Decreto legislativo - 25/07/1998 - n. 286 art. 26 bis - Ingresso e soggiorno per investitori 1.

Loredana Nazzicone

Ingresso e soggiorno per investitori  1.

1. L'ingresso e il soggiorno per periodi superiori a tre mesi sono consentiti, al di fuori delle quote di cui all'articolo 3, comma 4, agli stranieri che intendono effettuare, in nome proprio o per conto della persona giuridica che legalmente rappresentano2:

a) un investimento di almeno euro 2.000.000 in titoli emessi dal Governo italiano e che vengano mantenuti per almeno due anni;

b) un investimento di almeno euro 500.000 in strumenti rappresentativi del capitale di una società o di un fondo di venture capital costituiti e operanti in Italia, mantenuto per almeno due anni, ovvero di almeno euro 250.000 nel caso che tale società sia una start-up innovativa iscritta nella sezione speciale del registro delle imprese di cui all'articolo 25, comma 8, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 2213 ;

c) una donazione a carattere filantropico di almeno euro 1.000.000 a sostegno di un progetto di pubblico interesse, nei settori della cultura, istruzione, gestione dell'immigrazione, ricerca scientifica, recupero di beni culturali e paesaggistici e che:

1) dimostrano di essere titolari e beneficiari effettivi di un importo almeno pari a euro 2.000.000, nel caso di cui alla lettera a), o euro 1.000.000, nei casi di cui alla lettera b) e alla presente lettera, importo che deve essere in ciascun caso disponibile e trasferibile in Italia;

2) presentano una dichiarazione scritta in cui si impegnano a utilizzare i fondi di cui al numero 1) per effettuare un investimento o una donazione filantropica che rispettino i criteri di cui alle lettere a) e b) e alla presente lettera, entro tre mesi dalla data di ingresso in Italia;

3) dimostrano di avere risorse sufficienti, in aggiunta rispetto ai fondi di cui al numero 1) e in misura almeno superiore al livello minimo previsto dalla legge per l'esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria, per il proprio mantenimento durante il soggiorno in Italia.4

2. Per l'accertamento dei requisiti previsti dal comma 1, lo straniero richiedente deve presentare mediante procedura da definire con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'interno e con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, i seguenti documenti:

a) copia del documento di viaggio in corso di validità con scadenza superiore di almeno tre mesi a quella del visto richiesto;

b) documentazione comprovante la disponibilità della somma minima prevista al comma 1, lettera c), numero 1), e che tale somma può essere trasferita in Italia;

c) certificazione della provenienza lecita dei fondi di cui al comma 1, lettera c), numero 1);

d) dichiarazione scritta di cui al comma 1, lettera c), numero 2), contenente una descrizione dettagliata delle caratteristiche e dei destinatari dell'investimento o della donazione.

3. L'autorità amministrativa individuata con il decreto di cui al comma 2, all'esito di una valutazione positiva della documentazione ricevuta, trasmette il nulla osta alla rappresentanza diplomatica o consolare competente per territorio che, compiuti gli accertamenti di rito, rilascia il visto di ingresso per investitori con l'espressa indicazione "visto investitori".

3-bis. Qualora la richiesta del nulla osta di cui al comma 3 sia presentata dal legale rappresentante della persona giuridica straniera, l'autorita' amministrativa, individuata con il decreto di cui al comma 2, richiede al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale la preliminare verifica sulla sussistenza della condizione di reciprocita' di cui all'articolo 16 delle disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile5.

3-ter. Il rilascio del nulla osta ai sensi del comma 3-bis reca l'attestazione dell'avvenuta verifica della condizione di reciprocita' di cui all'articolo 16 delle disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile6.

[4. Ferma restando l'applicazione del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, ai fini della preliminare verifica sulla sussistenza delle condizioni per il rilascio del nulla osta di cui al comma 3, l'autorità amministrativa individuata con il decreto di cui al comma 2 del presente articolo trasmette tempestivamente all'Unità di informazione finanziaria le comunicazioni che attestano la provenienza lecita dei fondi unitamente ad ogni altra informazione, documento o atto disponibile sul soggetto che intende avvalersi della procedura di cui al medesimo comma 2, che siano ritenuti utili ai fini della verifica. Con il decreto di cui al comma 2 sono altresì disciplinate le forme e le modalità di attuazione delle predette verifiche preliminari, da concludere entro quindici giorni dalla trasmissione della documentazione di cui al primo periodo, del relativo scambio di informazioni e della partecipazione richiesta agli organi di cui all'articolo 8, comma 2, del medesimo decreto legislativo n. 231 del 2007.]  7

5. Al titolare del visto per investitori è rilasciato, in conformità alle disposizioni del presente testo unico, un permesso di soggiorno biennale recante la dicitura "per investitori", revocabile anche prima della scadenza quando l'autorità amministrativa individuata con il decreto di cui al comma 2 comunica alla questura che lo straniero non ha effettuato l'investimento o la donazione di cui al comma 1 entro tre mesi dalla data di ingresso in Italia o ha dismesso l'investimento prima della scadenza del termine di due anni di cui al comma 1, lettere a) e b).

5-bis. Il soggetto titolare del permesso di soggiorno per investitori esercita gli stessi diritti inerenti al permesso di soggiorno per lavoro autonomo di cui all'articolo 26, e' esonerato dalla verifica della condizione di reciprocita' di cui all'articolo 16 delle disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile e, per la durata complessiva di cinque anni a decorrere dal primo rilascio, e' esonerato dall'obbligo della sottoscrizione dell'accordo di integrazione di cui all'articolo 4-bis e dagli obblighi inerenti alla continuita' del soggiorno in Italia previsti dal regolamento di attuazione 8.

6. Il permesso di soggiorno per investitori è rinnovabile per periodi ulteriori di tre anni, previa valutazione positiva, da parte dell'autorità amministrativa individuata con il decreto di cui al comma 2, della documentazione comprovante che la somma di cui al comma 1 è stata interamente impiegata entro tre mesi dalla data di ingresso in Italia e che risulta ancora investita negli strumenti finanziari di cui al comma 1.

7. Ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno, l'autorità amministrativa individuata con il decreto di cui al comma 2, all'esito di una valutazione positiva della documentazione ricevuta, trasmette il nulla osta alla questura della provincia in cui il richiedente dimora, che provvede al rinnovo del permesso di soggiorno.

8. Ai sensi dell'articolo 29, comma 4, è consentito l'ingresso, al seguito dello straniero detentore del visto per investitori, dei familiari con i quali è consentito il ricongiungimento ai sensi dello stesso articolo 29. Ai familiari è rilasciato un visto per motivi familiari ai sensi dell'articolo 30.

9. Chiunque, nell'ambito della procedura di cui al presente articolo, esibisce o trasmette atti o documenti falsi, in tutto o in parte, ovvero fornisce dati e notizie non rispondenti al vero è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni. In relazione alla certificazione di cui al comma 2, lettera c), del presente articolo, resta ferma l'applicabilità degli articoli 648-bis, 648-ter e 648-ter.1 del codice penale e dell'articolo 12-quinquies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356.

[4] Comma modificato dall'articolo 38, comma 10, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla Legge 17 luglio 2020, n. 77.

Inquadramento

Il permesso di soggiorno «per investitori» è stato introdotto nel nostro ordinamento dall'art. 26-bis del testo unico dell'immigrazione, ad opera dell'art. 1, comma 148, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 sul bilancio dello Stato.

Sottesa all'«investimento [...] in strumenti rappresentativi del capitale di una società costituita e operante in Italia», al pari delle altre due ipotesi ivi contemplate – acquisto di titoli di Stato e donazione filantropica – è la finalità di favorire apporti di denaro nel nostro Paese: lo rivela espressis verbis la lett. c) del comma 1, che menziona il «pubblico interesse», con ratio estensibile a tutte le fattispecie, quale guida all'interpretazione.

Del nuovo permesso, denominato “ Investor Visa for Italy ”, si intende qui esaminare alcune questioni prettamente societarie.

