Trasferimento immobiliare nella crisi familiare ed esercizio dell'azione revocatoria

Gabriele Mercanti
26 Ottobre 2018

La Suprema Corte si è pronunciata in merito alla natura giuridica dello strumento tecnico del trasferimento immobiliare effettuato in sede di separazione-divorzio al fine di stabilire se la sua innegabile specificità sia tale da escluderne l'assoggettabilità ad azioni revocatorie.
Massima

È ammissibile l'azione revocatoria ordinaria del trasferimento di un immobile, effettuato da un coniuge a favore dell'altro in ottemperanza a patti assunti in sede di separazione consensuale, poiché esso trae origine dalla libera determinazione del coniuge e diviene dovuto solo in conseguenza di un impegno assunto in costanza dell'esposizione debitoria nei confronti di un terzo creditore, sicché l'accordo separativo, in tal caso, costituisce esso stesso parte dell'operazione revocabile e non fonte di obbligo idoneo a giustificare l'applicazione dell'art. 2901, comma 3, c.c..

Il caso

In sede di separazione consensuale, risalente al 29 giugno 2000 (data rilevante - nell'economia del giudizio - ai fini della prova della c.d. scientia damni di cui all'art. 2901, n. 2, c.c.), il marito - nell'ottica della sistemazione dei rapporti familiari e, principalmente, di provvedere al mantenimento delle figlie - pattuiva con la moglie di venderle (e, quindi, a fronte di “normale” corrispettivo in denaro) la proprietà della quota indivisa di un mezzo di appartamento sito in Bologna; al suddetto impegno veniva dato seguito mediante atto notarile stipulato in data 16 agosto 2000, ma avendo il marito un'esposizione debitoria - la cui conoscenza in capo alla moglie è stata dall'istruttoria processuale collocata alla data del 15 giugno 2000 - il creditore esperiva azione revocatoria avverso il citato trasferimento, risultandone vittorioso tanto in primo grado avanti al Tribunale di Bologna quanto in secondo grado avanti alla Corte d'appello felsinea.

A fronte di quanto sopra la moglie, essendo in questa sede non conferenti la condotte processuali tanto del marito quanto del di lui creditore, ricorreva in Cassazione fondando le proprie doglianze su cinque motivi:

- con il primo, a sua volta articolato in due sottotematiche, asseriva che il Giudice d'appello non avesse debitamente considerato il carattere “dovuto” dell'atto incriminato (doverosità derivante sia dalla sua mera natura esecutiva di un pregresso accordo vincolante sia dalla sua concreta finalità di consentire al marito di saldare il debito da mantenimento maturato verso le figlie durante il periodo di abbandono della residenza familiare) e la totale assenza della c.d. scientia damni in capo alla moglie, la quale – a detta della ricorrente - sarebbe stata (perlomeno alla data del verbale di separazione) del tutto ignara delle vicissitudini finanziarie del marito;

- con il secondo, asseriva che il Giudice d'appello avesse omesso di considerare circostanze di fatto rilevanti quali: l'ignoranza in capo alla moglie della preesistenza circa l'esposizione debitoria del marito rispetto all'accordo di separazione e il ruolo rivestito dal debito da mantenimento già maturato dal padre verso le figlie;

- con il terzo, asseriva che il Giudice d'appello avesse erroneamente ritenuto sussistente il c.d. eventus damni, in quanto l'operazione de quo sarebbe stata – addirittura – vantaggiosa per il creditore posto che proprio con il ricavato della stessa il debitore avrebbe potuto con maggiore facilità onorare il proprio debito;

- con il quarto asseriva che il Giudice d'appello avesse erroneamente ritenuto assoggettabile al rimedio dell'azione revocatoria una tipologia di negozi che, in re ipsa, ne sarebbero stati - invece - esentati quale - appunto - «gli atti esecutivi di accordi tra coniugi in sede di separazione consensuale, aventi carattere solutorio/compensativo degli obblighi nascenti dal matrimonio»;

- con il quinto, asseriva che il Giudice d'appello avesse erroneamente rigettato - per mancanza di sufficiente collegamento con i fatti costitutivi della domanda attorea - la domanda (riconvenzionale e in via subordinata) promossa dalla moglie contro il marito avente a oggetto il risarcimento dei danni che ad ella sarebbero potuti derivare dall'eventuale accoglimento dell'azione revocatoria, ben potendosi – a detta della ricorrente – valutare detta domanda già in seno al giudizio revocatorio.

