Codice Civile art. 2638 - Ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza1.

Rosa Pezzullo

Ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza1.

[I]. Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari2, i sindaci e i liquidatori di società o enti e gli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza, o tenuti ad obblighi nei loro confronti, i quali nelle comunicazioni alle predette autorità previste in base alla legge, al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni di vigilanza, espongono fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni, sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria dei sottoposti alla vigilanza ovvero, allo stesso fine, occultano con altri mezzi fraudolenti, in tutto o in parte fatti che avrebbero dovuto comunicare, concernenti la situazione medesima, sono puniti con la reclusione da uno a quattro anni. La punibilità è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.

[II]. Sono puniti con la stessa pena gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari3, i sindaci e i liquidatori di società, o enti e gli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza o tenuti ad obblighi nei loro confronti, i quali, in qualsiasi forma, anche omettendo le comunicazioni dovute alle predette autorità, consapevolmente ne ostacolano le funzioni.

[III]. La pena è raddoppiata se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'articolo 116 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 4.

3-bis.[sic] Agli effetti della legge penale, alle autorità e alle funzioni di vigilanza sono equiparate le autorità e le funzioni di risoluzione di cui al decreto di recepimento della direttiva 2014/59/UE e al regolamento (UE) 2021/23 e alle relative norme attuative5.

 

[1]  V. nota al Titolo XI.

[2] Le parole «i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari,» sono state inserite dall'art. 151 lett. c)l. 28 dicembre 2005, n. 262.

[3] Le parole «i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari,» sono state inserite dall'art. 151 lett. c)l. 28 dicembre 2005, n. 262.

[4] Comma aggiunto dall'art. 39 2 lett. c) l. n. 262, cit.

[5] Comma sostituito dall'art. 26, comma 1, d.lgs. 6 dicembre 2023, n. 224. Il testo del comma, inserito con la numerazione così riportata, dall'art. 101, comma 1, d.lgs. 16 novembre 2015, n. 180 , era il seguente «Agli effetti della legge penale, le autorità e le funzioni di risoluzione di cui al decreto di recepimento della direttiva 2014/59/UE sono equiparate alle autorità e alle funzioni di vigilanza».

Inquadramento

La fattispecie punita dall'art. 2638 c.c., introdotta con il d. lgs. 11 aprile 2002 n. 61, rappresenta l'evoluzione di quella tipologia di fattispecie incriminatrici poste a tutela dell'attività degli organi di vigilanza, introdotte per la prima volta nel nostro ordinamento con il d.l. n. 85/1975, istitutivo della Consob. Invero, a seguito della comparsa di diverse figure criminose a tutela dell'operato degli organi pubblici di vigilanza e dell'incredibile aumento delle autorità di controllo, il legislatore del 2002 ha avvertito l'esigenza di coordinare ed armonizzare il quadro normativo fino ad allora vigente, creando un'unica figura di portata generale a tutela dell'informazione societaria (Zannotti, 197). In realtà, la legge delega non vincolava il legislatore delegato a predisporre una norma di carattere generale, come quella poi effettivamente emanata, ma si limitava a prescrivere l'armonizzazione ed il coordinamento delle ipotesi sanzionatorie attinenti alla materia de qua. È stato il legislatore delegato, tra le varie opzioni, a scegliere quella della fattispecie unica, ciò proprio per razionalizzare il quadro normativo esistente. L'obiettivo della novella è stato quello di dare un segnale importante della significatività dell'oggetto della tutela mediante la scelta di una sanzione detentiva elevata tra le più gravi del nuovo diritto penale societario, in controtendenza rispetto al generale arretramento dell'intervento penale (Musco, 287).

Siffatta scelta, però, sebbene condivisa dal punto di vista sistematico, è stata criticata da quella parte della dottrina che ha definito la norma in esame una fattispecie di portata generale caratterizzata da ambiguità di contenuti, indeterminatezza dei confini e non coordinata con i resto della legislazione (Alessandri, 9).

