Estinzione del reato per condotte riparatorie. Prime applicazioni e considerazioni critiche

Angelo Valerio Lanna
15 Ottobre 2018

L'istituto in esame è stato introdotto nel sistema penale dal Legislatore a mezzo della l. 23 giugno 2017, n. 103 e inserito nel Titolo VI del Libro I del codice, laddove si trova la disciplina delle cause di estinzione del reato e della pena; segnatamente, esso è collocato nel Capo I, tra le cause estintive del reato. La ratio di tale causa estintiva è evidentemente quella di potenziare l'effetto deflattivo del sistema penale e dell'apparato sanzionatorio; se ne è però prevista l'operatività in...
Abstract

L'istituto in esame è stato introdotto nel sistema penale dal Legislatore a mezzo della l. 23 giugno 2017, n. 103 e inserito nel Titolo VI del Libro I del codice, laddove si trova la disciplina delle cause di estinzione del reato e della pena; segnatamente, esso è collocato nel Capo I, tra le cause estintive del reato. La ratio di tale causa estintiva è evidentemente quella di potenziare l'effetto deflattivo del sistema penale e dell'apparato sanzionatorio; se ne è però prevista l'operatività in relazione a qualsiasi modello legale, che sia procedibile a querela e per il quale sia anche prevista la rimettibilità dell'istanza punitiva (l'art. 1 l. 4 dicembre 2017, n. 172 ha stabilito l'esclusione dell'art. 612-bis, dal novero dei reati per i quali può trovare applicazione tale causa estintiva). Trattasi – per ciò che attiene all'aspetto tecnico e strutturale, di una causa estintiva di natura soggettiva, ossia in grado di esplicare effetti solo con riferimento al singolo soggetto che ponga in essere le condotte riparatorie. I tratti essenziali dell'istituto rampollano dal dettato dell'art. 35 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, che ne rappresenta l'equipollente all'interno del processo di competenza del giudice di pace. L'estinzione per condotte riparatorie è quindi sostanzialmente uno strumento di natura deflattiva, finalizzato a condurre il sistema al traguardo di un livello gestibile e indispensabile di diritto penale minimo. Questa è del resto la medesima aspirazione di politica criminale e giudiziaria, dalla quale ha trovato scaturigine l'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato, di cui agli artt. 168-bis e ss. c.p.

A molti dei primi esegeti della norma è parsa comunque alquanto improvvida la scelta legislativa di agganciare l'estinzione del reato al risarcimento del danno. Tale opzione infatti rende inevitabilmente profonda la lacerazione sociale fondata sul censo, con il serio rischio di legittimare differenziazioni basate – in pratica in via esclusiva – sulle posizioni economiche dei vari soggetti. Non vi è infatti chi non rilevi come l'accesso a tale nuova causa estintiva possa risultare maggiormente agevole – pure perché forse fonte di oneri percepiti come poco gravosi, se rapportati alle effettive capacità patrimoniali del soggetto – in relazione a quegli imputati dotati di maggiori disponibilità finanziarie; risulterà invece sostanzialmente ben poco praticabile, in relazione a soggetti che versino in stato di precarietà economica o addirittura di indigenza.

L'inquadramento tecnico-giuridico dell'istituto

Trattasi della possibilità che il giudice, sentite parti e P.O. dichiari estinto il reato, purché si proceda in relazione a un modello legale procedile a querela rimettibile. La norma non sembra riservare al giudicante – laddove ovviamente sussistano le condizioni dettate dalla legge – alcuno spazio di discrezionalità.

Esiste un limite di tenore oggettivo, che è rappresentato dal fatto che l'imputato abbia provveduto all'integrale riparazione del danno derivante dalla condotta perpetrata. La condotta riparatoria deve alternativamente concretizzarsi in restituzioni o risarcimento del danno stesso. A tale requisito si va a saldare l'avvenuta elisione – laddove ancora possibile – delle conseguenze dannose o pericolose discendenti dal reato. È evidente che alla persona offesa spetti un mero diritto alla interlocuzione, per quanto attiene alla sussistenza e alla adeguatezza del risarcimento. Non esiste infatti spiegazione alternativa, relativamente al dato testuale dell'ultimo periodo del primo capoverso della disposizione normativa in esame; qui è infatti previsto che il giudice possa reputare avvenuto il risarcimento del danno – effettuato mediante offerta reale ex art. 1208 c.c. – nonostante la eventuale mancata accettazione proveniente dalla persona offesa.

