Risolto il contrasto sulla natura giuridica della responsabilità da pagamento dell'assegno non trasferibile a soggetto non legittimato
11 Ottobre 2018
Massima
Ai sensi dell'art. 43, comma 2, legge assegni (R.d. 21 dicembre 1933, n. 1736), la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato -per errore nell'identificazione del legittimo portatore del titolo- dal pagamento di assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità a persona diversa dall'effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l'inadempimento non le è imputabile, per avere essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall'art. 1176, comma 2, c.c. Il caso
Un'assicurazione conveniva in giudizio una banca dinanzi al Giudice di Pace esponendo che un un assegno di traenza non trasferibile emesso da un proprio conto corrente –una volta contraffatto nella parte in cui indicava il nome del beneficiario- era stato incassato presso una filiale dell'istituto di credito convenuto da soggetto non effettivamente legittimato, con la conseguenza che l'assicurazione era stata costretta a rinnovare il pagamento dovuto all'effettivo titolare del credito da indennizzo. Tale errore nel pagamento costituiva violazione dell'obbligo previsto dal R.d. n. 1736 del 1933, art. 43, comma 2, che impone alla banca negoziatrice di pagare l'assegno non trasferibile al solo legittimo prenditore. L'attrice chiedeva pertanto la condanna al risarcimento del danno subito per aver dovuto effettuare un nuovo pagamento al vero creditore. Costituitasi in giudizio, la banca negava la propria responsabilità nell'accaduto, deducendo che:
Il Giudice di Pace rigettava la domanda della società attrice. Il Tribunale di Torino respingeva a sua volta l'appello proposto dalla soccombente, rilevando che alla convenuta/appellata non poteva essere ascritta neppure una colpa lieve, atteso che dalla CTU espletata era emerso che la falsificazione dell'assegno avrebbe potuto essere scoperta solo attraverso l'uso di particolari strumenti ottici e che la carta di identità presentata dalla sedicente C. alle Poste era priva di alterazioni e/o contraffazioni e non risultava rubata, tanto che il CTU aveva potuto accertarne la falsità solo dopo aver appreso dall'ufficio anagrafe, a seguito di apposita richiesta, che il documento non era fra quelli rilasciati dal Comune. La società assicurativa proponeva ricorso per cassazione; la banca resisteva con controricorso. La questione
La banca negoziatrice è ammessa a provare di aver usato tutta la diligenza possibile nell'identificare il beneficiario di un assegno (bancario, circolare, traenza) non trasferibile o risponde in maniera oggettiva del pagamento effettuato a soggetto che poi è stato dimostrato non essere il vero beneficiario? Le soluzioni giuridiche
L'orientamento secondo cui l'art. 43, comma 2 R.d. 21 dicembre 1933, n. 1736 stabilisce una responsabilità oggettiva della banca nel caso di pagamento a prenditore legittimatosi tale -senza effettivamente esserlo- si basa sul principio secondo il quale detta norma regola in modo diverso l'adempimento del pagamento dell'assegno non trasferibile, con deviazione sia dalla disciplina generale del pagamento dei titoli di credito con legittimazione variabile dettata dall'art. 1992 c.c. parametrato alla assenza del dolo o colpa grave, sia dal disposto del diritto comune delle obbligazioni di cui all'art. 1189 c.c. (e del previgente art. 1242 c.c. 1865), che libera il debitore che esegua in buona fede il pagamento in favore del creditore apparente. Di conseguenza, nel caso di assegno non trasferibile, la banca che abbia effettuato il pagamento in favore di chi non era legittimato a riceverlo non è liberata dall'obbligazione finché non paghi all'ordinatario esattamente individuato, ovvero al banchiere suo giratario per l'incasso, a prescindere dalla sussistenza di una colpa nell'errore d'identificazione del prenditore. Infatti, la ratio della norma risiede nella totale affidabilità e certezza del sistema sulla clausola di “non trasferibilità”, che mira a garantire efficacemente che il pagamento del titolo avvenga solo a favore dell'effettivo beneficiario. Ciò è coerente con l'impossibilità di esperire la procedura di ammortamento in caso di smarrimento o furto dal parte del terzo possessore di buona fede, mentre solo l'effettivo beneficiario può chiedere il duplicato. Si tratta, quindi, di una norma di chiusura che stabilisce di far gravare il rischio dell'operazione su chi è più in grado di gestirlo, ossia sul banchiere professionalmente addetto alla gestione del credito e dei pagamenti. Del resto, lo stesso art. 2001, comma 1, c.c., nel disporre che «Le norme di questo titolo si applicano in quanto non sia diversamente