Attualmente il reato in commento non è l'unica norma sanzionatoria posta a tutela della funzionalità delle autorità di vigilanza. Si va sempre più affermando, infatti, un nuovo orientamento volto ad affiancare alla disposizione in esame altre norme incriminatrici per la tutela di specifiche funzioni di vigilanza svolte da ciascuna autorità (tra cui l'art. 170-bis d.lgs. n. 58/1998); ciò in apparente controtendenza con la direzione intrapresa dal legislatore del 2002 (Zannotti, 197).

Ai fini di un corretto inquadramento sistematico della norma in esame, occorre poi dare atto che, sebbene l'art. 2638 c.c. non sia stato direttamente modificato dalla riforma operata con la l. n. 69/2015 (recante «Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio»), le modiche che hanno interessato gli artt. 2621 e 2622 c.c., finiscono per ripercuotersi anche sul reato in commento; ciò proprio a causa delle implicazioni interpretative che la citata novella legislativa ha sollecitato e di cui si è ampiamente dato atto nell'analisi delle disposizioni di cui all'art. 2621 c.c.

Sussiste successione di leggi meramente modificativa, ex art. 2, comma terzo, c.p., tra la fattispecie di cui all'art. 134 d.lgs. n. 385/1993 e quella contenuta nell'art. 2638 c.c., introdotta dal d.lgs. n. 61 del 2002, in quanto la nuova normativa non ha comportato l'abolizione generalizzata delle anteriori fattispecie criminose, ma soltanto la successione di nuove norme incriminatrici che hanno parzialmente modificato il contenuto delle fattispecie di reato, allargando l'ambito della punibilità e modificando l'entità della pena. Ne deriva che ai fatti commessi nella vigenza dell'art. 134 d.lgs. n. 385/1993 è applicabile la disciplina contenuta nel vigente art. 2638 c.c., che prevede un trattamento più favorevole (Cass. pen. V, n. 21067/2004). In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto integrata la fattispecie, di cui al vigente art. 2638 c.c., nella condotta – già sanzionata dal previgente art. 134 succitato – di colui che, nella qualità di direttore di banca, abbia comunicato alla Banca d'Italia fatti non veri, omettendo di indicare perdite conseguenti ad una data operazione, al fine di ostacolare, e di fatto ostacolando, l'esercizio delle funzioni di vigilanza. In motivazione la S.C. ha, inoltre, evidenziato che, sia la norma previgente, che quella vigente descrivono un reato di pericolo che ha per oggetto l'esposizione, da parte dell'autore, di fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazione, sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria dei sottoposti alla vigilanza; che nel testo previgente era prevista l'omissione mediante «nascondimento», la quale costituisce un'ipotesi di «omissione fraudolenta», prevista nel nuovo testo ed, infine, che comune alle ipotesi contemplate nelle due fattispecie è l'elemento soggettivo che nel prevedere il fine «di ostacolare le funzioni di vigilanza» integra un'ipotesi di dolo specifico (Cass. pen. V, n. 21067/2004).

Struttura del reato: duplice fattispecie

L'art. 2638 c.c. prevede una duplice fattispecie di reato: il delitto di false comunicazioni alle autorità di settore, poste in essere al fine di ostacolare le funzioni di vigilanza (comma 1) ed il delitto di ostacolo all'esercizio delle predette funzioni, realizzato con qualsiasi condotta (comma 2).

Si tratta, dunque, di una figura di reato comprensiva di due autonome fattispecie delittuose, diverse, sia per modalità della condotta, che per struttura.

Ed invero, mentre il reato di cui al comma 1 è strutturato come reato di pericolo concreto e di mera condotta, il delitto descritto al comma 2 che sanziona la realizzazione intenzionale dell'evento di ostacolo attraverso qualsiasi condotta è strutturato secondo lo schema del reato a forma libera, incentrato sull'evento naturalistico di ostacolo alle funzioni di vigilanza, realizzabile mediante una condotta, sia attiva, che omissiva (Saponara, 320).

La struttura bifasica della norma in esame, comprensiva di due distinte ed autonome figure di reato, è stata pacificamente accolta anche dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha descritto il delitto di cui al primo comma dell'art. 2638 c.c. come un reato di mera condotta, integrato sia dall'omessa comunicazione di informazioni dovute, che dal ricorso a mezzi fraudolenti volti ad occultare l'esistenza di fatti rilevanti per la situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società. che si consuma nel momento in cui viene celata all'organo di vigilanza la realtà economica, patrimoniale o finanziaria dei soggetti sottoposti a controllo, attraverso le condotte alternative previste dalla norma di omessa comunicazione di informazioni dovute o di ricorso a mezzi fraudolenti. (Cass. pen. V, n. 6884/2015; Cass. pen. V, n. 26596/2014).