Il rilascio del permesso di soggiorno per  investitori stranieri è previsto anche in altri Stati dell'Unione europea, come es. la Francia, l'Irlanda, l'Austria, il Portogallo. Nel mese di gennaio 2019, la Commissione europea ha pubblicato un rapporto indirizzato al Parlamento europeo, avente ad oggetto i programmi in vigore all'interno degli Stati membri per il riconoscimento della residenza (golden visa) e della cittadinanza (golden passport) ad investitori stranieri, evidenziando come tali schemi sollevassero preoccupazioni su alcuni rischi intrinseci, in particolare per quanto riguarda la sicurezza, il riciclaggio di denaro, la corruzione e l'evasione fiscale.  Il rapporto chiarisce che l'accesso ai programmi per l'ottenimento della residenza o della cittadinanza da parte di investitori stranieri può garantire ai beneficiari anche vantaggi di natura fiscale: i benefici fiscali sono una delle principali attrattive valutate dagli investitori esteri per la scelta della giurisdizione in cui richiedere un permesso di soggiorno o, addirittura, la cittadinanza  (Antonacchio, 4413).

Nel diritto dei mercati, assume particolare rilievo la regolamentazione degli investimenti nel capitale di società, appartenenti a un dato ordinamento, ad opera di investitori soggetti ad ordinamenti diversi.

Vari fattori hanno dato impulso al fenomeno. Tra di essi, la libertà di circolazione di capitali nell'Unione europea, anche provenienti da Paesi terzi, tanto che le normative nazionali sono sottoposte al vaglio di compatibilità; la crisi nel 2008 di alcune tra le più grandi istituzioni finanziarie mondiali, con la conseguente esigenza di reperire finanziamenti internazionali, anche da sistemi economici tradizionalmente più distanti; l'accumulo di ricchezze finanziarie presso sistemi economici produttori di materie prime.

Ciò ha reso necessaria la ricerca di un equilibrio tra incentivi e controlli sugli investimenti esteri: da una parte, si pongono le istanze di apertura del sistema economico europeo agli investimenti extra-UE, al fine sia di consentire ingresso di nuovi capitali, sia di evitare pregiudizi in forza della reciprocità di trattamento delle imprese europee; dall'altra, esistono non sopite esigenze di tutela delle ragioni di ordine pubblico (Guaccero, Pan, Chester, 1359).

Studi economici attestano gli effetti positivi degli investimenti esteri sul processo di crescita delle economie interessate, tanto per i Paesi investitori quanto per i destinatari, con riguardo al tasso di disoccupazione, al progresso tecnologico ed alla distribuzione del reddito, posto che il soggetto che investe coinvolge direttamente ed indirettamente le altre imprese presenti nel sistema economico nel quale opera (Giannetti, 2000).

Si è osservato come l'istituzione della Comunità e dell'Unione europea abbia comportato un trattamento differenziato tra stranieri che sono cittadini europei, appartenendo a uno Stato membro, e stranieri che invece appartengono a Paesi extracomunitari: fra i primi «esiste un legame di tipo lato sensu confederale che, attenuando la reciproca estraneità, non sembra molto diverso – nihil sub soli novi! – da quello intercorrente fra i membri della confederazione latina di antica memoria» (La Torre, 339).

La condizione di reciprocità: l'art. 16 delle preleggi

Disciplinando il trattamento dello straniero alla stregua dell'art. 10 Cost., l'art. 16 delle preleggi lo ammette «a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione di reciprocità e salve le disposizioni contenute in leggi speciali», norma che «vale anche per le persone giuridiche straniere».

Già disposizioni anteriori ne limitavano certe facoltà: si pensi agli artt. 5 l. 16 febbraio 1913, n. 89 e 17 r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, conv. con modif. in l. 22 gennaio 1934, n. 36, sulle professioni di notaio e di avvocato, o alla l. 23 novembre 1939, n. 1966, che precludeva gli stranieri l'assunzione della carica di presidente o consigliere delegato nelle società fiduciarie o di revisione.

Il legislatore del 1942 rese principio generale la restrizione del godimento dei diritti civili, subordinandolo al limite della reciprocità, al fine di promuovere un trattamento più favorevole del cittadino italiano all'estero con riguardo ai «diritti civili», intesi come quelli relativi alla sfera «privata» dell'individuo.

Orbene, l'esplicita previsione permissiva dell'art. 26-bis d.lgs. n. 286 del 1998 deve ritenersi derogare, in quanto norma speciale, alla condizione di reciprocità così genericamente contemplata: invero, se la nuova disposizione mira ad attrarre investimenti stranieri in Italia, secondo una disciplina di favore, sarebbe incongruo esigere la condizione di reciprocità prima di permettere allo straniero l'acquisto della titolarità della partecipazione societaria o, come si vedrà, la nomina alla carica di amministratore.

Al riguardo, qualche ulteriore considerazione si impone.

Segue. L'entrata in vigore della Costituzione. Diritti fondamentali e diritti economici

La Costituzione repubblicana non ha tacitamente abrogato per incompatibilità l'art. 16 preleggi, pur contenendo essa regole di apertura internazionalistica del nostro ordinamento: quali l'adattamento dell'ordinamento giuridico italiano alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute (art. 10, comma 1), la garanzia della condizione giuridica dello straniero (regolata per legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali art. 10, comma 2), il diritto di asilo (art. 10, comma 3), il divieto di estradizione dello straniero per reati politici (art. 10, comma 4), il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (art. 11), il consenso alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che voglia assicurare la pace e la giustizia fra le nazioni (art. 11), la promozione e del favore per le organizzazioni internazionali rivolte allo scopo di assicurare la pace e la sicurezza fra le nazioni (art. 11).

Mentre per i cittadini dell'Unione europea non si applica il principio di reciprocità – incompatibile con il diritto comunitario, il quale vieta ogni discriminazione basata sulla nazionalità e si fonda sulle libertà di circolazione delle persone e dei capitali, di stabilimento e di prestazione dei servizi – con riguardo ai cittadini extra UE sarebbe errato pensare che dal rinnovato quadro normativo derivi il superamento della distinzione.

La giurisprudenza costituzionale riconosce, infatti, che il legislatore fruisce di ampia discrezionalità nello stabilire una condizione giuridica differenziata per gli stranieri, all'esito di un bilanciamento di valori, salvo solo il limite della ragionevolezza (Corte cost. n. 148/2008, in Foro it., 2008, I, 2774; Corte cost., ord. n. 361/2007, in Giur. cost., 2007, 3675; Corte cost. n. 206/2006, in Foro it., 2006, I, 2623; Corte cost. n. 78/2005, in Riv. dir. intern., 2005, 511).

Su tale base si è giudicata l'introduzione dei reati in questa materia, per il principio generale in forza del quale l'individuazione delle condotte punibili e la configurazione del relativo trattamento sanzionatorio rientrano nella discrezionalità del legislatore, il cui esercizio può formare oggetto di sindacato, sul piano della legittimità costituzionale, solo ove si traduca in scelte manifestamente irragionevoli od arbitrarie (Corte cost. n. 47/2010, in Foro it., 2011, I, 51; Corte cost. n. 161/2009, in Giur. cost., 2009, 1813; Corte cost., ord. n. 41/2009, ivi, 2009, 327).

Afferma la Corte costituzionale che allo Stato compete il controllo giuridico dell'immigrazione, a presidio di valori di rango costituzionale e per l'adempimento di obblighi internazionali: «il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice è, in realtà, agevolmente identificabile nell'interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori, secondo un determinato assetto normativo» (Corte cost. n. 250/2010, in Foro it., 2010, I, 2928): infatti, l'«ordinata gestione dei flussi migratori si presenta, in specie, come un bene giuridico “strumentale”, attraverso la cui salvaguardia il legislatore attua una protezione in forma avanzata del complesso di beni pubblici «finali», di sicuro rilievo costituzionale, suscettivi di essere compromessi da fenomeni di immigrazione incontrollata». Si rientra, quindi, nel novero di quelle discipline amministrative afferenti alle «funzioni di regolazione e controllo su determinate attività, finalizzate a salvaguardare in via preventiva i beni, specie sovraindividuali, esposti a pericolo dallo svolgimento indiscriminato delle attività stesse (basti pensare, ad esempio, al diritto penale urbanistico, dell'ambiente, dei mercati finanziari, della sicurezza del lavoro)».

