La declaratoria di inammissibilità dell'appello. Considerazioni sulla costituzionalità dell'art. 591, comma 2, c.p.p.

Valeria Cannas
25 Ottobre 2018

La riforma Orlando è intervenuta sul sistema delle impugnazioni realizzando una vera e propria riscrittura della disposizione di cui all'art. 581 c.p.p., dedicata alla forma dell'impugnazione, incidendo significativamente sul sindacato di ammissibilità dell'appello; il Legislatore, tuttavia, ha trascurato uno degli aspetti più delicati, relativo alla procedura da seguire...
Abstract

La riforma Orlando è intervenuta sul sistema delle impugnazioni realizzando una vera e propria riscrittura della disposizione di cui all'art. 581 c.p.p., dedicata alla forma dell'impugnazione, incidendo significativamente sul sindacato di ammissibilità dell'appello; il Legislatore, tuttavia, ha trascurato uno degli aspetti più delicati, relativo alla procedura da seguire ai fini della eventuale dichiarazione di inammissibilità, generando una lacuna capace di pregiudicare diritti di rango costituzionale in ragione degli effetti che si producono in caso di accoglimento.

Il rinnovato art. 581 c.p.p.

Uno dei settori di intervento più ambiziosi e articolati della l. 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, di procedura penale e all'ordinamento penitenziario) è rappresentato dal sistema delle impugnazioni; in particolare, tra le modifiche più indicative, la riforma Orlando ha realizzato una vera e propria riscrittura della disposizione di cui all'art. 581 c.p.p., dedicata alla forma dell'impugnazione, incidendo significativamente sul sindacato di ammissibilità.

Le novità della disposizione de qua sono evidenti: il giudizio di valutazione sull'ammissibilità dell'impugnazione non è più ancorato al binomio presenza-assenza dei requisiti, ormai superato ma al più attuale specificità-aspecificità dei medesimi.

La precedente formulazione, com'è noto, esigeva l'indicazione specifica solo con riguardo alle ragioni di diritto e agli elementi di fatto a sostegno di ogni richiesta. Il rinnovato art. 581 c.p.p. estende il requisito della specificità oltre il perimetro dei motivi: l'enunciazione specifica, prevista a pena di inammissibilità, riguarda oggi anche i capi e i punti ai quali si riferisce l'impugnazione, le prove delle quali si deduce l'inesistenza, l'omessa assunzione o l'omessa o erronea valutazione, e le richieste, anche istruttorie. Così, un atto di impugnazione che non possiede quella specificità richiesta in relazione a tutti i requisiti necessari non costituisce valida forma di impugnazione e non può produrre gli effetti introduttivi del giudizio di grado successivo, conducendo, inevitabilmente, a una dichiarazione di inammissibilità.

La riforma Orlando, evidentemente, ha inteso incidere sul sindacato di ammissibilità nel senso di prevedere una valutazione più pregnante del requisito di specificità delle impugnazioni penali.

Una siffatta impostazione è chiaramente funzionale a una rigorosa definizione sia dell'oggetto del giudizio di controllo, sia dell'ambito dei poteri cognitivi e decisori attribuiti al giudice dell'impugnazione: la ratio, dunque, è quella di comprendere e circoscrivere ab initio il devolutum.

La declaratoria di inammissibilità nel giudizio di appello

Il Legislatore, intervenendo sui requisiti formali di ammissione dell'impugnazione, ha indubbiamente aggravato la posizione della parte impugnante, nella misura in cui esige un'ordinata e specifica redazione dell'atto impugnatorio.

Ciò che desta allarmismo, stando anche ai dati riscontrati dall'entrata in vigore della legge Orlando, è un'applicazione eccessivamente rigorosa del rinnovato disposto normativo; la prassi, infatti, registra un'interpretazione ispirata a un rigido e inutile formalismo, il quale, tra l'altro, si scontra con il prevalente orientamento giurisprudenziale in tema di inammissibilità, ancorato al principio del favor impugnationis. La valutazione del tasso di specificità delle prescrizioni indicate dall'art. 581 c.p.p., da cui dipende l'ammissibilità dell'atto, deve essere volta ad accertare la loro chiarezza e specificità in rapporto ai principi della domanda e della devoluzione: se è vero che le norme in materia di impugnazione sono ispirate a un articolato formalismo, nella implicita e necessaria prospettiva di delimitare nei suoi esatti confini il campo di indagine del giudice del gravame, la giurisprudenza ha chiarito che siffatto formalismo non deve essere inutilmente esasperato ogni qualvolta sia possibile la sicura individuazione dei vari elementi dell'atto dell'impugnazione, altrimenti mortificandosi il principio del favor impugnationis (Cass. pen., Sez. unite, 27 ottobre 2016, n. 8825).

Di fronte ad un simile accresciuto rigore in punto di inammissibilità, esasperato ulteriormente dalla rigidità imposta dai giudici dell'impugnazione, il Legislatore sarebbe dovuto intervenire sul tema della procedura della declaratoria di inammissibilità dell'appello.

Se, infatti, per il vaglio di ammissibilità del ricorso per cassazione è prevista espressamente la fissazione di un'udienza in camera di consiglio in cui è garantito un contraddittorio cartolare – a eccezione di determinate ipotesi tassativamente indicate dal nuovo comma 5-bis dell'art. 610 c.p.p., in cui la suprema Corte può dichiarare l'inammissibilità del ricorso senza formalità di procedura – la declaratoria di inammissibilità dell'appello non è certamente improntata al rispetto delle garanzie costituzionali.

Sotto il profilo procedurale, infatti, l'art. 591, comma 2, c.p.p., prevede che il giudice pronunci de plano l'ordinanza dichiarativa di inammissibilità, senza l'osservanza di particolari formalità, né l'obbligo di previa instaurazione di contraddittorio.

La giurisprudenza prevalente, sul punto, ha sempre avallato un simile modello processuale, escludendo qualsiasi interpretazione correttiva che consentisse il recupero del contraddittorio assimilabile alle forme di cui all'art. 127 c.p.p.; la Corte di cassazione, in particolare, ha sempre negato che tale prassi comportasse una violazione del diritto di difesa, garanzia comunque assicurata dalla previsione legislativa della impugnabilità del provvedimento dichiarativo dell'inammissibilità attraverso il ricorso per cassazione (ex plurimis, Cass. pen., Sez. III, 24 febbraio 2011, n. 16035)

È evidente che la previsione di un mero controllo successivo alla declaratoria di inammissibilità stride fortemente con l'ormai remota costituzionalizzazione del canone del contraddittorio: esso imporrebbe non un semplice recupero ex post delle garanzie difensive ma la necessità della previsione di un intervento dialettico prima dell'emissione della dichiarazione di inammissibilità.

L'art. 111, comma 2, Cost., infatti, impone solennemente la garanzia del contraddittorio per ogni procedimento, principale o incidentale, di merito o di legittimità, che abbia a oggetto qualsiasi accertamento rilevante, tanto ai fini del merito, quanto ai fini della procedibilità, e quindi anche per il rito avente ad oggetto il sindacato sull'ammissibilità dell'appello.

Sulla scorta di tali considerazioni, la giurisprudenza di legittimità ha dovuto necessariamente assumere una posizione in senso contrario rispetto al passato, sia in tema di inammissibilità dell'istanza di riesame del sequestro, sia in tema di inammissibilità dell'istanza di revisione. In relazione al primo aspetto, la Corte di cassazione, in diverse pronunce, ha affermato che la declaratoria di inammissibilità non può essere pronunciata de plano, in quanto tale modalità non assicura il rispetto del principio del contraddittorio. A giudizio della Corte, la tesi sostenuta dalla costante giurisprudenza di legittimità è ormai desueta e si impone una lettura costituzionalmente orientata della disposizione di cui all'art. 127, comma 9, c.p.p., in quanto vi è oggi una norma generale, quella di cui all'art. 111, comma 2, Cost., che stabilisce altrimenti – così come fa salvo l'art. 127, comma 9, c.p.p. – imponendo perentoriamente la garanzia del contraddittorio, anche laddove non sia espressamente prevista (Cass. pen., Sez. III, 25 novembre 2003, n. 2021; Cass. pen., Sez. IV, 1luglio 2009, n. 32966; Cass. pen., Sez. VI, 2 dicembre 2010, n. 14560; Cass. pen., Sez. II, 17 dicembre 2014, n. 4260; Cass. pen., Sez. III, 3 marzo 2015, n. 11690).

La riflessione che possiamo trarre dalle argomentazioni della suprema Corte è abbastanza palese e indiscutibile: se il Collegio ritiene che non si possa prescindere dall'istaurazione del previo contraddittorio per discutere circa l'inammissibilità dell'istanza di riesame del sequestro – propriamente definito quale procedimento incidentale – la stessa esigenza dovrebbe essere avvertita, a fortiori, nella declaratoria di inammissibilità dell'appello, strumento, per antonomasia, volto al conseguimento dell'obiettivo di una giustizia penale esente da errori ed in cui, trattandosi di procedimento principale, non si può escludere la garanzia del contraddittorio.

Non si può concepire, in definitiva, una tutela giurisdizionale dei diritti senza consentire l'efficace esercizio del contraddittorio, per ogni procedimento, principale o incidentale, di merito o di legittimità, e quindi anche per la declaratoria di inammissibilità dell'appello.

La medesima esigenza di assicurare il rispetto del principio in esame si è avvertita, infine, anche in tema di inammissibilità dell'istanza di revisione: le Sezioni unite – con la sentenza 20 aprile 2012, Dander – hanno affermato il principio il base al quale il parere del pubblico ministero sull'ammissibilità della richiesta di revisione presentata dalla parte privata, anche se acquisito irritualmente (in quanto non previsto), deve essere comunicato, a pena di nullità, al richiedente, ai fini della corretta instaurazione del contraddittorio.

In conclusione

Se già in passato, dunque, si è avvertita l'esigenza di prevedere il contraddittorio prima dell'emissione del provvedimento dichiarativo di inammissibilità, oggi, a seguito della rigidità sancita dalla riforma Orlando, si impone ancor di più un'interpretazione degli artt. 581 e 591 c.p.p. che ponga fine a una procedura che esclude qualsiasi spazio d'intervento alle parti.

È confortante, da un lato, constatare che la giurisprudenza di legittimità abbia avvertito la necessità di assicurare la massima espansione del canone del contraddittorio ma, dall'altro lato, è scoraggiante che il Legislatore, sulla scorta delle indicazioni fornite dalle Sezioni unite e delle pronunce di legittimità, non si sia adoperato al fine di concretizzare, nella procedura della declaratoria di inammissibilità dell'appello, l'effettiva garanzia del contraddittorio, principio enunciato a chiare lettere dall'art. 111 Cost.

In un contesto siffatto, contraddistinto da una chiara esigenza di razionalizzazione, quale è quello che ha ispirato l'intervento riformatore del Legislatore nell'ambito del sistema delle impugnazioni, non si pretende la previsione di un'udienza ad hoc con l'intervento delle parti: si potrebbe prospettare un contraddittorio quantomeno “cartolare”, caratterizzato da celerità, per consentire alle parti di interloquire sulla questione dell'ammissibilità dell'appello.

Tale soluzione appare difficilmente confutabile se si vuole attuare, nella pratica, il principio del contraddittorio, anche a costo di sacrificare le esigenze di semplificazione processuali. Non si possono trascurare le delicatissime attribuzioni assegnate alle impugnazioni, di controllo, di rimedio, di giudizio, di rinnovazione: l'auspicio è che il Legislatore, recependo i dettami della giurisprudenza di legittimità, inizi a considerarle come uno strumento di effettiva e concreta garanzia.

Guida all'approfondimento

BARILLÀ, Dubbi sulla costituzionalità del 591, co. 2 c.p.p. e giudizio devolutivo, in Archivio penale, 2013;

BELLUTA, La rinnovata disciplina della inammissibilità delle impugnazioni, in lalegislazionepenale.eu, 19/12/2017;

FONTI, L'inammissibilità degli atti processuali penali, 2008, 123 ss;

GIARDA-SPANGHER, Codice di procedura penale commentato, sub art. 591 c.p.p., 2017;

LABINI, La riforma Orlando e la specificità dei motivi di appello: prime riflessioni, in giurisprudenzapenale.com, 2018;

MARANDOLA, Impugnazioni, (a cura di) Spangher, in Trattato di procedura penale, 241;

PARDO-INGRAO (a cura di), La riforma delle impugnazioni penali (L. Orlando), Giuffrè, 2017.

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