L’esclusione dalla revocatoria non opera per i versamenti bancari non compensati da corrispondenti prelievi

19 Novembre 2018

L'esclusione ex lege da revocatoria fallimentare delle rimesse bancarie trova applicazione solo se i singoli versamenti si collocano nel contesto economico di un rapporto continuativo di dare/avere, del quale costituiscono “l'aspetto attivo” per la Banca, mentre non opera ove i versamenti “a rientro” siano unilaterali.
Massima

L'esclusione ex lege da revocatoria fallimentare delle rimesse bancarie trova applicazione solo se i singoli versamenti si collocano nel contesto economico di un rapporto continuativo di dare/avere, del quale costituiscono “l'aspetto attivo” per la Banca, mentre non opera ove i versamenti “a rientro” siano unilaterali.

Il caso

Una S.p.a. veniva dichiarata fallita in data 20.4.2015. Precedeva il fallimento l'iscrizione nel registro delle imprese di un concordato preventivo in data 5.11.13. Anteriormente alla procedura concorsuale, la S.p.a. apriva presso la Banca Alfa un conto corrente di corrispondenza assistito da fido sul quale veniva accordato un ulteriore finanziamento di € 300.000. A seguito dell'indebitamento della S.p.a. verso la Banca Alfa, venivano revocati gli affidamenti da quest'ultima concessi ed elaborato un piano di rientro in 18 mesi per il debito residuo. Inoltre, la Banca Alfa, al fine di ripianare la posizione debitoria della società S.p.a., provvedeva all'apertura di un nuovo conto corrente con affidamento di € 373.000, senza che sullo stesso fossero mai effettuati prelievi.

In tal modo, la passività del nuovo conto corrente altro non era che il debito pregresso e le rimesse altro non sarebbero state che adempimenti di un debito scaduto. Tuttavia, nel semestre antecedente l'iscrizione del concordato preventivo (c.d. periodo sospetto) venivano effettuati da parte della società S.p.a. singoli versamenti sul conto corrente per corrispondenza, avverso i quali veniva esercitata l'azione revocatoria ex art. 67 l.fall.. La Banca convenuta si difendeva in giudizio eccependo l'esercizio della suddetta azione verso operazioni bancarie che, secondo la tesi difensiva, consistevano in rimesse, come tali non revocabili ex art. 67, comma 3, l.fall.

La questione giuridica

La sentenza in esame affronta la problematica inerente all'ambito di applicazione dell'art. 67, comma 3, lett. b), l.fall. relativo all'esclusione delle c.d. “rimesse” dall'azione revocatoria fallimentare, nonché l'individuazione di quali operazioni bancarie rientrino nella nozione di “rimessa”. La norma in esame prevede l'esenzione da revocatoria delle “rimesse effettuate su un conto corrente bancario” con l'eccezione delle rimesse che “abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l'esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca" (articolo 67, comma 3, lettera b) l.fall.). Dunque, per poter considerare esente un'operazione bancaria dalla revocatoria fallimentare occorre, in primo luogo, chiarire quale significato assume il termine “rimessa” nel diritto fallimentare stante la sua mancata definizione da parte del legislatore. Nel diritto civile il termine “rimessa” lo si rinviene nella definizione di conto corrente ordinario, ex art. 1823 c.c., alla quale risulta essere strettamente collegata : “Il conto corrente è il contratto col quale le parti si obbligano ad annotare in un conto i crediti derivanti da reciproche rimesse, considerandoli inesigibili e indisponibili fino alla chiusura del conto”. Il contratto di conto corrente fa sorgere in capo ai soggetti interessati obblighi e rispettivi diritti, il cui contenuto specifico consiste nell'annotare in conto i crediti e le prestazioni reciproche stabilite dalle parti, ovverosia le c.d. “rimesse” per procedere alla liquidazione a termine fissato preventivamente o risultante dall'uso o dalla legge.