La regolamentazione dell'ingresso e del soggiorno degli stranieri nel territorio dello Stato è «collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici, quali, ad esempio, la sicurezza e la sanità pubblica, l'ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in materia di immigrazione» (Corte cost. n. 148/2008 e n. 206/2006, cit.; Corte cost. n. 5/2004, in Foro it., 2004, I, 1678; Corte cost. n. 353/1997, ivi, 1998, I, 711; Corte cost. n. 62/1994, in Giur. cost., 1994, 350); si tratta di «vincoli e politica che, a loro volta, rappresentano il frutto di valutazioni afferenti alla “sostenibilità” socio-economica del fenomeno» (Corte cost. n. 250/2010, cit.).

Peraltro, è noto che l'applicazione dell'art. 16 preleggi viene dalla giurisprudenza esclusa per i diritti fondamentali della persona: allo straniero è permesso, senza rilievo della condizione di reciprocità, di domandare al giudice italiano il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale derivato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, quali il diritto alla salute e ai rapporti parentali o familiari, ivi compreso l'assicuratore della responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli od il fondo di garanzia per le vittime della strada (Cass. n. 19788/2013; Cass. n. 8212/2013; Cass. n. 1493/2012; Cass. n. 450/2011; Trib. Roma 27 ottobre 2010, in Nuova giur. civ., 2011, I, 404, n. Foffa; Trib. Trieste 28 maggio 2009, ivi, 2009, I, 1144, n. Centonze).

L'applicazione della norma è dunque limitata ai diritti civili quali la proprietà, il possesso, le obbligazioni, i contratti, le società: onde se ne parlava quanto al diritto di acquistare beni immobili siti in Italia, esercitare pretese contrattuali, surrogarsi nei diritti dell'assicurato, promuovere l'azione cambiaria sulla scorta di titolo emesso all'estero, costituire società (Trib. Verona 11 aprile 1995, in Soc., 1995, 953, in tema di partecipazione di soggetti stranieri in società di nazionalità italiana; Trib. Napoli 12 gennaio 1995, ivi, 1995, 953, sulla costituzione di società da parte di stranieri), sempre ove non diversamente previsto dai trattati bilaterali, quale disciplina speciale che deroga a quella generale costituita dalla condizione di reciprocità (Trib. Como 5 maggio 1994, in Vita not., 1994, 620, n. Calò).

Segue. L'ingresso ed il soggiorno per lavoratori stranieri

Già l'art. 26 del d.lgs. n. 286 del 1998 prevede l'ingresso ed il soggiorno per lavoro autonomo dei lavoratori stranieri extra UE, i quali intendessero esercitare nel territorio dello Stato un'attività non occasionale di lavoro autonomo non riservata ai cittadini; peraltro, in tal caso, il visto di ingresso viene rilasciato nei limiti numerici dei flussi programmati.

Più in generale, con riguardo alla sfera economica dell'individuo, l'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998 ha disposto, con norma speciale, che lo straniero titolare dello status di soggiorno regolare goda dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano, salvo diversa previsione delle convenzioni internazionali. In definitiva, dopo il testo unico sull'immigrazione, l'art. 16 delle preleggi potrà trovare applicazione solo in relazione all'attività giuridica negoziale posta in essere dagli stranieri non regolarmente soggiornanti.

In precedenza, l'ordinamento aveva già ammesso partecipazioni societarie dello straniero, in implicita deroga al principio di reciprocità: v. art. 9 d.l. 30 dicembre 1989, n. 416, conv. con modif. in l. 28 febbraio 1990, n. 39, secondo cui «i cittadini extracomuntari e gli apolidi regolarmente autorizzati a soggiornare in Italia hanno la facoltà di costituire società cooperative, ovvero esserne soci, in conformità alle norme di cui agli art. 2511 e seguenti del codice civile e alle disposizioni vigenti in materia, anche se cittadini di Paesi per i quali non sussiste la condizione di reciprocità»; art. 10 del medesimo d.l. n. 416/1989, il quale prevede che lo straniero, munito di permesso di soggiorno, può esercitare le «attività commerciali» anche senza l'esistenza della condizione di reciprocità.

Al riguardo, si è ritenuto (Cons.St. VI, n. 3266/2008, in Foro amm.-Cons. St., 2008, 1859; Cons. St. IV, n. 6927/2004, in Cons. St., 2004, I, 2221; v. pure T.A.R. Abruzzo n. 306/1998, in Trib. amm. reg., 1998, I, 1017, sull'art. 9 cit., il quale reputa la norma inapplicabile alle società in accomandita semplice) che la scelta del legislatore di prescindere dall'esistenza della condizione di reciprocità per l'esercizio di attività commerciali da parte dello straniero non può essere interpretata in modo restrittivo e limitata ai soli casi di regolarizzazione di situazioni clandestine, ma risponde ad evidenti esigenze di solidarietà sociale e di politiche di integrazione, così che detta previsione deve riguardare, salva la sua manifesta irragionevolezza e arbitrarietà, tutti i cittadini extracomunitari regolarmente in Italia che vogliano intraprendere un'attività commerciale.

Per lo straniero regolarmente soggiornante si era già ammessa, prima dell'art. 2, comma 2, d.lgs. n. 286 del 1998, la capacità di acquistare immobili per abitazione o per esercitarvi la propria attività lavorativa (Cass. n. 7210/2013).

In sostanza, l'unica differenza con l'art. 26-bis è che quest'ultima, come si vedrà meglio, finalizza il permesso di soggiorno – al cui rilascio, quindi, essa segue – all'assunzione della partecipazione societaria.

Segue. Gli strumenti per il controllo degli investimenti esteri nelle imprese nazionali

Si è alla ricerca di un equilibrio tra incentivi agli investimenti esteri e controllo dei medesimi, specialmente extra UE, sia per ragioni di ordine pubblico in settori strategici per lo Stato, sia per la conservazione dei processi decisionali in materia economica, in special modo quanto agli investimenti di natura esclusivamente finanziaria.

Ma se, da un lato, una disciplina di favore potrebbe comportare l'ingresso di capitali di dubbia provenienza, dall'altro lato regole restrittive non incentivano gli investimento nelle azioni di società nazionali e l'incremento del loro valore.

Un primo strumento per il controllo degli investimenti esteri è nell'art. 104-ter TUF, che, in tema di offerte pubbliche di acquisto ed utilizzando l'opzione consentita dalla Direttiva 2004/25/CE, esonera la società target dal rispetto delle regole di passività e di neutralizzazione, allorché l'offerta sia «promossa da chi non sia soggetto a tali disposizioni ovvero a disposizioni equivalenti» sulla base del proprio ordinamento di appartenenza (UE o extra UE), demandando alla Consob di stabilire caso per caso e su istanza di parte la ricorrenza di condizioni di equivalenza o no (comma 3); inoltre, gli artt. 104,104-bis e 104-ter TUF, nel porre la passivity rule, la regola di neutralizzazione e la relativa condizione di reciprocità, riguardano le sole «società italiane quotate», ossia le società con sede legale nel territorio italiano e con titoli ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato di uno Stato comunitario (art. 101-bis, comma 1, TUF) (in tema, Benedettelli, Morello, Rosati, passim; Guaccero, Pan, Chester, § 11).

All'esigenza di un controllo sugli investimenti esteri risponde anche la disciplina del c.d. golden power dello Stato, peraltro da mantenere entro i limiti ammessi dalla Corte di giustizia.

La proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 settembre 2017 COM(2017)487 predispone un quadro per il controllo degli investimenti esteri diretti (e non di quelli c.d. di portafoglio: v. oltre) nell'Unione europea, sinora mancante.

La Commissione osserva che l'Unione ha un'economia aperta, ma il pericolo, avverso cui intende avanzare strumenti di tutela, è che detti investimenti possano compromettere la sicurezza e l'ordine pubblico dell'Unione o degli Stati membri.

