L'illecito anticoncorrenziale consistente nell'acquisizione di informazioni riservate per manipolare la gara è causa di esclusione ex art. 38 vecchio Codice

Claudia Ciccolo
05 Novembre 2018

La sentenza in commento delinea il perimetro dell'onere motivazionale della stazione appaltante quanto agli esiti della valutazione della riconducibilità di una determinata condotta nella causa di esclusione di cui all'art. 38, comma 1, lett. f), in specie venendo in discussione la possibilità o meno di fondare il giudizio di sussistenza della causa di esclusione richiamando le risultanze degli accertamenti compiuti in un procedimento penale in corso.
Massima

La causa di esclusione prevista dall'art. 38, comma 1, lett. f), d. lgs. n. 163 del 2006 si fonda sulla necessità di garantire l'elemento fiduciario nei rapporti contrattuali della Pubblica Amministrazione fin dal momento genetico, con la conseguenza che la valutazione circa la sussumibilità della singola condotta nel grave errore professionale è esercizio di potere discrezionale, soggetto al controllo ed al sindacato giurisdizionale nei limiti della manifesta illogicità, irrazionalità o errore sui fatti.

Non è affetta da tali vizi la motivata decisione della stazione appaltante di considerare come condotta professionale gravemente scorretta, ai sensi dell'art 38, comma 1, lett. f), l'acquisizione (o anche solo il tentativo di acquisizione) di informazioni riservate relative a procedure di gara, in quanto comportamento volto ad acquisire illecitamente un vantaggio competitivo e, quindi, ad alterare il confronto concorrenziale.

Il caso

La vicenda posta all'attenzione del Supremo Consesso riguarda la procedura di gara indetta da Consip per l'affidamento di servizi integrati, gestionali ed operativi, da eseguirsi negli immobili, prevalentemente ad uso ufficio, delle Pubbliche Amministrazioni, soggetta alle previsioni del d.lgs. n. 163 del 2006.

Il Tar Lazio respingeva il ricorso proposto avverso l'esclusione comminata nei confronti di un rti concorrente, ai sensi dell'art. 38, c. 1, lett. f), d.lgs. n. 163 del 2006 per essere risultato, dagli atti di un procedimento penale in corso, che il socio di una delle società componenti il raggruppamento aveva corrisposto una somma di denaro ad un dipendente della stazione appaltante per ottenere in cambio informazioni riservate sulle gare d'interesse.

In particolare, venivano ritenuti infondati i motivi con cui l'RTI censurava, in termini di difetto di motivazione, il recepimento delle risultanze delle indagini preliminari, e, in termini di violazione di legge, l'erronea sussunzione dell'illecito anticoncorrenziale nel grave errore professionale di cui all'art. 38 lett. f).

In sede di appello il Consiglio di Stato ha confermato la decisione di primo grado.

La questione

La sentenza in commento delinea il perimetro dell'onere motivazionale della stazione appaltante quanto agli esiti della valutazione della riconducibilità di una determinata condotta nella causa di esclusione di cui all'art. 38, comma 1, lett. f), in specie venendo in discussione la possibilità o meno di fondare il giudizio di sussistenza della causa di esclusione richiamando le risultanze degli accertamenti compiuti in un procedimento penale in corso (ordinanza cautelare, verbale dell'incidente probatorio e degli interrogatori).

Il Consiglio di Stato passa, inoltre, in rassegna i diversi orientamenti giurisprudenziali in punto di interpretazione dell'art. 38 c. 1 lett. f) al fine di vagliare se alla causa di esclusione possa essere ricondotta, in termini di comportamento diretto a manipolare il processo decisionale della stazione appaltante, la condotta per la quale sono stati contestati in sede penale, ma non ancora definitivamente accertati, i reati di cui agli artt. 318, 319 e 321 c.p..

Le soluzioni giuridiche

Il Consiglio di Stato, premesso il carattere discrezionale della valutazione circa la sussistenza, nel caso che di volta in volta venga in rilievo, della causa di esclusione di cui alla lett. f) dell'art. 38, ne fa derivare, per un verso che, nel caso di fatti oggetto di verifica in sede penale, è necessario e sufficiente che l'Amministrazione dia adeguato conto: a) di aver effettuato una autonoma valutazione delle idonee fonti di prova; b) di aver considerato le emergenti circostanze di fatto in punto di pertinenza e rilevanza in ordine all'apprezzamento dell'integrità morale e dell'affidabilità professionale dell'operatore; e, sotto, concorrente profilo, che il sindacato del giudice amministrativo sulla motivazione dell'esclusione va rigorosamente mantenuto sul piano della verifica estrinseca della non pretestuosità della operata valutazione degli elementi di fatto, senza attingere, per ritenere concretato il vizio di eccesso di potere, la logica intrinseca di vera e propria condivisibilità della valutazione.

Nel caso di specie, il provvedimento di esclusione è ritenuto sufficientemente motivato e immune da vizi di manifesta irragionevolezza.

Quanto alla contestazione della legittimità della decisione della stazione appaltante di ricondurre alla causa di esclusione in parola, come regolata dal d.lgs. n. 163 del 2006, della condotta contestata in sede penale in ragione della sua qualificabilità come illecito anticoncorrenziale idoneo ad acclarare l'inaffidabilità dell'operatore che l'ha posta in essere, i Giudici di Palazzo Spada, confermando la decisione di primo grado, non rinvengono alcuna violazione della previsione di legge.

Viene, sul punto, condiviso l'orientamento giurisprudenziale che interpreta l'art. 38, comma 1, lett. f) estensivamente (ma, spiega il Consiglio di Stato, senza pervenire ad una applicazione analogica, e dunque nel rispetto del principio di tassatività) nel senso di ricomprendervi non solo le condotte caratterizzate da grave negligenza adempitiva, ma anche quelle ispirate a mala fede nella fase formativa del contratto in quanto parimenti, se non maiori causa, espressive di inaffidabilità morale del concorrente.

Tale lettura è ritenuta compatibile con la lettera della disposizione, sottolineandosi come la stessa non contempli solo il grave “errore professionale” ma anche, separatamente, la grave “negligenza e malafede”.

Il concetto di malafede, in specie, è da ritenersi riferito ai comportamenti complessivamente contrastanti con il canone generale di correttezza nella vita di relazione, che si qualifica in termini di moralità e professionalità per i soggetti che operino sul mercato concorrenziale delle gare per l'affidamento di contratti pubblici: e se il criterio della negligenza appare ontologicamente riferibile solo alla fase attuativa di pregresse vicende negoziali (nel senso dell'esecuzione delle prestazioni in modo non conforme alle previsioni contrattuali o alla regola d'arte), il richiamo ai principi di correttezza e buona fede impone l'estensione dell'apprezzamento della moralità professionale al complesso delle condotte che precedono e accompagnano l'accesso concorrenziale al mercato.

In questo quadro, l'acquisizione o anche solo il tentativo di acquisizione di informazioni riservate nell'ambito di gare pubbliche può essere qualificata (fermo l'onere motivazionale come sopra definito) come condotta professionale gravemente scorretta, in quanto oggettivamente idonea ad alterare una competizione concorsuale ed una programmata esecuzione negoziale che, deve, invece, fondarsi sulla correttezza ed integrità professionale dell'aspirante contraente, sulla genuina e non altrimenti condizionata qualità dell'offerta, sulla trasparenza nei rapporti con l'Amministrazione committente.

Infine, citando la recente pronuncia della Corte di Giustizia n. 178 del 20 dicembre 2017 e considerando il dato normativo secondo cui la stazione appaltante può dimostrare “con ogni mezzo di prova” la sussistenza di una significativa scorrettezza professionale, il Consiglio di Stato conclude che una decisione di tipo giurisdizionale (es. un'ordinanza cautelare nei confronti del socio persona fisica o applicativa di misura interdittiva nei confronti della società), pur non ancora definitiva, può fornire all'amministrazioneaggiudicatrice un mezzo di prova idoneo.

Osservazioni

Con la pronuncia in commento il Consiglio di Stato ribalta l'orientamento, fino ad oggi prevalente nella giurisprudenza della medesima V Sezione, secondo cui nella causa di esclusione di cui alla lett. f) dell'art. 38 non sarebbe riconducibile la condotta diretta ad alterare gli esiti della gara pubblica e, più in generale, le fattispecie relative non alla fase esecutiva del rapporto negoziale ma alla procedura prodromica all'affidamento.

Nell'ottica del superamento della tesi maggioritaria, i Giudici di appello svolgono un ragionamento teso a dimostrare come il legislatore nazionale abbia recepito l'art. 45 § 2 lett. d) dir. 2004/18/CE con un testo più articolato e comprensivo rispetto a quello della previsione comunitaria, tale da abbracciare sia le condotte di inadempimento contrattuale sia quelle improntate alla “malafede” nella fase del predetto confronto.

Prendendo le mosse dalla lettera della norma, dunque, se ne fornisce una interpretazione non manipolativa ma estensiva, ispirata alla ratio della stessa di tutelare l'integrità della procedura di appalto pubblico e, da ultimo, la par condicio, considerando, in applicazione di CG n. 178/17, che “la situazione di un'impresa offerente il cui amministratore abbia commesso un reato che incide sulla moralità professionale di tale impresa non può essere ritenuta equiparabile a quella di un'impresa offerente il cui amministratore non si sia reso colpevole di una siffatta condotta”.

In proposito, occorre rilevare come la tesi sostenuta nella pronuncia sia oggi assolutamente prevalente con riferimento all'art. 80, comma 5, lett. c) del d.lgs. n. 50 del 2016, in cui è utilizzata la più chiaramente onnicomprensiva dizione di “illecito professionale” declinato in una serie di ipotesi esemplificative (non tassative, Cons. St., sez. V, n. 1299/2018) tra cui il «tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante» (v. Cons. St., parere n. 2286/2016; Cons.St., sez. V, n. 5704/2017 e, con riferimento all'illecito anticoncorrenziale, Tar Lazio, sez. I, nn. 1119/2018 e 12640/2017).

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