La fattispecie de qua soddisfa l'interesse di soggetti che, avendo svariati rapporti di debito e credito reciproci che si protraggono nel tempo, non procedono, ogni volta, al pagamento, ma regolano tali rapporti solo alla scadenza ed in base al saldo (attivo o passivo) che risulterà dalle compensazioni. Appare evidente dall'aggettivo “reciproche” che l'operatività del conto corrente si basa sul meccanismo della compensazione ex art. 1241 c.c., in base al quale “Quando due persone sono obbligate l'una verso l'altra, i due debiti si estinguono per le quantità corrispondenti”. Pertanto la legge esclude “dal conto corrente i crediti che non sono suscettibili di compensazione(art. 1824 c.c.). Dal combinato disposto dei suddetti articoli si deduce che per “rimessa”, in ambito civilistico, si intende qualsiasi rapporto giuridico che abbia come effetto quello di far sorgere un credito. Tale definizione è stata pienamente condivisa dalla dottrina maggioritaria (Cavalli, 2; Fiorentino, Conto corrente e contratti, 3, 5; Martorano, 659; Miccio, 162; Cfr. Cass. 2208/1966; A. Napoli 23.4.1956; T. Napoli 31.1.1980, 8.5.1974; Cavalli, Conto corrente, in EG, VIII, Roma, 1988, 2; Fiorentino, Conto corrente e contratti bancari, in Comm. Scialoja, Branca, sub artt. 1823-1860, Bologna-Roma, 1969, 1; Id., Conto corrente, in NN.D.I., IV, Torino, 1959; Martorano, Conto corrente, in ED, IX, Milano, 1961, 658; Miccio, Dei singoli contratti, in Comm. cod. civ., IV, 4, Torino, 1966, 160; Scozzafava, Grisi, Conto corrente ordinario, in Tratt. Rescigno, 12, IV, Torino, 1985, 741; Id., Conto corrente, in Digesto comm., IV, Torino, 1989, 1). Nell'ambito del diritto fallimentare, come già precedentemente affermato, non esiste una nozione di “rimessa”, tuttavia si rinvengono in dottrina due diverse e contrastanti accezioni del termine in questione, quale operazione neutra, oppure quale sinonimo di pagamento effettuato alla banca. La prima ipotesi (la più aderente alla dottrina civilistica) definisce la rimessa come “l'annotazione in conto di una somma a credito del correntista che assume rilievo in quanto produca la variazione del saldo del conto del cliente, intesa come determinazione in termini numerici della somma di cui il cliente può disporre in qualsiasi momento: la quantità del potere di disporre del cliente nei confronti della banca.” (Ferro, Luzzi, “Lezioni di diritto bancario”, Torino, 2004, 232 e ss. citato anche da Olivieri, “La revocatoria dei pagamenti”, cit., 529). Diversamente il secondo orientamento dottrinale, nonché corrente dominante in ambito fallimentare, intende per “rimessa” un'operazione di accreditamento sul conto corrente dell'imprenditore, in quanto solo l'accreditamento è atto suscettibile di realizzare una riduzione dell'esposizione debitoria, escludendo le operazioni tramite la quali la banca si paga i crediti vantati verso il correntista, considerate quali operazioni di addebitamento. In sostanza, secondo tale orientamento le “rimesse” non sono altro che versamenti in denaro effettuati dal correntista sul proprio conto corrente per pagamenti a terzi, oppure per sopperire il debito nei confronti della banca stessa (Oreste Cagnasso, Luciano Panzani, “Crisi di imprese e procedure concorsuali”, Tomo primo, Utet).

Da ultimo, si evidenzia come nel diritto bancario si definisce “rimessa” il trasferimento a qualsiasi titolo di merci o danaro mediante l'uso della cambiale o della divisa, di provvista di fondi e di passaggio di effetti tra la banca centrale e le filiali, o tra filiale e filiale. Da una lettura sistematica si deduce, nonché si conclude che il termine “rimessa” attualmente non trova un significato univoco, e pertanto le interpretazioni di tale nozione possono essere svariate.

