Assegno divorzile e giudizio prognostico sulle aspettative sacrificate dal coniuge richiedente

19 Novembre 2018

Secondo la sentenza delle Sezioni Unite n. 18287/2018, l'assegno divorzile deve tendere a consentire un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, tenendo conto in particolare delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate. In base a quali presupposti è possibile formulare tale giudizio prognostico?
Massima

L'assegno divorzile deve tendere a consentire un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell'età del richiedente. Per formulare un giudizio sulle aspettative sacrificate rispetto alla situazione che si crea con il divorzio è dunque necessario cercare di comprendere, nelle singole fattispecie, quale avrebbe potuto essere il percorso di vita del coniuge richiedente l'assegno qualora non si fosse sposato e raffrontare la situazione che si sarebbe potuta creare in tal caso con quella determinata dal divorzio. In tale giudizio prognostico l'elemento da eliminare è il matrimonio e non il divorzio.

Il caso

Nell'ambito del giudizio di divorzio tra Tizio e Caia, Tizio chiedeva tra l'altro al Tribunale di riconoscere l'insussistenza dei presupposti in fatto e in diritto per il riconoscimento di un assegno di divorzio in favore della ex moglie. A tale scopo allegava che la stessa era dotata di un rilevante patrimonio immobiliare e mobiliare fruttifero nonché di rendite e di stabilità abitativa.

Caia si opponeva alla richiesta di Tizio e chiedeva al Tribunale di porre a carico dell'ex marito un assegno divorzile.

La questione

La questione in esame riguarda la concreta applicazione dei criteri di cui all'art. 5, comma 6, l. div. alla luce della recente pronuncia delle Sezioni Unite (Cass., S.U., n. 18287/2018) in tema di assegno divorzile.

Le soluzioni giuridiche

Come noto, l'istituto dell'assegno divorzile è da sempre al centro di un ampio dibattito, che si è riacceso all'indomani della nota sentenza Cass. 10 maggio 2017, n. 11504.

In estrema sintesi: la sentenza Cass., S.U., n. 11490/1990 aveva enunciato al riguardo tre principi fondamentali:

1) l'assegno di divorzio ha carattere esclusivamente assistenziale;

2) la norma va interpretata nel senso di considerare una scissione tra an (che va valutato con il parametro dell'inadeguatezza dei mezzi) e quantum (da valutare alla luce dei parametri indicati nella norma);

3) si intendono “inadeguati” quei mezzi che non consentono di mantenere, almeno in linea tendenziale, il tenore di vita matrimoniale.

La sopra richiamata sentenza Cass. n. 11504/2017 ha mantenuto fermi i primi due “pilastri”, ritenendo superato il riferimento al preesistente tenore di vita e valorizzando il cosiddetto principio di “autoresponsabilità” di ciascuno degli ex coniugi quali “persone singole”.

L'ultima sentenza delle Sezioni Unite Cass. n. 18287/2018 ha superato i primi due “pilastri” e, in estrema sintesi, ha stabilito che il Giudice deve valutare se il coniuge richiedente dispone di mezzi adeguati, e ciò deve fare alla luce degli altri parametri indicati dalla legge. Al riguardo, le Sezioni Unite hanno richiamato il principio di “autoresponsabilità” ma hanno precisato che la declinazione operata della sentenza Cass. n. 11504/2017 coglieva sì «un elemento di rilievo», ma ne trascurava altri, così da dover essere completamente ripensato. E così, l'adeguatezza oggi deve essere valutata in relazione ai sacrifici compiuti durante il matrimonio: chi ha compiuto detti sacrifici, facendo quindi affidamento sulla protezione che tale istituto garantisce, avrà diritto a un assegno, chi non ha compiuto sacrifici potrà avere diritto tuttalpiù agli alimenti. Si conferma in ogni caso che il tenore di vita dunque non deve essere più considerato quale parametro di riferimento, e in questo senso l'ultima sentenza non supera, ma integra la precedente.

Muovendo dall'ultima pronuncia citata, il Tribunale di Pavia ha appurato che l'ex coniuge richiedente l'assegno di divorzio aveva sacrificato le proprie aspirazioni professionali per seguire il marito nei suoi spostamenti lavorativi e si era quindi dedicata alla famiglia. Tuttavia, gli ex coniugi, in occasione della separazione, avevano suddiviso il comune patrimonio mobiliare e immobiliare «attraverso attribuzioni che tenevano conto dell'apporto dato dalla moglie alla carriera del marito, con corrispondente sacrificio della propria carriera professionale; parimenti gli impegni posti, nella separazione consensuale, a carico del marito hanno consentito alla moglie di accantonare risparmi e di effettuare acquisti immobiliari, con effetti che rimangono tuttora, nonostante lo scioglimento del vincolo». Il Collegio ha inoltre effettuato un giudizio prognostico sulle prospettive lavorative della ex moglie, qualora non si fosse sposata, concludendo che l'attività lavorativa che presumibilmente Caia avrebbe condotto in questo ultimo caso «non avrebbe consentito alla convenuta di giungere, al termine della vita lavorativa, a una situazione patrimoniale complessiva migliore di quella attuale».

Alla luce di quanto sopra il Tribunale ha ritenuto che non vi fosse tra le parti una disparità economica tale da legittimare la richiesta di assegno di divorzio. È peraltro significativa la decisione del Tribunale di compensare le spese di lite vista soprattutto «l'incertezza giurisprudenziale in merito all'assegno divorzile, emersa in modo molto significativo proprio durante il giudizio».

Osservazioni

L'elaborazione giurisprudenziale sulla norma relativa all'assegno di divorzio, che in sé è immutata da più di trent'anni, ha tenuto e tiene conto anche dei continui mutamenti sociali che hanno accompagnato gli istituti del matrimonio e del divorzio, basti pensare al principio di autoresponsabilità anche economica dei coniugi, che oggi non pare più discutibile, anche se ciò naturalmente – almeno secondo il testo attuale della legge – non potrà portare a considerare il matrimonio tamquam non esset dal punto di vista economico.

Sembra tuttavia che tale elaborazione non sia ancora pervenuta a un punto finale, né forse – per l'enorme varietà dei casi possibili e per le citate costanti modificazioni sociali – si potrà pervenire a tale risultato.

In ogni caso, i principi enunciati da ultimo dalle Sezioni Unite non paiono tali da consentire di ritenere superati tutti i problemi interpretativi sorti negli anni. Alcuni osservatori hanno infatti evidenziato come anche questa sentenza lasci aperti alcuni problemi, primo tra tutti la discrezionalità del Giudice che in questa sede, proprio per come dovrebbe essere applicata la norma, appare forse troppo marcata. Si pensi per esempio alla difficoltà di un giudizio prognostico sulle prospettive lavorative dell'ex coniuge richiedente l'assegno di divorzio quando per esempio siano trascorsi moltissimi anni dalla celebrazione del matrimonio alla sua dissoluzione.

In questo senso la lettura della sentenza in commento fa comprendere le difficoltà e i rischi della valutazione che oggi si richiede al Giudice: «[Caia], per consentire alla famiglia di rimanere unita, […] rinunciò alla prospettiva di lavorare come giornalista e seguì invece il marito, con i figli, nelle diverse città in cui egli si trasferì per lavoro. […] Il Tribunale ritiene, secondo comuni dati di esperienza, che un'occupazione quale giornalista non avrebbe consentito alla convenuta di giungere, al termine della vita lavorativa, a una situazione patrimoniale complessiva migliore di quella attuale. Invero, come si è visto, la convenuta si sposò subito dopo il termine degli studi e dunque non vi sono elementi precisi per dire come e con quali risultati avrebbe potuto realizzare le proprie ambizioni professionali: ne deriva che la valutazione ipotetica deve essere fatta secondo dati medi e notori e quindi considerando che, al di là delle grandi firme del giornalismo, per la stragrande maggioranza dei lavoratori del settore, soprattutto a causa della crisi che ormai si protrae da molti anni, i redditi e i corrispondenti trattamenti pensionistici non sono stati e non sono particolarmente elevati». Pare evidente che un ragionamento di questo tipo, agganciato a valori statistici “medi”, possa risultare eccessivamente tranchant e non rispettoso dei reali sacrifici compiuti dall'ex coniuge richiedente, sicché non si ritiene che questo criterio possa costituire un “sicuro approdo” della riflessione giurisprudenziale e dottrinale sul punto.

Inoltre, non va sottovalutato l'aspetto problematico della rigorosa istruttoria che oggi è necessaria per comprendere a pieno la misura e le conseguenze dei “sacrifici” compiuti dall'ex coniuge che avanza domanda di assegno di divorzio.

Si va determinando, di fondo, una generale mancanza di chiarezza che potrà essere superata solo da un intervento legislativo che valga a stabilire, organicamente, secondo criteri di buon senso e oggettivi, il quantum dell'assegno di divorzio che implichi per entrambe le parti il minor deterioramento possibile, sul piano economico, rispetto al passato.

Guida all'approfondimento

F. Danovi, Oneri probatori e strumenti di indagine: doveri delle parti e poteri del giudice, in Famiglia e Diritto, 2018, 11;

A. Simeone, L'assegno di divorzio dopo le Sezioni Unite n. 18287/2018, Giuffrè Francis Lefebvre, 2018;

A Simeone, Il nuovo assegno di divorzio dopo le Sezioni Unite: ritorno al futuro? in ilFamiliarista.it.

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