Sergio Matteini Chiari
21 Novembre 2018

Nel codice di rito sono previste tre diverse specie di estromissione, quella del garantito, quella dell'obbligato e quella dell'alienante o del successore universale, disciplinate rispettivamente dall'art. 108, dall'art. 109 e dall'art. 111, comma 3.
Inquadramento

In giurisprudenza, il fenomeno dell'estromissione, in senso tecnico, viene ritenuto conseguenza dell'estraneità originaria o sopravvenuta di un soggetto rispetto al procedimento in cui si deduce un rapporto che interessa altre parti (Cass. civ., sez. III, 12 luglio 1965, n. 1447).

Nel codice di rito sono previste tre diverse specie di estromissione, quella del garantito, quella dell'obbligato e quella dell'alienante o del successore universale, disciplinate rispettivamente dall'art. 108, dall'art. 109 e dall'art. 111, comma 3.

Ai sensi dell'art. 108 c.p.c., qualora il garante comparisca ed accetti di assumere la causa in luogo del garantito, quest'ultimo può chiedere la propria estromissione dal giudizio.

Ai sensi dell'art. 109 c.p.c., qualora si contenda a quale di più parti spetta una prestazione e l'obbligato si dichiari pronto a eseguirla a favore di chi ne ha diritto, il giudice può ordinare il deposito della cosa o della somma dovuta e, dopo il deposito, può estromettere l'obbligato dal processo.

Ai sensi dell'art. 111 c.p.c., il successore a titolo particolare nel diritto controverso può intervenire o essere chiamato nel processo e, se le altre parti vi consentono, l'alienante o il successore universale possono esserne estromessi.

A) Estromissione del garantito (art. 108 c.p.c.)

Ai sensi dell'art. 108 c.p.c., qualora il garante comparisca ed accetti di assumere la causa in luogo del garantito, quest'ultimo (sempre che non intenda far valere, unitamente alla domanda di manleva, eventuale domanda di risarcimento) può chiedere di essere estromesso dal giudizio, il che può avvenire a condizione che le altre parti non si oppongano.

Si è a lungo dibattuto in ordine agli ambiti di operatività della disposizione citata, da un lato, secondo la dottrina e la giurisprudenza sino a tempi recenti dominanti, affermandosene l'applicabilità unicamente con riguardo alle fattispecie di garanzia «propria» (ipotesi che ricorre quando domanda principale e domanda di garanzia abbiano lo stesso titolo ovvero tra le stesse ricorra connessione per identità del petitum e della causa petendi oppure quando sia unico il fatto generatore della responsabilità prospettata con l'azione principale e con quella accessoria) e, dall'altro, affermandosene, invece, l'applicabilità anche alle fattispecie di garanzia «impropria» (ipotesi che ricorre allorché il chiamante – di regola, la parte convenuta – tenda a riversare su di un terzo le conseguenze del proprio inadempimento o comunque della lite in cui è coinvolto, in base ad un titolo diverso ed autonomo/indipendente da quello assunto a fondare la domanda principale, oppure in base ad un titolo connesso al rapporto principale solo in via occasionale o di fatto).

Con la sentenza 4 dicembre 2015, n. 24707, le Sezioni Unite della Corte Suprema di cassazione hanno messo fine ad ogni questione, affermando a chiare note che la qualificazione della garanzia come «propria» o «impropria» ha valore puramente descrittivo ed è priva di effetti ai fini dell'applicazione, fra gli altri (artt. 32 e 331), dell'art. 108 c.p.c..

Segue. Forme e modalità dell'estromissione del garantito

I presupposti per l'operatività dell'estromissione sono rappresentati dalla costituzione in giudizio del garante e dall'accettazione (motivata dall'esistenza di un rapporto di garanzia valido ed efficace con una delle parti della causa) da parte sua di assumere la causa in luogo del garantito.

L'estromissione del garantito è subordinata alla proposizione, da parte sua, di apposita istanza ed alla non opposizione delle altre parti (da identificare unicamente con la sua o le sue controparti originarie, non avendo il garante, ovviamente, alcuna ragione di opporsi) (Cass. civ., sez. III, 14 aprile 1981, n. 2236).

Stando alla lettera dell'art. 108 c.p.c., ai fini del diniego all'estromissione appare sufficiente la manifestazione di volontà contraria delle suddette altre parti a che ciò avvenga, anche se priva di motivazione.

Peraltro, in dottrina è decisamente prevalente l'opinione secondo cui il rifiuto o la contestazione debbano essere idoneamente motivati, in modo da consentire al giudice di compiere tutte le valutazioni occorrenti ai fini del decidere.

L'estromissione del garantito deve essere disposta con ordinanza del giudice procedente, con effetto ex nunc.

A seguito e per effetto dell'ordinanza, il garantito esce dalla causa ove rivestiva il ruolo di parte originaria o in cui era divenuto parte a seguito di intervento volontario o di chiamata in causa a norma degli artt. 106 o 107 c.p.c..

Segue. Effetti dell'estromissione

Secondo l'orientamento dominante in dottrina, a seguito dell'estromissione del garantito, il garante, parte in causa ad ogni effetto, viene a rivestire la qualità di sostituto processuale con legittimazione straordinaria atta a consentirgli di partecipare al processo in nome proprio per tutelare un diritto altrui, permanendo comunque in capo al soggetto sostituito la veste di parte in senso sostanziale, tanto che la sentenza (di merito) spiega piena efficacia anche nei suoi confronti, pur se pronunciata senza la sua partecipazione al giudizio.

Nella suddetta qualità, il garante è legittimato a compiere tutti gli atti che avrebbe potuto compiere il soggetto estromesso.

Quanto agli atti processuali che siano stati compiuti prima del provvedimento di estromissione, gli stessi debbono ritenersi conservare efficacia, dal momento che il provvedimento estromissivo ha efficacia ex nunc.

Peraltro, stante il principio generale in forza del quale deve escludersi che il garante non possa essere pregiudicato da attività processuali compiute dal garantito, è stata espressa opinione che, per ciò che in particolare attiene alla confessione ed al giuramento, che siano stati resa o prestato dal garantito prima della sua uscita dal processo, in applicazione analogica dei disposti (dettati avendo riguardo ai casi di litisconsorzio necessario) degli artt. 2733, comma 3, e 2738, comma 3, c.c., le risultanze di tali mezzi di prova debbano essere liberamente apprezzate dal giudice (Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2006, n. 1013; Cass. civ., sez. III, 6 dicembre 2005, n. 26686; Cass. civ., sez. III, 4 maggio 2004, n. 8458).

Le sentenze di merito emesse all'esito del giudizio spiegano i loro effetti anche «contro l'estromesso», il quale, se perde la qualità di parte in senso processuale, mantiene la qualità di parte in senso sostanziale.

Stando alla lettera dell'art. 108 c.p.c., la sentenza che dispiega efficacia nei confronti dell'estromesso è soltanto quella di merito, con esclusione, pertanto, delle pronunce in punto di rito e di quelle in sede di legittimità.

Segue. Tutela dell'estromesso nelle fasi di gravame

Nel codice di rito non si rinviene previsione di mezzi di tutela del garantito estromesso con riguardo alle sentenze che siano pregiudizievoli per i suoi diritti.

Secondo l'orientamento prevalente in dottrina, all'estromesso, che è parte in senso sostanziale, deve riconoscersi disponibilità dei mezzi di impugnazione ordinaria.

In giurisprudenza si è ammesso (Cass. civ., sez. III, 10 maggio 1972, n. 1415 – pronuncia risalente, ma mai contraddetta ed anzi confermata, per gli aspetti di principio, da Cass. civ., sez. I, 13 giugno 2003, n. 9500, relativa alla posizione di un interveniente estromesso) che la parte che sia stata estromessa dal processo con provvedimento del g.i., che sia stato tenuto fermo sia con la sentenza di primo che con quella di secondo grado, assume la posizione di terzo rispetto alla sentenza pronunziata nei confronti delle parti rimaste in causa ed è legittimato, qualora ne ricorrano gli altri presupposti, a proporre la domanda di opposizione di terzo ordinaria, prevista dall'art. 404, comma 1, c.p.c..

Si ritiene, inoltre, che nulla osti a che il soggetto estromesso sia legittimato a compiere intervento in giudizio, così riacquisendo la qualità di parte anche in senso processuale.

Segue. Ammissibilità di gravami nei confronti dell'estromesso

É stato ripetutamente affermato che, allorché il giudice di merito abbia pronunciato l'estromissione di una parte dal giudizio, al soccombente compete legittimazione a proporre impugnazione, oltre che nei riguardi dell'altra parte, anche contro la parte estromessa, peraltro a condizione che impugni la sentenza anche sul punto dichiarativo dell'estromissione. Qualora, invece, il soccombente non intenda proporre impugnazione sul punto dell'estromissione e accetti, quindi, l'uscita dal processo della parte estromessa, egli è tenuto soltanto a notificare l'atto di impugnazione, ai sensi dell'art. 332 c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 29 aprile 2015, n. 8693; Cass. civ., sez. III, 13 luglio 2007, n. 15734).

B) Successione a titolo particolare nel diritto controverso (art. 111 c.p.c.)

i) Ai sensi del primo e secondo comma dell'art. 111 c.p.c., se nel corso del processo si trasferisce il diritto controversoa titolo particolareper atto tra vivi o a causa di morte (vengono, in tal caso, in considerazione unicamente ipotesi di legati di diritti reali o di diritti di credito già esistenti in capo al de cuius), il processo prosegue tra le parti originarie o dal successore universale o nei suoi confronti.

Ai sensi del terzo comma della disposizione citata, il successore a titolo particolare può intervenire o essere chiamato nel processo e, se le altre parti vi consentono, l'alienante o il successore universale possono esserne estromessi.

Ai sensi, infine, del quarto comma della disposizione, la sentenza pronunciata contro questi due ultimi soggetti – il che può avvenire soltanto ove non siano stati precedentemente estromessi dal giudizio –, spiega sempre i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare, a prescindere dalla sua partecipazione al giudizio di riferimento ed è, comunque, impugnabile anche da lui, «salve le norme sull'acquisto in buona fede dei mobili e sulla trascrizione».

ii) É stato rilevato che il principio di cui all'art. 111, comma 1, c.p.c., secondo cui, se nel corso del processo si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie, non opera qualora tale diritto (ovvero una quota del bene che ne è oggetto) sia ceduto da una parte alla sua controparte, venendo a cessare, per confusione soggettiva tra attore e convenuto, la materia del contendere (anche solo relativamente alla quota ceduta), la quale, come condizione dell'azione, deve persistere fino al momento della decisione (Cass. civ., sez. VI, 15 maggio 2015, n. 10057).

Segue. Estromissione dell'alienante o del successore universale

Al successore a titolo particolare nel diritto controverso è data facoltà di spiegare intervento volontario nella causa pendente tra alienante o successore universale e terzi.

Laddove spieghi tale intervento, il successore assume nel processo una posizione che va a coincidere con quella del suo dante causa, divenendo titolare del diritto in contestazione.

Circa le forme dell'intervento, in assenza di qualsiasi specifica alcuna disposizione, nulla appare ostativo a che siano osservate quelle previste dall'art. 267 c.p.c..

L'intervento può assumere anche la forma dell'intervento coatto, ove una od entrambe le parti originarie propongano istanza di chiamata (Cass. civ., sez. II, 7 febbraio 2017, n. 3236; Cass. civ., sez. I, 31 ottobre 2016, n. 22035; Cass. civ., Sez. Un., 3 novembre 2011, n. 22727).

Infine, nulla sembra essere ostativo a che la chiamata possa effettuata anche d'ordine del giudice.

L'intervento e la chiamata possono essere fatti in qualsiasi momento.

A seguito dell'intervento o della chiamata, il successore diviene parte anche in senso processuale.

Il processo, in virtù del principio stabilito dall'art. 111, comma 1, c.p.c., continua (almeno sino al momento dell'estromissione del dante causa) tra le parti originarie: il dante causa mantiene la sua legittimazione attiva (ad causam) e conserva tale posizione anche nel caso di intervento del successore a titolo particolare, che ha legittimazione distinta e non sostitutiva, ma autonoma, derivantegli dal fatto che egli è l'effettivo titolare del diritto oggetto della controversia (ex multis, Cass. civ., sez. III, 22 gennaio 2015, n. 1200; Cass. civ., sez. I, 17 marzo 2009, n. 6444; Cass. civ., sez. I, 1 settembre 2006, n. 18937; Cass. civ. sez. I, 12 aprile 2006, n. 8515).

A seguito dell'intervento, si realizza un'ipotesi di litisconsorzio «quasi necessario o unitario» (litisconsorzio facoltativo quanto all'origine, che diviene necessario quanto alla prosecuzione laddove la pluralità di parti si realizzi, dovendo la decisione essere necessariamente unica per tutti i litisconsorti (v. Luiso, 314 ss.; in giurisprudenza, si vedano Cass. civ., sez. III, 28 luglio 2017, n. 18767; Cass. civ., sez. I, 11 maggio 2007, n. 10876; Cass. civ., sez. I, 1 settembre 2006, n. 18937).

Le cause tra controparte e dante causa e tra controparte e successore a titolo particolare non sono separabili, pena la possibile produzione di un contrasto di giudicati.

Resta sempre possibile l'estromissione del dante causa.

L'estromissione è possibile a condizione che vi sia il consenso delle altre parti.

Concorrendo tale condizione, l'estromissione è pronunciata con ordinanza.

Avvenuta l'estromissione, il processo si ripropone nella sua normalità, con due parti contrapposte, titolari del rapporto controverso.

Si ritiene che l'estromissione possa avvenire anche implicitamente.

Sul punto, peraltro, non vi è unanimità di opinioni.

ESTROMISSIONE PER IMPLICITO

Ammissibilità – É stato affermato che il giudizio di impugnazione svoltosi senza integrare il contraddittorio nei confronti dell'alienante del diritto controverso, ma con la partecipazione del successore a titolo particolare, è valido quando il primo, non impugnando la sentenza, abbia dimostrato il suo disinteresse al gravame e l'altra parte, senza formulare eccezioni al riguardo, abbia accettato il contraddittorio nei confronti del successore; configurandosi in tal modo, di fatto, l'estromissione prevista dall'art. 111, comma 3, c.p.c. e venendo meno, anche prima di una formale dichiarazione in tal senso, la qualità di litisconsorte necessario dell'«alienante».

Secondo una pronuncia, che si colloca nella serie secondo cui massima rilevanza deve essere data al principio di durata ragionevole del processo, qualora il cessionario del diritto controverso si sia costituito nel giudizio di appello ed in quello di legittimità (in tal caso proponendo ricorso avverso la sentenza che non aveva accolto la domanda), è da ritenere superflua, e va quindi evitata, al fine di garantire una maggiore celerità nella definizione del giudizio, la concessione di un termine per la notifica del ricorso per cassazione al cedente, ove quest'ultimo, pur non essendo stato estromesso dal giudizio di appello, non abbia a sua volta impugnato la decisione, e non sia stata proposta alcuna domanda nei suoi confronti.

Cass. civ., sez. I, ord. 26 gennaio 2018, n. 2048; Cass. civ., sez. II, 30 agosto 2017, n. 20533; Cass. civ., sez. III, 8 febbraio 2011, n. 3056; Cass. civ., sez. II, 17 maggio 2010, n. 12035; Cass. civ., sez. III, 7 aprile 2009, n. 8395; Cass. civ., sez. V, 14 maggio 2007, n. 10955

Cass. civ., sez. III, 7 aprile 2009, n. 8395

Inammissibilità – L'effetto dell'estromissione dell' «alienante» dal giudizio non si produce automaticamente in forza dell'intervento o della chiamata in causa del successore a titolo particolare, producendosi tale effetto unicamente con provvedimento giudiziale, concorrendone le relative condizioni (id est: il consenso delle altre parti).

Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 2010, n. 1535; Cass. civ., sez. I, 22 ottobre 2009, n. 22424; Cass. civ., sez. II, 24 agosto 2006, n. 18483

Segue. Effetti della sentenza

Sia che il processo sia proseguito tra le sole parti originarie, sia che al processo abbia partecipato anche il successore a titolo particolare, a seguito di intervento volontario o coatto, gli effetti della sentenza si dispiegano anche nei confronti di quest'ultimo, o soltanto nei confronti di quest'ultimo qualora anteriormente alla decisione sia avvenuta l'estromissione dal giudizio del suo dante causa.

Gli effetti che si dispiegano sono sia quelli di merito – il che avviene a prescindere dal fatto che il successore abbia partecipato al giudizio, essendo egli parte in senso sostanziale –, sia quelli di rito.

Peraltro, per ciò che attiene all'attribuzione dell'onere delle spese di lite, non è controverso che, laddove il successore a titolo particolare non abbia preso parte al giudizio di riferimento, tale onere non possa essergli ascritto.

Si è, infatti, affermato che la condanna alle spese può avere come destinatari solo le parti processuali, onde non ne può essere gravato il successore a t.p. che sia rimasto estraneo al giudizio di riferimento (Cass. civ., sez. I, 10 novembre 2015, n. 22955; Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 2014, n. 1633).

Segue. Fasi di gravame

Possono venire in considerazione varie situazioni processuali.

Qualora l' «alienante» non sia stato estromesso dal processo, il processo prosegue anche nelle fasi di gravame fra le parti originarie, permanendo la legittimazione del dante causa quale sostituto processuale del successore a titolo particolare e mantenendo quest'ultimo, qualora sia intervenuto, tale veste processuale.

In caso di contestuale partecipazione al giudizio di dante causa e successore si realizza, almeno di regola, litisconsorzio necessario, così che, se la sentenza è appellata da uno solo soltanto o contro uno soltanto dei medesimi, deve essere, ordinata l'integrazione del contraddittorio nei confronti dell'altro, a norma dell'art. 331 c.p.c., dovendosi, in mancanza, rilevare, anche d'ufficio, in sede di legittimità, il difetto di integrità del contraddittorio con rimessione della causa al giudice di merito per l'eliminazione del vizio (ex multis, Cass. civ., sez. I, ord. 15 giugno 2018, n. 15905; Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 2014, n. 1622; Cass. civ., sez. II, 24 aprile 2012, n. 6471; Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2010, n. 4486; Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 2010, n. 1535; Cass. civ., sez. II, 30 luglio 2004, n. 14509).

Qualora l'«alienante» sia stato estromesso dal processo, giusta il disposto dell'art. 111, comma 4, c.p.c., al successore a titolo particolare competono pieni poteri di impugnazione.

Da ultimo, deve essere posto in evidenza che è costante in giurisprudenza l'affermazione secondo cui il diritto del successore a titolo particolare nel diritto controverso ad impugnare la sentenza pronunciata nei confronti del suo dante causa è subordinato all'allegazione ed alla dimostrazione del titolo da cui deriva la legittimazione processuale (Cass. civ., sez. II, 2 luglio 2013, n. 16556; Cass. civ., sez. III, 4 luglio 2006, n. 15264; Cass. civ., sez. II, 27 febbraio 2002, n. 2889), venendo ritenuta a tal fine sufficiente la specifica indicazione di tale atto nell'intestazione dell'impugnazione, laddove il titolo sia di natura pubblica e di contenuto, quindi, accertabile ed esso sia rimasto incontestato (Cass. civ., sez. I, 17 luglio 2013, n. 17470).