La proposta lascia ferme le regole dell'Unione sulla valutazione prudenziale delle acquisizioni di partecipazioni qualificate nel settore finanziario (cfr. Direttiva 2007/44/CE, relativa alle regole procedurali e ai criteri per la valutazione prudenziale di acquisizioni e incrementi di partecipazioni nel settore finanziario; Direttiva 2013/36/UE sull'accesso all'attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento; la Direttiva 2009/138/CE in materia di accesso ed esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione — solvibilità II; Direttiva 2014/65/UE relativa ai mercati degli strumenti finanziari).

In tema, cfr. Calamita, Fondi sovrani e diritto internazionale degli investimenti: recenti tendenze, in Dir. pubbl. comparato ed europeo, 2016, 583; Lamandini, Temi e problemi in materia di contendibilità del controllo, fondi sovrani e investimenti diretti stranieri nei settori strategici tra libera circolazione dei capitali e interesse nazionale, in Riv. dir. soc., 2012, 491; Carbone, Golden share e fondi sovrani: lo stato nelle imprese tra libertà comunitarie e diritto statale, in Dir. comm. internaz., 2009, 503; Santonastaso, Investimenti di «fondi sovrani» e tutela degli «interessi nazionali» — Spunti dalla giurisprudenza della corte di giustizia in tema di «interesse generale» e di limiti alla libertà di movimento dei capitali e di stabilimento: a volte «non è tutto oro quel che luccica», in Dir. banc., 2010, I, 27; Locatelli, I fondi sovrani dei paesi emergenti e il patriottismo economico dell'Europa, in Comunità internaz., 2007, 629.

Da noi, il golden power è previsto dalla legge n. 56/2012, di conversione del d.l. n. 21/2012. Tali norme, nell'intento di rendere compatibile con il diritto europeo la disciplina nazionale dei poteri speciali statuali, hanno riscritto la materia, dettando una nuova disciplina. Rispetto all'assetto previgente, che si riferiva specificamente all'esercizio dei poteri speciali da parte dell'azionista pubblico sulle imprese nazionali oggetto di privatizzazione operanti nei settori dei «servizi pubblici», i poteri speciali definiti dalla nuova disciplina non sono più legati alle sole società a partecipazione pubblica, perché riguardano anche le società possedute dai privati (onde l'espressione golden power); né attengono ai soli servizi pubblici, riguardando invece anche altri settori di rilevanza strategica.

Si vedano, al riguardo, Scarchillo, Dalla golden share al golden power: la storia infinita di uno strumento societario, in Contr. e impr. Europa, 2015, 619; Di Palma, Gaspari, L'attuazione del golden power in Italia: dal potere regolamentare alla potestà regolatoria, in Dir. e processo amm., 2014, 109; Bassan, Dalla golden share al golden power: il cambio di paradigma europeo nell'intervento dello stato sull'economia, in Studi integrazione europea, 2014, 57.

L'art. 9 d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, t.u. società a partecipazione pubblica, lascia, a sua volta, fermo quanto disposto dal d.l. n. 21 del 2012.

Segue. Conclusioni su condizione di reciprocità e visto investitori

Sebbene la condizione di reciprocità non sia di per sé in contrasto con il diritto internazionale generale, tuttavia occorre rilevare che lo sviluppo intenso degli scambi internazionali (si pensi alla costituzione della World Trade Organization), con il connesso spazio giuridico comune legato all'affermazione della lex mercatoria, rende necessariamente attenuata la valenza del principio di reciprocità.

Esso è, infatti, recessivo nell'ordinamento interno, comunitario ed internazionale.

È dunque coerente con questa evoluzione, oltre che con la ratio agevolativa che ispira il legislatore, l'esclusione della vigenza della condizione di reciprocità per l'esecuzione degli investimenti in discorso.

E, come il legislatore ordinario ha il potere di dettare misure a tutela degli interessi nazionali in taluni settori strategici, così può prevedere, nel perseguimento dei propri fini, misure particolari di favore.

A differenza del precedente art. 26, in tal caso non occorre neppure il rispetto dei limiti numerici di quota massima degli stranieri da ammettere nel territorio dello Stato per lavoro subordinato ed autonomo, avendo la norma espressamente previsto il rilascio del permesso «al di fuori delle quote di cui all'art. 3, comma 4».

Inoltre, se l'intento è il controllo delle origini e delle finalità degli investimenti esteri, è da notare che la condizione di reciprocità non assicura il perseguimento di questo obiettivo, il quale va demandato invece, nei settori c.d. strategici ai menzionati, a ben più efficaci strumenti, i quali restano pienamente applicabili, in presenza di quelle situazioni eccezionali, ai sensi del d.l. n. 21 del 2012, quale norma speciale e secondo il criterio della prevalenza di questa rispetto al criterio della lex posterior. Essa è dunque vigente, non essendo intervenuta alcuna delle ipotesi di abrogazione, tacita od espressa, prevista dall'art. 15 preleggi.

In particolare, il nuovo art. 26-bis, pur avendo dettato nuove regole anche con riguardo al tema dell'acquisto delle partecipazioni societarie, non ha in alcun modo disciplinato la specifica situazione di fatto di cui alla normativa sul golden power, né ha introdotto disposizioni incompatibili con essa, che non può pertanto ritenersi abrogata per effetto dello ius superveniens.

L'assunzione dell'impegno verso lo Stato.

Alquanto curiosa la disposizione, laddove prevede che sia chiesta agli investitori stranieri una mera intenzione di effettuare l'investimento, nonché dunque la prova documentale di possedere la somma richiesta, disponibile e trasferibile in Italia, con la dichiarazione scritta in cui «si impegnano a utilizzare i fondi» stessi in conformità alle previsioni della norma «entro tre mesi dalla data di ingresso in Italia», ed, inoltre, purché dimostrino di possedere ulteriori risorse sufficienti per il proprio mantenimento durante il soggiorno in Italia.

Va detto che l'eloquio del nuovo articolo è alquanto farraginoso: basti pensare che i requisiti documentali sono stati inseriti incongruamente nella lett. c), all'interno di una delle tre ipotesi di investimento contemplate, quando dal tenore dell'elenco di cui ai numeri 1), 2) e 3) è palese il riferimento a tutte e tre le fattispecie.

In sostanza, viene rilasciato il visto di ingresso con l'espressa indicazione «visto investitori» e, di conseguenza, il permesso di soggiorno biennale recante la dicitura «per investitori» (art. 26-bis, commi 3 e 5), prima che sia realizzato effettivamente l'investimento, per il quale il permesso eccezionale viene concesso, e dunque sulla base di un mero impegno dei medesimi a realizzarlo.

La sanzione, per il caso di inadempimento all'obbligo assunto, è la revoca del permesso: ciò è espressamente previsto al comma 5, che dichiara il medesimo «revocabile anche prima della scadenza quando l'autorità amministrativa [...] comunica alla questura che lo straniero non ha effettuato l'investimento o la donazione [...] entro tre mesi dalla data di ingresso in Italia o ha dismesso l'investimento prima della scadenza del termine di due anni».

Vi è poi il nuovo reato, provvisto della sanzione penale comminata dal comma 9, di chi utilizza documenti falsi o fornisce dati e notizie inveritieri, oltre al richiamo ai reati di riciclaggio e di trasferimento fraudolento di valori.

Non è, inoltre, esclusa la possibilità di azioni risarcitorie, da parte di chi abbia patito un danno a seguito dell'annunciata e non eseguita dazione di denaro.

Una questione generale interpretativa dell'art. 26-bis, cui conviene accennare ora, riguarda il requisito temporale della decorrenza dei «due anni» per calcolare il periodo di mantenimento dell'investimento, decorrenza che non è espressamente precisata.

La lettera della disposizione – «un investimento [...] in strumenti rappresentativi del capitale [...] mantenuto per almeno due anni» – sembra indicare quale dies a quo il momento di ingresso del socio nella società, in coerenza col fondamento della previsione (ciò che, invece, si calcola dal momento dell'ingresso in Italia è il termine di tre mesi per la concreta realizzazione dell'esborso, a titolo di investimento o di donazione).

