Codice Civile art. 2621 bis - Fatti di lieve entità (1).Fatti di lieve entità (1). [I]. Salvo che costituiscano più grave reato, si applica la pena da sei mesi a tre anni di reclusione se i fatti di cui all'articolo 2621 sono di lieve entità, tenuto conto della natura e delle dimensioni della società e delle modalità o degli effetti della condotta. [II]. Salvo che costituiscano più grave reato, si applica la stessa pena di cui al comma precedente quando i fatti di cui all'articolo 2621 riguardano società che non superano i limiti indicati dal secondo comma dell'articolo 1 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. In tale caso, il delitto è procedibile a querela della società, dei soci, dei creditori o degli altri destinatari della comunicazione sociale. (1) Articolo inserito dall'art. 10 l. 27 maggio 2015, n. 69. InquadramentoL'art. 2621-bis c.c., introdotto dalla l. n. 69/2015 (legge anticorruzione), con riguardo ai soli fatti tipizzati dalla «fattispecie generale» di cui all'art. 2621 c.c., disciplina due distinte situazioni, accomunate da una medesima cornice attenuata di pena (la reclusione da sei mesi a tre anni), oltre che da una clausola di sussidiarietà che ne ordina l'applicazione «salvo che costituiscano più grave reato» (Manes, 33). Il primo comma concerne i «fatti di lieve entità», tenuto conto della natura e delle dimensioni della società e delle modalità o degli effetti della condotta»; il secondo comma, invece, si applica – a prescindere dalla lieve entità del fatto – «alle società che non superano i limiti indicati dal secondo comma dell'art. 1 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267», ossia alle società non soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo, prevedendo in tale ipotesi altresì il meccanismo di procedibilità a «querela della società, dei soci, dei creditori o degli altri destinatari della comunicazione sociale». La circostanza per cui i fatti di lieve entità sono stati espressamente tipizzati nella l. n. 69/2015 unicamente in relazione al delitto meno grave di cui all'art. 2621 c.c. induce a ritenere che le figure di reato contenute nell'art. 2621-bis c.c. sono in rapporto di specialità unilaterale soltanto rispetto alla ipotesi base di false comunicazioni sociali di cui all'art. 2621 c.c. Diversamente, tra le incriminazioni della lieve entità dei fatti e quella più grave di false comunicazioni sociali delle società quotate, art. 2622 c.c., intercorre un rapporto di specialità reciproca (Gambardella, 2015, 1750). Un primo problema interpretativo attiene alla qualificazione delle disposizioni normative citate, in termini di fattispecie autonome di reato o di circostanze attenuanti (Di Florio, 37). La natura circostanziale è stata autorevolmente sostenuta da coloro che hanno valorizzato la tipizzazione per relationem, oltre che l'omogeneità dell'offesa che caratterizza la fattispecie di cui all'art. 2621-bis rispetto all'art. 2621 c.c. (Seminara, 819, Mezzetti, 16). Tuttavia, la prevalente dottrina ravvisa nelle previsioni di cui all'art. 2621-bis c.c.ipotesi autonome di reato sulla base di significativi indizi formali: l'autonoma collocazione sistematica, la presenza della clausola di sussidiarietà «salvo che costituiscano più grave reato», l'autonoma considerazione dei reati di cui agli artt. 2621 e 2621-bis sia in relazione all'ipotesi di non punibilità di cui all'art. 2621-ter, sia ai fini della corresponsabilizzazione dell'ente ex art. 25-ter, lett. a e a-bis, d.lgs. n. 231/2001 (Manes, 34; Testaguzza, 16; Gambardella, Il «ritorno», 1750; Di Florio, 37). Sicché, lo scopo della scelta legislativa di innestare due nuove autonome figure, sembrerebbe essere quello – già sotteso alla riforma in materia di stupefacenti – di sottrarre le incriminazioni basate sulla lieve entità dei fatti di false comunicazioni sociali al bilanciamento delle circostanze, per evitare che il più mite trattamento sanzionatorio ivi previsto possa essere vanificato con il ritorno alle pene stabilite dalla figura base di false comunicazioni sociali (Gambardella, Il «ritorno», 1750). Siffatta impostazione ha trovato anche il conforto della giurisprudenza di legittimità (Cass. pen. V, n. 33774/2015) che qualifica l'ipotesi attenuata – pur senza particolari approfondimenti – come «autonomo titolo di reato». Vi è, inoltre, chi non ha mancato di rilevare che l'innesto delle ipotesi di lieve entità nel mosaico delle false informazioni sociali sconta il mancato coordinamento con la previsione, di cui all'art. 2640 c.c., dell'attenuante prevista per i reati societari che abbiano cagionato un'offesa di particolare tenuità (Trione, 1256). I «fatti» di falso in bilancio «di lieve entità»L'analisi delle questioni giuridiche coinvolgenti le fattispecie de quibus non può prescindere da un chiarimento preliminare sull'esatta delimitazione dei fatti di lieve entità di cui alla norma in esame, in assenza di una definizione da parte del legislatore del 2015. Sul punto, invero, è insorto un problema interpretativo dovuto al sostanziale difetto di tassatività e di determinatezza dei fatti di lieve entità (Di Florio, 38). In particolare, è stato evidenziato come il legislatore fornisca «parametri in base ai quali deve essere ricercato l'oggetto della valutazione, ma non determina quest'ultimo» (Seminara, 819), così delegando, in evidente contrasto con il principio di legalità ex art. 25 comma 2 Cost., tale compito al giudice. A questo proposito, la dottrina ha osservato come il primo comma dell'art. 2621-bis c.c. introduca una nuova incriminazione, analogamente a quanto avvenuto recentemente in materia di stupefacenti (d.l. n. 146/2013) a seguito della trasformazione della circostanza attenuante del fatto di lieve entità in figura autonoma ex art. 73, comma 5, T.U. stupefacenti (Gambardella, 2014, 9 ss.). La prima figura criminosa è configurabile nelle ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile, sia dal dato oggettivo (natura e dimensione della società), sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (modalità ed effetti della condotta), i quali devono essere congiuntamente accertati in concreto dal giudice (stante l'impiego della congiunzione «e»), pena la mancata integrazione del fatto tipico. Parte della dottrina ha evidenziato il carattere atecnico del riferimento alla «natura» della società, termine avulso dalle categorie di uso comune, a differenza del più tangibile riferimento al paradigma dimensionale, che filtra un indice di tipo quantitativo. In questo caso, i criteri di orientamento utili a fissare la lievità del fatto sono offerti dal capitale sociale, dal fatturato, dal patrimonio, dai ricavi e dall'indebitamento (Trione, 1256). Quanto alla fattispecie incriminatrice di cui al secondo comma dell'art. 2621-bis c.c., l'elemento specializzante è costituito dalla condizione che i fatti di falso in bilancio devono riguardare società che non superano i limiti stabiliti dall'art. 1, comma 2, l.fall. Si tratta della nozione di imprenditore commerciale «non fallibile», delineata attraverso il riferimento a una serie di requisiti dimensionali massimi che non devono essere congiuntamente superati, pena l'assoggettabilità al fallimento e al concordato preventivo. Perplessità sono state manifestate da autorevole dottrina rispetto al regime della perseguibilità a querela, che si risolve in uno stravolgimento surrettizio della fattispecie di cui all'art. 2621, che perde la sua natura di reato di condotta e si trasforma in un reato di danno, i cui soggetti passivi – individuati nella società, nei soci, nei creditori o negli altri destinatari della comunicazione sociale – sono appunto i titolari del diritto di querela (Seminara, 818). Con l'introduzione della fattispecie di lieve entità in commento, il legislatore del 2015 non ha operato alcuna modifica sullo statuto prescrittivo della bancarotta impropria, commessa mediante false comunicazioni sociali, di cui all'art. 223, comma 2, n. 1, l. fall. Non daranno, quindi, luogo al più grave fatto di reato le false comunicazioni sociali di lieve entità che abbiano cagionato o abbiano concorso a cagionare il dissesto della società. Ovviamente, la questione interpretativa non si pone nell'ipotesi di cui al secondo comma che si riferisce alle società non suscettibili di fallimento, ove viene a mancare l'estremo basilare della dichiarazione di fallimento (Trione, 1256). I «fatti» di lieve entità (art. 2621-bis) e la particolare tenuità del fatto (art. 2621-ter).L'art. 2621-bis c.c. pone significativi problemi di coordinamento con la successiva disposizione dell'art. 2621-ter c.c., che espressamente stabilisce l'applicabilità anche all'ipotesi delle false comunicazioni sociali della causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis c.p., atteso che dal raffronto tra l'art. 2621-bis e 2621-ter c.c. non emerge con chiarezza il tratto distintivo tra la categoria dei «fatti di lieve entità» e quella di «particolare tenuità del fatto». Sul piano semantico, si osserva che il sintagma «particolare tenuità» (ulteriormente colorato dal riferimento al concetto di «esiguità», che denota gli estremi del pericolo e del danno) evoca una componente dimensionale minima, che potrebbe essere collocata alla soglia della apprezzabilità; la formula «lieve entità» invece rinvia ad un profilo dimensionale connotato da una rilevanza (relativamente) maggiore, ferma restando la sua intrinseca modesta entità. Il momento della concreta applicazione delle due differenti categorie («particolare tenuità» e «lieve entità») e, quindi, della efficienza della proposta distinzione, è tutt'altro che agevole. Quanto all'art. 2621-bis c.c., si osserva che il secondo comma stabilisce una serie di parametri rispetto ai quali la sussistenza della fattispecie è per così dire «automatica», nel senso che, una volta accertati, deve dirsi integrato il reato di cui all'art, 2621-bis c.c. Ferma restando la confusione determinata dalla citata parziale sovrapposizione di alcuni dei requisiti, si può forse ipotizzare che la «lieve entità» debba essere apprezzata sulla base della dimensione della società in quanto suggestiva della estensione dell'offesa (sul presupposto che la dimensione della società sia in relazione diretta con il numero dei destinatari della comunicazione sociale), mentre il giudizio circa la «particolare tenuità» debba trovare invece fondamento essenzialmente nell'estremo del danno (eventuale) nonché nei parametri concernenti il pericolo e le modalità della condotta (Mucciarelli, 187). BibliografiaDi Florio, Le fattispecie «residuali»: I fatti di lieve entità (art. 2621 bis c.c.) e la non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 2621 ter c.c.), in Diritto penale dell'economia, a cura di Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa, Milano, 2017; Gambardella, Il «ritorno» del delitto di false comunicazioni sociali: tra fatti materiali rilevanti, fatti di lieve entità e fatti di particolare tenuità, in Cass. pen., 2015; Gambardella, La nuova disciplina in materia di stupefacenti, in Cass. pen., suppl. al volume n. 9/2014; Manes, La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, in Dir. pen. contemp. 2016; Mezzetti, La ricomposizione disarticolata del falso in bilancio (Commento agli artt. 9-12 della legge n. 689/2015), in legislazionepenale.eu 2016; Mucciarelli, Le «nuove» false comunicazioni sociali: note in ordine sparso, in Dir. pen. contemp. 2015; Seminara, La riforma dei reati di false comunicazioni sociali, in Dir. pen. proc. 2015; Testaguzza, Un legislatore severo, ma non troppo: la nuova riforma delle false comunicazioni sociali, in archiviopenale.it 2016; Trione, Il nuovo volto delle false comunicazioni sociali, in Studium iuris, 11/2015. |