C) Estromissione dell'obbligato

i) Ai sensi dell'art. 109 c.p.c., qualora si contenda (cd. lite tra pretendenti) a quale di più parti spetta una prestazione e l'obbligato si dichiari pronto a eseguirla a favore di chi ne ha diritto, il giudice può ordinare il deposito della cosa o della somma dovuta e, dopo il deposito, può estromettere l'obbligato dal processo.

Per l'estromissione devono concorrere due presupposti, da un lato la presenza nel processo di due o più soggetti che pretendono l'adempimento di un'obbligazione nei confronti di una medesima persona e dall'altro la manifestazione di volontà dell'obbligato di essere pronto ad adempierla in favore di chi risulterà averne diritto all'esito del giudizio ed il conseguente ordine del giudice di deposito della cosa o della somma dovuta.

L'estromissione trova ragione nella sopravvenuta, a seguito di quanto sopra, carenza di legitimatio ad causam in capo all'obbligato, avendo egli riconosciuto il proprio obbligo e non avendo più alcun interesse a partecipare al processo, che, da litisconsortile (tale sin dall'origine ex art. 103 c.p.c. o tale divenuto in corso di causa, a seguito di intervento, volontario o coatto, di un terzo pretendente), diverrà semplice, proseguendo unicamente tra i pretendenti.

ii) Nel codice civile si rinviene una sola fattispecie sussumibile nella previsione dell'art. 109 c.p.c..

Ai sensi dell'art. 1777 c.c., il depositario di una cosa è tenuto a restituirla al depositante o alla persona indicata per riceverla, senza poter esigere che il depositante provi di esserne proprietario e, qualora sia convenuto in giudizio da chi rivendica la proprietà della cosa o pretende di avere diritti su di essa, deve, sotto pena del risarcimento del danno, denunciare la controversia al depositante e può ottenere di essere estromesso dal giudizio indicando la persona del medesimo. In questo caso egli può anche liberarsi dall'obbligo di restituire la cosa, depositandola, nei modi stabiliti dal giudice, a spese del depositante.

In ordine alla riconducibilità dell'estromissione prevista dalla suddetta norma alla fattispecie di cui all'art. 109 c.p.c., si vedano Cass. civ., sez. III, 9 dicembre 2003, n. 18740 e Cass. civ., sez. III, 5 luglio 1969, n. 2488.

Segue. Forma e tempi del provvedimento di estromissione

i) L'art. 109 c.p.c. non detta alcunché in ordine alla forma del provvedimento di estromissione.

In proposito, vi è, in dottrina, difformità di opinioni, da un lato optandosi per la forma dell'ordinanza e dall'altro per la forma della sentenza.

In giurisprudenza, assai scarsa in argomento, si è optato per la prima delle suddette tesi (Cass. civ., sez. I, 7 febbraio 1974, n. 338).

Fra le varie correnti di pensiero appare decisamente preferibile quella secondo cui la forma del provvedimento dipende dalla situazione che si origina nel processo a seguito della manifestazione di volontà dell'obbligato, dovendosi propendere per l'ordinanza (che autorevole dottrina ritiene non impugnabile né revocabile – Consolo, 1245 ss.) ove i pretendenti non abbiano mosso contestazioni in ordine al sussistere dei presupposti per l'estromissione e dovendosi, invece, propendere per la sentenza in caso contrario.

ii) Non è controverso che l'estromissione possa essere disposta sia nel corso del giudizio di primo grado sia nel corso del giudizio di appello laddove i presupposti per l'estromissione si siano verificati in pendenza del gravame.

iii) La sentenza che pronuncia l'estromissione è soggetta a gravame ad opera della parte dissenziente (identificabile unicamente con uno dei pretendenti).

Laddove l'estromissione venisse ritenuta illegittima, si produrranno le conseguenze descritte nel successivo paragrafo intitolato «Estromissione illegittima», cui si fa rinvio.