La soluzione giuridica

Nel caso che ci occupa il curatore fallimentare (attore in giudizio) esercitava l'azione revocatoria in relazione a versamenti effettuati sul conto corrente di corrispondenza nel c.d. “semestre sospetto”, considerandoli quali pagamenti normali, e pertanto revocabili ex art. 67, comma 2, l.fall., il cui ambito di applicazione riguarda gli atti normali, ovverosia gli atti a titolo oneroso, i pagamenti di debiti scaduti e gli atti costitutivi di diritti di prelazione per debiti contestuali. Avverso l'esercizio di suddetta azione la Banca Alfa si difendeva ritenendo i versamenti in questione quali “rimesse”, nonché accreditamenti diretti a ripristinare il fido del correntista (aderendo all'orientamento fallimentare dominante), e pertanto esclusi dall'azione revocatoria fallimentare ex art.67, comma 3, lett. b), l.fall.. Diversamente il giudice, discostandosi da quanto sostenuto dalla difesa della Banca Alfa, ha escluso in radice l'operatività dalla revocatoria fallimentare per i versamenti effettuati dal correntista in quanto versamenti unilaterali non compensati da corrispondenti prelievi, e così facendo ha gettato le basi per un primo orientamento giurisprudenziale sull'interpretazione del termine “rimessa” quale operazione bancaria bidirezionale.

Dal ragionamento svolto dal giudicante si evince che i presupposti della decisione in merito all'interpretazione del termine “rimessa” si fondano sul fatto che, come già ampliamente argomentato, l'operatività del conto corrente è bilaterale, essendo le parti obbligate a compensare le prestazioni reciproche dalle stesse stabilite. Conseguentemente le “rimesse” sono operazioni bidirezionali consistenti in versamenti compensati da corrispondenti prelievi, le quali rilevano ai fini della revocatoria soltanto nel caso in cui abbiano consistentemente ridotto l'esposizione verso la banca. Nondimeno il giudice, preso atto della suddetta eccezione contenuta nella norma fallimentare, ha dedotto ulteriormente che nel caso di specie l'esposizione verso la Banca Alfa risultava ridotta di € 200.000 in meno di due anni, e pertanto anche volendo intendere per “rimessa” versamenti diretti a sopperire debiti pregressi, nella fattispecie in esame, essendosi realizzata un'esponenziale riduzione dell'indebitamento della Società S.p.a. verso la Banca Alfa, si rientrerebbe nell'eccezione di cui all'articolo de quo ed i versamenti risulterebbero comunque soggetti a revoca. Ogni dubbio sull'applicazione o meno dell'esenzione ex lege ai versamenti unilaterali si dissolve non solo per l'interpretazione concettuale del termine “rimessa”, bensì anche per l'interpretazione data dal giudice all'inciso: “non sono soggetti all'azione revocatoria …. b) le rimesse … purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l'esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca”. Nei motivi della decisione in disamina si legge: “La legge del resto “esclude l'esclusione” quando le rimesse (anche se effettive) abbiano consistentemente ridotto l'esposizione avverso la banca”. Secondo il giudice non si tratterebbe più di “rimessa” quando il versamento supera notevolmente il corrispondente prelievo tanto da non risultare più adeguatamente compensato. In tal modo l'operazione non risulta più essere bidirezionale (rimessa), bensì unidirezionale e come tale da venire in rilievo quale operazione avente natura di pagamento normale revocabile ex art. 67, comma 2, l.fall.. A tenore di detta articolata interpretazione normativa e concettuale il giudice ha escluso a priori l'operatività dell'art. 67, comma 3, lett. b), l.fall. : i versamenti effettuati dalla Società S.p.a. alla Banca Alfa consistono in operazioni bancarie unidirezionali costituenti soli pagamenti normali tali da non poter raffigurare un movimento bidirezionale del conto, e pertanto da non qualificarsi come “rimesse” soggette ad esclusione ex art. 67, comma 3, lett. b), l.fall..

Conclusioni

Occorre, dunque, concludere la disamina del percorso interpretativo offerto dal giudice richiamando l'art. 12 delle preleggi in materia di interpretazione della legge.

Spesso il linguaggio del legislatore non è chiaro, e pertanto diverse possono essere le soluzioni astrattamente possibili e legittime di una norma vaga. Nel caso di specie, il giudice ha superato l'ambiguità semantica dell'art. 67, comma 3, lett. b), l. fall. attraverso un'interpretazione restrittiva della norma: l'ambito di applicazione viene circoscritto a quella tipologia di versamenti bancari compensati da corrispondenti prelievi. Si osserva come l'esistenza nel nostro ordinamento giuridico di regole ermeneutiche che fissano criteri di interpretazione delle norme non è sufficiente ad eliminare la discrezionalità del giudice in ragione delle incertezze semantiche presenti nel linguaggio del legislatore.