disposto da altre norme di questo codice o di leggi speciali» ammette l'applicazione della normativa speciale (e, nel caso di cui si discute, dell'art. 43 R.d. n. 1736/1933) in luogo di quella generale dettata dal codice civile. L'orientamento secondo cui l'art. 43, comma 2 R.d. 21 dicembre 1933, n. 1736 stabilisce una responsabilità per colpa per chi esegue il pagamento di un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore, ma che si legittima cartolarmente come tale, ritiene invece che la banca negoziatrice risponda verso l'effettivo prenditore soltanto nel caso in cui non abbia usato la dovuta diligenza nell'identificazione del presentatore del titolo. Secondo questo tesi una cosa è il divieto di trasferibilità fissato dal comma 1 dell'art. 43, altra è il regime di legittimazione cartolare che segue i principi generali in tema di identificazione del presentatore dei titoli a legittimazione nominale. Il conseguimento della prestazione dovuta al prenditore risulta garantito dalla procedura di duplicato, mentre –essendo vietata la trasferibilità- il portatore di buona fede non risulta altrimenti tutelato. Le sezioni Unite di Cassazione aderiscono a questo secondo orientamento, prendendo le mosse dalla sentenza, anch'essa resa a Sezioni Unite, n. 14712 del 2007, che è intervenuta a comporre un precedente contrasto di giurisprudenza sorto circa la natura (contrattuale, extracontrattuale o ex lege) della responsabilità derivante dal pagamento dell'assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore ed alla conseguente durata -decennale o quinquennale- del termine di prescrizione dell'azione di risarcimento proposta dal danneggiato. Come si legge nella chiara motivazione, con tale pronuncia le sezioni unite del 2007 chiarivano che l'espressione "colui che paga" -adoperata dall'art. 43, comma 2 Legge assegni, si riferisce non solo alla banca trattaria (o all'emittente, nel caso di assegno circolare), ma anche alla banca negoziatrice, che è l'unica concretamente in grado di operare controlli sull'autenticità dell'assegno e sull'identità del soggetto che, girandolo per l'incasso, lo immette nel circuito di pagamento giusto il contatto sociale qualificato, ravvisabile ogni qualvolta l'ordinamento imponga ad un soggetto di tenere un determinato comportamento, idoneo a tutelare l'affidamento riposto da altri soggetti sul corretto espletamento da parte sua di preesistenti, specifici doveri di protezione che egli abbia volontariamente assunto. Nel caso di pagamento di un assegno non trasferibile, la banca negoziatrice assume un obbligo professionale di protezione (obbligo preesistente, specifico e volontariamente assunto), operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione (emittente, traente, beneficiario), di far sì che il titolo stesso sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità alle regole che ne presidiano la circolazione e l'incasso. Alla responsabilità da contatto sociale qualificato, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c. e dal quale derivano i doveri di correttezza e buona fede enucleati dagli artt. 1175 e 1375 c.c., si applica il regime probatorio di cui all'art. 1218 c.c.; è perciò consentito all'obbligato di fornire la prova che il dedotto inadempimento non gli è imputabile, ovvero non è dovuto a suo fatto e colpa. Diversamente, le sezioni unite evidenziano che la responsabilità oggettiva serve laddove difetti un rapporto in senso lato "contrattuale" fra danneggiante e danneggiato e in ragione della particolare posizione rivestita dal danneggiante o della relazione che lo lega alla cosa causativa del danno (es. artt. 2048/2053 c.c.). In conclusione, nel caso di azione promossa dal danneggiato verso la banca negoziatrice che ha pagato l'assegno non trasferibile a persona diversa dall'effettivo prenditore per errore nella sua identificazione, la banca è ammessa a provare che l'inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza dovuta, che è quella nascente, ai sensi dell'art. 1176 c.c., comma 2 dalla sua qualità di operatore professionale, “tenuto a rispondere del danno anche in ipotesi di colpa lieve”. Le Sezioni Unite spiegano che nonostante la riconduzione della responsabilità ex art. 43, comma 2 Legge assegni nell'alveo della responsabilità contrattuale da contatto sociale qualificato, la suddetta disposizione non diventa inutile nel sistema normativo in quanto essa rimane speciale sia rispetto alla norma di diritto comune, dettata in tema di obbligazioni sul pagamento al creditore apparente (art. 1189, comma 1, c.c.), sia rispetto a quella riferita ai titoli al portatore (art. 1992 c.c., comma 2), le quali circoscrivono entrambe detta responsabilità alle ipotesi di dolo o colpa grave.
Osservazioni
L'individuazione della natura giuridica colposa della responsabilità ex art. 43 comma 2 l. assegni appare in linea con il precedente approdo delle Sezioni Unite di considerare detta responsabilità una responsabilità ex art. 1173 c.c. ossia una responsabilità residuale ex lege da contatto sociale qualificato attivabile da chiunque vi abbia interesse concreto, cui quindi va esteso non solo il regime di prescrizione decennale ma anche il restante regime di accertamento dell'inadempimento (Cass. civ., Sez. Un., n. 13533/2001) con onere di allegazione specifica dell'inadempimento in capo al creditore –asseritamente danneggiato- e onere della prova dell'esatto adempimento in capo all'obbligato della prestazione legale di pagamento al corretto legittimato. Poiché si tratta di assegni (di qualunque genere) non trasferibili, l'unico soggetto chiamato a pagare è una banca. Trattandosi quindi di operatore professionista dei pagamenti la diligenza richiesta sarà quella tecnica (art. 1176 comma 2 c.c.). Sul punto, la giurisprudenza dominante di legittimità, cui si è uniformata quella di merito, ha chiarito che il controllo sulla genuinità da parte dell'accorto banchiere è richiesto non secondo le capacità di qualsiasi osservatore medio, bensì come esaminatore attento (Cass. civ., n. 5267/1982 e Cass. civ., n. 4642/1989) ma senza l'uso di sofisticate attrezzature e strumenti chimici (Cass. civ., 15 luglio 2005 n. 15066) ma con ricorso a mezzi e strumenti presenti sui normali canali del mercato di consumo e di agevole utilizzo (Cass. civ., 20 marzo 2014 n. 6513). Esaminatore attento dovrebbe significare altresì esaminatore informato delle comuni e sedimentate tecniche di alterazione e contraffazione degli assegni; ad esempio abrasioni fisiche e ristampa con caratteri simili ma non uguali (soprattutto per le distanze fra le lettere) spesso visibili con un po' di attenzione; oppure uso di agenti chimici, che cancellano le scritte cercando di non alterare il colore dell'assegno (ma spesso emerge un alone giallastro, bianco o di altro colore); tali sostanze rendono illeggibili le microscritture di fondo dell'assegno. L'assenza di continuità delle microscritture è frequentemente facilmente evincibile ad occhio nudo in controluce. Rientra nel prototipo del pagatore ed identificatore cartolare professionista la conoscenza del periodo di validità dei documenti (spesso errati sui documenti falsi) o dei sistemi per capire l'originalità o la falsità (es. codici Regione) di un codice fiscale? Dovrebbero entrare tali nozioni nel bagaglio di preparazione dell'attento identificatore? In caso di risposta negativa, cosa distinguerebbe un pagatore professionista da un quisque de populo e quindi dalla verifica della sola colpa grave? Dove risiederebbe la specialità della norma in commento? Inoltre, identificare un soggetto sconosciuto e che produce un documento con una residenza diversa da quella dove avviene l'operazione con un solo documento di identità in palese violazione della Circolare ABI LG/3005 del 7 maggio 2001 (che suggerisce alle banche associate di identificare il beneficiario di assegno non trasferibile sulla base di due documenti d'identità con foto) configura colpa lieve? Non configura persino una imprudenza grave? In caso di risposta negativa a questi interrogativi poi, qual è la garanzia che l'assegno non trasferibile venga pagato al corretto beneficiario? L'aspettativa di un corretto pagamento e quindi della estinzione della propria obbligazione da parte dell'emittente diverrebbe molto bassa. Pur escludendo la necessità del ricorso a strumenti sofisticati (è sofisticata una lente di ingrandimento?), il chiarimento delle presenti Sezioni Unite di Cassazione sulla inclusione della responsabilità lieve dovrebbe rendere pretendibile da un lato la conoscenza e individuabilità delle più comuni tecniche di contraffazione del titolo e dei suoi elementi cartolari di sospetto, dall'altro la conoscenza delle più comuni condotte di truffa, ossia il cd. furto di identità (con presentazione di documento di identità del tutto falso, anche se non apparentemente tale, da parte di persona sconosciuta alla filiale in quanto non correntista o appena identificato per l'apertura di un libretto o conto corrente). In casi come questo, la banca dovrebbe trasmettere il documento al Comune indicato e chiedere se sia vero. L'eventuale attesa in termini di tempo grava giustamente su chi si presenta a sottoscrivere un assegno (per l'assegno di traenza) o incassare (per gli altri assegni) in una banca in cui non è correntista, o ove non è nota, a fronte di una proliferazione di tali condotte di reato. Una risposta molto equilibrata è stata già offerta dalla Suprema Corte (Cass. civ., 20 marzo 2014 n. 6513) che ha chiarito la necessità, da un lato, di valutare la diligenza richiesta all'istituto di credito secondo standard oggettivi ma, dall'altro, di considerare il carattere dinamico del concetto di diligenza tecnica da modularsi in base alle condizioni, storicamente date, del contesto in cui si svolge l'attività professionale che, di volta in volta, viene in rilievo. Su tali principi, la Corte di legittimità ha affermato che spetta al giudice di merito valutare in concreto se il falso possa o meno essere oggetto di riscontro attraverso un attento esame diretto, visivo o tattile da parte dell'impiegato e secondo la competenza teorica-tecnica comune, se necessiti invece di strumenti presenti sui normali canali del mercato di consumo, o, piuttosto, se la falsificazione stessa sia riscontrabile solo tramite attrezzature tecnologiche sofisticate, di difficile e dispendioso reperimento e/o utilizzo. |