Mancata divisione dell’eredità e configurabilità del reato di appropriazione indebita

Gianluca Bergamaschi
16 Ottobre 2018

È ravvisabile il reato di appropriazione indebita nel caso in cui le somme da dividere tra più eredi confluiscano interamente sul conto corrente di uno solo di loro, con bonifico disposto il giorno del decesso, e non si faccia seguito alla richiesta di restituzione degli altri eredi ma, altresì, colui che le ha ricevute le utilizzi come fosse l'unico proprietario?

È ravvisabile il reato di appropriazione indebita nel caso in cui le somme da dividere tra più eredi confluiscano interamente sul conto corrente di uno solo di loro, con bonifico disposto il giorno del decesso, e non si faccia seguito alla richiesta di restituzione degli altri eredi ma, altresì, colui che le ha ricevute le utilizzi come fosse l'unico proprietario?

La risposta al quesito dipende dal soggetto che ha ordinato il bonifico sul conto corrente di un solo degli eredi.

Possono configurarsi quattro possibili situazioni:

a) il bonifico venne disposto dal de cuius appena prima della sua morte ma ancora nel pieno possesso delle sue facoltà mentali, per favorire un erede pretermettendo tutti gli altri;

b) il bonifico venne disposto dal de cuius appena prima della sua morte e non nel pieno possesso delle sue facoltà mentali, nonché a ciò indotto dall'erede, o da terzi per favorire costui, approfittando del suo stato mentale;

c) il bonifico venne disposto dall'erede, o da terzi per favorire costui, non contitolari del c/c bancario del de cuius, ma, in qualche modo, abilitati ad operare su di esso, in genere attraverso una delega;

d) il bonifico venne disposto dall'erede, o da terzi per favorire costui, contitolari del c/c bancario del de cuius e con firma disgiunta, ossia abilitati ad operare separatamente.

Ora, nel caso sub a), non viene commesso alcun reato, giacché la condotta del defunto ben può rappresentare una donazione di bene mobile fungibile, cosicché l'erede preferito diviene immediatamente titolare della somma accreditatagli per effetto della confusione patrimoniale con gli altri suoi beni e ben può rifiutare qualsiasi restituzione; fatta salva la possibilità, per gli altri eredi, di attivare, in sede civile, la collazione ereditaria nei limiti ed alle condizioni di cui agli artt. 737 e ss. c.c.

Nel caso sub b), invece, non è configurabile un'appropriazione indebita, giacché l'agente non ha un legittimo possesso, in senso penalistico, dei beni interessati (e neppure una detenzione, altrimenti commetterebbe un furto), che restano in possesso del titolare del conto. Si può, tuttavia, ipotizzare la sussistenza del reato di circonvenzione di persone incapaci, ex art. 643 c.p., figura criminosa, per altro, procedibile d'ufficio e, dunque, denunziabile in ogni tempo.

Nell'ipotesi sub c) di contro, il reato di appropriazione indebita, ex art. 646 c.p., appare configurabile, ricorrendone verosimilmente tutti gli elementi costitutivi, ossia: la ingiustizia del profitto perseguito, in quanto mirante al conseguimento di un beneficio non dovuto e lesivo delle prerogative del de cuius, se l'operazione venne disposta appena prima della sua morte, e comunque degli altri eredi; la altruità della cosa, che appartiene al de cuius, se ancora in vita, ovvero, se defunto, alla massa ereditaria di cui sono contitolari tutti gli eredi; la appropriazione, giacché l'azione di un coerede che faccia suoi i beni comuni e che, per di più, si rifiuti di restituirli, rappresenta indubbiamente un comportamento uti dominus idoneo a determinare il fenomeno della interversione del possesso, ossia il mutamento unilaterale del titolo e la violazione delle ragioni originariamente giustificatrici delle stesso, in cui si sostanzia il reato; il possesso in senso penalistico, ossia una signoria autonoma sulla cosa, in capo all'agente, elemento che ben può individuarsi anche nella disponibilità giuridica, quale quella di chi abbia una delega per operare sul conto corrente.

Appena più complessa appare la situazione sub d), giacché, per potersi configurare l'appropriazione indebita del contitolare con firma disgiunta, occorre pure che il soggetto attivo abbia operato nella consapevolezza della morte del de cuius, diversamente non si avrebbe l'elemento soggettivo del dolo; in più deve avere appresso una somma superiore alla sua quota di contitolarità del conto, giacché i cointestatari di conto corrente sono considerati creditori/debitori in solido, ex art. 1854 c.c., la cui provvista, ex art. 1298, comma 2, c.c., si presume divisa in parti uguali, salvo prova contraria; cosicché, la possibilità di operare sul conto con firma disgiunta, ossia separatamente, non consente di disporre a proprio favore – senza il consenso, espresso o tacito, degli altri cointestatari – della somma depositata in misura eccedente la propria quota parte (Cass. pen., Sez. II penale, n. 17239/2006; Cass. pen., Sez. II, n. 38527/2011; Cass. pen., Sez. II, n. 45795/2012).

Ne consegue, quindi, che, nei casi sub c) e d), sarà possibile agire sia civilmente per la restituzione dell'indebito, sia penalmente con apposita querela entro tre mesi dal fatto o dalla sua conoscenza.

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