dei soci di minoranza ma anche quelli dei terzi estranei all'ente collettivo, quali, soprattutto, i creditori sociali (Antolisei, 327). La giurisprudenza di legittimità, in relazione alla previgente fattispecie, aveva messo in risalto come la pretesa nullità o addirittura «inesistenza» di un atto (delibera) dal punto di vista civile (per altro mai accertata nella sede propria) non potesse escludere che il medesimo atto fosse assunto dalla legge penale come «fatto» punibile in quanto rientrante nella reale fenomenologia (Cass. V, n. 6809/1998). Dal tenore complessivo della pronuncia in questione, una parte della dottrina ha ritenuto che la S.C. abbia inteso evidenziare in sostanza come le condotte previste dall'art. 2630, comma 1, n. 3, c.c. presupponessero un quid di fraudolento o simulatorio (Infante, 278). In linea con tale impostazione, la novella del 2002 ha introdotto espressamente il concetto di atti simulati o fraudolenti, comportando che il nucleo dell'illecito è ora da ricondursi al mendacio, ossia ad un falso che, in tanto è incriminato, in quanto produca effetti distorsivi sulla determinazione delle maggioranze assembleari. Da ciò discende che la dottrina più recente ritiene che il bene protetto vada rintracciato nel ruolo della verità o della trasparenza nel processo di formazione delle maggioranze assembleari (Infante, 280). Nella nuova formulazione, l'art. 2636 c.c. si rivolge, non tanto alla violazione di norme (penali, civilistiche, statutarie), quanto al particolare disvalore della condotta connotata da fraudolenza, simulazione e idoneità ingannatoria, causa del formarsi della maggioranza. Il ricorso ai «mezzi illeciti», nella previgente disposizione, quale formula di chiusura comprensiva di ogni altra ipotesi non specificatamente descritta, era parso ai più troppo ampio e generico, considerato l'elevato numero di violazioni che nella pratica societaria configurano comportamenti sì illeciti, ma non fraudolenti (Napoleoni, 345). Pertanto, durante la vigenza dell'abrogata fattispecie, era stato sollevato dagli interpreti il problema della delimitazione della fattispecie, chiedendosi se la condotta di determinazione dovesse essere valutata in modo autonomo rispetto ai parametri di illiceità propri del diritto civile. In dottrina, tuttavia, vi è chi ritiene, come già evidenziato, che l'oggetto della tutela penale del reato di illecita influenza sull'assemblea, pur nella sua novella formulazione, continui ad essere l'interesse dei soci alla formazione delle maggioranze assembleari, frutto di libero consenso nel rispetto della legge o dello statuto (Musco, 268). Il reato di cui all'art. 2636 c.c., in definitiva, si caratterizza oggi, per essere un reato comune di evento, a forma vincolata, punibile a titolo di dolo specifico. Secondo la giurisprudenza di legittimità, la nuova figura di reato prevista dall'art. 2636 c.c. (illecita influenza sull'assemblea), pur differenziandosi sotto vari profili, attinenti tanto alla condotta, quanto all'elemento soggettivo, dalla precedente, analoga previsione di cui all'art. 2630, comma primo, n. 3, c.c., rimane contenuta all'interno di detta più ampia previsione, per cui può dirsi che vi sia tra l'una e l'altra una continuità normativa, con la conseguenza che, tra le due norme, va applicata quella più favorevole, sicuramente individuabile nell'attuale art. 2636, sempre che, di fatto, nella contestazione siano contenuti tutti gli elementi caratteristici della nuova fattispecie (Cass. pen. V, n. 19102/2004). Inoltre – essendo il reato posto a tutela dell'interesse al corretto funzionamento dell'organo assembleare – per la sua consumazione è necessario che la condotta abbia effettivamente inciso sulla formazione della maggioranza, trattandosi di fattispecie criminosa costruita come reato di evento, diversamente da quella contemplata dal previgente art. 2630 c.c. I soggetti attivi.Diversamente dal previgente art. 2630, comma 1, n. 3, c.c. – che puniva condotte illecite commesse dagli amministratori – l'attuale art. 2636 c.c. configura un reato comune, che può essere commesso da chiunque ed, in particolare, da tutti i soggetti i cui interessi si intersecano con il piano dell'agire societario. Secondo una dottrina, tuttavia, a dispetto del riferimento a «chiunque» in concreto sarà difficile che soggetti che non rivestono almeno la qualità di socio possano commettere il reato in questione (Musco, 269). A tale tesi è stato obiettato che anche terzi alla compagine societaria sarebbero in grado di influire sulla formazione della maggioranza assembleare, ad esempio, compiendo atti fraudolenti volti a condizionare una deliberazione assembleare di fusione posti in essere dagli amministratori e/o dai soci dell'altra società interessata, ovvero alterando materialmente un documento informativo, ingannando taluni soci circa le implicazioni e gli effetti di determinate scelte, inducendoli a votare diversamente da come avrebbero in verità fatto se meglio fossero stati informati, riuscendo a far prevalere in assemblea un'opzione che altrimenti sarebbe stata minoritaria (L.D. Cerqua-F. Cerqua, 534). La condottauIl delitto di illecita influenza sull'assemblea ex art. 2636 c.c., nel testo introdotto dal d.lgs. n. 61 del 2002, è integrato da qualsiasi operazione che artificiosamente consenta di alterare la formazione delle maggioranze assembleari, rendendo così di fatto possibile il conseguimento di risultati vietati dalla legge o non consentiti dallo statuto della società (Cass. pen. V, n. 17939/2013; Cass. pen. V, n. 7317/2004; Cass. pen. II, n. 20451/2020). La condotta tipizzata dalla norma incriminatrice richiede - rispetto al previgente art. 2630, comma primo, n. 3, c.c. - un elemento di frode integrato da comportamenti artificiosi aventi carattere simulatorio idoneo a realizzare un inganno, sicché il precetto sanzionato si configura come reato a forma vincolata (Cass. pen. V, 36000/2022). La nozione di "atti simulati" contenuta nell'art. 2636 c.c., tuttavia non deve essere intesa in senso civilistico, con esclusivo riferimento all'istituto della simulazione regolato dagli artt. 1414 e ss. c.c., ma deve essere inquadrata in una tipologia di comportamenti più ampia, che include qualsiasi operazione che artificiosamente permetta di alterare la formazione delle maggioranze assembleari, rendendo possibile il conseguimento di risultati vietati dalla legge o non consentiti dallo statuto della società (Cass. pen. V, 36000/2022).Inoltre, essendo il reato posto a tutela dell'interesse al corretto funzionamento dell'organo assembleare, per la sua consumazione è necessario che la condotta abbia effettivamente inciso sulla formazione della maggioranza, trattandosi di fattispecie criminosa costruita come reato di evento, diversamente da quella contemplata dal previgente art. 2630 c.c. (Cass. pen. V, n. 17939 del 21/5/2013; Cass. pen. V, 36000/2022). In dottrina, per quanto riguarda la condotta, è stato segnalato, innanzitutto, come il nucleo centrale dell'incriminazione rispetto al passato sia costituito dal fatto che la maggioranza deve determinarsi in assemblea, richiedendo, la norma in maniera univoca e chiara, la presenza di un evento e cioè che la maggioranza assembleare si formi (artificiosamente) per effetto della condotta illecita (Musco, 269). In merito al significato da attribuire ai concetti di «atti simulati o fraudolenti» un indirizzo dottrinario ha affermato la natura di elemento normativo di tali atti, evocanti la categoria civilistica della simulazione e le norme che regolano il diritto di voto. All'uopo si è perciò indicato, come punto di riferimento, il meccanismo descritto nell'art. 1414 c.c. per la simulazione contrattuale e in generale, anche nella ricostruzione della nozione di frode, un rinvio alle categorie civilistiche. Il rinvio alla normativa civilistica farebbe coincidere gli atti simulati con quelli che fanno apparire una realtà diversa da quella effettiva (Infante, 282). Pertanto, nei casi di interposizione reale, non fittizia, ci si troverebbe di fronte atti formalmente leciti ed orientati ad un fine a sua volta lecito, sottratti all'applicazione della fattispecie (Magro, 3051). Nel novero degli atti fraudolenti rientrerebbero, invece, le condotte di fraudolenta elusione delle disposizioni civilistiche che regolano l'esercizio del diritto di voto, come ad esempio, l'impiego di azioni o quote non collocate, condotta peraltro già rilevante in base alla precedente disposizione (L.D. Cerqua-F. Cerqua, 544). La S.C. ha, tuttavia, precisato che in tema del reato di illecita influenza sull'assemblea, le nozioni di simulazione e di frode, che figurano nell'art. 2636 c.c., non coincidono con le definizioni normative proprie del diritto civile, dovendo essere interpretate in modo autonomo per designare qualsiasi condotta che, producendo l'effetto della immutatio veri, risulti idonea ad offrire una falsa rappresentazione della realtà e ad ingenerare l'inganno, ponendosi quale fattore di turbativa del regolare processo di formazione della volontà dell'assemblea. In particolare, la locuzione «atti simulati» ha una portata più ampia dell'accezione civilistica, per la ragione che essa, non evoca soltanto l'istituto della simulazione regolato dagli artt. 1414 c.c. e ss., ma include qualsiasi operazione che artificiosamente permetta di alterare la formazione delle maggioranze richieste per l'approvazione delle deliberazioni assembleari e di conseguire, così, risultati vietati dalla legge o dallo statuto della società (Cass. pen. I, n. 17854/2009; Cass.pen. V, n. 43092/2007). In particolare, integrano il delitto di illecita influenza sull'assemblea le operazioni aventi l'effetto di creare una situazione artificiosa o fraudolenta, funzionalmente strumentale al conseguimento di risultati che, costituendo violazioni di previsioni legali o statutarie, siano connotate dal crisma della illiceità e, di riflesso, si presentino come il frutto di indebite interferenze sulla regolare formazione delle delibere assembleari. Ne deriva che ai fini della illiceità di un atto di donazione, non è sufficiente limitarsi a valutare se sia prospettata una realtà giuridica diversa da quella effettiva ma è necessario – alla stregua di quanto richiesto dall'art. 2636 c.c. che considera rilevanti non solo gli atti simulati ma anche quelli fraudolenti, in via alternativa e non necessariamente cumulativa – verificarne anche la finalità perseguita, a prescindere dal significato strettamente economico della disposizione patrimoniale (Cass. pen. V, n. 17939/2013). L'eventoUna delle novità della nuova norma è la chiara delineazione della natura di reato di evento dell'illecita influenza, che si realizza con l'effettiva determinazione, tramite il compimento di atti simulati o fraudolenti, di una maggioranza assembleare, diversa da quella che si sarebbe verificata senza l'impiego della simulazione o della frode. A seguito delle suesposte modifiche, l'evento naturalistico deve quindi essere esclusivamente riconducibile a una condotta di determinazione connotata dalla fraudolenza o dalla simulazione, caratterizzazioni che esprimono il nucleo di disvalore penale. Occorre, in altri termini, che si dimostri la sussistenza del nesso causale tra gli atti simulati e fraudolenti e l'alterazione della maggioranza assembleare. La prova del necessario nesso eziologico viene fornita con la cosiddetta prova di resistenza, ossia nel verificare se, sottraendo i voti determinati dalla condotta illecita, la delibera assunta non risulti più sorretta dalla maggioranza necessaria per la sua approvazione (Musco, 172). Tale regola – già codificata dai previgenti art. 2373 comma 2 e 2391 u.c., in tema di annullamento delle deliberazioni assembleari inficiate dal conflitto di interessi del socio e dell'amministratore e ribadita dall'art. 2377 comma 4 n. 2 c.c. in tema di annullabilità delle deliberazioni assembleari – comporta che qualora singoli voti invalidi, oppure validi, ma erroneamente conteggiati, siano stati essenziali per la formazione della maggioranza, di modo che, senza il conteggio di essi la maggioranza non risulterebbe raggiunta, la delibera adottata è senz'altro annullabile (L.D. Cerqua-F. Cerqua). In caso di esito negativo della prova di resistenza potrà al più configurarsi il tentativo. La giurisprudenza di legittimità, nelle prime applicazioni della nuova norma, si è mossa, diversamente, censurando, ad esempio, l'esclusione a priori della persistente configurabilità del reato in un caso in cui, secondo l'accusa, l'imputato, con l'artifizio consistito nello stipulare, senza oggettiva necessità, pochi giorni prima della convocazione dell'assemblea societaria, un contratto di mutuo personale con un istituto di credito, costituendo in pegno la sua quota di partecipazione alla società, sì da consentire al suddetto istituto di esercitare il diritto di voto, aveva in tal modo impedito che venisse raggiunta la maggioranza necessaria all'approvazione di una proposta di azione di responsabilità nei di lui confronti (Cass. pen. V, n. 19102/2004) Inoltre è stato ritenuto fraudolento il comportamento del soggetto agente, tale da aver, (impedendo il raggiungimento della maggioranza), determinato l'evento dell'impossibilità per la società di proporre l'azione di responsabilità nei confronti dell'amministratore (Cass. pen. V, n. 19102/2004). In tale pronuncia, in definitiva, la non approvazione dell'azione di responsabilità, per mancanza del raggiungimento del quorum o per parità di voti, è stata equiparata al voto a maggioranza negativa. Tale pronuncia è stata criticata da un dottrina (L.D. Cerqua-F. Cerqua, 541) che ha evidenziato come la soluzione interpretativa prescelta si presenti in contrasto con il testo della norma che richiede espressamente, per la sussistenza del delitto, sul piano dell'evento, la determinazione della maggioranza assembleare e non già l'adozione di una delibera anomala, e pare altresì violare il divieto di interpretazione analogica in malam partem. L'elemento soggettivoL'elemento soggettivo richiesto dalla norma è il dolo specifico, dovendo il soggetto agire allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto (Musco, 174). Secondo la prevalente dottrina, la configurazione del dolo come specifico esclude la punibilità a titolo di dolo eventuale, stante l'incompatibilità di tale forma di elemento psicologico con il dolo specifico (Infante, 290). Il reato di cui all’art. 2636 c.c., sotto il profilo psicologico, è caratterizzato dal dolo specifico, in quanto l'agente, oltre ad avere la consapevolezza di determinare la maggioranza assembleare mediante atti simulati o fraudolenti, deve agire al fine di perseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, che può essere anche di natura non patrimoniale (Cass. pen. V, 36000/2022) CasisticaLa giurisprudenza di legittimità (Cass. pen. I, n. 17854/2009; Cass. pen. V, 36000/2022) ha indicato esemplificativamente quali situazioni riconducibili alla fattispecie di reato prefigurata dall'art. 2636 c.c.: - il comportamento del socio, che si avvalga di azioni o quote non collocate, intendendo per tali quelle non vendute, ovvero quelle per le quali il socio non abbia effettuato, nei termini prescritti, il versamento di quanto dovuto; - il comportamento del socio che, occultando la mora nei versamenti, che gli precluderebbe il diritto di voto, tragga in inganno l'assemblea, facendosi apparire come portatore di un diritto di voto, del quale in realtà non è titolare; - le dichiarazioni mendaci o reticenti, provenienti dagli amministratori o dai terzi, con le quali l'assemblea od i singoli soci vengano tratti in inganno sulla portata o convenienza di una delibera; - l'incetta di deleghe fraudolentemente realizzata in violazione dei limiti posti dall'art. 2372 c.c.; - la maliziosa convocazione di un'assemblea in tempi o luoghi tali da precludere un'effettiva partecipazione dei soci; - i possibili abusi funzionali della presidenza dell'assemblea, a qualsiasi soggetto affidata ex art. 2371 c.c., quali l'artificiosa o fraudolenta esclusione dal voto di soggetti aventi diritto o, all'inverso, l'ammissione al voto di soggetti non legittimati (Cass. pen. II, n. 20451/2020); - la falsificazione della documentazione relativa all'assemblea dei soci e al libro dei soci, retrodatando la data di ingresso di alcuni soci in vista dell'assemblea, consentendo la partecipazione di altro, determinando così una maggioranza a sé favorevole, al fine della delibera della sua conferma nella qualifica di amministratore della società (delibera la cui adozione, essendo l'assemblea in seconda convocazione, sarebbe stata impedita dalla partecipazione del socio estromesso) (Cass. pen. V, 36000/2022). In tutte le situazioni testé elencate è possibile individuare ipotesi di «illecita influenza sull'assemblea» in quanto la illiceità della condotta è connotata dalla presenza di atti simulati o fraudolenti che hanno avuto efficacia determinante per l'adozione di deliberazioni assembleari assunte in violazione di divieti legali o statutari. Di conseguenza, non è ipotizzabile illecita influenza sull'assemblea, né può parlarsi di atti simulati o fraudolenti al cospetto di attività negoziali, che, nell'ambito dell'autonomia riconosciuta ai privati dall'ordinamento, consentono di perseguire interessi meritevoli di tutela senza infrangere le prescrizioni poste dalla legge o dallo statuto per regolare la vita della società. Inoltre, la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di appello ha affermato, in conferma della sentenza di primo grado, la responsabilità, ex art. 2636 c.c., nei confronti dell'amministratore ed azionista di controllo di una s.p.a. che aveva, nelle more della convocazione dell'assemblea richiesta dagli azionisti di minoranza per deliberare su un'eventuale azione di responsabilità a carico degli amministratori — disposto di buona parte delle proprie quote, donandole alla moglie ed a una delle figlie, aggirando così l'esclusione dal voto dei soci amministratori e consentendo a queste ultime di votare sulla proposta azione di responsabilità (Cass. pen. V, n. 17939/2013). Inoltre, la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità – in ordine al delitto di cui all'art. 2636 c.c. – dell'imputato, il quale, in qualità di amministratore unico di una s.r.l., aveva ripetutamente determinato le maggioranze nelle assemblee sociali con atti fraudolenti, rappresentando falsamente la presenza della maggioranza dei soci alle assemblee, in particolare, facendo figurare come presente una socia assente mediante la falsificazione della relativa firma sul verbale nonché attestando in capo alla socia presente, moglie dello stesso imputato, la titolarità di un numero di quote sufficiente a costituire la maggioranza per niente corrispondenti alla titolarità reale, con il risultato di determinare la maggioranza per il funzionamento della assemblea, altrimenti interdetto (Cass. pen. V, n. 555/2011). L'apparato sanzionatorioSul piano sanzionatorio va osservato che, mentre è rimasta immutata rispetto al passato la cornice edittale della pena detentiva, il nuovo art. 2636 c.c. non prevede più l'irrogazione congiunta della multa. Le novità più importanti però si ricavano dall'articolato complessivo della riforma, prescindendo dal dettato normativo della singola disposizione in commento. Ed invero, il delitto è annoverato, ex art. 25-ter, d.lgs. n. 231/2001, tra quelli che possono dar luogo alla responsabilità punitiva delle persone giuridiche. L'inclusione della fattispecie tra quelle che impegnano la persona giuridica sul terreno della responsabilità amministrativa da reato ha suscitato alcune perplessità in dottrina. Al riguardo, è stato osservato che l'art. 25-ter, d.lgs. n. 231/2001, innesta la responsabilità dell'ente solo quando il reato societario sia commesso nel suo «interesse», specificando quanto già si desume dall'art. 5 della medesima normativa. Orbene, tali prescrizioni sembrerebbero difficilmente compatibili con il dolo specifico richiesto dall'art. 2636 c.c., in quanto se il soggetto pone in essere la condotta al fine di trarre un profitto unicamente per sé, lo scollamento con il combinato disposto degli artt. 5 e 25-ter appare evidente. Si dubita, quindi, della possibilità che si configuri una condotta che, pur avendo alterato la regolare formazione della volontà assembleare sia allo stesso tempo rivolta a suo vantaggio (Giunta, 190). Tali critiche sono state ritenute invece da altri autori non insuperabili, dovendo tenersi distinto l'interesse istituzionale al rispetto del principio della maggioranza delle deliberazioni (L.D. Cerqua, F. Cerqua, 555). BibliografiaAntolisei, Manuale di diritto penale. Leggi complementari. I reati e illeciti amministrativi, societari e bancari. La responsabilità degli enti, a cura di Grosso, Milano, 2007; Cerqua L.D., Cerqua F., L'illecita influenza sull'assemblea, in Diritto penale delle società, Accertamento delle responsabilità individuali e processo alla persona giuridica, a cura di Canzio, Cerqua, Luparìa, Milano, 2016; Giunta, Sub art. 2636 c.c., in I nuovi illeciti penali ed amministrativi riguardanti le società commerciali, Commentario al d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61, Torino, 2002; Infante, Illecita influenza sull'assemblea, in Diritto penale dell'economia, a cura di Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa, Milano, 2017; Magro, Il reato di illecita influenza dell'assemblea e un caso «tipico» di falsità per simulazione. Considerazioni sui rapporti tra illiceità civile e illiceità penale nella definizione di atti simulate e fraudolenti, in Cass. pen., 2012; Musco, I nuovi reati societari, Milano, 2007; Napoleoni, I reati societari, Milano 1992. |