Vi è poi uno sbarramento di natura processuale, entro cui è consentito accedere a tale causa estintiva; tale soglia – costituita dalla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado – non può che essere considerato di natura perentoria.

In presenza di un inadempimento non imputabile, rispetto agli obblighi riparatori o restitutori, l'interessato potrà chiedere una rimessione in termini; la riapertura del termine utile potrà avere una estensione temporale non eccedente i sei mesi. L'interessato, avuta la restituzione in termini, dovrà poi versare quanto dovuto a titolo risarcitorio entro il nuovo termine indicato dal giudice, magari anche fruendo di una rateizzazione. In caso di non riferibilità soggettiva all'imputato dell'inadempimento, di dovrà fissare una nuova udienza entro il termine stabilito (o comunque entro un termine ulteriore non eccedente i novanta giorni da tale scadenza); la legge prevede inoltre che il giudice possa imporre – se le ritenga necessarie – delle specifiche prescrizioni per quanto attiene al suddetto nuovo termine. E in tal caso, è espressamente prevista la sospensione del decorso del termine di prescrizionale. La confisca obbligatoria ex art. 240, comma 2, c.p. è testualmente prevista. Al positivo esperimento delle condotte restitutorie, il giudice dichiarerà con sentenza l'estinzione del reato.

La disciplina transitoria si trova espressa all'art. 1, commi da 1 a 4, della succitata l.103/2017; è quindi sancita:

  • l'applicabilità della causa estintiva anche ai processi in corso al momento dell'entrata in vigore del nuovo istituto (3 agosto 2017), sebbene risulti ormai oltrepassato lo sbarramento di carattere processuale costituito dalla dichiarazione di apertura del dibattimento;
  • possibilità per l'imputato di chiedere – alla prima udienza utile, successiva al 3 agosto 2017 – la fissazione di un termine non eccedente i sessanta giorni, onde porre in essere le condotte riparatorie postulate dalla norma;
  • facoltà di chiedere – sempre nel corso di tale prima udienza utile – la fissazione di un termine ulteriore (non superiore ai sei mesi), qualora l'imputato dimostri di non poter adempiere, per fatto a lui non addebitabile, alle condotte riparatorie entro il termine di sessanta giorni (con la possibilità anche di domandare la rateizzazione delle somma dovuta a titolo di risarcimento);
  • previsione, nel caso riportato sub c), della sospensione del processo e, correlativamente, del corso della prescrizione, laddove il giudice – in accoglimento dell'istanza di differimento, fondata sulla sussistenza di una temporanea impossibilità di adempiere non imputabile all'interessato – fissi nuova udienza nel termine sopra detto;
  • applicabilità comunque del disposto dell'art. 240, comma 2, c.p.
Prime applicazione giurisprudenziali

La presentazione della richiesta di estinzione del reato per condotte riparatorie, di cui all'art. 162-ter c.p., è ammissibile anche nell'ambito di quei processi che si trovino già in corso di svolgimento al momento dell'entrata in vigore della legge istitutiva 103/2017 e nell'ambito dei quali il pagamento delle somme sia stato effettuato in data antecedente rispetto a tale vigenza. Tale istanza può essere delibata in sede di giudizio di legittimità a patto che non si prospetti la necessità di ulteriori approfondimenti in via di fatto (Cass. pen.,Sez. V, n. 21922/2018; nell'ambito della medesima decisione, la Corte ha precisato come l'istituto presupponga l'esistenza di condotte di tipo restitutorio o risarcitorio che abbiano un connotato di spontaneità, dunque che non appaiano coartate); Cass. pen., Sez. V, n. 26285/2018 ha ritenuto applicabile nel giudizio di legittimità la causa estintiva in argomento, allorquando sia possibile trarre elementi di convincimento dalle risultanze istruttorie effettuate durante la fase del merito e poi recepite nella relativa sentenza, come accade laddove sia stata concessa l'attenuante del risarcimento del danno ex art. 62 n. 6 c.p. Ancora sul tema della proponibilità in Cassazione, si è deciso quanto segue: l'applicazione in via transitoria della causa estintiva in argomento non è preclusa nel giudizio di cassazione. Ciò perché – stante il chiaro dettato normativo di cui all'art. 1, comma 2, l. 103/2017 – le disposizioni introduttive del nuovo istituto trovano applicazione, al ricorrere delle condizioni legittimanti, pure nell'ambito di quei processi che risultino già in corso alla data di entrata in vigore della legge (3 agosto 2017), senza che sia possibile operare un distinguo fondato sul grado in cui si trovi il giudizio. È però espressamente preclusa – in sede di legittimità – la concessione di un termine per porre in essere le condotte atte a determinare l'effetto estintivo del reato (Cass. pen., Sez. V, n. 31994/2018; si veda anche Cass. pen., Sez. II, n. 26939/2018). Sulla medesima direttrice interpretativa si era posta anche Cass. pen.,Sez. V, n. 8182/2017, a mente della quale l'istanza per la definizione del processo mediante l'applicazione della causa estintiva in esame può essere presentata anche nel corso del giudizio di legittimità, con il solo limite dell'impraticabilità, in tal caso, della richiesta di fissazione di un termine per poter provvedere.

