L'irregolarità contributiva è sempre grave e costituisce causa di esclusione automatica

16 Ottobre 2018

L'art. 80, comma 4, del D.lgs. n. 50 del 2016, anche nella versione antecedente alle modifiche introdotte dal c.d. correttivo - di cui al D.lgs n. 56 del 2017 - deve essere interpretato nel senso che l'irregolarità contributiva costituisce sempre causa di esclusione dalla gara.

La fattispecie. Il Comune di Milano indiceva una gara d'appalto per la gestione dei servizi di accoglienza di cittadini stranieri presenti sul territorio comunale. Al termine della procedura, in sede di controlli finalizzati alla stipula del contratto, la stazione appaltante accertava che l'impresa in un primo tempo risultata aggiudicataria versava, invero, in una situazione di irregolarità contributiva nei confronti dell'I.N.P.S. sicché, concluse le verifiche, annullava l'aggiudicazione già disposta in ossequio all'art. 80 comma 4 del codice dei contratti pubblici.

In sede di ricorso l'impresa esclusa invocava a proprio favore l'applicazione dell'art. 80, comma 4, del codice nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal c.d. decreto correttivo, vale a dire il D.Lvo n. 56/2017. Sul punto premetteva che mentre la versione attuale del citato articolo escludeva dalla partecipazione alle procedure d'appalto gli operatori che avevano commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, agli obblighi contributivi previdenziali, con la precisazione che costituiscono gravi violazioni “quelle ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva (DURC) di cui al decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 30 gennaio 2015, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 125 del 1° giugno 2015”, la versione originaria della norma, ratione temporis applicabile, rinviava viceversa solo quelle “di cui all'articolo 8 del decreto”, ossia a quelle caratterizzate da gravità assurgenti a veri e propri illeciti penali, meglio individuati nella tabella “Allegato A” al decreto stesso. Fattispecie queste ultime che non esaurivano, però, i fatti ostativi al rilascio del DURC, previsti in via generale dall'art. 3 dallo stesso decreto.

La ricorrente, in sostanza, sosteneva di essere stata illegittimamente esclusa perché solo i fatti di cui all'art. 8 del D.M. potevano assurgere a gravi violazioni contributive ostative alla partecipazione alle gare pubbliche, mentre le violazioni alle stesse contestate non rientravano fra queste ultime.

La soluzione. Premesso che, come statuito da pacifica e consolidata giurisprudenza, la regolarità contributiva deve sussistere non soltanto al momento della partecipazione, ma deve permanere per tutta la durata della gara, senza soluzione di continuità e senza che possa assumere rilevanza una eventuale regolarizzazione o sanatoria successiva (Cons. St., ad. pl., 25 maggio 2016, n. 10; Cons. St., sez. V, 5 giugno 2018, n. 3384), il T.A.R. ricorda innanzitutto che l'art. 38 dell'abrogato codice dei contratti pubblici (D.Lvo. n. 163/2006) escludeva dalla partecipazione alla gara i soggetti che avessero commesso violazioni gravi e definitivamente accertate alla norme in materia di contributi, con l'ulteriore precisazione che costituivano tali violazioni quelle ostative al rilascio del DURC, senza alcuna altra distinzione, tant'è che l'indirizzo interpretativo della giurisprudenza dominante connetteva l'esclusione ad ogni violazione impeditiva al rilascio del documento unico di regolarità contributiva.

Ciò detto, la soluzione esegetica indicata dal ricorrente non è quindi condivisa in quanto finirebbe per consentire la partecipazione alle gare agli operatori privi di DURC – pur essendo responsabili di violazioni contributive – soltanto perché le loro condotte comunque illecite non rientrano tra le più gravi ipotesi previste dall'art. 8 del DM del 2015: conclusione non solo illogica e paradossale, ma in evidente in evidente contrasto con la normativa europea di cui, in particolare, all'art. 57 comma 2 della direttiva 2014/24/UE, ove è prevista l'esclusione dell'operatore in caso di omesso pagamento di contributi previdenziali senza alcuna distinzione.

Il richiamo all'art. 8 del D.M. contenuto nell'originaria versione del codice deve quindi essere qualificato come errore materiale.

Nel senso da ultimo indicato, infatti, Consiglio di Stato, sez. V, 2 luglio 2018, n. 4039, per il quale il richiamo all'art. 8 è frutto di un mero refuso, privo perciò di portata normativa, sicché non esiste soluzione di continuità fra la disciplina attuale e quella originaria del codice in materia.

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