Codice di Procedura Civile art. 670 - Sequestro giudiziario.Sequestro giudiziario. [I]. Il giudice può autorizzare il sequestro giudiziario [818]: 1) di beni mobili o immobili [812 c.c.], aziende [2555 c.c.] o altre universalità di beni [816 c.c.], quando ne è controversa la proprietà [832 c.c.] o il possesso [1140 1 c.c.], ed è opportuno provvedere alla loro custodia o alla loro gestione temporanea [676 1]; 2) di libri, registri, documenti, modelli, campioni e di ogni altra cosa da cui si pretende desumere elementi di prova, quando è controverso il diritto alla esibizione [210 ss.] o alla comunicazione [2711 c.c.], ed è opportuno provvedere alla loro custodia temporanea. InquadramentoAi sensi dell'art. 670, n. 1, c.p.c., il giudice può autorizzare il sequestro giudiziario di beni mobili o immobili, aziende o altre universalità di beni, quando ne è controversa la proprietà o il possesso, ed è opportuno provvedere alla loro custodia o alla loro gestione temporanea. Il sequestro giudiziario di beni può essere concesso quando vi sia una controversia sulla proprietà o il possesso di beni e sia opportuno provvedere alla loro custodia o gestione temporanea. In ordine al fumus boni juris, si richiede l'esistenza di una controversia, intesa come esperimento attuale o potenziale (e quindi anche mero contrasto di interessi, senza necessità della pendenza di una lite) di un'azione tipicamente prevista a difesa della proprietà o del possesso (c.d. jus in re) nonché di ogni altra azione, anche di natura personale, da cui possa scaturire una pronuncia di condanna alla restituzione o al rilascio della cosa da altri detenuta (c.d. jus ad rem) o che comunque comporti una statuizione sulla proprietà o sul possesso (tra tutte, v. Cass. n. 9645/1994; Cass. n. 10333/1993). Pertanto, si ritiene ammissibile la concessione di un sequestro giudiziario di beni anche in presenza di controversie nelle quali la proprietà ed il possesso saranno attribuiti in conseguenza della decisione su azioni contrattuali, come la risoluzione, la nullità, l'annullamento, la simulazione, la rescissione e l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere un contratto traslativo (cfr. Trib. Nola 4 aprile 2012). Inoltre, in ragione della intrinseca strumentalità della misura cautelare rispetto all'emanando provvedimento definitivo, è necessario, ancorché sotto un profilo di mera verosimiglianza, un accertamento delibativo sulla pretesa cautelanda (Cass. n. 3831/1982; Cass. n. 1037/1976; Trib. Taranto, 20 ottobre 1995), fondato sulla ritenuta probabilità della esistenza del diritto sostanziale fatto valere dal richiedente, saggiata sulla scorta dell'intero contesto documentale offerto a conforto della richiesta di cautela e di ogni altro elemento acquisito mediante la sommaria istruttoria propria del procedimento in questione. Il sequestro giudiziario di partecipazioni sociali.Ai sensi degli artt. 2352 e 2471-bis, sia le azioni che le quote di s.r.l. possono costituire oggetto di sequestro giudiziario (sul punto, Gismondi, 23 ss.). Si rinvia al commento di detti articoli per l'esame della disciplina dell'istituto. Le quote sociali, anche nelle società di persone, costituiscono beni nel senso dell'art. 810 c.c., in quanto suscettibili di formare oggetto di diritti e vanno ascritte residualmente alla categoria dei beni mobili a norma del successivo art. 812 comma ultimo, c.c. atteso che alla quota fanno capo (insieme con i relativi doveri) tutti i diritti nei quali si compendia lo status di socio, non riducibili a mere posizioni creditorie. Ne deriva che, allorquando ne sia controversa la titolarità, anche le quote di una società di persone possono essere assoggettate a sequestro giudiziario, senza che a ciò sia d'ostacolo la riferibilità, nel suddetto tipo societario, della vita della società ai soci nel loro insieme, poiché proprio la possibilità per il singolo socio di influenzare e condizionare con l'esercizio dei poteri riconosciutigli dalla legge, l'andamento della compagine sociale può rendere opportuno che in attesa della definizione della controversia sulla titolarità della quota tali poteri siano esercitati da un gestore imparziale e disinteressato, conformemente alla previsione dell'art. 670, n. 1 c.p.c., il quale, nella considerazione che oggetto del sequestro possa essere anche un'entità dinamica di cui assicurare una corretta e imparziale amministrazione, prevede accanto allo strumento della custodia anche quello della gestione temporanea (Cass. n. 934/1997). In questa sede, si evidenzia che, ai fini della concessione del sequestro, deve sussistere una controversia in ordine alla proprietà della partecipazione sociale. Si evidenzia, infatti, che è inammissibile il sequestro giudiziario delle quote sociali, quali misure percentuali della ripartizione del capitale societario, nell'ipotesi in cui non vi sia contestazione in ordine alla loro entità ed appartenenza bensì in ordine alla proprietà dei beni (nella specie macchinari) utilizzati per lo svolgimento dell'attività sociale (Trib. Messina, 19 luglio 2006, in Giur. mer., 2007, 1340). L'istanza cautelare di sequestro giudiziario di quote di partecipazione societaria formulata in relazione ad una domanda di collazione per imputazione delle quote medesime non può trovare accoglimento non essendo configurabile alcuna pretesa restitutoria in capo all'istante (Trib. Padova 7 gennaio 2006). Si è inoltre ritenuto che non può essere disposto il sequestro giudiziario di un'azienda, allorché quest'ultima fa capo ad una società di fatto, e il sequestro è chiesto da un preteso ex socio, in quanto la soggettività giuridica degli enti di fatto esclude il diritto di comproprietà del socio sui beni facenti parte del patrimonio della società (Trib. Napoli 27 febbraio 2004, in Giur. napoletana, 2004, 206). Il sequestro giudiziario dei beni sociali su istanza del socio di società di persone, a tutela della propria quota di partecipazione, è inammissibile, in quanto, non essendo i beni sociali in comproprietà, sia pure speciale, dei soci, bensì in proprietà della società, non potrà mai configurarsi una controversia tra la medesima società ed un socio in ordine alla loro titolarità (Trib. Santa Maria Capua Vetere, 18 ottobre 2002, in Giur. mer., 2003, 1440). Sequestro giudiziario e prelazione.La clausola di prelazione impone al socio che intende cedere la propria partecipazione di offrirla preventivamente, a parità di condizioni, agli altri soci con preferenza rispetto ai terzi. La violazione della clausola statutaria contenente un patto di prelazione comporta l'inopponibilità nei confronti della società e dei soci titolari del diritto di prelazione – stante «l'efficacia reale» del patto inserito nello statuto sociale – della cessione della partecipazione societaria (che resta, però, valida tra le parti stipulanti), nonché l'obbligo di risarcire il danno eventualmente prodotto, alla stregua delle norme generali sull'inadempimento delle obbligazioni. Per contro, siffatta violazione non comporta anche il diritto potestativo di riscattare la partecipazione nei confronti dell'acquirente, atteso che il c.d. retratto non integra un rimedio generale in caso di violazioni di obbligazioni contrattuali, ma solo una forma di tutela specificatamente apprestata dalla legge e conformativa dei diritti di prelazione, previsti per legge, spettanti ai relativi titolari (Cass. n. 24559/2015; Cass. n. 12956/2016; Trib. Milano, 9 marzo 2015, in Soc., 2015, 1006 secondo il quale il patto di prelazione inserito nello statuto di una società di capitali ed avente ad oggetto l'acquisto delle azioni sociali, essendo preordinato a garantire un particolare assetto proprietario, ha efficacia reale e in caso di violazione, è opponibile anche al terzo acquirente. Esso comporta l'opponibilità erga omnes della clausola ma nel solo senso dell'inefficacia rispetto alla società dell'atto di trasferimento eseguito in violazione della clausola medesima, potendo la società rifiutare di riconoscere quale socio l'acquirente della partecipazione il cui acquisto si sia verificato in violazione della clausola di prelazione). In ragione del fatto che il socio pretermesso non ha la possibilità di «riscattare» la quota oggetto del trasferimento avvenuto in violazione della clausola, deve ritenersi che non possa sussistere tra le parti del negozio di cessione della quota ed il socio pretermesso una controversia in ordine alla proprietà o al possesso della quota medesima. Si afferma, dunque, in giurisprudenza che in caso di violazione del patto di prelazione, il socio pretermesso può chiedere il risarcimento del pregiudizio subito, ma non può ottenere un provvedimento di sequestro giudiziario delle azioni, non essendo configurabile un suo diritto di riscatto della partecipazione oggetto della cessione (Trib. Milano, 9 marzo 2015, in Soc., 2015, 1006). Conseguentemente, proprio per la struttura e la natura della clausola di prelazione statutaria, il socio pretermesso non può ottenere, nel merito, una pronunzia di risoluzione o di nullità dell'atto di compravendita della partecipazione sociale (né, come visto, ottenere il riscatto di quest'ultima), ma soltanto una pronunzia di accertamento della inefficacia dell'atto medesimo nei confronti della società. Quest'ultima, infatti, è tenuta a non considerare socio il soggetto che abbia acquistato la quota sociale sulla base di un atto posto in essere in violazione della clausola di prelazione. Ciò posto, il socio pretermesso può ottenere, attraverso lo strumento di cui all'art. 700 c.p.c., che il tribunale ordini, ai sensi dell'art. 700 c.p.c., all'organo amministrativo della società di non ammettere l'acquirente della quota all'esercizio dei diritti sociali. BibliografiaGismondi, in Il sequestro giudiziario di quote di s.r.l., a cura di Nazzicone, Codice delle misure cautelari societarie, Torino, 2012. |