Il consenso informato prestato dall’ads deve tenere conto della volontà del beneficiario

Alessandro Cerrato
11 Ottobre 2018

Accertata l'impossibilità del beneficiario a provvedere ai propri interessi e a prestare quindi un consapevole consenso informato o rifiuto a un trattamento sanitario, può essere attribuito all'amministratore di sostengo il potere di decidere in nome e per conto dell'amministrato?
Massima

In tema di consenso informato, l'amministratore di sostegno, se munito di poteri in ambito sanitario, può prestare il consenso o il rifiuto ai trattamenti sanitari, in nome e per conto del beneficiario, quando quest'ultimo è impossibilitato a provvedere ai propri interessi, tenuto conto della sua volontà, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere.

Il caso

Tizia, in rianimazione da 6 mesi, si trovava in stato di incoscienza, ricoverata a letto, tracheotomizzata, con sondino naso-gastrico per alimentazione e idratazione: risultava impossibile ogni forma di interazione e contatto.

Il Giudice Tutelare di Modena, con decreto, nominava Caio quale amministratore di sostegno di Tizia attribuendogli ogni più ampio potere di rappresentanza nell'esclusivo interesse della beneficiaria avendo cura dei suoi bisogni e aspirazioni.

Tra i poteri conferiti dal Tribunale, vi era anche quello di prestazione del consenso informato (ovvero, rifiuto) per cure e trattamenti sanitari che si rendessero necessari per la salute della persona.

La questione

Accertata l'impossibilità del beneficiario a provvedere ai propri interessi e a prestare quindi un consapevole consenso informato o rifiuto a un trattamento sanitario, può essere attribuito all'amministratore di sostengo il potere di decidere in nome e per conto dell'amministrato?

Le soluzioni giuridiche

L'amministratore di sostegno è una figura introdotta dall'ordinamento giuridico esclusivamente a tutela dei soggetti deboli con il compito precipuo di occuparsi degli interessi del beneficiario, tenendo conto delle sue volontà e aspirazioni.

È pacifico che all'amministratore di sostegno nominato, con decreto dal giudice tutelare competente, sia affidato anche l'onere e la responsabilità di occuparsi dei trattamenti sanitari a cui eventualmente potrà essere sottoposto il beneficiario, oltre alla gestione del patrimonio di quest'ultimo.

L'amministratore quindi dovrà valutare quale sia la scelta di cura più idonea per l'amministrato indicata dal medico curante.

Tra i trattamenti sanitari, la giurisprudenza di merito e di legittimità maggioritaria afferma che debbano necessariamente ritenersi inclusi anche i trattamenti cd. salva-vita.

Il potere dell'amministratore in ambito sanitario è certamente subordinato al grado di incapacità del beneficiario che potrà essere sia fisica sia psichica. Entrambe infatti possono potenzialmente impedire al beneficiario di svolgere atti di ordinaria e/o straordinaria amministrazione, compresa la libertà di scegliere se accettare, rifiutare o interrompere una terapia medica.

A tutela del principio dell'autodeterminazione, garantito dalla Carta Costituzionale e facente capo a ciascun individuo, è necessario quindi, accertare preliminarmente il grado di incapacità del beneficiario, prima di poter consentire all'amministratore di sostegno di esprimere la volontà del beneficiario.

Quando quest'ultimo sia affetto da patologie psichiche che alterano solo parzialmente o temporaneamente la sua capacità di discernimento, l'amministratore non potrà superare la volontà manifestata dal beneficiario qualora non sia dimostrata concretamente la sua incapacità di intendere e volere.

Invece, in caso di incapacità totale di discernimento, l'amministratore, in nome e per conto del beneficiario, solo dopo aver ricostruito per quanto possibile la volontà dell'amministrato, potrà manifestare espressamente la - presunta - scelta terapeutica che lo stesso avrebbe effettuato se fosse stato capace, sempre tenendo conto del suo interesse preminente.

Sul punto l'introduzione della l. 22 settembre 2017, n. 219 (cd. legge sul biotestamento) ha certamente avuto un impatto rivoluzionario. Si tratta dell'ingresso nell'ordinamento giuridico italiano del diritto facente capo a ciascun individuo di potersi determinare, in vista di un'eventuale futura incapacità di autodeterminarsi, disponendo anticipatamente riguardo ai propri intendimenti in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto, rispetto a scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari ove si rendessero necessari.

Al riguardo merita un approfondimento l'art. 3 l. n. 219/2017 in tema di consenso informato riguardante i minori e gli incapaci.

È nello specifico il comma 4 dell'art. 3 l. n. 219/2017 che, soffermandosi sulla figura dell'inabilitato ovvero della persona sottoposta ad amministrazione di sostegno, così recita: «(…) il consenso informato è espresso o rifiutato anche dall'amministratore di sostegno ovvero solo da quest'ultimo, tenendo conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere».

Nonostante i poteri di rappresentanza già attribuiti all'amministratore di sostegno, il legislatore ha voluto, al comma successivo della medesima norma, introdurre una specifica ipotesi per il caso in cui sia il medico curante a dissentire rispetto alla scelta manifestata dall'amministratore di sostegno di rifiuto alle cure.

Solo qualora il sanitario ritenga «appropriate e necessarie» le cure rifiutate, la scelta finale potrà essere rimessa al giudice tutelare competente.

È proprio rispetto ai suddetti comma 4 e 5 dell'art. 3 l. n. 219/2017 che si è acceso un interessante dibattito giurisprudenziale, in merito alla nomina di un amministratore di sostegno e ai poteri di assistenza necessaria o di rappresentanza esclusiva in ambito sanitario.

Ma procediamo con ordine.

Occorre innanzitutto tenere in considerazione che in presenza di disposizioni anticipate di trattamento (cd. DAT), la risposta al quesito riguardo le possibili determinazioni dell'amministrato/incapace e quindi la scelta di accettare o meno la terapia medica proposta, sarà univoca, in quanto non potrà che prescindere dalle intenzioni già esplicitamente manifestate dall'interessato nel pieno delle sue facoltà.

Il problema, pertanto, sorge nel momento in cui il beneficiario dell'amministrazione di sostegno non abbia posto in essere alcuna disposizione anticipata di trattamento.

Infatti, nella pratica, e come in molti casi accade, richiedere all'amministratore di sostegno di ricostruire le effettive volontà del beneficiario, appare compito assai arduo.

Se si pensa alle svariate situazioni nelle quali l'amministrato risulta essere persona anziana, priva di legami affettivi ovvero di parenti ancora in vita, oltre che magari già fisicamente compromesso, si comprende l'oscurità che avvolge il compito dell'amministratore di sostegno e come il tentativo di far luce sulle reali intenzioni dell'amministrato diventi oltremodo problematico, oltre che insoddisfacente.

Alla luce di queste osservazioni anche la facoltà di adire il giudice tutelare da parte del medico curante, a questo punto della vicenda, terzo estraneo all'amministrazione di sostegno, lascia alcune perplessità riguardo all'effettiva ricerca della volontà dell'amministrato.

Il ricorso al giudice tutelare nel momento in cui il sanitario ritenga non fondato il rifiuto alle cure posto in essere dall'amministratore di sostegno, assicura il rispetto della volontà del paziente?

A questo quesito si potrebbe rispondere che la valutazione del medico è meramente clinica. Il dottore infatti non effettua e non è tenuto ad effettuare una ricerca approfondita sulla personalità del beneficiario. Pertanto, anche in tale circostanza la questione non può considerarsi risolta. La certezza che il consenso o il rifiuto coincidano con la volontà dell'amministrato non è garantita neppure in tal caso.

Sulla questione si è di recente interrogato il Trib. Pavia 24 marzo 2018 che ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 comma 4 e 5 legge n. 219/2017 «nella parte in cui stabiliscono che l'amministratore di sostegno la cui nomina preveda l'assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento, possa rifiutare, senza l'autorizzazione del giudice tutelare, le cure necessarie al mantenimento in vita dell'amministrato, ritenendo le suddette disposizioni in violazione degli artt. 2, 3, 13, 32 Cost.» (v. R. Masoni, Potere dell'ADS di rifiutare le cure senza l'intervento del GT: il Tribunale di Pavia solleva questione di legittimità in ilFamiliarista.it.

Osservazioni

Oggetto principale del caso in esame è certamente il diritto alla salute dell'amministrato e la prestazione del consenso informato o rifiuto da parte dell'amministratore di sostegno.

L'art. 32 Cost. sancisce la tutela alla salute quale diritto di ciascun individuo ed interesse alla collettività.

Proprio a garanzia di tale norma fondamentale, sulla base di un principio di solidarietà, il giudice tutelare, nel rispetto quindi di una disposizione di legge, ha il potere di nominare un amministratore di sostegno a beneficio di un soggetto (temporaneamente, definitivamente, parzialmente o totalmente) incapace che effettui le scelte terapeutiche più tutelanti per l'amministrato aderendo, il più possibile, alla volontà dello stesso.

Il giudice tutelare, pertanto, conferisce ad un soggetto, l'amministratore, la legittimazione a poter perseguire il miglior interesse per un altro soggetto, l'amministrato, che risulta oggettivamente impossibilitato ad esprimere un consenso o rifiuto consapevole e cosciente per un trattamento sanitario.

Un individuo affetto da una patologia psichiatrica riconosciuta e dimostrata che limiti, parzialmente o interamente, la sua capacità intellettiva può essere quindi legittimamente rappresentato da un delegato (amministratore di sostegno) che possa esprimere in nome e per suo conto le scelte migliori.

Quanto osservato è pienamente in conformità con il combinato disposto della Costituzione (art. 32) e la convenzione di Oviedo (art. 6) che affermano che nessuno può essere sottoposto ad un trattamento sanitario contro la propria volontà, salvo venga accertata l'assenza della propria capacità di discernimento. Quanto previsto è posto in essere a tutela dei soggetti deboli, al fine di evitare abusi e sperimentazioni.

Pertanto, qualora il beneficiario non sia in grado di manifestare la propria intenzione o sia solo parzialmente in grado di farlo, sarà onere dell'amministratore nominato, ricostruire e comunicare a terzi la volontà del soggetto amministrato.

L'amministratore non effettua una scelta al posto del beneficiario, ma nell'accettazione del proprio incarico, si impegna a ricercare la volontà dell'amministrato ed a trasmetterla a terzi. È un interprete della volontà altrui.

L'amministratore di sostegno potrà esprimere il consenso o il rifiuto in nome e per conto dell'amministrato solo dopo che sia stata accertata l'impossibilità da parte di quest'ultimo di poter effettuare una scelta consapevole. Infatti, la rappresentanza per il trattamento sanitario deve operare nel rispetto del principio della autodeterminazione della persona.

Infine, in merito all'art 3, comma 5, l. n. 219/2017, si evidenzia come il legislatore conferisca un forte e ampio potere decisionale all'amministratore di sostegno che, senza alcun controllo giudiziario, può (nel presunto rispetto della volontà dell'amministrato), prendere una decisione di rifiuto alle cure per il beneficiario.

Ora, ipotizzando che la questione di legittimità sollevata dal giudice lombardo venisse accolta e che fosse introdotto un vaglio preventivo e obbligatorio da parte dell'autorità giudiziaria in relazione al rifiuto delle cure mediche, chi può garantire concretamente che venga rispettata la volontà dell'amministrato? Il giudizio del Tribunale coincide perfettamente con la volontà del beneficiario?

La verità è che, in assenza di DAT, la ricostruzione della volontà dell'incapace è molto complicata. “L'ultima parola” in merito all'accettazione o al rifiuto delle cure, indipendentemente a chi possa essere concessa (medico, amministratore di sostegno, giudice), sarà - quasi - sempre esito di una propria interpretazione soggettiva.

Il compito della ricerca dell'intenzione del beneficiario fortunatamente, in alcune fattispecie, non è così complesso. È il caso in cui l'amministrato sia affetto da una patologia degenerativa. In tale circostanza, la malattia si manifesta gradualmente e pertanto l'individuo ha, a propria disposizione, tempo e modo di poter trasmettere a terzi (parenti/amici/conoscenti o allo stesso amministratore) la propria volontà.

Rilevanti difficoltà di ricostruzione della personalità del beneficiario si riscontrano invece, quando l'impossibilità di discernimento sia divenuta improvvisa. È il caso in cui si verifichi un incidente o la persona venga colpita da una male fulminante. In tali circostanze, il compito dell'amministratore di sostegno risulterà davvero arduo. Tuttavia, nell'interesse esclusivo del beneficiario, l'amministratore non potrà sottrarsi dall'esperire un tentativo concreto di ricostruzione della volontà dell'incapace.

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