Inabilitazione (procedimento di)

Fiammetta Lo Bianco
05 Novembre 2018

Il procedimento d'inabilitazione va inquadrato tra i procedimenti speciali di cognizione cd. non sommari in materia di capacità delle persone. Esso, al pari dei procedimenti in materia di status (quali ad esempio i procedimenti per separazione, divorzio e interdizione) partecipa dei caratteri propri del giudizio di cognizione ordinaria e se ne discosta per taluni elementi di specialità.

Inquadramento

IN FASE DI AGGIORNAMENTO AUTORALE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE 

Il procedimento d'inabilitazione va inquadrato tra i procedimenti speciali di cognizione cd. non sommari in materia di capacità delle persone. Esso, al pari dei procedimenti in materia di status (quali ad esempio i procedimenti per separazione, divorzio e interdizione) partecipa dei caratteri propri del giudizio di cognizione ordinaria e se ne discosta per taluni elementi di specialità.

Il carattere principale del procedimento di inabilitazione che porta a sostenere come lo stesso sia un procedimento di cognizione deve individuarsi nell'attitudine a dar luogo al giudicato. Ed infatti, al pari dei procedimenti per separazione e divorzio nonché per interdizione, si conclude con una sentenza di natura costitutiva – dello status di incapace (sub specie inabilitato) – assoggettata agli ordinari rimedi di impugnazione.

Si discosta dal giudizio di cognizione ordinaria negli aspetti più propriamente processuali, tra i quali, come si dirà, le modalità di introduzione, lo svolgimento dell'istruttoria, il temperamento del potere di impulso delle parti cui fa da contraltare un più ampio potere istruttorio devoluto al Giudice Istruttore, la revocabilità della misura.

Oggetto del giudizio di inabilitazione

Le peculiarità processuali che connotano il procedimento di inabilitazione si giustificano e si fondano sulla natura dell'oggetto sostanziale del giudizio, ovvero dell'interesse sotteso alla domanda di inabilitazione.

Esso non attiene a diritti soggettivi propriamente intesi ma alla modifica di uno status: il soggetto nei confronti del quale viene pronunciata l'inabilitazione vede modificato il proprio status giuridico da soggetto giuridicamente capace a soggetto inabilitato con le limitazioni di capacità stabilite dalla legge in relazione al grado di incapacità.

L'inabilitazione è, infatti, al pari dell'interdizione e dell'amministrazione di sostegno una misura di protezione dell'incapace.

Ai sensi dell'art. 415 c.c. l'inabilitazione può essere richiesta nei confronti del maggiorenne infermo di mente il cui stato non sia tanto grave da ricadere nelle condizioni che giustificherebbero l'interdizione.

Può essere inabilitato anche colui che, per prodigalità o per l'abituale abuso di sostanze psicotrope o etiliche, espone se stesso o la famiglia a gravi nocumenti economici.

Può essere, infine, inabilitato il sordo e il non vedente dalla nascita se non ha ricevuto un'educazione sufficiente e sempre che risulti del tutto incapace di provvedere ai propri interessi.

Come per l'interdizione, l'inabilitazione può pronunciarsi anche nell'ultimo anno della minore età, e ciò per evitare che il soggetto incapace possa trovarsi sfornito di tutela al raggiungimento della maggiore età, ovvero nel tempo necessario per la definizione del giudizio che lo riguarda.

La mera lettura della norma di cui all'art. 415 c.c. ci consente di affermare che l'ambito di applicazione dell'inabilitazione è più vasto di quello dell'interdizione, poiché comprende soggetti che possono non essere considerati veri e propri infermi di mente, quali, ad esempio, gli inabilitati per prodigalità o abuso di sostanze psicotrope o etiliche.

In presenza di una delle predette condizioni il soggetto può essere inabilitato.

Il giudice, cioè, valuterà in maniera discrezionale, l'opportunità del provvedimento (art.418, comma 2, c.c.), attività discrezionale che gli è preclusa in caso di interdizione, ove può, anche d'ufficio, dichiarare l'inabilitazione (art. 418, comma 1, c.c.).

Come si vede, se in materia di interdizione il principio della domanda opera in via del tutto residuale, in materia di inabilitazione esso torna ad operare, seppur il relativo potere di impulso è rimesso anche all'iniziativa del Pubblico Ministero.

Principio della domanda e potere ufficioso del Giudice convivono invece ove, sia nel processo di inabilitazione sia in quello di interdizione, emergano le condizioni per adottare la meno invasiva misura di protezione dell'amministrazione di sostegno (art. 418, comma 3, c.c.). In tali ipotesi, il giudice, d'ufficio o su istanza di parte, dispone la trasmissione degli atti al giudice tutelare (competente ex art. 404 c.c. per l'adozione del decreto di nomina dell'amministratore di sostegno).

Conseguenza dell'inabilitazione è la limitazione (e non la perdita) della capacità di agire. L'inabilitato è infatti parificato al minore emancipato (art. 424 c.c.) e rimane capace, per espressa volontà del legislatore, di continuare l'esercizio di una impresa commerciale, se autorizzato dal tribunale, su parere del giudice tutelare (art. 425 c.c.).

Al pari dei minori emancipati, l'inabilitato può compiere: da solo, atti che non eccedano l'ordinaria amministrazione; con l'assistenza del curatore, può riscuotere capitali purché li reimpieghi in modo adeguato e può stare in giudizio sia come attore sia come convenuto. Per tutti gli altri atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, occorre, oltre al consenso del curatore, l'autorizzazione del Giudice tutelare per gli atti di cui all'art. 374 c.c. e quella del Tribunale su parere del Giudice tutelare per gli atti di cui all'art. 375 c.c..

Trattasi della stessa disciplina applicabile agli atti di straordinaria amministrazione in materia di interdizione.

Nel caso in cui l'inabilitato compia atti in violazione delle predette norme circa le necessarie autorizzazioni, trova applicazione il disposto di cui all'art. 427, comma 2, c.c.: ovvero l'annullabilità dell'atto compiuto, su istanza dello stesso inabilitato, suoi eredi o aventi causa.

Infine, non pare superfluo dar conto dell'ormai consolidato orientamento secondo cui la scelta tra le diverse misure di protezione non deve dipendere dalla gravità dello stato patologico del soggetto incapace quanto essenzialmente dalla complessità delle attività che devono essere compiute per conto del beneficiario, o dalla maggiore o minore possibilità che il beneficiario possa nuocere a se stesso compiendo atti pregiudizievoli, e ciò anche considerate anche la gravità e la durata della malattia, ovvero la natura e la durata dell'impedimento (in questo senso, Cass. civ.,n. 22332/2011).

In tale prospettiva, deve ritenersi, conformemente alle indicazioni fornite dalla Suprema Corte e agli orientamenti invalsi nella giurisprudenza di merito, che il principio cardine della legge n. 6/2004, introduttiva della misura dell'amministrazione di sostegno, è nel senso dell'assoluta residualità degli istituti dell'interdizione ed inabilitazione.

In tal senso, quindi, potrà e dovrà farsi ricorso all'inabilitazione (o all'interdizione) esclusivamente quando l'amministrazione di sostegno si riveli non idonea a garantire la protezione della persona.

In evidenza

Nel giudizio di interdizione il giudice di merito, nel valutare se ricorrono le condizioni previste dall'art. 418 c.c. per la nomina di un amministratore di sostegno, rimettendo gli atti al giudice tutelare, deve considerare che, rispetto all'interdizione e all'inabilitazione, l'ambito di applicazione dell'amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma alle residue capacità e all'esperienza di vita dallo stesso maturate, anche attraverso gli studi scolastici e lo svolgimento dell'attività lavorativa (nella specie, si trattava di un'impiegata in ufficio con mansioni esecutive). Ne consegue che non si può impedire all'incapace, che ha dimostrato di essere in grado di provvedere in forma sufficiente alle proprie quotidiane ed ordinarie esigenze di vita, il compimento, con il supporto di un amministratore di sostegno, di atti di gestione ed amministrazione del patrimonio posseduto (anche se ingente), restando affidato al giudice tutelare il compito di conformare i poteri dell'amministratore e le limitazioni da imporre alla capacità del beneficiario in funzione delle esigenze di protezione della persona e di gestione dei suoi interessi patrimoniali, ricorrendo eventualmente all'ausilio di esperti e qualificati professionisti del settore (Cass. civ., sez. I, sent., n. 17962/2015).

Il procedimento: peculiarità

Sovrasta l'interesse contrapposto delle parti del giudizio di inabilitazione, l'interesse diffuso della collettività alla tutela degli infermi di mente.

Ciò spiega e giustifica le peculiarità, in rito, che governano il procedimento di inabilitazione, cui il legislatore ha dedicato il capo II del titolo II del Libro IV del codice di procedura civile (artt. 712 e ss. c.p.c.).

La forma dell'atto introduttivo del giudizio di inabilitazione è, come per tutti i procedimenti speciali, il ricorso, da depositarsi presso il Tribunale del luogo ove l'inabilitando ha la residenza o il domicilio.

Esso deve contenere, oltre ai fatti su cui si fonda la domanda (e, dunque, l'allegazione dell'incapacità), l'indicazione del nome, cognome e residenza del coniuge, dei parenti sino al IV grado e degli affini sino al II grado dell'inabilitando.

Competente a decidere è il Tribunale in composizione collegiale, stante la partecipazione necessaria del Pubblico Ministero, il quale viene immediatamente informato del ricorso attraverso la comunicazione che di esso ordina il Presidente del Tribunale (art. 713 c.p.c.). Avvisato il Pubblico Ministero, costui può chiedere al Presidente del Tribunale il rigetto de plano del ricorso; ove ciò non avvenga, il Presidente nomina il Giudice Istruttore e fissa l'udienza di comparizione del ricorrente e dell'inabilitando, oltre che delle persone indicate nel ricorso di cui ritiene utile l'audizione.

Gli adempimenti processuali della fase inziale del procedimento danno conto delle peculiarità dello stesso, avuto riguardo all'oggetto sostanziale del giudizio.

Depone in tal senso il coinvolgimento dei familiari dell'inabilitando i quali, oltre a doversi ritenere interessati (o controinteressati) al procedimento, sono ritenuti in grado di riferire all'autorità giudiziaria circostanze utili alla verifica ed accertamento dei presupposti, in fatto, per la chiesta inabilitazione.

Costoro, infatti, non sono tecnicamente né parti né tantomeno litisconsorti necessari, ma soggetti la cui audizione può fornire indicazioni utili al fine della decisione ovvero del prosieguo dell'istruttoria.

Conferma l'assunto l'orientamento invalso in materia di interdizione, ma pacificamente applicabile anche per le altre misure di protezione e, dunque, anche pe l'inabilitazione, secondo cui nel giudizio di interdizione parenti ed affini dell'interdicendo non hanno qualità e veste di parti in senso proprio, avendo essi un compito "consultivo" e cioè di fonti di utili informazioni al giudice. Di talché, escluso che detti parenti ed affini siano qualificabili come parti necessarie del procedimento, ne discende che, non intervenuti né chiamati in primo grado e facoltizzati ad impugnare la prima sentenza sol deducendo fatti ed informazioni indebitamente pretermesse per effetto della loro esclusione, certamente non sono ammessi a dedurre in sede di legittimità – e per la prima volta – pretesi vizi correlati alla ridetta esclusione (Cass. civ., sez. I, sent., n. 15346/2000).

a) Istruzione preliminare

Ancor prima dei familiari, la prima fonte di informazione va individuata nello stesso inabilitando, il cui esame deve obbligatoriamente espletarsi ancor prima di quello dei parenti a pena di nullità del procedimento (art. 714 c.p.c. e, quanto alla nullità, cfr. art. 419, comma 1, c.c.). L'irrinunciabilità dell'esame dell'inabilitando trova conferma nella previsione per la quale, ove lo stesso sia impossibilito (e tale impedimento, secondo prassi diffusa negli uffici giudiziari, deve risultare da idonea certificazione medica proveniente da struttura pubblica) a recarsi presso gli uffici del Tribunale, il Giudice ne dispone l'esame domiciliare.

Terminata la fase istruttoria preliminare mediante l'esame dell'inabilitando e l'assunzione di informazione da parte dei parenti, il Giudice Istruttore, può, ove lo ritenga necessario, provvedere, d'ufficio, all'assunzione di ulteriori informazioni, esercitando tutti i poteri ufficiosi di cui all'art. 419 c.c..

Tra tali poteri, particolare rilievo assume la nomina del consulente tecnico d'ufficio il quale coadiuvi il Giudice nell'accertamento della effettiva (in)capacità di intendere e di volere dell'inabilitando e nella scelta della misura di protezione più adeguata. Non è infatti infrequente che l'incarico al consulente tecnico contenga, in tali casi, oltre alla richiesta di parere in ordine alle capacità anche quella in ordine alla adeguatezza della misura di protezione richiesta (e ciò, a maggior ragione, come abbiamo visto, dopo l'entrata in vigore della legge istitutiva dell'amministrazione di sostegno come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità).

Proprio nell'ampio spettro dei poteri istruttori devoluti al giudice (peraltro deformalizzati con riguardo ai mezzi istruttori esperibili) si rinviene un'importante deviazione dal modello legale del giudizio ordinario di cognizione retto, per contro e per intero, dal potere di impulso delle parti e dal principio della domanda cui fa da sfondo quello dell'onere della prova.

b) Legittimazione attiva e parte pubblica

Altra evidente peculiarità, giustificata dal particolare interesse sotteso al giudizio di inabilitazione, va individuata nella cerchia dei soggetti attivamente legittimati a proporre la richiesta e nella partecipazione necessaria del Pubblico Ministero.

Ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 415 e 417 c.c., legittimati a richiedere l'inabilitazione sono lo stesso inabilitando, il coniuge, la persona stabilmente convivente, i parenti entro il IV grado, gli affini entro il II grado, i genitori esercenti la responsabilità genitoriale (ove l'istanza venga presentata nell'ultimo anno della minore età) e il Pubblico Ministero.

Quanto alla partecipazione di quest'ultimo, è opportuno chiarire che trattasi di una di quelle ipotesi in cui l'intervento della parte pubblica è obbligatorio con contestuale potere di legittimazione a promuovere l'azione (art. 69 c.p.c.).

Tuttavia, come chiarito dalla Suprema Corte, la nullità derivante dalla omessa partecipazione al giudizio si converte in motivo di gravame ai sensi degli artt. 158 e 161 c.p.c., che, tuttavia, può essere fatto valere solo dalla parte pubblica (a cui compete anche il corrispondente e specifico motivo di revocazione ex art. 397, n. 1, c.p.c.), dovendosi escludere che sussista una concorrente legittimazione delle altre parti (Cass. civ., sez. I, sent., n. 16361/2014).

Nel senso di mitigare le formalità circa l'intervento obbligatorio del Pubblico Ministero milita l'orientamento, pacifico, secondo cui, al fine dell'osservanza delle norme che prevedono l'intervento obbligatorio del P.M. nel processo civile è sufficiente che a quest'ultimo siano inviati gli atti del giudizio, ponendolo in condizione di intervenire, non sussistendo, in caso di omessa partecipazione, ulteriori oneri di comunicazione. (cfr. in questi termini, Cass. civ., sez. II, sent., n. 21065/2006).

Sulla scorta delle pronunce citate, deve ritenersi che, in sostanza, la comunicazione della pendenza del procedimento è sufficiente a ritenere rispettata l'obbligatorietà della partecipazione del pubblico ministero, rimettendosi a quest'ultimo la facoltà di partecipare concretamente al giudizio senza che da ciò possa derivare un qualche vizio in procedendo.

c) La dichiarazione di inabilitazione e i suoi effetti

Si è già detto come il provvedimento conclusivo del procedimento di inabilitazione sia la sentenza, di accoglimento o rigetto, emessa dal Tribunale in composizione collegiale (art. 50-bis c.p.c.).

In caso di accoglimento, il Tribunale dichiara l'inabilitazione e rimette gli atti al Giudice tutelare perché dichiari aperta la curatela e nomini il curatore.

Ove, tuttavia, si ravvisino particolari ragioni di urgenza, con la stessa sentenza il Tribunale può nominare un curatore provvisorio.

La limitazione della capacità di agire conseguente alla sentenza di inabilitazione non si verifica, come invece normalmente accade nel giudizio ordinario di cognizione, dal passaggio in giudicato della pronuncia, ma dalla sua pubblicazione.

E' evidente la ratio della previsione normativa d cui all'art. 421 c.c.: evitare vuoti di tutela al soggetto debole nelle more del passaggio in giudicato della sentenza ovvero della definizione degli eventuali gravami (appello o revoca).

L'impugnazione della sentenza di inabilitazione

La sentenza costitutiva dello stato di inabilitazione può essere impugnata con l'appello ordinario ovvero mediante istanza di revoca dello stato di inabilitato.

A proporre appello sono legittimati tutti coloro che sono legittimati a proporre la domanda e dal curatore nominato con la stessa sentenza. In deroga alle ordinarie regole circa la legittimazione all'impugnazione, nel procedimento di inabilitazione, la mancata partecipazione al giudizio di primo grado, non esclude la legittimazione a proporre impugnazione.

Tuttavia, il termine per l'appello decorre in ogni caso dalla notificazione della sentenza a coloro che abbiano partecipato al giudizio.

L'oggetto dell'appello è, al pari di quello del giudizio di primo grado, molto ampio, sicché è sempre possibile allegare fatti nuovi indipendentemente dall'epoca in cui si sono verificati (e dunque anche quando si siano verificati anteriormente al giudizio di primo grado).

In materia di protezione delle persone, dunque, il legislatore rinuncia al rigido sistema delle preclusioni, in favore della massima ampiezza dell'accertamento delle capacità delle persone. Del resto, come abbiamo già più volte sottolineato, il principio della domanda e dell'impulso di parte (che nel contenzioso ordinario trovano attuazione mediante il rigido sistema processuale delle preclusioni e decadenze) sono, nel giudizio di inabilitazione, fortemente mitigati, giacché in esso trova attuazione, oltre all'interesse dell'incapace, l'interesse della collettività alla tutela dei soggetti deboli.

Quanto alla revoca, dispone l'art. 720 c.p.c., che essa si svolge secondo le norme stabilite per la pronuncia di inabilitazione, con la precisazione che i soggetti legittimati a promuovere l'inabilitazione possono intervenire nel giudizio di revoca per opporsi alla domanda e possono altresì impugnare la sentenza pronunciata nel giudizio di revoca anche se non hanno partecipato al giudizio.

In sostanza, il Pubblico Ministero, l'inabilitato, il coniuge, il soggetto stabilmente convivente, i parenti entro il IV grado e gli affini entro il II grado, rimangono, anche nelle fasi di impugnazione, soggetti non solo legittimati a partecipare ma anche soggetti dotati di autonomi poteri di impulso.

Attraverso la revoca dell'inabilitazione si elimina il relativo status personale. Essa può essere proposta senza limiti di tempo.

Ed infatti, la dichiarazione di inabilitazione deve ritenersi soggetta alla clausola rebus sic stantibus: ciò significa che, ad ogni mutamento delle condizioni psico-fisiche dell'inabilitando idoneo ad esprimere il venir meno dell'incapacità sottesa alla dichiarazione di inabilitazione, è possibile, attraverso la revoca, eliminare lo status di incapace per adattarlo alla mutata capacità della persona fisica.

A differenza della sentenza di inabilitazione, la sentenza di revoca produce i suoi effetti solo quando passa in giudicato.

Quanto ai rapporti tra la revoca e l'appello, è pacifico l'orientamento per il quale la revoca è inammissibile finché pende l'appello ovvero i termini per proporlo; mentre è isolata in dottrina l'opinione secondo cui gli eventuali fatti sopravvenuti in pendenza del giudizio di primo grado o del termine per l'impugnazione debbano essere fatti valere con l'appello, lascando alla revoca l'esame dei fatti ulteriormente sopravvenuti.

Infine, ove l'inabilitando muoia nel corso del giudizio (in qualunque grado esso si trovi) viene meno il soggetto nei cui confronti è rivolta la tutela invocata in giudizio, sicché il tal caso il giudicante adotterà una sentenza con cui dichiarerà la cessazione della materia del contendere.

In evidenza

L'art. 10 della l. 9 gennaio 2004, n. 6 ha introdotto un ulteriore comma all'art. 429 c.c. all'evidente scopo di evitare che, in caso di revoca dell'inabilitazione perché di essa siano venuti meno i presupposti legittimanti, il soggetto debole che necessiti di una, seppur meno invasiva, misura di protezione, rimanga privo di tutela.

La norma citata infatti dispone che, ove nel corso del giudizio per la revoca dell'inabilitazione appare opportuno che, successivamente alla revoca, il soggetto sia assistito dall'amministratore di sostegno, il tribunale, d'ufficio o su istanza di parte, dispone la trasmissione degli atti al giudice tutelare.

Riferimenti
  • Mandrioli, Diritto processuale civile, XVIII edizione; Commentario breve al codice di procedura civile, ed. 2018, Padova;
  • Commentario breve al codice civile, ed. 2016, Padova.
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