Posto che tutti e i cinque motivi sono stati reputati dal Supremo Collegio come manifestamente infondati, giusta la previsione del novellato art. 360, n.1), c.p.c. applicabile - ratione temporis anche al caso de quo - «quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l'esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l'orientamento della stessa», la reiezione del primo e del quarto motivo - trattati, vista la loro connessione, congiuntamente dall'Organo Giudicante - offre lo spunto alla Consulta per riaffermare alcuni principi (ormai da definirsi consolidati) che regolano il rapporto tra atti di trasferimento immobiliare in seno alla composizione della crisi familiare e tutela del ceto creditorio.

La questione

I punti nodali della questione all'esame della Corte sono, in ordine conseguenzialmente logico tra di loro, due:

- individuare l'effettiva natura giuridica dello strumento tecnico del trasferimento (immobiliare) effettuato in sede di separazione-divorzio, al fine di stabilire se la sua innegabile specificità sia tale da escluderne l'assoggettabilità ad azioni revocatorie (ordinarie o fallimentari che siano);

- stabilire se l'esperenda azione revocatoria soggiacia alle regole legalmente previste per la declaratoria di inefficacia (relativa) degli atti a titolo oneroso ovvero di quelli a titolo gratuito.

Le soluzioni giuridiche

Prima di entrare nel merito delle questioni sopra elencate, occorre brevemente premettere come - nonostante le sfumature interpretative delle quali si darà conto infra - sia consolidata la tesi per cui l'accordo di separazione-divorzio debba certo contenere un fulcro essenziale, dato dalla volontà di cessazione della coabitazione, ma che ben possa regolamentare anche in ordine ad elementi accidentali, quali ad esempio l'assegnazione della casa familiare, la determinazione delle modalità di mantenimento del coniuge, l'accordo sull'affidamento della prole ed, appunto, il trasferimento di diritti reali immobiliari (sul rapporto tra contenuto essenziale ed accidentale: Cass., sez. II, 26 luglio 2018, n. 19847; Cass., sez. I, 19 agosto 2015, n. 16909; Cass. n.4306/1997; in dottrina, ex multiis, G. Oberto, La natura dell'accordo di separazione consensuale e le regole contrattuali ad esso applicabili, in Fam. dir. 1999, 6, 601. Tale dicotomia è pienamente avallata dalla sentenza in commento - principalmente sulla base degli indici normativi desumibili dagli art. 711, comma 3 e 5, c.p.c. e art. 4, comma 16,l. 1 dicembre 1970, n. 898 - ove afferma che «”condizioni della separazione” non sono soltanto quelle “regole di condotta” destinate a scandire il ritmo delle reciproche relazioni per il periodo successivo alla separazione o al divorzio, ma anche tutte quelle pattuizioni alla cui conclusione i coniugi intendono comunque ancorare la loro disponibilità per una definizione consensuale della crisi coniugale; e, tra queste ultime, l'assetto, il più possibile definitivo, dei propri rapporti economici, con la liquidazione di tutte le “pendenze” ancora eventualmente in atto»).

Ecco che, allora, la tematica si sposta su un differente versante, e cioè quello di stabilire se la specifica operazione sia sussumibile, per utilizzare una tralatizia espressione, nella tipologia dei trasferimenti perfezionatisi “a causa della separazione” ovvero “in occasione della separazione”: i primi hanno un'effettiva connotazione causale intimamente connessa con la crisi della famiglia, della quale è dogmaticamente inevitabile che si debba tenere conto ai fini della loro globale interpretazione e qualificazione; i secondi, invece, sono ordinari meccanismi contrattuali in seno ai quali la crisi familiare è mero pretesto (rectius: motivo) della loro conclusione senza che, dunque, essa ne vada a permeare il substrato causale. Posto che lo scioglimento del nodo non può che trovare soluzione in seno al concetto di causa concreta (consistente negli «interessi perseguiti dalle parti con la specifica stipulazione negoziale», così tra le molte Cass., sez. III, 28 luglio 2017, n. 18781), deve ricordarsi come detto punto abbia storicamente avuto un notevole risvolto tributario dato che la totale esenzione fiscale concessa dall'art. 19 legge 6 marzo 1987 a «tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio» è stata dalla giurisprudenza riconosciuta non ai trasferimenti posti in essere “in occasione”, bensì esclusivamente a quelli conclusi “a causa” della separazione-divorzio (sulla rilevanza della causa concreta al fine di verificare la sussistenza del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, previsto dall'art. 11 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, proprio nel caso di trasferimento di un immobile a titolo di mantenimento a seguito di separazione, si veda Cass. pen., sez. III, 4 dicembre 2017, n. 32504; sulla limitata concessione del beneficio fiscale, Cass., sez. V, 3 dicembre 2001, n. 15231; sull'estensione del beneficio fiscale anche al caso di trasferimento a favore dei figli, Cass., sez. V, 28 giugno 2013, n. 16348; sulla permanenza dell'agevolazione anche successivamente all'entrata in vigore – avvenuta il 1 gennaio 2014 - del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, si veda il par. 9.2 della Circolare dell'Agenzia delle Entrate - Direzione Centrale Normativa in data 21 febbraio 2014 n. 2/E; in dottrina, più, diffusamente, P. Giunchi, Gli atti “relativi” ai procedimenti di separazione personale e di divorzio tra forma e imposizione fiscale, in Notariato, 2003, 278). È, quindi, propedeutica a qualsivoglia ragionamento, una prima indagine della concreta fattispecie volta a percepire l'effettivo ruolo rivestito dalla crisi familiare, non potendo l'interprete - chiaramente - essere vincolato dal “contenitore” prescelto dalle parti, quale il verbale di separazione consensuale ovvero la sentenza a seguito di domanda congiunta di divorzio (per il principio assodato dell'ermeneutica contrattuale - tale per cui il nomen iuris affibiato dalle parti non sia vincolante – si veda tra le molte, Cass. 20 novembre 2002, n. 16342).

Passando al primo punto sopra esposto (id est: la natura giuridica degli accordi in esame) deve darsi conto, in assenza di precise norme regolatrici, del florilegio di interpretazioni proposte, qui esclusivamente elencate - senza il debito supporto argomentativo - come segue:

- donazione (Cass. 12 giugno 1979, n. 3315, ancorchè si possa eccepire come in occasione della disgregazione familiare tutto possa essere rivenuto tranne l'animus donandi);

- transazione (Cass., sez. I, 5 settembre 2003, n. 12939; Cass., sez. I, 12 maggio 1994, n. 4647; Cass., sez. I, 15 marzo 1991, n. 2788, ancorchè si possa eccepire come detta ricostruzione confligga per il principio tipico dell'accordo familiare imperniato sulla regola del sic rebus stantibus);

- negozio di accertamento (V. Russo, Gli accordi determinativi di obblighi legali nel diritto di famiglia, in Le convenzioni matrimoniali e altri saggi sul nuovo diritto di famiglia, Giuffrè, 1983, 228);

- negozio (atipico) a causa familiare (Cass., sez. II, 23 dicembre 1988, n. 7044; Cass., 11 maggio 1984, n. 2887);

- contratto (gratuito ed atipico) con obbligazioni a carico del solo proponente (Cass., sez. II, 21 dicembre 1987, n. 9500);

- negozio avente funzione solutoria (Cass., sez. I, 12 aprile 2006, n. 8516; Cass., sez. I, 17 giugno 1992, n. 7470; Cass., sez. I, 23 marzo 2004, n. 5741, tesi a cui - seppur incidenter tantum e pur sempre in termini da valutarsi caso per caso - aderisce anche la pronuncia in commento).

Al riguardo la sentenza in commento - rifacendosi espressamente al precedente di cui a Cass. sez III, 14 marzo 2006, n. 5473 - (ri)afferma alcuni principi cardine e precisamente:

a) che è indispensabile, nell'approccio alla tematica de quo, rifuggire dalla classificazione basata sugli strumenti negoziali ordinari (su tutti donazione e vendita), in quanto «gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti attribuzioni patrimoniali da parte dell'uno nei confronti dell'altro e concernenti beni mobili o immobili non risultano collegati necessariamente alla presenza di uno specifico corrispettivo o di uno specifico riferimento ai tratti propri della “donazione”, e - tanto più per quanto può interessare ai fini di una eventuale loro assoggettabilità all'actio revocatoria di cui all'art. 2901 c.c. - rispondono, di norma, ad un più specifico e più proprio originario spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell'evento di "separazione consensuale"»;

b) che proprio da questa calibrazione sulla singola vicenda fattuale si debba valutare l'«eventuale ricorrenza - o meno - nel concreto, dei connotati di una sistemazione "solutorio-compensativa" più ampia e complessiva, di tutta quell'ampia serie di possibili rapporti (anche del tutto frammentari) aventi significati (o eventualmente solo riflessi) patrimoniali maturati nel corso della (spesso anche lunga) quotidiana convivenza matrimoniale»;

c) che non possono essere rinvenuti ostacoli alla revocabilità dell'atto «né nell'avvenuta omologazione dell'accordo di separazione, che lascia inalterata la natura negoziale della pattuizione; né nell'ipotetica inscindibilità di tale pattuizione dal complesso delle altre condizioni della separazione»;

d) che la funzione solutoria del trasferimento, peraltro - come detto sopra - non essenziale all'integrazione della fattispecie, non può essere tale da precludere al ceto creditorio di avvalersi dello strumento revocatorio «venendo nella specie in considerazione non già la sussistenza dell'obbligo in sè, di fonte legale, ma le concrete modalità del suo assolvimento»;

e) che nonostante la doverosità dell'obbligo di mantenimento, il trasferimento che ne costituisce attuazione «trae origine dalla libera determinazione del coniuge e diviene “dovuto” solo in conseguenza dell'impegno assunto in costanza dell'esposizione debitoria nei confronti di un terzo creditore, sicchè l'accordo separativo costituisce esso stesso parte dell'operazione revocabile e non fonte di obbligo idoneo a giustificare l'applicazione dell'art. 2901, comma 3, c.c.» (in forza del quale non è soggetto a revoca l'adempimento di un debito scaduto).

Attraverso la sinergia di dette argomentazioni, la Cassazione sgombra il campo, se mai ve ne fosse stata ancora l'esigenza (si vedano i precedenti conformi in calce citati), da qualsivoglia ostacolo all'assoggettamento - in linea di principio, ca va sans dire, ove ricorrano gli ulteriori presupposti di Legge - dell'atto di trasferimento in sede di separazione-divorzio allo strumento revocatorio.

