Adozione in casi particolari: è possibile anche in assenza di relazione di coppia?
24 Ottobre 2018
Massima
Risponde pienamente all'interesse preminente del minore il vedere riconosciuto nel nostro ordinamento, attraverso l'adozione in casi particolari, il vincolo filiale che lo lega alla cara amica della madre, la quale fin dalla nascita ha costituito per lui una figura genitoriale e con cui convive, anche affinché gli sia assicurata la tutela giuridica che a tale riconoscimento consegue. Il caso
Tizia, cittadina straniera, ha condiviso la responsabilità per la cura di suo figlio, fin dalla tenerissima età, con l'amica Caia, cittadina italiana, presso la cui abitazione si è stabilita assieme al bambino. È Caia a provvedere alle necessità materiali del minore, lo segue nella sua crescita psico-fisica, si rapporta con le istituzioni scolastiche. La madre è comunque un punto di riferimento affettivo fondamentale per il bambino, ma per motivi di lavoro e per raggiungere gli altri figli in Senegal non avrebbe potuto occuparsi da sola e continuativamente di suo figlio. Il bambino ha così sviluppato con Caia una relazione affettiva forte e sicura, tanto da considerarla una seconda mamma, e la relazione dei servizi sociali territoriali conferma che il bambino ha introiettato la positività della presenza nella sua vita delle due donne, come la coerenza educativa che insieme riescono a mantenere nella relazione con lui. Il Tribunale per i minorenni, adito da Caia perché pronunciasse l'adozione del minore ex art. 44, lett. d,) l. n. 184/1983, pur accertando che la ricorrente costituiva per il minore un punto di riferimento di assoluta rilevanza, che era di primaria importanza salvaguardare, rigettava la domanda ritenendo che la norma si applicasse solo ai casi di impossibilità di fatto di affidamento preadottivo, in relazione alle situazioni in cui il minore sia sostanzialmente privo di un contesto genitoriale idoneo a sostenere la sua crescita, ma inserito in un contesto di legami parentali o affettivi che, nel suo interesse, devono essere mantenuti. Sul gravame proposto dalla ricorrente pronuncia la sentenza in commento.
La questione
Può pronunciarsi l'adozione in casi particolari di un minore, per impossibilità di affidamento preadottivo ai sensi dell'art. 44, lett. d), l. n.184/1983, da parte della donna che conviva stabilmente con la madre validamente accudente, essendo sua amica ed in assenza di relazione di coppia tra le due? Le soluzioni giuridiche
L'adozione in casi particolari, di cui al titolo IV della l. n. 184/1983, era caratterizzata da spiccata residualità rispetto al prototipo dell'adozione piena, altrimenti detta legittimante o più propriamente parentale, di cui ai titoli precedenti, ma da tale carattere si è affrancata fino a diventare un prototipo alternativo, per effetto delle riforme adottate con l. 28 marzo 2001, n. 149 e soprattutto con l. 19 ottobre 2015, n. 173, che ne ha evidenziato l'attitudine alla tutela del diritto dei bambini alla continuità affettiva. Si differenzia, tuttavia, dall'adozione parentale in quanto non recide i rapporti con la famiglia di origine e non sostituisce al minore lo status di figlio legittimo degli adottanti, che nell'altro prototipo conseguono alla dichiarazione di adottabilità, fondata sull'accertamento dell'abbandono morale e materiale, e all'esito positivo dell'affidamento preadottivo. Il minore la cui adozione sia pronunciata ai sensi del Titolo IV conserva intatto lo statuto giuridico che lo lega alla propria famiglia, mentre non acquista legami di parentela con la famiglia dell'adottante; di conseguenza è estraneo alla successione dei parenti dell'adottante, in ragione dell'applicabilità dell'art. 304 c.c., che a propria volta rinvia all'art. 567 c.c. (in questo senso cfr. da ultimo Corte cost., 21 dicembre 2017, n. 272 e già Cass., 22 giugno 2016, n. 12962; contra Trib. min. Venezia 18 maggio 2018). La condizione di