Il reato previsto dal secondo comma è invece un delitto di evento, che richiede la verificazione di un effettivo e rilevante ostacolo alla funzione di vigilanza, quale conseguenza di una condotta che può assumere qualsiasi forma, tra cui anche la mera omessa comunicazione di informazioni dovute  ed è un reato a forma libera e a dolo generico (Cass. pen. V, n. 21878/2023).

Ne consegue che tra le due fattispecie è configurabile un concorso formale ex art. 81, comma primo, c.p., qualora la condotta illecita si concretizzi nella omessa comunicazione alle autorità di vigilanza di informazioni dovute (Cass. pen. V, n. 6884/2015). In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto integrato il concorso formale tra i reati previsti dai primi due commi dell'art. 2638 c.c. nella condotta dei legali rappresentanti di una società cooperativa che avevano omesso di indicare nei bilanci societari una fidejussione rilasciata in favore di altra società, altresì omettendo di darne comunicazione al competente organo di revisione (Cass. pen. V, n. 6884/2015).

Con riferimento alla delitto punito dal primo comma la Suprema Corte, nella stessa pronuncia, ha avuto altresì modo di evidenziare che la condotta di occultamento ha natura commissiva e che per «mezzi fraudolenti» devono intendersi le manipolazioni di documenti contabili e delle comunicazioni dovute alle autorità di vigilanza.

Alle stesse conclusioni è giunta la dottrina, che ha rilevato come la descritta condotta di occultamento, a differenza di quanto a prima vista potrebbe sembrare, non si sostanzia in una condotta omissiva; ciò in quanto il nascondimento comporta necessariamente un'attività (Foffani, 1914).

In ordine all'oggetto materiale della descritta fattispecie di cui al primo comma, l'esposizione di «fatti materiali non rispondenti al vero» accomuna il delitto in esame a quello di false comunicazioni sociali di cui agli artt. 2621 e 2622 c.c. Tali comunicazioni, poste in essere dagli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori, devono avere ad oggetto la situazione economica, patrimoniale o finanziaria dei soggetti sottoposti alla vigilanza, oppure devono concernere i beni che la società possiede o amministra per conto di altri soggetti.

È evidente che la necessità di precisare tale ultima previsione deriva dalla circostanza che le autorità di vigilanza esercitano il loro controllo anche sulle attività svolte per conto di terzi, da parte di soggetti abilitati all'esercizio dei servizi di investimento (Zannotti, 208).

All'uopo la S.C. ha ritenuto che integra il reato di cui all'art. 2638 c.c. la condotta dell'amministratore di un istituto di credito il quale, attraverso l'artificiosa rappresentazione nel patrimonio di vigilanza di elementi positivi fittizi, costituiti da azioni ed obbligazioni acquistate da terzi con finanziamenti erogati in loro favore dallo stesso istituto creditizio, senza che tale circostanza venisse resa nota agli organi di vigilanza, abbia in tal modo occultato l'effettiva situazione economica della banca amministrata e determinato un effettivo e rilevante ostacolo alle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza (Cass. pen. V,  n. 42778//2017). 

Peraltro, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, costituiscono "beni utilizzati per commettere il reato" di cui all'art. 2638  c.c., confiscabili ai sensi dell'art. 2641 c.c., anche mediante l'apprensione di beni per valore equivalente, i finanziamenti concessi da un istituto di credito a terzi per l'acquisto di azioni ed obbligazioni dello stesso istituto, finalizzati a rappresentare una realtà economica del patrimonio di vigilanza dell'ente creditizio diversa da quella effettiva, con ostacolo delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza (Cass. pen. V, n. 42778/2017).

Quanto, invece, alla fattispecie di reato descritta dal secondo comma, la nozione di ostacolo cui essa fa riferimento, impone alcune precisazioni. Pur rappresentando la soglia dell'offesa penalmente rilevante, «l'ostacolo alle funzioni di vigilanza» è caratterizzato da una forte incertezza concettuale, che ha dato luogo a non pochi problemi di compatibilità con i principî di offensività e precisione.

Ed invero, così come inserita nella norma, la condotta di ostacolo potrebbe tradursi, sia nella mancata comunicazione di informazioni dovute, sia in comportamenti che assumano i tratti della mancata collaborazione o dell'artificio ostruzionistico (tra cui, ad esempio, il rifiuto o il ritardo nella trasmissione dei documenti). È evidente, dunque, che nella scelta del legislatore si annida la volontà di anticipare la tutela penale ad una soglia anteriore all'offesa ad un interesse patrimoniale determinato; scelta che, ha indotto la dottrina a prospettare l'eventuale illegittimità costituzionale della norma (Messina, 574).

Al riguardo, la giurisprudenza ha elaborato una nozione estensiva di ostacolo, evidenziando che il reato di ostacolo alle funzioni di vigilanza di autorità pubbliche previsto dal secondo comma dell'art. 2638 c.c. è integrato anche dalla mera omessa comunicazione di informazioni dovute (Cass. pen. V, n. 49362/2012) ricomprendendovi «il mezzo o il motivo, opposto allo svolgimento di un'azione o all'esplicitazione di una facoltà, valido a ridurne notevolmente l'effetto o la portata, ovvero anche a ritardarne il compimento»

Stessi problemi di indeterminatezza sono riscontrabili anche con riferimento al concetto di «comunicazione» al quale, però, per arginare il deficit di determinatezza, è stato attribuito un significato di natura teleologica. La comunicazione viene, infatti, definita in funzione dello scopo illecitamente perseguito, consistente nell'idoneità a rappresentare un ostacolo (Messina, 565).

In Giurisprudenza, si evidenzia come la comunicazione penalmente rilevante può riguardare anche fatti la cui comunicazione sia imposta sì da una fonte normativa, ma non necessariamente identificabile dalla legge, purché in quest'ultima trovi la sua legittimità (Cass. pen. V, n. 6884/2015).

Il più recente e consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità richiede, per la configurabilità del reato di cui al secondo comma dell'art. 2638, c.p., «la verificazione di un effettivo e rilevante ostacolo alla funzione di vigilanza, quale conseguenza di una condotta che può assumere qualsiasi forma, tra cui  anche la mera omessa comunicazione di informazioni dovute» (Cass. pen. V, n. 21878/2023;Cass. pen. V, n. 42778/2017) In altri termini, l'evento di ostacolo all'esercizio delle funzioni di vigilanza «si realizza con l'impedimento in toto di detto esercizio ovvero [...] con il frapporre al suo dispiegarsi difficoltà di considerevole spessore o con il determinarne un significativo rallentamento: difficoltà o rallentamento che devono dar corpo ad un effettivo e rilevante ostacolo alla funzione di vigilanza. Fuori da questi casi, il mero ritardo che non rechi effettivo e rilevante pregiudizio all'esercizio dell'attività di vigilanza non può essere sussunto nel paradigma punitivo delineato dal secondo comma dell'art. 2638 c.c. Interpretazione, questa, che, sul piano sistematico rinviene una sicura conferma nell'art. 187 -quinquiedecies del d.lgs. 24/02/1998, n. 58 (recante il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria), che commina la sanzione amministrativa per chi, fuori dei casi previsti dall'art. 2638 c.c. , non ottemperi nei termini alle richieste della Banca d'Italia e della Consob, non cooperi con le medesime autorità al fine dell'espletamento delle relative funzioni di vigilanza ovvero ritardi l'esercizio delle stesse: la previsione delle menzionate fattispecie sanzionate solo in via  amministrativa è indicativa della più pregnante connotazione lesiva che devono rivestire i fatti penalmente rilevanti in forza del secondo comma dell'art. 2638 c.c. Del resto, argomento di segno analogo può trarsi, sempre sul piano dell'interpretazione sistematica, anche dall'art. 306 del d.lgs. 07/09/2005, n. 209 (recante il codice delle assicurazioni private)» (Cass. pen. V, n. 29377/2019; Cass. pen. V, n. 21878/2023).

Il bene giuridico.

Entrambe le figure di reato descritte nell'art. 2638 c.c., rientrano tra le incriminazioni poste a tutela di una funzione che, nel caso di specie, si sostanzia nella funzione di controllo delle autorità pubbliche di vigilanza (Musco, 290).

A differenza degli altri illeciti introdotti con la riforma del diritto penale societario, quello in commento è l'unico delitto in cui non è possibile scorgere elementi privatistici-patrimoniali (Alessandri, 13).

Esso, infatti, non è preposto alla tutela del controllo societario interno a contenuto privatistico (come la speculare fattispecie di cui all'art. 2625 c.c.), ma è volto alla tutela della trasparenza e veridicità dei rapporti di informazione tra soggetto controllore e soggetto controllato.

L'interesse tutelato dal delitto in esame ha, dunque, natura pubblicistica ed attiene alla salvaguardia del corretto svolgimento di funzioni di interesse collettivo (Foffani, 1916).

Si rileva, inoltre, che la disposizione in esame rientra tra i reati a tutela di beni istituzionali, ossia di beni facenti capo ad enti pubblici (quali sono le autorità di vigilanza), la cui integrità è strumentale alla tutela in un bene ulteriore (cd. bene finale) che, nella norma de qua, è rappresentato dal regolare funzionamento del mercato. Tuttavia, atteso che la tutela del bene istituzionale è del tutto autonoma rispetto a quella del bene finale, le false informazioni alle autorità pubbliche di vigilanza non devono possedere attitudine decettiva nei confronti del pubblico, ma rileveranno unicamente in quanto idonee ad ostacolare le funzioni di vigilanza degli enti a ciò preposti (Zannotti, 204).

Al terzo comma dell'articolo in commento il legislatore introduce un'ulteriore bene giuridico da tutelare mediante la norma de qua, ossia il risparmio. Ed invero, facendo esplicito riferimento all'art. 116 TUF, la circostanza aggravante ad effetto speciale introdotta dalla l. n. 262/2005 (la quale ricollega un inasprimento di pena all'ipotesi che si versi in presenza di una società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante), aggiunge all'interesse già tutelato dai primi due commi, quello all'integrità del mercato finanziario e all'affidabilità della autorità di vigilanza nel loro rapporto con il pubblico (Saponara, 7).

Proprio il richiamo operato al testo unico della finanza, impone una ulteriore precisazione.

Ed invero, accanto al presente sistema penalistico di tutela, l'ordinamento ne prevede uno ulteriore, autonomo, ma convergente (secondo il sistema del cd. doppio binario). Alla Consob, infatti, oltre che funzioni di controllo, vigilanza e regolazione, sono attribuite anche funzioni sanzionatorie/paragiurisdizionali (Mucciarelli, 1006).

I soggetti attivi e passivi

Così come tutti gli altri reati societari (ad eccezione dei precedenti artt. 2636 e 2637 c.c.), anche l'art. 2638 c.c. è un reato proprio, la cui configurazione richiede il possesso in capo all'autore di una determinata qualifica, necessaria per porre in essere la condotta tipica.

La norma, infatti, enuclea i destinatari del precetto penale facendo riferimento ad un'ampia categoria di soggetti dotati di poteri decisionali e direttivi, ascrivibili agli organi apicali della società.

Si tratta, in particolare, degli amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società o enti. A questi, la norma aggiunge gli altri soggetti sottoposti per legge alle autorità pubbliche di vigilanza, o tenuti ad obblighi nei loro confronti. Quest'ultima categoria si soggetti attivi risulta di difficile individuazione, dovendo l'interprete individuarli tra i vari rinvii alle leggi di settore e alle disposizioni regolamentari.

La dottrina rinviene la ratio di tale scelta del legislatore nella sua volontà di ricomprendervi tutti quei soggetti non organizzati in forma societaria che, pur non essendo per legge sottoposti al controllo istituzionale delle autorità di vigilanza, sono comunque tenuti ad obblighi di informativa nei confronti di esse (Zannotti, 206).

Quanto, invece, ai soggetti passivi, si discute in dottrina sull'opportunità o meno di limitare il novero dei destinatari della condotta incriminata ai soli soggetti pubblici titolari di prerogative di vigilanza in senso tecnico ispettivo. Il problema si pone soprattutto con riguardo alle autorità amministrative indipendenti, le quali – qualora con il concetto di vigilanza si intendesse fare riferimento al controllo preventivo e successivo su determinate fasi di attività dei soggetti sottoposti a tali autorità al fine di garantirne l'affidabilità nel rapporto con il pubblico – risulterebbero escluse dal raggio di operatività della norma.

Controversa è anche l'identificazione della autorità di vigilanza stesse. In dottrina ci si interroga, infatti, se debba farsi ferimento solo agli enti titolari di una funzione di controllo con rilievo strettamente pubblicistico (che con riguardo ai mercati finanziari si sostanzierebbero in Consob, Ivass e Banca d'Italia), o a tutte le autorità amministrative indipendenti.

Al riguardo, la giurisprudenza ha individuato un ulteriore criterio discretivo: la distinzione tra autorità che svolgono in senso pieno una funzione di vigilanza e altre autorità che assolvono ad una mera funzione di regolazione di una attività (come ad esempio servizi di pubblica utilità). Proprio con riferimento a queste ultime, la Suprema Corte ha escluso la loro ricomprensione nel novero dei soggetti passivi del reato in esame (Cass. pen. V, n. 6717/2013).

L'importanza della norma in commento potrà essere meglio apprezzata ove si tenga conto dell'attività in concreto posta in essere dalle autorità di vigilanza, ed, in particolare, della c.d vigilanza informativa. Essa, infatti, si traduce nell'attuazione del principio di trasparenza che rappresenta, oltre che un vero e proprio criterio di svolgimento delle attività, il bene giuridico tutelato dall'art. 2638 c.c. In tale prospettiva è, dunque, evidente che la nozione di vigilanza debba essere interpretata in senso maggiormente ampio di quello meramente formale, tale da ricomprendere anche l'attività di controllo della Consob per il mercato mobiliare. Al contrario, dalla nozione di vigilanza dovranno ritenersi escluse le attività di natura paragiurisdizionale e quelle di cd. moral suasion (Saponara, 329).

Un ampliamento della nozione di vigilanza si è avuto, inoltre, con l'introduzione del comma 3-bis all'articolo in commento (ad opera del d.lgs. n.180/2015, attuativo della Direttiva 2914/59/UE), con il quale si fa ora riferimento anche al ruolo svolto nella gestione della crisi secondo i parametri eurounitari.

Elemento soggettivo

 Quanto all'elemento soggettivo delle due fattispecie incriminatrici, quella di cui al primo comma, configurante un reato di mera condotta, si caratterizza per il dolo specifico, ossia per il fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni di vigilanza, che, nel quadro del paradigma punitivo delineato dalla disposizione, è funzionale è scongiurare un'eccessiva dilatazione della sfera applicativa della fattispecie incriminatrice (Cass. pen. V, n. 21878/2023).. Il reato di evento a forma libera di cui al secondo comma dell'art. 2638 c.c., che, può avere natura omissiva, richiede, sul piano dell'elemento psicologico, il dolo generico, che, naturalmente, deve investire anche l'evento del reato, mentre l'avverbio "consapevolmente", vale a escludere il dolo eventuale tra le forme di dolo idonee a integrare la fattispecie incriminatrice "(Cass. pen. V, n. 21878/2023). Una conferma in tal senso si deve, sia pure sul terreno delle false comunicazioni sociali ex art. 2621 c.c., alle Sezioni unite,  quando hanno chiarito che «per quel che riguarda l'elemento soggettivo, l'avverbio "consapevolmente" precisa e delimita ulteriormente il dolo, che si atteggia certamente come diretto (Cass. S.U. n. 22474/2016).

Analogamente in dottrina si è osservato, con riferimento alla fattispecie descritta dal secondo comma,  che l'avverbio «consapevolmente» svolge un ruolo selettivo nella struttura della fattispecie. Esso, infatti, viene utilizzato dal legislatore delegato per circoscrivere la punibilità della condotta (anche omissiva) alle sole ipotesi in cui essa sia sorretta dal dolo intenzionale, escludendo così la configurabilità del reato in presenza di dolo diretto o eventuale (Benussi, 56).

Rapporti con altre norme. La responsabilità amministrativa delle persone giuridiche

In ordine al rapporto tra la fattispecie in commento e gli artt. 2621 e 2622 c.c., si ritiene sussistente una relazione di specialità reciproca. Non vi sono, infatti elementi che inducono a considerare una delle due fattispecie assorbita nell'altra, né vi è una clausola di sussidiarietà espressa. Si evidenzia, inoltre, la diversità dei beni giuridici tutelati dalle norme de quibis che, mentre nel caso dell'art. 2438 c.c., consiste nella correttezza dei rapporti tra autorità controllante e soggetto controllato, per gli artt. 2621 e 2622 c.c. è individuato nell'integrità patrimoniale e dei rapporti tra i soggetti della società (Messina, 590).

Quanto invece ai rapporti tra l'illecito penale in esame e la configurazione della responsabilità amministrativa da reato, delle persone giuridiche, occorre evidenziare che l'art. 25-ter d.lgs. 231/2001, inserisce la fattispecie in commento tra i reati presupposto che consentono di fondare la suddetta responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. Come per gli atri reati ivi menzionati, anche per l'art. 2638 c.c., la responsabilità dell'ente potrà ritenersi configurata ove, ai sensi dell'art. 5 dello stesso decreto, il reato sia stato commesso da un organo cd. apicale o da un sottoposto.

Inoltre, affinché sussista la responsabilità dell'ente occorre che il reato sia stato commesso nell'interesse della società. Dalla norma si nota, dunque, l'esclusione dell'ulteriore criterio del vantaggio menzionato, invece, nell'art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 231/2001.

Proprio in ordine alla portata dei menzionati presupposti, la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che l'espressione normativa «nel suo interesse o a suo vantaggio» non contiene un'endiadi. Si ritiene, infatti, che i termini attengono a concetti giuridicamente diversi, potendosi distinguere un interesse «a monte» per effetto di un indebito arricchimento, prefigurato e magari non realizzato, in conseguenza dell'illecito, da un vantaggio obiettivamente conseguito con la commissione del reato, seppure non prospettato «ex ante». In tale prospettiva, dunque, l'interesse ed il vantaggio si pongono in concorso reale (Cass. pen. II, n. 3615/2005).

Con particolare riferimento all'art. 2638 c.c., un'ulteriore questione si pone in ordine alla ipotesi di esclusione della responsabilità nelle ipotesi in cui l'ente provi che l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi. Ci si chiede, infatti, in un'ottica di effettività e di reale incidenza sulla prevenzione dei reati, quali contenuti tali modelli debbano avere ai fini della suddetta esclusione. In relazione al pericolo di commissione di condotte di ostacolo all'attività della autorità di vigilanza e di false comunicazioni, un particolare interesse riveste sicuramente il ruolo dell'organismo di vigilanza e la funzione svolta dal collegio sindacale, nonché dai soggetti deputati all'attività di consulenza per la verifica della correttezza delle procedure (Saponara, 337).

Bibliografia

Alessandri, I nuovi reati societari: riflessioni sul danno patrimoniale, in Dir. prat. soc. n.2/2002; Benussi, I nuovi delitti di false comunicazioni sociali e la rilevanza penale delle false valutazioni, in penalecontemporaneo.it, 17 luglio 2016; Foffani, Sub art. 2638, in Società, in Commentario breve alle leggi penali complementari, a cura di Palazzo e Paliero, Padova, 2003; Messina, Ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, in Diritto penale delle società, a cura di Canzio-Cerqua-Luparia, Padova, 2016; Mucciarelli, Primato della giurisdizione e diritto economico sanzionatorio: a proposito di market abuse, in Dir. pen e proc. n. 3/2006; Musco, I nuovi reati societari, Milano, 2007; Saponara, Ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza (art. 2638 c.c.), in Diritto penale dell'economia, a cura di Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa, Milano, 2017; Zannotti, Il nuovo diritto penale dell'economia. Reati societari e reati in materia di mercato finanziario, Milano, 2008.

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