Passando al secondo punto sopra esposto (id est: la natura gratuita o onerosa degli accordi in esame), occorre rilevare come l'aprioristica dicotomia gratuità (ossia mancanza di corrispettivo)/onerosità (ossia disposizione del diritto al mantenimento) sia affetta dal peccato originario di non tenere in debito conto come lo strumento dell'accordo in sede di separazione-divorzio sia caratterizzato da una duttilità della quale le parti ben possono usufruire in base alle esigenze della loro specifica situazione. Ben sarebbe, allora, più confacente applicare anche in subiecta materia le elaborazioni in tema di c.d. causa concreta del negozio: così, infatti, sia la giurisprudenza più recente (Trib. Roma, 7 gennaio 2016; Cass., sez. I, 10 aprile 2013, n. 8678; Cass., 14 marzo 2006, n. 5473; Cass., 23 marzo 2004, n. 5741; inverte, invece, il ragionamento Cass., sez. I, 30 novembre 2017, n. 28829, per cui l'operazione «va qualificata come atto a titolo gratuito ove non abbia la funzione di integrare o sostituire quanto dovuto per il mantenimento del coniuge o dei figli») sia la dottrina (D. Pecoriello, Causa del trasferimento immobiliare tra coniugi in esecuzione dell'accordo di separazione ed ammissibilità dell'azione revocatoria ordinaria, in Nuova Giur. Civ., 2008, 12, 1, 1474; S. Scuderi, I trasferimenti patrimoniali in occasione della separazione dei coniugi, in Fam. dir., 2016, 12, 1147; L. Vignudelli, Revocatoria dei trasferimenti immobiliari in sede di separazione consensuale, fra interessi dei familiari e interessi dei creditori, in Fam. dir., 2014, 4, 366; contra, A. Ferrari, La revocatoria di “donazione in occasione” e di “trasferimento a causa” di separazione consensuale tra coniugi, in Fam. dir., 2011, 4, 343, per il quale “è la definizione della crisi familiare che porta in sé l'onerosità in quanto rappresenta al tempo stesso un sacrificio ed un vantaggio per entrambi i coniugi”). Sul punto la pronuncia in commento ribadisce un approccio eclettico posto che, a detta dei giudici di legittimità, l'accordo di separazione-divorzio «svela, di norma, una sua “tipicità” propria la quale poi, volta a volta, può, ai fini della più particolare e differenziata disciplina di cui all'art. 2901 c.c., colorarsi dei tratti dell'obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della “gratuità”».

Osservazioni

La Corte di cassazione non si discosta da un ormai consolidato alveo interpretativo in seno al quale per dirimere la contrapposizione tra l'interesse del ceto creditorio da un lato e quello della stabilità degli assetti familiari dall'altro, debbano applicarsi gli ordinari criteri sistemici senza che, dunque, gli stessi possano essere scalfiti da una sorta di favor familiae di matrice costituzionale. Le conclusioni come sopra esposte, forse influenzate da una sempre maggiore (ed anomala) attenzione degli organi giudicanti avverso forme più o meno larvate di abuso degli strumenti negoziali, non paiono - tuttavia - scevre da criticità, in quanto aprioristicamente sbilanciate a favore del pur legittimo interesse creditorio: se, infatti, l'accordo di separazione-divorzio deve essere genuinamente interpretato alla luce del concetto di causa concreta, l'acritico suo assoggettamento all'azione revocatoria determina a parere di chi scrive - un fatale svilimento della funzione ermeneutica.

Guida all'approfondimento

P. Carbone, I trasferimenti immobiliari in occasione della separazione e del divorzio, in Notariato, 2005, 6, 622;

A. Figone, Separazione consensuale, trasferimento di beni ed azione revocatoria, in Fall., 1996, 8, 781;

R. Formisani, Gratuità dell'atto nella revocatoria fallimentare e separazione dei coniugi, in Giur. It., 2015, 2389;

G. Gigliotti, Accordi traslativi nella separazione coniugale ed azioni revocatorie, in Giur. It., 2007, 1941;

F. Mancini, Trasferimenti immobiliari tra coniugi in sede di separazione e di divorzio. Inquadramento sistematico, uso ed abuso, in Notariato, 2009, 6, 658;

M. Martino, Collegamento negoziale e pagamento traslativo nella revocatoria dei trasferimenti immobiliari realizzati tra coniugi in occasione della separazione consensuale, in Nuova Giur. Civ., 2007, 3, 1, 378.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario