Codice di Procedura Civile art. 700 - Condizioni per la concessione.

Guido Romano

Condizioni per la concessione.

[I]. Fuori dei casi regolati nelle precedenti sezioni di questo capo, chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con ricorso [125] al giudice i provvedimenti d'urgenza, che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito.

Inquadramento

L'art. 700 c.p.c. costituisce espressione di un potere generale di cautela caratterizzato dalla sua atipicità, caratteristica di atipicità che riguarda tanto i diritti tutelabili quanto il contenuto del provvedimento che può essere sia conservativo che anticipatorio rispetto alla decisione nel merito tanto, infine, il periculum in mora da neutralizzare.

L'assoluta atipicità giustifica anche la formulazione della norma che demanda al giudice di adottare provvedimenti idonei ad assicurare gli effetti della decisione sul merito.

L'art. in commento individua i presupposti dei provvedimenti cautelari atipici nella residualità della tutela offerta, nella strumentalità rispetto alla cognizione piena, nell'imminenza e nella irreparabilità del pregiudizio da scongiurare.

L'accoglimento di una domanda ex art. 700 c.p.c. presuppone la concorrenza dei due requisiti del fumus boni juris, inteso come accertamento delibativo del diritto cautelando, fondato sulla ritenuta probabilità della sua esistenza, e del periculum in mora, costituito dal riscontro di una situazione pregiudizievole che si profili con i caratteri dell'immediatezza e prossimità e che non consenta, se non tempestivamente arrestata, una completa reintegrazione del diritto azionato, ovvero cui non sia possibile rimediare nemmeno con il comune denominatore rappresentato dal risarcimento del danno.

La revoca dell'amministratore nelle società di persone.

Ai sensi dell'art. 2259 — dettato in tema di società semplice, ma applicabile anche alla società in nome collettivo ed alla società in accomandita semplice — la revoca dell'amministratore nominato per giusta causa può in ogni caso essere chiesta giudizialmente da ciascun socio.

Rinviando al commento dell'art. 2259 per gli approfondimenti in ordine alla revoca dell'amministratore in generale ed al concetto di giusta causa, appare sufficiente ricordare, in questa sede, che il concetto di giusta causa rilevante, ai sensi dell'art. 2259, per la revoca di un amministratore di società di persone ricomprende, da un lato, tutti quei comportamenti dell'amministratore che compromettono l'esistenza stessa dell'impresa collettiva ed il suo funzionamento; dall'altro, le condotte che, violando obblighi di legge o doveri di correttezza e diligenza propri dell'amministratore, non garantiscono una corretta amministrazione della società e la tutela degli interessi privati dei soci della stessa e dei terzi.

Secondo la giurisprudenza, integrano gli estremi della giusta causa: la redazione del rendiconto ex art. 2261 senza il rispetto dei criteri di verità, precisione e correttezza (Cass., n. 6524/1994); l'esercizio, da parte del socio amministratore, di una attività in concorrenza con quella della società (Pret. Foligno, 22 dicembre 1987, in Arch. civ., 1988, 960); il tentativo di provocare lo scioglimento della società mediante comportamenti strumentali diretti a pregiudicare la prosecuzione dell'attività sociale (Pret. Monza, 15 giugno 1983, in Giur. comm., 1984, II, 441); l'utilizzo di denaro della società per finalità estranee all'attività sociale (Trib. Milano, 22 marzo 1990, in Soc., 1990, 915); la delega a terzi del potere di gestione ( Trib. Napoli, 7 marzo 2006, in Corr. mer. 2007, 561; Trib. Milano, 3 febbraio 1983, in Soc., 1983, 1146); lo stabilire presso la propria residenza il recapito telefonico di altra società concorrente (Trib. Bologna, 5 febbraio 1994, in Giur. comm., 1995, II, 766); l'avere impedito l'accesso del socio accomandante alla documentazione essenziale per l'esercizio dei diritti di controllo sulla gestione societaria (Trib. Biella, 8 gennaio 2001, in Giur. it., 2001, 978); il compimento di un atto gestorio senza il consenso dell'altro amministratore nel caso in cui sia prevista l'amministrazione congiuntiva ovvero, comunque, l'autonoma gestione da parte di un amministratore del patrimonio sociale, realizzatasi attraverso la sostanziale estromissione dell'altro coamministratore, in presenza della previsione nel contratto di società dell'amministrazione congiuntiva (App. Salerno, 29 agosto 2013, in Giur. comm., 2015, II, 540; Trib. Ancona, 11 novembre 2009, in Soc. 2000, 736); l'appropriazione degli utili (Cass. n. 710/1980).

Per quanto attiene, più propriamente, alla tutela cautelare la giurisprudenza ritiene ammissibile che la domanda cautelare, ai sensi dell'art. 700 c.p.c., per conseguire giudizialmente la revoca per giusta causa dell'amministratore di società di persone, malgrado si tratti di anticipare gli effetti dell'azione prevista all'art. 2259 comma 3; ciò se ed in quanto sussistano la reiterazione di comportamenti illegittimi che ostacolino il normale funzionamento della società e l'estrema difficoltà nel ripristino dello status quo ante (in questi esatti termini, Trib. Roma 8 febbraio 2013, in ilcaso.it, n. 13285, Trib. Napoli, 26 febbraio 2003 in Dir. e giur., 2004, 128, avente ad oggetto una fattispecie nella quale è stato considerato quale comportamento illegittimo la decisione assunta da un coamministratore di sospendere ogni attività sociale; Trib. Napoli, 22 ottobre 2002; Trib.  Cassino, 28 ottobre 2000; Trib.Torre Annunziata, 21 ottobre 2003 secondo la quale è ammissibile la revoca di un amministratore di società di persone in sede d'urgenza ex art. 700 c.p.c., ricorrendone il limite interno, la residualità della misura, essendo inapplicabile il procedimento cautelare di cui all'art. 2409, dettato per le sole società di capitali, ed il limite esterno, l'astratta non inconciliabilità fra assicurazione in via d'urgenza ed azione costitutiva).

Anche la dottrina sembra orientata nel senso dell'ammissibilità del ricorso alla tutela d'urgenza (Cagnasso, 156, Parrella, 191 nt. 8; D'Aiuto, 548 ss.).

Si esclude, però, che il tribunale possa procedere alla nomina di un amministratore giudiziario in sostituzione di quello revocato (Trib. Milano, 14 febbraio 2004, in Giur. comm., 2005, II, 662; Trib. Lecce, 29 novembre 1989, in Soc. 1990, 199, Trib. Napoli, 8 novembre 2000, in Foro nap., 2000, 269, contra Trib. Padova, 13 luglio 2003, in Giur. comm., 2005, II, 662).

L'esclusione del socio nelle società di persone.

L'art. 2286 prevede diverse ipotesi di esclusione che si ricollegano o ad inadempimento del socio alle obbligazioni nascenti dal contratto sociale o a situazioni particolari che attengono alla persona del socio (interdizione, inabilitazione, condanna ad una pena che comporta l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici) ovvero ancora all'impossibilità del socio di eseguire il conferimento promesso.

Rinviando al commento dell'art. 2259 per gli approfondimenti, è sufficiente in questa sede evidenziare che l'ipotesi dell'esclusione per gravi inadempienze, che è parallela all'ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento, rappresenta una clausola generale nella quale rientra ogni ipotesi in cui il comportamento grave e ingiustificato del socio contrasta con lo scopo sociale, consistente nell'esercizio in comune dell'attività economica (Di Sabato, 139).

La gravità delle inadempienze del socio che, ai sensi dell'art. 2286, comma 1, c.c., può giustificare l'esclusione dello stesso dalla società, ricorre non soltanto quando le dette inadempienze siano tali da impedire del tutto il raggiungimento dello scopo sociale, ma anche quando, secondo l'incensurabile apprezzamento del giudice del merito, abbiano inciso negativamente sulla situazione della società, rendendone meno agevole il perseguimento dei fini (Cass. n. 6200/1991; Cass. n. 2344/1982, Trib. Savona, 23 ottobre 2013). Ai fini dell'esclusione del socio da parte della maggioranza, non è necessario che le gravi inadempienze del socio da escludere concretino la violazione di un diritto preesistente della società o abbiano già arrecato un danno alla stessa, ma è sufficiente che le inadempienze costituiscano un grave ostacolo al raggiungimento dei fini sociali e possono incidere negativamente sull'economia dell'impresa (Cass. n. 2307/1953). Le inadempienze, per essere gravi, debbono incidere sui fini sociali e, in particolare, sui fini dell'impresa non essendo rilevanti i comportamenti che incidono solo nei confronti del socio o dei soci in quanto tali (Trib. Napoli, 9 febbraio 1967, in Foro it., 1967, I, 1949; Trib. Torino, 15 dicembre 1986, in Soc., 1987, 597). La gravità delle inadempienze del socio ricorre non soltanto quando le dette inadempienze siano tali da impedire del tutto il raggiungimento dello scopo sociale, ma anche quando esse, secondo l'incensurabile apprezzamento del giudice del merito, abbiano inciso negativamente sulla situazione economica dell'ente, rendendone meno agevole il perseguimento del fine (Trib. Torino, 7 marzo 2008, in Foro pad., 2008, I, 201).

Sono state ritenute cause che giustificano l'esclusione del socio: l'assunzione di obbligazioni in nome e per conto della società, senza averne i poteri (Cass. n. 2380/1960); l'emissione di un vaglia cambiario in nome della società al di fuori di qualsiasi operazioni sociale e nell'interesse proprio (App. Bologna, 8 luglio 1966, in Giur.it., 1968, I, 105); la mancata esecuzione del conferimento determinato nel contratto sociale (Cass. n. 2099/1970); il conferimento di un mandato generale senza obbligo di rendiconto (che realizza sostanzialmente una cessione di quota) ad una persona che svolga commerciale identica, e quindi, potenzialmente in concorrenza con quella della società (Trib. Larino, 19 luglio 1983, in Giur. it., 1984, I, 239); il comportamento del socio il quale nei rapporti con i terzi (nella specie con l'invio alle banche di una lettera) disconosca in toto l'operato dei soci amministratori, incidendo così negativamente sulle attività della società (Cass. n. 4018/1992).

Non ricorre l'ipotesi di grave inadempimento delle obbligazioni nascenti dalla legge o dal contratto sociale di cui all'art. 2286 quando talune scelte dell'amministratore, se mai censurabili sotto il profilo della diligenza del mandatario, non si traducono nella violazione del dovere, da parte del socio, di collaborare con la società per realizzare le finalità che le sono proprie (Trib. Foggia 14 ottobre 2005). Ancora, non ricorre la grave inadempienza ad obblighi di legge o di contratto sociale allorquando il socio rifiuti di prestare il consenso alla modifica dell'atto costitutivo, potendo semmai tale comportamento cagionare lo scioglimento della società ex art. 2272 c.c., per contrasto inconciliabile tra i soci (App. Milano, 15 novembre 1996, in Soc. 1997, 552). Parimenti non integra la fattispecie in esame l'avere agito per ottenere la liquidazione della società al fine di rilevare l'azienda sociale (App. Torino, 16 marzo 1979, in Giur. comm., 1980, II, 470).

Anche in questo caso, è possibile anticipare, attraverso l'adozione di un provvedimento cautelare ex art. 700 c.p.c., gli effetti di una pronunzia di esclusione del socio.

Si afferma, in giurisprudenza, che deve ritenersi ammissibile il ricorso allo strumento cautelare di cui all'art. 700 c.p.c.: infatti, il provvedimento ex art. 700 c.p.c. ha ormai assunto una funzione non solo conservativa, ma anche anticipatoria degli effetti del provvedimento di merito, dovendo garantire, attraverso l'adozione di provvedimenti non solo negativi, che assicurino la conservazione del diritto, ma anche di ordini aventi contenuto positivo, che il decorso del tempo necessario per ottenere la sentenza di merito non crei danni irreparabili ai diritti fatti valere, restando quindi inutile l'adozione del provvedimento conclusivo del giudizio. In altre parole, le misure adottabili ex art. 700, in via anticipatoria o conservativa, debbono essere funzionali alla tutela della situazione giuridica sostanziale durante il tempo occorrente per far valere questa in via ordinaria, e trovano il loro limite nella impossibilità, per la parte, di ottenere in via d'urgenza più di quanto può ottenersi in via ordinaria (Trib. Roma 5 novembre 2003). È, invece, adottabile un provvedimento ex art. 700 che abbia un effetto del tutto coincidente con la sentenza di merito da pronunciarsi all'esito della preannunciata causa di merito, essendo proprio questo lo scopo della procedura in discorso (Trib. Ascoli Piceno 24 marzo 2006) e ciò anche in ipotesi di decisioni di merito aventi carattere costitutivo di una determinata situazione giuridica (come avviene nel caso di specie ove è chiesto un provvedimento di esclusione del socio). In questa prospettiva, è stato correttamente chiarito che è ammissibile l'esclusione del socio di una società di persone per mezzo di ordinanza emessa ex art. 700 c.p.c. qualora il giudice della cautela ravvisi prima facie fondata la futura (ma eventuale) domanda di merito proposta al fine di ottenere l'esclusione del socio ai sensi dell'art. 2287 comma 3 c.c. (cfr., anche prima della riforma dei procedimenti cautelari, Trib. Cassino, 3 dicembre 1996; Trib. Trani, 25 marzo 2004).

Si afferma, poi, che, in tema di società in accomandita semplice, il socio accomandante può chiedere l'esclusione in via cautelare dell'accomandatario dalla società invocando l'inadempimento di quest'ultimo agli obblighi fiscali, circostanza dalla quale si desume sia il requisito del fumus trattandosi di omissioni protrattesi nel tempo e direttamente incidenti sulla società, che del periculum in quanto alla permanenza del soggetto nel ruolo di accomandatario si accompagnerebbe il persistere delle irregolarità fiscali (Trib. Milano, 10 marzo 2016, in Ilsocietario.it).

Art. 700 e sospensione delle deliberazioni.

Lo strumento processuale in argomento, in ragione della sua caratteristica residualità, non può essere utilizzato per ottenere la sospensione dell'efficacia di deliberazioni di società di capitali. Come è noto, infatti, l'art. 2378, comma 3, dispone, per quanto qui interessa, che, con ricorso depositato contestualmente al deposito, anche in copia, della citazione, l'impugnante può chiedere la sospensione dell'esecuzione della deliberazione; in caso di eccezionale e motivata urgenza, il presidente del tribunale, omessa la convocazione della società convenuta, provvede sull'istanza con decreto motivato. La procedura deliberata dalla norma ora richiamata è applicabile anche alle decisioni del consiglio di amministrazione (art. 2388) ed anche alle società cooperative (art. 2519).

Ciò posto, la domanda di sospensione cautelare della delibera, svolta secondo le forme dell'art. 700 c.p.c., è inammissibile, in quanto difetta il requisito della residualità richiesto dalla norma: esiste, infatti, uno strumento di tutela ad hoc, previsto dall'art. 2378 c.c. e ai sensi di tale ultimo articolo il ricorso cautelare deve essere depositato contestualmente al deposito della citazione con cui si impugna la delibera (Trib. Roma, 3 agosto 2016, in Ilsocietario.it). L'inibitoria dell'assemblea di una società ex art. 700 c.p.c. incontra il limite – per difetto di residualità – nella previsione dello strumento specifico di reazione ex art. 2479-ter c.c. al deliberato dell'assemblea la cui convocazione si intende contestare e soprattutto nella previsione di uno strumento cautelare tipico, la sospensiva tuttavia in alcune ipotesi eccezionali in cui i tempi tecnici per l'instaurazione del giudizio di impugnazione e l'ottenimento della sospensiva rischiano di frustrare gli interessi del ricorrente in virtù del principio di effettività della tutela giurisdizionale si ritiene ammissibile lo strumento cautelare atipico di cui all'art. 700 c.p.c. (Trib. Verona, 27 gennaio 2012).

Provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c. e tutela preassembleare.

È dubbio se il rimedio atipico di cui all'art. 700 c.p.c. possa essere utilizzato in relazione al procedimento assembleare. Le ipotesi che si sono presentate all'attenzione della giurisprudenza hanno in particolare riguardato (l'elencazione è ripresa da Villata, 608 ss., ivi anche per gli ulteriori approfondimenti): 1) ordini di sospensione di un'assemblea irregolarmente convocata; ordine al presidente dell'assemblea di ammettere al voto soci già esclusi (magari a seguito di un rinvio dell'adunanza) ovvero di tenere determinate condotte in relazione ai sistemi di votazione o ancora di computare le azioni proprie ai fini del calcolo della maggioranza deliberativa necessaria; inibitoria al voto per i soci il cui diritto si affermi essere sospeso o, in alternativa, ordine al presidente dell'assemblea (i.e. alla società) di non tener conto delle manifestazioni di voto provenienti dagli azionisti «sospesi»; ordine ad un socio di votare in un determinato modo per impedire abusi di maggioranza ovvero comportamenti meramente arbitrari; ordine inibitorio ad un delegato di non avvalersi delle deleghe di voto raccolte tramite sollecitazione di deleghe ritenuta illegittima.

Una parte della giurisprudenza tende ad interpretare in maniera meno rigorosa la clausola di residualità ed il presupposto del periculum in mora, giungendo ad ammettere simili cautelari. In particolare, si è affermato che può ordinarsi ai sensi degli artt. 700 c.p.c. e 23 d.lgs. n. 5/2003 che non si tenga l'assemblea di società ove la convocazione sia affetta da vizi (nel caso di specie perché convocata da soggetto divenuto socio in violazione della clausola statutaria prevedente, a favore dei soci, il diritto di prelazione nell'alienazione delle quote) che potrebbero legittimare l'impugnazione delle delibere che ne scaturiranno, al fine di evitare il prodursi di conseguenze cui la successiva sospensione ex art. 2378 c.c. non potrebbe integralmente ovviare come nel caso di diretta incidenza della adottanda delibera sul funzionamento degli organi dell'ente (Trib. Mantova, 20 dicembre 2007, in Vita not., 2008, 295: nel caso di specie all'ordine del giorno vi era la revoca del consiglio di amministrazione e la nomina di un amministratore unico). I soci di società di capitali appaiono legittimati ad agire ai sensi dell'art. 700 c.p.c. al fine di ottenere un provvedimento che impedisca la convocazione del consiglio di amministrazione, non essendo subordinata la concessione della relativa inibitoria all'osservanza di un criterio di immediata lesività dei diritti soggettivi dei medesimi, con la precisazione tuttavia che l'accoglimento dell'istanza va rigettato per difetto del requisito del periculum in mora, ogniqualvolta i ricorrenti non illustrino adeguatamente la necessità di tutela cautelare rispetto all'atto di convocazione del consiglio di amministrazione e comunque rispetto ad attività procedimentali funzionali alla convocazione assembleare cui la prima è strumentale (Trib. Milano, 23 marzo 2002, in Giur. it. 2002, 1660).

In tema di società di capitali, il socio può ricorrere alla tutela atipica dell'art. 700 c.p.c. per ottenere una pronuncia circa la legittimità del comportamento da tenersi in assemblea, quando vi siano fondati motivi per ritenere che una illegittimità verrà compiuta in assemblea; la esperibilità da parte del socio del rimedio atipico dell'art. 700 c.p.c. rispetto alle delibere assembleari infatti non è esclusa dalla previsione della tutela cautelare rappresentata dalla richiesta di sospensione ex art. 2378 c.c., perché quest'ultima presuppone lo svolgimento della assemblea e l'instaurazione di un giudizio di merito che potrebbe anche richiedere un tempo non trascurabile per la sua attivazione (Trib. Milano, 23 aprile 2018). È ammissibile la tutela cautelare atipica di carattere anticipatorio avente ad oggetto l'ordine alla società e al presidente dell'assemblea di ammettere alla votazione determinate azioni, in quanto costituisce misura interinale strumentale all'accertamento nel merito del diritto a votare in assemblea, e a questo specifica, laddove appaiano altamente probabili condotte assembleari lesive della posizione del socio e la realizzazione della condotta lesiva non possa essere più rimediata mediante iniziative cautelari dirette ad eliderne le conseguenze (Trib. Milano, decr., 16 luglio 2012, in Soc. 2013, 707).

Tuttavia, in senso contrario alla generale ammissibilità (e salva ogni valutazione del caso concreto) del ricorso alla tutela atipica, può evidenziarsi come l'art. 2378 c.c. prevede uno strumento tipico per reagire alle condotte illegittime assunte in sede assemblare, con la conseguenza che non sembra esservi spazio per la tutela innominata a causa del difetto di residualità (così, Villata, 611). In questo senso si evidenziano, altresì, le difficoltà derivanti dalla possibilità di utilizzare lo strumento cautelare laddove la violazione non si sia ancora realizzata ma sia soltanto probabile, volendosi tutelare un diritto all'annullamento che non esiste ancora e che anzi l'eventuale accoglimento della richiesta cautelare addirittura impedirà di nascere (così, Villata, 613, spec., 616).

Anche questo secondo orientamento trova riscontri in giurisprudenza. Si afferma, ad es., che, qualora il comportamento ostruzionistico di alcuni soci di s.r.l., che dispongono di un potere di veto in relazione al quorum costitutivo e deliberativo previsto dallo statuto, impedisca l'approvazione del bilancio di esercizio, così da determinare lo scioglimento della società per impossibilità di funzionamento dell'assemblea (art. 2484, comma 1, n. 3), gli altri componenti della compagine sociale possono reagire all'abuso del diritto di voto, sia impugnando l'eventuale deliberazione assembleare (negativa), sia ricorrendo alla tutela risarcitoria. Nella predetta situazione, è da escludere che la società possa conseguire un provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. che inibisca il voto dei soci di minoranza e preluda alla loro esclusione dalla società onde evitarne lo scioglimento ( Trib. Napoli, 30 dicembre 2015, in Corr. giur., 2016, 659).

Nella stessa prospettiva, si è affermato che il principio di maggioranza, secondo cui le delibere societarie prese in conformità della legge e dell'atto costitutivo vincolano tutti i soci, trova il suo contrappeso e legittimazione nel metodo assembleare, il quale opera come strumento di protezione delle minoranze: il socio di minoranza è legittimato a chiedere che gli venga consentito l'esercizio effettivo del diritto di partecipare e votare in assemblea, mediante il ricorso alla tutela atipica dell'art. 700 c.p.c. Il rimedio ex art. 700 c.p.c., che ha ad oggetto una misura atipica anticipatoria dell'accertamento del diritto azionato nel giudizio di merito, ha presupposti, petitum ed effetti diversi rispetto alla tutela di cui all'art. 2378 c.c., così come diverse sono le azioni di merito collegate ai due rimedi cautelari. Il ricorso ex art. 700 c.p.c., pre-assembleare, si chiede di consentire l'esercizio effettivo del diritto del socio in assemblea, mentre l'impugnazione della delibera che si assume viziata, ai sensi dell'art. 2378 c.c., è rimedio che, in tesi, presuppone la già avvenuta lesione di quel diritto. Pertanto, in presenza dei presupposti di legge, fumus e periculum, può emettersi misura cautelare con cui si ordina al socio di maggioranza di ammettere il socio di minoranza e consentirgli in assemblea il diritto di voto e l'esercizio di ogni relativo diritto amministrativo (Trib. Milano 31 agosto 2019).

Bibliografia

Cagnasso, La società semplice, in Tr. Sac., Torino, 1997; D'Aiuto, L'esclusione del socio amministratore di società di persone, in Giur. comm. 2015, II, 548; Di Sabato, Diritto delle società, Milano, 2011; Parrella, Sub art. 2259, in Delle società - Dell'azienda. Della concorrenza, artt. 2247-2378, a cura di D. Santosuosso, Commentario del codice civile, a cura di E. Gabrielli, , Milano, 2015; Tuccillo, I provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c., in Codice delle misure cautelari societarie, a cura di Nazzicone, Torino, 2012, 98 ss.; Villata, Note sui provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c. preassembleari, in Riv. dir. proc. 2014, 601.

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