L'estinzione per condotte riparatorie non opera in relazione al reato di atti sessuali con minorenni. Vero infatti che trattasi di reato procedibile a querela ma vero anche che l'art. 609-septies, comma 3, c.p. prevede che la querela relativa a tale fattispecie – come del resto per tutte le ipotesi ex artt. 609-bis e seguenti c.p. - è irrevocabile, mentre l'art. 162-ter c.p. postula la presenza di una querela soggetta a possibile remissione (Cass. pen., Sez. III, n. 1580/2017).

Nel processo che si tiene dinanzi al giudice di pace, il termine ultimo per poter provvedere alla riparazione del danno determinato dal reato – rappresentato dall'udienza di comparizione – ha natura perentoria. Ne deriva che, laddove vi sia una inosservanza, l'imputato decade dalla possibilità di accedere a tale trattamento favorevole, senza peraltro che il giudice sia gravato da qualsivoglia onere di renderlo edotto della possibilità di accedere all'estinzione del reato tramite condotte riparatorie. Sulla scorta di tale principio di diritto, il Supremo Collegio ha escluso l'applicabilità della causa di estinzione del reato ex art. 35 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, in quanto la documentazione atta a provare il risarcimento era stata depositata all'indomani dell'udienza di comparizione (Cass. pen., Sez. IV, n. 50020/2017).

Cass. pen., Sez. I, ord. n. 29562/2018 ha sottolineato come non esista alcuna disposizione codicistica che autorizzi l'immediata e autonoma impugnabilità di un'ordinanza dibattimentale di rigetto dell'istanza di estinzione per condotte riparatorie, essendo essa quindi sottoposta alla disciplina generale ex art. 586 c.p.p.; secondo la Corte, del resto, sarebbe irragionevole ammettere una impugnabilità immediata di tale ordinanza, pur in assenza di previsione che autorizzi la sospensione del processo in pendenza dell'impugnazione. Tale orientamento era stato già espresso, dai giudici della Cassazione; era stato infatti già chiarito sancito come l'ordinanza - emessa in limine o durante lo svolgimento del dibattimento - di rigetto dell'istanza di estinzione del reato per condotte riparatorie ex art. 162 ter, potesse essere appellata solo unitamente alla sentenza di primo grado. Trattasi infatti di provvedimento che – indipendentemente dal contenuto motivazionale – non può sottostare ad un regime di impugnabilità autonoma a causa della pretesa (e inesistente) abnormità; ciò in quanto esso si situa all'interno delle previsioni del sistema processuale e non determina nessuna situazione di stallo del procedimento (Cass. pen., Sez. I, n. 29562/2018).

La causa estintiva di cui all'art. 35 d.lgs. 28 agosto 2000 può operare – nell'ambito del processo instaurato dinanzi al giudice di pace – anche laddove il risarcimento sia opera dalla compagnia assicuratrice dell'auto dell'imputato; ciò a patto che il giudice reputi che tale risarcimento sia atto a soddisfare le esigenze poste a fondamento dell'istituto stesso (Cass. pen., Sez. IV, n. 34888/2017).

Criticità applicative

A un anno dalla introduzione dell'istituto in esame non tutte le criticità interpretative sono state risolte.

Spazio di effettiva operatività dell'istituto. La causa estintiva ex art. 162-ter c.p. opera solo in ordine alle fattispecie di reato che siano procedibili a querela rimettibile. Trattasi quindi delle stesse figure tipiche che sono già passibili di estinzione mediante remissione. Lo spazio che potrà allora residuare, per l'applicazione dell'istituto in esame, dovrà quindi forse essere ricercato in quei casi nei quali l'estinzione del reato si imbatta in una ostinata (e magari pretestuosa o ostruzionistica) negazione proveniente dal soggetto querelante; ossia le ipotesi – per la verità non troppo frequenti nella esperienza giudiziaria ordinaria – in cui il querelante neghi la remissione della querela, seppur in presenza di un comportamento non solo accomodante e diretto alla transazione, bensì pure connotato da una condotta concretamente restitutoria e riparatoria. Pare superfluo sottolineare come tale spazio applicativo sia plausibilmente destinato a rimanere piuttosto circoscritto.

In dottrina

«Il fine principale dell'istituto è quello deflattivo, la norma prevede, infatti, un termine perentorio entro cui porre in essere il comportamento riparatorio: prima della dichiarazione di apertura del dibattimento; pertanto, la riparazione, se correttamente adempiuta, incide latu sensu, sulla punibilità dell'imputato, sull'iter processuale e sul decisum, determinando una deflazione dell'intera fase dibattimentale, con conseguente provvedimento di estinzione del reato. Il giudice non è chiamato a pronunciarsi sul merito ma solo sull'idoneità della riparazione e sulla sussistenza dei requisiti per l'applicabilità della causa estintiva in esame. Altra finalità è quella rieducativa e, ovviamente, ristorativa». (MURRO).

Modalità di presentazione dell'istanza. Il dettato normativo non indica formalità particolari; esso, postula soltanto la sussistenza di una richiesta proveniente dall'imputato, in relazione alla sola istanza di ampliamento del termine (dunque, in presenza di un inadempimento non riferibile al soggetto). Si propende allora, da più parti, per l'opzione di ricomprendere l'istanza in argomento all'interno del vasto alveo delle ordinarie facoltà spettanti al difensore. Ciò porterebbe però a stabilire un forse incongruo parallelismo, fra tale richiesta e le altre facoltà di natura processuale riservate al difensore. Ossia, si finirebbero per equiparare l'istanza de qua (che apre la strada all'applicazione di una causa estintiva del reato) alle ulteriori ed ordinarie attività intrinsecamente connesse al mandato difensivo.

Nozione di integrale riparazione del danno. Laddove il dato testuale a una riparazione di tipo integrale dovesse intendersi come comprensivo del danno riguardato nelle angolazioni anche di tipo civilistico, allora la accessibilità all'istituto ne verrebbe ad essere compromessa davvero in profondità. Sarebbe infatti ben arduo per il giudice penale compiere una valutazione comprensiva di ogni tipologia di danno anche solo potenzialmente azionabile dinanzi al giudice civile. Una opzione più circoscritta – sebbene magari più aderente alla ratio della novella – porterebbe a limitare il danno qui rilevante a quello intimamente legato al fatto reato, ma non rappresenterebbe un argine rispetto alla successiva deducibilità degli ulteriori profili risarcitori in sede civilistica.

Concetto di non addebitabilità all'imputato dell'inadempimento risarcitorio. Posto infatti che la riparazione del danno derivante da reato deve realizzarsi disgiuntivamente mediante condotte di natura restitutoria o risarcitoria, rimane francamente incomprensibile in quali casi si possa verificare un inadempimento incolpevole rispetto all'obbligo risarcitorio. Non è infatti ben chiaro quale fattore impeditivo – che non sia immediatamente scaturente da una volontaria omissione dell'imputato – possa inibire il risarcimento del danno. La speranza che la norma conservi una sua tenuta logica, allora, impone di ricollegare tale previsione alla sussistenza di una quantificazione e liquidazione del danno che si presenti particolarmente farraginosa, lunga e complessa. Altra situazione atta a integrare un inadempimento non riconducibile all'imputato, per la verità, non pare agevolmente immaginabile.

Secondo la S.C., una dichiarazione rilasciata dalla P.O., la quale affermi di aver ottenuto dall'imputato un assegno – quale risarcimento del danno, oltre che per spese e onorario spettante al Difensore – e aggiunga di non avere altre pretese salvo buon fine del titolo di pagamento non è in grado di determinare l'effetto estintivo ex art. 162-ter c.p. Ciò in quanto qui l'attestazione circa la congruità del ristoro rimane condizionata al buon esito del titolo rilasciato dall'imputato per il risarcimento; circostanza questa, che rende non ancora perfezionata la condotta riparatoria e quindi insussistenti i presupposti pretesi dalla norma per l'operatività della causa estintiva (Cass. pen., Sez. V, n. 8182/2017).

Mancata previsione della disciplina da adottare in caso di decreto penale. Nonostante la previsione del termine perentorio costituito dalla dichiarazione di apertura del dibattimento, nulla è detto nel caso in cui si proceda mediante decreto penale di condanna. Condivisibilmente, pertanto, si è ritenuto che la norma ponga tale sbarramento, «lasciando aperta la possibilità di ricorrere all'istituto della riparazione estintiva con l'atto di opposizione (e in tal caso andrebbe integrata la disciplina degli avvisi di cui all'art. 460 lett. e) c.p.p.)» (MURRO, 3).

Carenza di coordinamento con altri istituti di carattere premiale ed ispirati ad una finalità deflattiva. In particolare, ci si riferisce alla non punibilità per tenuità del fatto e alla sospensione del procedimento per messa alla prova, oltre che alle già vigenti ipotesi di oblazione e ai riti alternativi.

Reiterabilità illimitata. La possibilità di beneficiare dell'accesso alla causa estintiva in commento in un numero non circoscritto di occasioni potrebbe nella pratica risultare latamente criminogena. Si lascia infatti la possibilità a ciascun soggetto di delinquere sostanzialmente in una moltitudine indifferenziata e non delimitata di casi; gli sarà poi sempre riservata l'opzione di riparare il danno prodotto ed estinguere il reato. Lo scrivente ha del resto in altra sede già sottolineato come – in altre occasioni – il Legislatore abbia istituito una disciplina ben più rigida, intendendo evidentemente evitare il rischio di creare una sorta di impunità potenziale e dunque limitando le possibilità di accesso all'iter estintivo. Sarà bastevole ricordare, ad esempio, la contravvenzione di guida sotto l'influenza di alcol, laddove è prevista l'estinzione mediante la prestazione del lavoro di pubblica utilità ai sensi dell'art. 54 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, ma è altresì stabilita la possibilità di sostituire in tal modo la pena comminata in una sola occasione (art. 186 comma 9-bis, d.lgs 30 aprile 1992, n. 285).

Mancata previsione della possibilità di rinuncia all'estinzione del reato. Certo l'assolvimento delle condotte riparatorie o restitutorie rappresenta un atteggiamento di inequivocabile significazione, potendo esso logicamente dimostrare un interesse del soggetto a fruire della causa estintiva; non si può però aprioristicamente escludere che – pur dopo aver tenuto un comportamento finalizzato alla riparazione – il soggetto conservi comunque un interesse ad ottenere una pronuncia assolutoria nel merito (unica pronuncia, del resto, che lo preserverebbe in futuro da ulteriori domande risarcitorie proposte in sede civilistica). Tale interesse – sebbene effettivamente molto residuale – viene ad essere eliso dalla mancata previsione, circa la facoltà di rinuncia.

Guida all'approfondimento

FARINI E TRINCI, Compendio di Diritto Penale (addenda 2017);

MESSINA, SPINNATO, Manuale breve – Diritto Penale, Milano, 2018;

MURRO, Condotte riparatorie: la Cassazione perde un'occasione per chiarire l'applicabilità dell'istituto in sede di legittimità, in ilPenalista.it, 16.3.2018;

MURRO, Riforma Orlando: condotte riparatorie per i reati a querela rimettibile, in Parola alla Difesa, 28.3.2017;

PERINI, Condotte riparatorie ed estinzione del reato ex art. 162 ter c.p.: deflazione senza restorative justice, in Diritto Penale e Processo, 2017, 10;

PULITANÒ, Sulle proposte di modifica al Codice Penale e all'Ordinamento Penitenziario, in Giurisprudenza Penale, 19.3.2017;

SPANGHER, Sulle proposte di modifica al Codice di Procedura Penale, in Giurisprudenza Penale, 19.3.2017.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario