La consumazione del matrimonio come atto consapevole ai fini del c.d. divorzio diretto

21 Novembre 2018

Quando il matrimonio può dirsi consumato? In che misura rilevano l'elemento soggettivo (inteso come atto consapevole e volontario) dei coniugi e le modalità di esplicazione della libertà sessuale ai fini dell'inconsumazione del matrimonio, e quindi del divorzio c.d. diretto?
Massima

Nel divorzio diretto per inconsumazione il Giudice deve attribuire particolare importanza all'elemento soggettivo dei coniugi: la consumazione è esclusa quando vi sia stata violenza, costrizione, quando il rapporto sessuale abbia costituito niente più che l'adempimento del debitum coniugale come corollario di una sessualità che - anche all'interno del matrimonio – è atto di libera manifestazione della tensione affettiva e fisica verso il partner. Così interpretata la componente sessuale all'interno dell'unione matrimoniale, ne consegue il riconoscimento, ai fini della consumazione, anche delle variegate esplicazioni erotico-sessuali, ma nei limiti in cui non urtino contro la salute, la dignità, l'identità del coniuge.

Il caso

Tizio, ultraottantenne, chiedeva, a fronte dell'accertata l'inconsumazione, la pronuncia dello scioglimento del matrimonio contratto con una donna straniera molto più giovane, oltre all'assegnazione della casa solo formalmente intestata alla moglie ma acquistata con denaro da lui donato, il tutto previa revoca della donazione effettuata. Caia inizialmente si opponeva alla richiesta di divorzio diretto ritenendola infondata e chiedendo, oltre alla pronuncia di separazione, il riconoscimento di un assegno di mantenimento e il rigetto delle ulteriori domande inerenti l'immobile in contestazione; successivamente aderiva alla domanda di divorzio per inconsumazione e rinunciava al mantenimento. Il Tribunale, ritenendo provata ex art. 2729 c.c. la mancanza di rapporti sessuali completi durante il matrimonio, ne dichiarava lo scioglimento.

La questione

La sentenza in commento affronta una questione di particolare interesse: quando il matrimonio può dirsi consumato? In che misura rilevano l'elemento soggettivo (inteso come atto consapevole e volontario) dei coniugi e le modalità di esplicazione della libertà sessuale ai fini dell'inconsumazione del matrimonio, e quindi del divorzio cd. diretto?

Le soluzioni giuridiche

Il provvedimento del Tribunale di Milano inerisce l'inconsumazione del matrimonio quale causa di divorzio immediato, tema sul quale la giurisprudenza non è numerosa ma particolarmente significativa.

La maggior parte delle pronunce note affronta in particolare il tema dell'onere probatorio, poiché, comprensibilmente, dimostrare che il matrimonio non è stato consumato può essere estremamente difficile. La sentenza in oggetto, invece, pone l'accento su un diverso profilo, vale a dire la rilevanza dell'elemento soggettivo dei coniugi allorché il Giudice sia chiamato a stabilire se ci sia stata o meno la consumazione.

Com'è noto, ai sensi dell'art. 3, n. 2, lett. f), legge n. 898/1970, la non consumazione non incide sull'esistenza e validità giuridica del matrimonio, come atto e come rapporto, ma è causa di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, con la conseguenza che essa non tocca - di per sé e salvo il diritto, sussistendone i presupposti, di far valere la nullità del matrimonio – la sua validità e idoneità a produrre effetti sino al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, né incide sull'applicazione della normativa in tema di assegno di divorzio alla luce dell'art. 5 l. n. 898/1970 (si veda Cass. civ., 21 settembre 1998, n. 9442).

Il presupposto della consumazione è sorto nell'ambito del diritto canonico in quanto collegato alla nozione religiosa di matrimonio che dovrebbe essere finalizzato esclusivamente alla procreazione. In dottrina (A. Figone, Divorzio per mancata consumazione del matrimonio e regime probatorio, nota a App. Genova 15 marzo 2003 in Fam Dir., 3/2003, 236 ss.; G. Bonilini L'inconsumazione del matrimonio in AA VV Lo scioglimento del matrimonio – art. 149 e L. 1 dicembre 1970 n. 898 a cura di G. Bonilini e F. Tommaseo, Giuffrè, 1997, 223) si è evidenziato come la scelta del legislatore del 1970 di dare rilevanza all'inconsumazione anche in ambito civile sia stata dettata dall'esigenza di evitare disparità di trattamento tra coloro che optano per il matrimonio civile piuttosto che quello concordatario, quest'ultimo potendo essere dichiarato nullo con dispensa ecclesiastica super rato et non consumato (dispensa venuta meno con l'entrata in vigore della l. 25 marzo 1985, n. 121 di modifica del concordato lateranense).

Alla luce della giurisprudenza successiva può affermarsi che oggi l'inconsumazione quale causa di divorzio conserva rilevanza in quanto espressione della mancanza di comunione di vita tra i coniugi. Vale a dire che il Giudice civile deve comunque svolgere un'indagine sul fatto che la comunione non possa più essere mantenuta o ricostituita, a prescindere dal mero accertamento dell'inconsumazione.

Nel caso all'esame del Tribunale di Milano la comunione di vita non si era mai costituita: nel corso del brevissimo matrimonio (decorrono tre mesi dalla celebrazione al deposito del ricorso per divorzio), celebrato presso l'ospedale ove l'anziano marito era ricoverato, i coniugi non avevano mai convissuto, né era stata prestata dalla moglie alcuna assistenza al coniuge presso la casa di cura ove dimorava, essendosi assentata per tornare in Ucraina.

Il Giudice potrà comunque pronunciare il divorzio solo alla luce di un esauriente materiale probatorio che renda certa la mancata consumazione del matrimonio dopo la sua celebrazione. La circostanza dell'inconsumazione appalesa, come anzidetto, l'assenza di comunione di vita. Al di là degli inevitabili riferimenti al diritto canonico allorché si voglia interpretare il concetto di inconsumazione, è chiaro come non si possa prescindere dalla dimensione “sessuale”, intendendosi con essa la congiunzione carnale secondo natura, a prescindere dalle modalità dell'orgasmo e dell'eiaculazione (Trib. Vicenza 20 giugno 1972; Trib. Parma 11 aprile 1972; Trib. Napoli 16 luglio 1980): anche nel caso all'esame del Tribunale meneghino, emerge incontestato e adeguatamente provato mediante il ricorso a presunzioni gravi precise e concordanti (art. 2729 c.c.) che i coniugi non avevano avuto rapporti sessuali, sia intesi come congiungimento fisico completo con la moglie che come rapporto non completo, orale o di altro tipo.

L'inconsumazione quale causa di divorzio rileva poi a prescindere dai motivi che hanno indotto i coniugi ad astenersi dai rapporti sessuali e che potrebbero quindi essere riconducibili a uno solo di essi (ad es. colui che si sia allontanato da casa o abbia rifiutato di avere rapporti sessuali), al caso fortuito, al fatto di un terzo (ad es. una improvvisa malattia) ovvero alla scelta di entrambi gli sposi.

Vale la pena soffermarsi sulla prova dell'inconsumazione, che di per sé può essere assai complicata trattandosi di un fatto inerente la sfera privata delle persone. La mancata consumazione può essere provata con qualsiasi mezzo e, quindi, anche attraverso presunzioni purché dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza come disposto dall'art. 2729 c.c. (App. Genova 15 marzo 2003). Sono esclusi il giuramento e la confessione, mentre sono ammissibili la consulenza tecnica, l'interrogatorio formale delle parti e la prova testimoniale. Anche la testimonianza de relato ex parte actoris è stata ritenuta un mezzo che può concorrere a determinare il convincimento del giudice ove valutata in relazione a circostanze obiettive e soggettive o altre risultanze probatorie che ne suffraghino in contenuto (si veda Trib. Novara 27 gennaio 2009; Cass. civ. sez. I, n. 2815/2006). Sono stati ritenuti rilevanti, ad esempio, nel caso di contumacia della parte convenuta e quindi d'impossibilità di procedere a un accertamento effettivo, il comportamento processuale della controparte che con la sua reiterata assenza nei diversi gradi di giudizio dimostri disinteresse alla conservazione del matrimonio, ma anche il fatto che la religione professata dagli sposi imponesse loro, dopo il matrimonio, di astenersi per un periodo di tempo concordato da ogni rapporto sessuale (App. Torino 30 novembre 1984). Sarà agevole provare l'inconsumazione se la moglie è ancora vergine o il marito soffre di impotenza coeundi, bastando in tali casi la documentazione medica che attesti la circostanza, la quale, tuttavia, è condizione sufficiente per l'accertamento dell'inconsumazione ma non necessaria, evidentemente potendo verificarsi il caso in cui prima delle nozze i coniugi abbiano avuto rapporti sessuali tra loro o con terzi (il che sarebbe irrilevante ai fini del divorzio per inconsumazione). In questa ipotesi la prova sarà naturalmente più complessa specie se sorgono specifiche contestazioni.

Nel caso che si commenta, l'istruttoria aveva evidenziato un quadro indiziario tale da legittimare sia la mancanza della benché minima comunione materiale e spirituale tra gli sposi, che l'inconsumazione dopo le nozze, di per sé elemento comprovante anche la prima: il marito, durante il brevissimo matrimonio, era sempre stato degente in Ospedale o in casa di cura, in camere condivise con altri. I coniugi si erano incontrati occasionalmente tra un viaggio in Ucraina della moglie e l'altro, e il marito, di età assai avanzata, era stato allettato a lungo e sempre in critiche condizioni di salute, sicché, considerato il quadro generale, ritiene il Tribunale che debba escludersi che potesse avere un rapporto sessuale (completo, parziale o anche orale o di altro tipo) con la moglie.

Interessante è l'importanza attribuita nel caso di specie alla consapevolezza e alla volontarietà dell'atto con cui il matrimonio si consuma, secondo il presupposto che la sessualità sia un'espressione della libera manifestazione della tensione affettiva e fisica verso il partner. Così secondo i Giudici va interpretata la componente sessuale all'interno del matrimonio di guisa che v'è la mancata consumazione quando non sussistono le condizioni per compiere un atto sessuale consapevole e volontario, che sia esplicativo della propria libertà sessuale, la quale può manifestarsi con ogni modalità erotico sessuale che non urti contro la salute, la dignità, l'identità del coniuge.

Osservazioni

Nel caso di comprovata non consumazione del matrimonio, sussistono invero rimedi alternativi rispetto alla richiesta di cd. divorzio diretto.

In primis, la mancata consumazione assume rilievo assai significativo nell'ambito del diritto canonico, ove assurge a causa di nullità dell'atto; di talché, la pronuncia di nullità canonica, resa esecutiva all'interno dell'ordinamento civile, comporta in generale effetti molto diversi da quelli determinati dalla sentenza di divorzio, in particolare con riferimento ai rapporti economici tra le parti: producendo la sentenza di nullità i propri effetti ex tunc, ossia dal momento della celebrazione del matrimonio, divengono irrilevanti i rapporti tra le parti indipendentemente dalla durata del matrimonio, con intuibili riflessi sulla sussistenza del diritto all'assegno di mantenimento. La scelta per l'una o l'altra via dipende probabilmente, almeno in una significativa percentuale di casi, da ragioni più di coscienza che di vantaggio oggettivo.

Sempre in ambito civilistico, la mancata consumazione potrebbe essere ricondotta alla fattispecie dell'errore sulle qualità personali del coniuge ai fini della azione di simulazione, che rispetto allo scioglimento del vincolo presenta presupposti diversi oltre ad avere finalità opposte. Infatti, l'azione di simulazione mira a privare il negozio matrimoniale dei propri effetti ex tunc, mentre il cd. divorzio diretto recide gli effetti ex nunc in virtù della mancanza di comunione di vita. Tuttavia, gli stretti termini per l'impugnazione del matrimonio ex art. 123 c.c. potrebbero rendere indispensabile ricorrere al divorzio allorché si voglia far caducare l'efficacia del vincolo. Molto diversi sono gli effetti patrimoniali: la simulazione comporta la previsione dell'indennità ex art. 129 c.c., lo scioglimento del matrimonio implica, se sussistono i presupposti, il riconoscimento dell'assegno divorzile. Il punto è: allorché sia possibile il cumulo tra le due azioni, l'attore può scegliere quale rimedio esperire oppure la scelta è sindacabile dal Giudice nel caso in cui sia evidentemente ispirata dal più vantaggioso trattamento economico in caso di divorzio? In realtà la questione si poneva prima della svolta attuata dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 18287/2018. Allorché all'assegno era attribuita natura assistenziale, a poco rilevava il comportamento del coniuge che si ispirasse a motivi utilitaristici ai danni dell'altro. Oggi la natura composita dell'assegno divorzile comporta che il relativo diritto venga riconosciuto solo all'esito di una evidenza istruttoria circa l'incidenza delle scelte endofamiliari sulle rispettive situazioni economico professionali e l'impossibilità di superare l'eventuale disparità valorizzando la capacità lavorativa attuale e sempre tenuto conto della durata del matrimonio.

Sicché le maglie per il riconoscimento dell'assegno divorzile si sono fatte più stringenti e più rare saranno le ipotesi dell'instaurazione del vincolo coniugale al solo fine di conseguire il beneficio economico immanente nell'assegno.

Una considerazione conclusiva: l'istituto del divorzio per inconsumazione, tutto sommato, si pone in una posizione del tutto peculiare se non addirittura estranea rispetto al sistema del matrimonio civile, perché poggia su presupposti etici appartenenti al diritto canonico piuttosto che a quello civile. Non si comprende poi perché solo il profilo sessuale debba assumere rilevanza, mentre l'assenza di comunione di vita più prettamente spirituale non possa assurgere a ragione giustificatrice della richiesta di divorzio diretto. In sintesi, l'istituto pare oggi desueto, essendo sostanzialmente superata l'originaria motivazione che ne indusse introduzione, ossia la riconduzione a parità tra coloro che avevano contratto il matrimonio concordatario rispetto a coloro che avevano optato per il matrimonio civile, il quale prima dell'introduzione della legge n. 898/1970 non ammetteva lo scioglimento del matrimonio per inconsumazione.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.