impossibilità di affidamento preadottivo era originariamente intesa in senso fattuale, con riferimento alla concreta difficoltà di inserire il minore già dichiarato adottabile, in ragione della sua disabilità, età, problematicità o patologia psico-fisica, in una famiglia avente i requisiti per l'adozione parentale, sostanzialmente omettendo di considerare che l'adozione in casi particolari è retta dalla clausola di apertura dell'art. 44 l. n. 184/1983, che ammette l'adozione di minorenni «anche quando non ricorrono» le condizioni di abbandono che legittimerebbero, ai sensi dell'art. 7, comma 1, la dichiarazione di adottabilità, e che, dunque, un primo punto fermo è l'esclusione della necessità di tale requisito. L'interpretazione più attenta alla ricordata evoluzione legislativa, e sostenuta dall'orientamento della Consulta (Corte cost., 7 ottobre 1999, n. 383), è stata offerta da Cass., 22 giugno 2016, n. 12962, in riferimento all'adozione coparentale in coppia omosessuale. Tale tesi intende l'art. 44, lett. d), l. n. 184/1983 quale clausola residuale in cui valutare tutte quelle condizioni, non sempre preventivabili, che nella realtà possono presentarsi e non possono farsi rientrare nelle ipotesi previste dalle lett. a), b) e c), e di conseguenza la normativa valorizza l'esclusione della necessità di dichiarazione di adottabilità per far spazio alla valutazione, ulteriore ai sensi dell'art. 57, l. n. 184/1983, dell'interesse del bambino ad ottenere, con lo status adottivo, l'instaurazione di vincoli giuridici significativi tra il minore e chi di lui di occupa. In questa ottica, la previsione si apprezza come «un'ulteriore “valvola” per i casi che non rientrano in quelli più specifici previsti dalle lettere» che precedono, nei quali, come ha insegnato la Consulta, è opportuno «favorire il consolidamento dei rapporti tra il minore ed i parenti o le persone che già si prendono cura di lui, prevedendo la possibilità di un'adozione, sia pure con effetti più limitati rispetto a quella “legittimante”, ma con presupposti necessariamente meno rigorosi di quest'ultima». L'interpretazione consente di comprendere altresì la ratio della previsione, risultante dal combinato disposto degli artt. 19, comma 1, 50 e 52, comma 5, l. n. 184/1983, per cui la responsabilità dei genitori biologici, il cui esercizio si sospende per effetto della dichiarazione di adottabilità, può riprendere in conseguenza della revoca dell'adozione in casi particolari o della cessazione dell'esercizio della responsabilità dell'adottante, se il Tribunale lo ritiene conveniente. Dato che l'adozione può essere pronunciata anche per impossibilità di diritto dell'affidamento preadottivo, la previsione conserva infatti ragionevolezza per le situazioni in cui difettava lo stato di abbandono, nelle quali o è sempre esistito un genitore validamente accudente, oppure, in ipotesi di semiabbandono, non sono mai venuti meno né l'attaccamento col figlio né una sua significativa presenza nella crescita del bambino, e nel corso del tempo l'adulto è riuscito a recuperare la piena capacità genitoriale, mentre sorte opposta ha avuto l'adottante. Rispetto a tali eventualità si spiega del pari la regola dettata dall'art. 46 l. n.184/1983, che richiede – come l'art. 297 c.c. per l'adozione di maggiorenni – l'assenso dei genitori del minore, di cui non si riesce invece a rintracciare giustificazione per i minori in stato di adottabilità, perché tale pronunzia «segna, appunto, l'interruzione dei rapporti coi genitori (sicché) non sembra opportuno chiedere il loro assenso» (L. Rossi Carleo, L'affidamento e le adozioni, in Tratt. dir. priv. Rescigno, Torino, 1986, 485). Il rifiuto può del resto essere superato se il Tribunale lo ritiene contrario all'interesse del minore all'adozione, ma non quando provenga dai «genitori esercenti la responsabilità», ai sensi del comma 2; l'obbligo di richiederlo finirebbe, dunque, solo per consentire ai genitori, destinatari di un provvedimento de potestate, «di rintracciare nuovamente il minore del quale si erano disinteressati, con grave turbamento per la eventuale riservatezza della nuova situazione, che sembrerebbe bene proteggere» (L. Rossi Carleo, op. loc. cit.). Nello stesso senso depone il rinvio, contenuto nell'art. 55, l. n.184/1983, all'art. 293 c.c., che esclude l'adozione dei propri figli, unanimemente riferito ai figli di genitori incestuosi perché solo per costoro avrebbe senso l'adozione in casi particolari, che costituirebbe loro uno status più ampio di quello altrimenti raggiungibile, allorquando sia stata rifiutata l'autorizzazione giudiziale al riconoscimento, ai sensi del novellato art. 279 c.c.. Sarebbe questa un'ulteriore ipotesi di impossibilità giuridica di affidamento, difettando lo stato di abbandono perché del minore si prende cura un parente o l'altro genitore il cui riconoscimento sia stato consentito, ipotesi nella quale cui l'adozione potrebbe teoricamente pronunciarsi ai sensi dell'art. 44, comma 1, lett. d), l. n. 184/1983. È dunque necessaria l'esplicita preclusione normativa per escluderla, e la disposizione esprime una presunzione legale assoluta di carenza di interesse del minore all'adozione da parte dell'altro genitore, che è in fondo la medesima accertata dal Tribunale che ha rifiutato l'autorizzazione al riconoscimento. In ogni caso, alla verifica dell'impossibilità di affidamento preadottivo, quale condizione per la pronuncia del titolo costitutivo di status, si aggiunge quella, ulteriore e imprescindibile, della corrispondenza della pronuncia – e del titolo dello stato che essa costituisce – al concreto interesse del minore, apprezzata attraverso l'indagine prescritta dall'art. 57 l. n. 184/1983. La pronuncia in commento conduce correttamente l'apprezzamento di tale interesse nella concreta condizione del minore, ricordando come il giudice di primo grado avesse accertato che la salvaguardia del legame tra il bambino e la ricorrente fosse, per il minore, “di primaria importanza”. Osservazioni
La decisione, aderendo alla più recente giurisprudenza di legittimità, conferma che l'impossibilità di diritto è condizione che si riempie di significato non solo riguardo alla domanda avanzata dal convivente del genitore omosessuale, che abbia condiviso il progetto procreativo grazie al quale è nato il minore, ma con riguardo a tutti i casi in cui un adulto costituisca, assieme al genitore o ai genitori legali, figura genitoriale di riferimento per il minore, sempreché la costituzione dello status filiationis nei suoi confronti costituisca realizzazione del concreto interesse del minore, anche sotto il profilo identitario, in dipendenza della disciplina del cognome. In questo senso evidenzia che il precedente di legittimità «ha offerto una interpretazione dell'art. 44, lett. d), l. n. 184/1983 di carattere generale e non funzionale alla concreta fattispecie all'esame, avendo - al contrario - la Corte di Cassazione precisato che la particolarità del caso non poteva avere alcun rilievo sull'interpretazione della disposizione normativa invocata». Ulteriori fattispecie di impossibilità giuridica di affidamento preadottivo sono rintracciate in dottrina rispetto alla mancata attivazione del pubblico ministero ovvero al caso in cui il minore ultraquattordicenne rifiuti il consenso all'adozione o all'affidamento. La pronuncia aderisce altresì implicitamente all'opinione secondo cui non osta alla pronuncia dell'adozione in casi particolari la previsione, di cui all'art. 48 l. n. 184/1983, che riferisce la titolarità e l'esercizio congiunto della responsabilità genitoriale esclusivamente al «minore adottato da due coniugi». La disposizione non costituisce infatti norma generale sull'attribuzione della responsabilità genitoriale in caso di adozione speciale, ma è relativa ai rapporti tra i coniugi e il minore solo ove il coniugio sia parte della fattispecie. |