Tuttavia, la circolare del 18 gennaio 2018, n. 3683, del Ministero dell'interno discorre di permesso «rilasciato con validità biennale, a partire dalla data di ingresso in Italia». In tal senso è pure il c.d. «manuale operativo», cui rinvia per i dettagli informativi il decreto emanato dal Ministero dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell'interno e il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale del 21 luglio 2017, nello stabilire la procedura volta all'accertamento dei requisiti dell'investitore: «Il visto ha una durata di due anni. Entro tale termine, il beneficiario fa ingresso in Italia e presenta la domanda di un permesso di soggiorno per investitori. Questo ha una durata biennale a partire dalla data di ingresso in Italia».

L'investitore.

Non ponendo la norma particolari requisiti soggettivi, l'investitore straniero può essere sia una persona fisica, sia una persona giuridica del paese estero.

Inoltre, l'investitore potrà essere istituzionale, oppure no.

Per «investitori istituzionali» si intendono, com'è noto, nel mercato mobiliare i soggetti che operano una gestione in monte del risparmio raccolto ed investito in strumenti finanziari, quali le società di gestione del risparmio che istituiscono e gestiscono i fondi comuni di investimento mobiliare aperti e chiusi, le Sicav, i fondi pensione, i fondi immobiliari (v. art. 1, comma 1, lett. k, j, n, TUF).

Dato che le direttive comunitarie adottano le nozioni di «organismo di investimento collettivo del risparmio» (Oicr), potrebbe sembrare inutile continuare a parlare di investitore istituzionale: ma ciò si giustifica, perché nella nozione di Oicr non rientrano i fondi pensione, pur essendo questi strumenti essenziali del mercato mobiliare.

Certamente, obiettivo del nuovo permesso è attrarre anche questa tipologia di investitore.

La partecipazione al capitale.

La riforma societaria del 2003 ha ampliato la possibilità per le società di capitali di finanziarsi sul mercato, mediante una pluralità di strumenti che permettono di acquisire risorse finanziarie, sia quale capitale in varia misura coinvolto nel rischio d'impresa (artt. 2346,2349,2447-ter c.c.), sia quale capitale di debito (v. il nuovo art. 2411 c.c., con le possibili e tipizzate variazioni), riconoscendo prassi mercantili da tempo diffuse.

Da un lato, l'autonomia statutaria è oggi assai ampia, posto che l'art. 2348, comma 2, c.c., chiarisce come la società, nei limiti imposti dalla legge, possa liberamente determinare il contenuto delle azioni delle varie categorie; anche nelle s.r.l., l'art. 2468, comma 3, c.c., ammette che l'atto costitutivo preveda l'attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l'amministrazione della società o la distribuzione degli utili.

Dall'altro lato, rispetto alla previsione classica del codice civile che contemplava solo le obbligazioni – titoli di credito con diritto al rimborso alla scadenza dell'importo incorporato e alla percezione periodica dell'interesse previsto – sin dal 1974 furono introdotte le obbligazioni convertibili in azioni, in cui il sottoscrittore ha il ruolo di attuale creditore della società e di potenziale futuro azionista (ciò avvenne in una con l'introduzione delle azioni di risparmio, prive di diritto di voto ma con privilegi patrimoniali). La riforma societaria ha riconosciuto alcuni tipi speciali di obbligazioni maggiormente appetibili per i risparmiatori (art. 2411, commi 1 e 2: obbligazioni c.d. partecipative, subordinate, indicizzate, strutturate, ecc.), estendendo la disciplina delle obbligazioni agli «strumenti finanziari, comunque denominati, che condizionano i tempi e l'entità del rimborso del capitale all'andamento economico della società» (art. 2411, comma 3).

Vi è, dunque, una quantità di strumenti ibridi aventi natura intermedia tra azioni e obbligazioni, lungo una scala graduale, i quali presentano caratteri in parte più simili alle azioni, per la partecipazione al rischio d'impresa e la stessa aleatorietà della remunerazione e della restituzione dell'apporto (si veda il commento in questo Codice agli artt. 2346, comma 6; 2349; 2437-sexies; 2447-bis ss.; 2467; 2483; 2526 c.c.; nella legislazione speciale, v. l'art. 12, comma 7, e 150-ter TUB).

Gli strumenti finanziari continuano a distinguersi dalle azioni, in quanto l'apporto non può in nessun caso essere imputato a capitale ed essi non attribuiscono il diritto di voto generalizzato nell'assemblea dei soci; anche quando si tratti di strumenti finanziari partecipativi, gli apporti restano non imputati a capitale, dovendo contabilizzarsi nel patrimonio netto in un'apposita riserva; si afferma che, a differenza delle azioni e delle obbligazioni, tali strumenti non siano caratterizzati da una causa tipica, costituendo una figura neutra utilizzabile dalle parti, parlandosi da taluno di «quasi capitale» (dequity), in ogni caso fuori dalla causa societatis.

Soltanto i soci sono, per definizione, «vincolati» al primario rispetto delle regole organizzative societarie comuni, assoggettandosi anzitutto alla regola della maggioranza: a differenza di tutti gli altri soggetti che si pongono «a fianco» dell'organizzazione ed instaurano meri contratti di scambio con la società (Denozza, 9).

La distinzione fra i vari strumenti finanziari è rimarcata anche dalla Corte di legittimità (Cass. n. 13854/2016; Cass. n. 28669/2013).

Orbene, la generica nozione di «investimento», contenuta nell'art. 26-bis e tratta dal linguaggio economico-aziendalistico, va riferita all'assunzione della qualità di socio, dato che il legislatore la menziona in una con quella di «strumenti rappresentativi del capitale», e dunque non riguarda gli altri strumenti finanziari: la condizione di applicabilità della disposizione è che l'investitore venga ad acquisire la veste di socio.

Vanno quindi esclusi gli strumenti che non comportino questa qualità nell'immediato, ma solo in potenza, all'esito dell'esercizio di un'opzione, pur nella chiara scelta legislativa (palesata da tutte le disposizioni ricordate) di agevolare le forme di reperimento presso terzi delle risorse da destinare all'impresa. Ciò in quanto, nell'ambito dei diversi strumenti di raccolta della provvista economica per la società, le azioni continuano ad essere tuttora la figura necessaria di partecipazione al contratto sociale, cui allude l'art. 26-bis in commento.

Investimenti diretti e di portafoglio.

Alla partecipazione societaria si riconducono, sul mercato dei capitali globalizzato, sia gli investimenti «diretti» che quelli «indiretti» (o «di portafoglio»), distinzione che ha riguardo alla ragione di fondo dell'investimento.

Infatti, gli investimenti possono essere motivati da qualunque funzione pratica: vale a dire, caratterizzati da diverse cause concrete.

Gli economisti, che hanno studiato le ragioni della internazionalizzazione delle imprese, hanno individuato, tra i fattori determinanti, i vantaggi derivanti dalla dotazione di fattori della produzione, lo sviluppo tecnologico, le capacità imprenditoriali, l'organizzazione del sistema economico, l'efficienza della giustizia civile.

Si usa distinguere tra investimenti diretti e indiretti.

Questi ultimi, detti anche investimenti di portafoglio, di regola permangono per breve tempo, concentrandosi sull'acquisto di obbligazioni, certificati di deposito, buoni del tesoro, o anche azioni privilegiate ed azioni straordinarie; quando, poi, consistano nell'acquisto di azioni ordinarie, ciò assai raramente avviene in quantità tale da comportare una qualsiasi forma di controllo sulla gestione dell'azienda interessata.

Lo scopo è, pertanto, quello di ottenere il massimo rendimento, tenuto conto del rischio associato.

Gli investimenti diretti si presentano, invece, come partecipazione al capitale, essendo volti ad esercitare una significativa influenza sulla gestione dell'impresa dell'altro Paese. Con l'investimento diretto all'estero si costituiscono le imprese multinazionali, in cui le varie fasi del processo produttivo si svolgono in due o più Paesi.

Nel diritto dei mercati internazionali, ciò che spinge gli operatori stranieri ad effettuare investimenti diretti è la volontà di acquisire il controllo di una determinata attività produttiva: il conseguimento del profitto è elemento che rileva insieme ad altri aspetti prettamente aziendali. Il Trattato di Lisbona ha inserito un riferimento ad essi nell'art. 206 TFUE, secondo cui «L'Unione, tramite l'istituzione di un'unione doganale in conformità degli articoli da 28 a 32, contribuisce nell'interesse comune allo sviluppo armonioso del commercio mondiale, alla graduale soppressione delle restrizioni agli scambi internazionali e agli investimenti esteri diretti, e alla riduzione delle barriere doganali e di altro tipo».

Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, gli investimenti diretti si realizzano «sotto forma di partecipazione a un'impresa mediante la detenzione di azioni che conferisce la possibilità di partecipare effettivamente alla sua gestione e al suo controllo», mentre gli investimenti di portafoglio operano «sotto forma di acquisto di titoli sul mercato dei capitali, effettuato soltanto per realizzare un investimento finanziario, senza l'intento di esercitare un'influenza sulla gestione e sul controllo dell'impresa» (Corte giustizia UE 10 novembre 2011, C-212/09, Commissione europea c. Repubblica portoghese, punti 42, 43, 47, in Foro it., 2012, IV, 84; Corte giustizia UE 11 novembre 2010, C-543/08, Commissione/Portogallo, punto 46, in Foro amm.-Cons. St., 2010, 2283; Corte giustizia UE 8 luglio 2010, C-171/08, Commissione/Portogallo, punto 49, in Giornale dir. amm., 2010, 957; Corte giustizia UE 26 marzo 2009, C-326/07, Commissione c. Italia, in Foro it., 2009, IV, 221; Corte giustizia UE 23 ottobre 2007, C-112/05, Commissione/Germania, punto 18, in Giur. comm., 2009, II, 262; Corte di giustizia 28 settembre 2006, C-282/04 e C-283/04, Commissione/Paesi Bassi, punto 19, in Foro it., 2006, IV, 612).

L'art. 26-bis non opera queste distinzioni, ma attribuisce il diritto all'ingresso in Italia per la causa generica di investire risorse consistenti nell'economia italiana.

Il tipo sociale

Quanto al tipo di ente collettivo in cui si opera l'investimento, la norma usa l'espressione generica di «società».

Ne deriva che tutti i tipi sociali possono ricondursi alla previsione, purché rientranti nell'art. 2247 c.c.: può trattarsi di società personale, di società di capitali, azionaria o no, di una società cooperativa o di una società consortile.

S.p.a., s.r.l., società consortile.

Certamente l'investimento può essere destinato a società azionaria, di ogni tipo, quale modello di base del soggetto capitalistico.

Ma la norma non limita l'investimento a quello azionario, dovendosi perciò ammettere che l'acquisto della qualità di socio riguardi le società il cui capitale non è diviso in azioni, come le società personali e le società a responsabilità limitata.

Per le s.r.l., gli eventuali dubbi sono risolti dall'esplicita previsione di cui al comma 1, lett. b), laddove menziona l'investimento – in tal caso accontentandosi di metà importo – in una start-up innovativa (v. il commento apposito nel presente Codice).

L'espressione è diffusa nel mercato internazionale, ad indicare le società di recente costituzione e nella loro prima fase di operatività.

Si tratta del sottotipo, introdotto dagli artt. 25 ss. d.l. n. 179 del 2012, conv. in l. 221/2012, quale «società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione», in possesso dei requisiti di natura dimensionale e degli altri indicati dalla legge, in particolare con oggetto sociale «esclusivo o prevalente» concernente «lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico».

A tale oggetto, l'art. 11-bisl. 29 luglio 2014, n. 106, di conv. del d.l. 31 maggio 2014, n. 83, recante «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo», ha aggiunto la c.d. start-up turismo, volta alla promozione dell'offerta turistica nazionale attraverso l'uso di tecnologie e lo sviluppo di software originali, con la possibilità di optare pure per la forma di società a responsabilità limitata semplificata, ai sensi dell'art. 2463-bis c.c. (v.).

La disciplina, inizialmente dettata nel 2012, è stata novellata dal c.d. decreto lavoro (d.l. n. 76 del 2013), poi dal c.d. decreto investment compact (d.l. n. 3 del 2015), quindi dalla legge di bilancio 2017 (legge 11 dicembre 2016, n. 232), con ulteriori incentivi fiscali.

La commissione europea (Comunicazione della commissione europea [COM (2010) 2020 final] del 3 marzo 2010, A Strategy for Smart, Sustainable and Inclusive growth), nell'ambito delle strategie per la crescita dell'Unione, aveva raccomandato all'Italia di attuare politiche di favore per le start up, quale strumento di lotta alla disoccupazione giovanile e di agevolare l'accesso al credito per le imprese innovative.

Con tecnica impropria, in verità, per un testo normativo – il quale deve disporre e non spiegare – il primo comma dell'art. 25 d.l. n. 179 immediatamente enuncia le finalità della nuova disciplina come volta a «favorire la crescita sostenibile, lo sviluppo tecnologico, la nuova imprenditorialità e l'occupazione, in particolare giovanile» e «contestualmente contribuire allo sviluppo di nuova cultura imprenditoriale, alla creazione di un contesto maggiormente favorevole all'innovazione, così come a promuovere maggiore mobilità sociale e ad attrarre in Italia talenti, imprese innovative e capitali dall'estero».

Questo proclama vale anche a motivare, in particolare nell'ultima proposizione, l'esplicito rinvio al sottotipo sociale contenuto nell'art. 26-bis.

Con riguardo, infine, alle società consortili, contemplate dall'art. 2615-ter c.c. (v.), la norma si limita a rinviare al tipo società commerciale, precisando solo, in punto di disciplina, che l'oggetto sarà quello consortile, ossia la predisposizione di un'organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese, e ad ammettere che l'atto costitutivo stabilisca l'obbligo dei soci di versare contributi in denaro, in tal modo superando, in coerenza con il particolare scopo, la disciplina comune delle società a comune scopo di lucro.

Società di persone.

Il «manuale operativo», cui rinvia il d.m. Sviluppo economico 21 luglio 2017, sopra menzionato, parla di apporti ad una società di capitali italiana (pp. 6, 8, 10: «società di capitali, costituita e avente residenza in Italia ai sensi dell'articolo 73 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni»).

Ora, è vero che, ai fini fiscali, sono soggetti all'imposta sul reddito delle società (Ires) – fra i residenti nello Stato – solo le società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, le società cooperative e di mutua assicurazione, le società europee e le cooperative europee (art. 73, comma 1, lett. a, TUIR), mentre non lo sono le società di persone – società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice – ove residenti, in quanto, in tal caso, i loro redditi sono imputati a ciascun socio proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili (art. 5 TUIR), mentre solo se non residenti sono ricomprese nell'ambito di applicazione del tributo (art. 73, comma 1, lett. d).

Tuttavia, non sembrano sussistere ragioni, né espresse né di sistema, per escludere dal novero dei beneficiari dell'investimento le società di persone.

In tal senso non può ritenersi preclusiva l'espressione della partecipazione al «capitale», posto che anche nelle società personali è corretto parlare di capitale sociale, espressamente menzionato agli artt. 2303 e 2306 c.c., ed avente la funzione di costituire il mezzo per realizzare l'oggetto sociale, valutare la situazione patrimoniale della società, misurare la partecipazione del socio ed offrire una prima «garanzia» ai creditori sociali. Insomma, anche in queste società il capitale sociale è il «moderatore legale e contabile della vita della società» (Buonocore, Capo, 283).

Vero è che queste presentano un minor grado di trasparenza e minori controlli, in particolare quanto ad obblighi di redazione del bilancio, assenza dell'organo sindacale e di revisione contabile; tuttavia, la lettera della norma non ne permette l'esclusione.

Una ragione d'interpretazione logica in senso contrario potrebbe, semmai, rinvenirsi nel fatto che, avendo il legislatore previsto solo due parametri economici dell'investimento – euro 1.000.000 ed euro 500.000 – e riservato il secondo alla start-up innovativa, sembrerebbe incongruo poi pretendere l'investimento più elevato in una società personale.

Peraltro, l'argomento non è decisivo, potendovi essere opposta la considerazione secondo cui il legislatore si è accontentato di subordinare l'attribuzione del permesso di soggiorno all'investimento estero in una somma più bassa solo in vista dell'intento di favorire quel particolare tipo di impresa che viene designata come start-up innovativa, per il resto richiedendo l'esborso più elevato.

La loro natura di microimprese e la responsabilità illimitata che, salvo il caso dell'accomandante, caratterizza lo status di socio renderà peraltro alquanto raro un simile investimento.

Società cooperativa.

Come per il tipo società a responsabilità limitata, che esse rientrino nell'ambito di applicazione della norma si desume dall'espressa menzione delle start-up innovative, le quali, sulla base del d.l. n. 179/2012, possono assumere anche la forma di società cooperativa.

L'art. 2511 c.c. (al cui commento si rimanda) definisce le cooperative come società a capitale variabile con scopo mutualistico.

Le norme che disciplinano tale tipo societario, peraltro, dovranno essere in toto rispettate, in primis quanto ai requisiti soggettivi previsti in capo al socio.

Accanto alle disposizioni codicistiche, la disciplina delle società cooperative è dettata da molte leggi speciali, cui fa rinvio l'art. 2520 c.c., non sempre in armonia con la disciplina generale.

Ostacoli a tale investimento possono individuarsi in diversi aspetti della disciplina di queste società.

a) Un primo ostacolo si rinviene già nei vincoli all'entità della partecipazione sociale.

Al riguardo, occorre ricordare l'art. 2525 c.c., il quale prevede che, ove non diversamente disposto, «nessun socio può avere una quota superiore a centomila euro, né tante azioni il cui valore nominale superi tale somma».

Questo impedirebbe dunque l'applicazione dell'art. 26-bis.

Tuttavia, l'art. 2525, comma 3, c.c. ammette che l'atto costitutivo, nelle sole società cooperative con più di cinquecento soci, elevi il limite previsto nel precedente comma sino al due per cento del capitale sociale; ed il comma 4 esclude detti limiti quando si tratti, fra l'altro, dei soci diversi dalle persone fisiche.Mentre è necessario ricordare i limiti dettati da norme imperative in ordine particolari oggetti sociali (per esempio, l'art. 34, comma 4, TUB pone il limite massimo del valore nominale di centomila euro per ogni socio di banca di credito cooperativo).

In ogni caso, occorre considerare che si parla di valore nominale, onde nulla esclude che, ad esempio, l'investitore estero entri in società conferendo un sovrapprezzo, oppure acquisti una quota dal valore reale di mercato pari all'investimento richiesto dall'art. 26-bis in commento.

b) Ulteriore ostacolo può ravvisarsi nel carattere in astratto non lucrativo della partecipazione sociale, che sembra vanificare il fine ultimo dell'investimento estero; ma, del resto, anche nella start-up innovativa uno dei requisiti è la mancanza di distribuzione di utili.

Inoltre, da un lato esiste il vantaggio mutualistico, mediante il conseguimento di prezzi inferiori a quelli di mercato e dei ristorni, e, dall'altro lato, nelle cooperative a mutualità non prevalente è ormai abbandonato il modello ideale, ma poco attuato, della c.d. mutualità pura, aprendosi la società al mercato con il perseguimento dello scopo di lucro (spesso in concorrenza di fatto con le imprese ordinarie).

È vero che anche le cooperative a mutualità non prevalente sono rette da alcuni vincoli di non lucratività, quali: i limiti massimi al conferimento ex art. 2525 c.c., superabile nei casi indicati; l'obbligo di prevedere nello statuto i limiti massimi alla distribuzione di utili nell'art. 2545-quinquies c.c., che però non si applica alle cooperative con azioni quotate in mercati regolamentati; la necessità che la liquidazione della quota avvenga rispettando i criteri stabiliti nello statuto, per l'art. 2535 c.c.; la devoluzione ai Fondi del valore del patrimonio eccedente il capitale in caso di trasformazione ex art. 2545-decies c.c.

Tuttavia, si pensi alla non applicabilità delle regole dettate dagli artt. 2512,2513 e 2514 c.c. ed alla possibilità di rivalutazione delle quote e delle azioni mediante imputazione di utili al capitale sociale (art. 7 l. n. 59/1992).

Vi sono, inoltre, le figure ad hoc dei soci sovventori e degli azionisti di partecipazione cooperativa, entrambi portatori di interessi lucrativi non mutualistici, già previste dalla legge del 1992 (art. 4) ed ampliate dalla riforma del 2003 (art. 2526 c.c.): l'apporto del socio sovventore non ha limiti nella sua entità e le sue azioni sono nominative e circolano liberamente, senza che sia necessario il consenso del consiglio di amministrazione; quanto alle azioni di partecipazione cooperativa, esse nascono con privilegio nella ripartizione degli utili e nel rimborso del capitale.

I soci sovventori non sono ammessi nelle società operanti nel settore dell'edilizia abitativa (art. 4, comma 1, l. n. 59/1992) e nelle banche di credito cooperativo (art. 21, comma 3, l. n. 59, modificato dall'art. 150 TUB), nelle banche popolari e nelle cooperative di assicurazione (art. 21, comma 8, l. n. 59/1992). Ma proprio le cooperative di credito e le cooperative del settore delle assicurazioni sono caratterizzate da strategie nella raccolta del capitale di rischio incentrate, analogamente alle normali società commerciali e nonostante il gradimento degli amministratori quale condizione per l'ammissione a socio, soprattutto sulla propaganda del rendimento dei propri titoli sotto forma di dividendo e delle potenzialità dell'investimento grazie al capital gain (Salerno, 106).

Più in generale, è noto che, in talune cooperative, la partecipazione al capitale è ispirata da ragioni di natura lucrativa, come nelle banche popolari, nelle cooperative del settore assicurativo ed in quelle operanti nel settore della grande distribuzione, dove il profilo mutualistico e di partecipazione alla vita sociale è in verità del tutto assente.

c)

Con riguardo alla non incentivante regola dei limiti alla circolazione della partecipazione per la necessità dell'autorizzazione degli amministratori, l'art. 2530 c.c. espressamente consente al socio di rivolgersi al tribunale qualora l'autorizzazione degli amministratori sia illegittimamente negata. Vi sono poi le banche popolari e le cooperative di assicurazione che possono essere quotate in borsa, onde vi è in tal caso un mercato ufficiale dei titoli.

Al riguardo, la dottrina parla di vero e proprio gradimento ex lege, che costituisce uno sbarramento molto serio rispetto alla libera circolazione della partecipazione sociale, con conseguenze negative, ad esempio, sulla quotazione dei titoli delle cooperative ai mercati ufficiali, soprattutto per le difficoltà di smobilizzo dell'investimento (Bassi, 637).

d)

I requisiti dei soci delle cooperative sono stabiliti dallo statuto ex art. 2527 c.c., nonché dalle leggi speciali, in relazione al loro oggetto (cfr.: per le cooperative di lavoro, l'art. 23, comma 1, d.lgs. C.p.S. n. 1577/1947; per le cooperative di consumo, il cit. art. 23, comma 4; per le cooperative edilizie, cfr. r.d. n. 1165/1938 e succ. modif.; per le cooperative di credito, art. 34, comma 2, TUB).

Inoltre, è prevista la generale possibilità di procedere alla costituzione di consorzi e gruppi di imprese (artt. 27 ss. d.lgs. n. 1577/1947 e 2545-septies c.c.), anche con ampia possibilità di costituire ed essere soci di società per azioni o a responsabilità limitata (art. 27-quinquies d.lgs. n. 1577/1947, con formula addirittura più ampia di quella dettata per le partecipazioni di società per azioni, la cui liceità è subordinata al rispetto dell'oggetto sociale ex art. 2361 c.c.).

e)

Infine, un disincentivo certamente potrebbe consistere nel peso della partecipazione sociale, dal momento che l'art. 2538, comma 2, c.c. pone la regola di un voto per testa.

Peraltro, anzitutto nelle cooperative con partecipazione di persone giuridiche l'atto costitutivo può attribuire a queste fino a cinque voti, a norma dell'art. 2538 c.c.; inoltre, l'art. 2543, comma 2, c.c. per l'elezione del collegio sindacale permette il voto per quota di valore. E le cooperative non a mutualità prevalente possono deliberare la trasformazione in società ordinarie o in consorzi (art. 2545-decies c.c.), addirittura con maggioranze più basse di quelle normalmente occorrenti per l'assemblea straordinaria.

In conclusione, tali congiunti requisiti, pur non impedendo l'investimento estero in questo tipo sociale, lo rendono verosimilmente meno probabile, in ragione del carattere mutualistico e della indubbia minore vocazione alla remunerazione del capitale.

L'acquisto della qualità di socio.

La qualità di socio può essere conseguita secondo le ordinarie modalità.

Onde l'investitore sarà un socio fondatore, se partecipa alla stipulazione dell'atto costitutivo; oppure può rendersi cessionario della partecipazione sociale venduta dal socio cedente, o sottoscrivere un aumento del capitale sociale, previa rinuncia degli altri soci al diritto di opzione per una quota corrispondente.

La prassi rivela come gli investimenti greenfield, che costituiscono nuove imprese, sono frequenti quando destinatario sia un Paese in via di sviluppo, mentre l'Europa è più spesso destinataria di acquisition di società preesistenti.

Se la società destinataria dell'investimento è ammessa nella struttura unipersonale, lo straniero potrà essere anche l'unico socio fondatore. La costituzione per atto unilaterale è consentita (dall'art. 2328, comma 1) nella società per azioni e (dall'art. 2463, comma 1) nella s.r.l. Non è ammessa l'unipersonalità in quelle di persone, che si sciolgono ove venga meno la pluralità dei soci, se nel termine di sei mesi questa non è ricostituita (art. 2272, comma 1, n. 4); per definizione, non può essere unipersonale, né in fase di costituzione né successivamente, la società cooperativa.

Non sembra opporsi alla possibilità del conferimento ai fini della stessa costituzione della società l'esigenza, esposta dal c.d. manuale operativo (p. 13), sopra menzionato, che dallo straniero richiedente sia «indicato il codice fiscale della società», che la documentazione prodotta sia «corredata da una dichiarazione di consenso da parte del rappresentante legale della società destinataria o di un suo delegato» e che al Ministero dello sviluppo economico sia demandato di verificare «l'effettivo status di società di capitali costituita e avente residenza in Italia, nonché lo stato attivo della società» nonché «lo status di start-up innovativa dell'impresa target e l'effettiva rispondenza della stessa ai requisiti stabiliti».

Infatti, la norma – né nella lettera, né nella ratio – legittima la restrizione dell'apporto al conferimento in società già costituita, onde in quei casi il controllo sarà rivolto ai caratteri della società in fieri.

Del pari, la produzione dei documenti richiesti dal detto «manuale» – concernenti la prova l'effettuazione dell'investimento, fra i quali la «lettera di conferma di ricezione dell'investimento da parte del legale rappresentante della società destinataria» e la «copia del libro soci» (p. 20) – sarà adattata alla situazione di una società in fase di costituzione.

La nomina ad amministratore della società

Una volta acquisito il permesso di soggiorno in virtù della partecipazione al capitale, il socio potrà rivestire, senza necessità di ulteriori autorizzazioni, la carica gestoria, monocratica oppure collegiale.

Il potere di gestire la società, infatti, corrisponde di regola ad un interesse primario dell'investitore, ai fini del diretto impiego e controllo dell'investimento (Faccio, 711): onde la ritenuta prevalenza della norma di permesso in commento rispetto al generale art. 16 preleggi dovrebbe ritenersi estesa al potere di rivestire la carica gestoria.

La revoca ed il rinnovo del permesso.

Si noti che, per legge, il beneficio del permesso è concesso purché l'investimento sia mantenuto per almeno due anni.

Ciò vuol dire che il socio straniero si obbliga a non cedere la partecipazione sociale prima che sia trascorso questo periodo.

Ove invece accada, prevede il comma 5 che il permesso sia revocabile anche anticipatamente, quando l'autorità amministrativa comunica alla questura che lo straniero «ha dismesso l'investimento prima della scadenza del termine di due anni».

Ma una serie di altre vicende possono ipotizzarsi, in ordine alle quali occorre chiedersi se possa scattare la procedura di revoca.

Così, la società potrebbe maturare perdite e l'assemblea deliberare la riduzione del capitale sociale ai sensi degli artt. 2446-2447 o 2482-bis e ter c.c., eventualmente abbattendone definitivamente la misura, oppure ricostituendolo all'ammontare precedente: in ogni caso, non sembra che il socio straniero sia tenuto a sottoscrivere il capitale in aumento, dovendo interpretarsi l'obbligo di mantenimento dell'investimento per un biennio, di cui all'art. 26-bis, come sussistente quanto alla dismissione volontaria, in cui non rientra la perdita di capitale; ma, in effetti, la soluzione è dubbia.

Per lo stesso, ma speculare motivo, dovrebbe invece ritenersi di sicuro inadempiuto l'obbligo di mantenimento biennale dell'investimento in presenza di una riduzione del capitale reale exartt. 2445 o 2482 c.c., la quale comporti il rimborso parziale dell'importo del capitale conferito al socio straniero oppure la sua liberazione dall'obbligo di eseguire i versamenti ancora dovuti.

È vero, infatti, che, in tal caso, la deliberazione è assunta dalla maggioranza assembleare, che dunque potrebbe in ipotesi prescindere dalla volontà del socio straniero; e, tuttavia, l'effetto di ridurre di fatto l'investimento, mediante un rientro del capitale nel patrimonio del conferente, non pare permettere una diversa conclusione, venendo meno in tal caso proprio il presupposto originario dell'entità dell'importo investito.

Parimenti, ove il socio receda dalla società, in una delle ipotesi che legittimano il recesso per legge o per statuto, l'avvenuto rimborso entro i due anni dall'investimento dovrebbe integrare il presupposto per la revoca del permesso.

D'altro canto, prevedono i commi 6 e 7 che il permesso di soggiorno per investitori sia rinnovabile per periodi ulteriori di tre anni ciascuno, previa presentazione della documentazione comprovante che la somma, impiegata a suo tempo entro i tre mesi dall'ingresso in Italia, risulti ancora investita «negli strumenti finanziari di cui al comma 1» dell'art. 26-bis.

Quid dunque se, disinvestito l'importo dall'originaria società (mediante vendita della partecipazione, recesso, riduzione per esuberanza, ecc.), lo straniero abbia entro un breve lasso di tempo provveduto a reinvestirla in un altro modo, tra quelli indicati al primo comma?

Il c.d. manuale operativo afferma che il visto per investitori può essere rilasciato per una singola tipologia di «investimento» e che non è ammesso effettuarne più con varie finalità, sia pure ove pari, nel totale, all'ammontare nominale richiesto (p. 7); mentre il beneficiario è tenuto a mantenere il proprio investimento originario senza sostituirlo con un altro, pena la revoca e l'impossibilità di rinnovo, dovendo allora il nuovo investimento ripercorrere l'intero iter (p. 23).

Tale interpretazione dell'art. 26-bis è condivisibile.

Le ragioni che ostano al mantenimento o al rinnovo del permesso devono individuarsi non nelle finalità incentivanti della norma, le quali non dovrebbero escludere la successione di una destinazione all'altra o presupporre la necessaria fidelizzazione ad un'unica intrapresa societaria, ma nell'obiettivo connesso, e non eludibile, di garantire in ogni caso il controllo pubblicistico sulla destinazione dell'importo.

Bibliografia

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