Segue. Spese di lite nei casi di estromissione ex art. 1777 c.c.

Mediante il provvedimento di estromissione di cui all'art. 109 c.p.c. il giudice deve provvedere anche in ordine alle spese giudiziali.

In difetto di qualsiasi indicazione nella fonte normativa, sono state esposte, in dottrina, molteplici tesi, da un lato affermandosi che le spese dovrebbero restare a carico della parte che le ha anticipate, dall'altro che le spese dovrebbero onerare il soggetto estromesso, almeno nelle ipotesi in cui il giudice, su richiesta di una delle parti, abbia subordinato l'estromissione al pagamento delle stesse ad opera dell'obbligato.

Segue. Effetti della sentenza emessa nel giudizio tra i pretendenti

i) A seguito del provvedimento di estromissione l'obbligato perde la qualità di parte e il giudizio prosegue fra i pretendenti per stabilire chi sia l'avente diritto.

ii) Circa gli effetti della sentenza che conclude la lite tra i pretendenti, non vi è concordia in dottrina, conseguenzialmente alla diversità dei pensieri in ordine alla natura ed agli effetti del deposito della cosa o della somma dovuta da parte dell'obbligato.

Si contendono il campo due tesi, rispettivamente attributive a tale atto di natura liberatoria e di natura non liberatoria.

Secondo la prima tesi (v., per tutti, Consolo, 1248), il deposito determina la definitiva liberazione dell'obbligato, estinguendone il debito e nello stesso tempo facendo venir meno ogni suo diritto sulla cosa depositata.

Secondo l'altra tesi (v., per tutti, Luiso, 360), al deposito non può essere riconosciuto il significato di atto abdicativo dei diritti sulla cosa.

Le conseguenze sul piano processuale dell'accoglimento dell'una tesi o dell'altra sono le seguenti:

Nel primo caso (tesi liberatoria), la sentenza di merito produce effetti esclusivamente nei confronti dei pretendenti rimasti in causa giacché non contiene alcun accertamento circa la sussistenza dell'obbligo del soggetto estromesso; dovendo, pertanto, escludersi che l'obbligato estromesso, nonché non poter proporre impugnazioni ordinarie avverso la sentenza, possa successivamente agire contro la parte vittoriosa per chiedere la restituzione della cosa o della somma depositate.

Nel secondo caso (tesi non liberatoria), invece, l'obbligato, avendo mantenuto la qualità di parte in senso sostanziale, viene ritenuto destinatario degli effetti della sentenza di merito conclusiva del giudizio tra i pretendenti il cui oggetto è ravvisabile, oltre che nella titolarità attiva della prestazione, nell'accertamento dell'obbligo correlato a carico del debitore; il che dovrebbe comportare, l'ammissibilità dell'appello proposto dall'estromesso.

Problemi possono sorgere nei casi in cui il processo tra i pretendenti si concluda con l'estinzione o con una pronuncia di rito.

A parere di coloro che sostengono la tesi liberatoria, qualora i pretendenti siano consenzienti, la cosa o la somma vanno restituite al debitore e, in caso contrario (pretendenti non consenzienti), l'obbligato dovrà agire contro i medesimi «per ottenere un provvedimento che, accertato il loro obbligo a prestare il consenso al ritiro del bene, lo autorizzi a ricevere la res dal depositario, revocando così l'efficacia scaturita dal deposito anteriormente compiuto» (Consolo, op. cit.).

A parere di coloro che sostengono la tesi non liberatoria, nei casi in questione la cosa deve ritornare nella disponibilità dell'estromesso, e così anche nelle ipotesi il giudizio fra pretendenti si concluda con un non liquet, statuendosi, cioè, che la prestazione non spetta, per mancato assolvimento dell'onere probatorio, ad alcuno dei due pretendenti.

D) Estromissione illegittima

i) Le considerazioni che seguono sono valevoli per tutte le specie di estromissione precedentemente descritte.

ii) Nell'ipotesi in cui una parte sia stata erroneamente estromessa dal processo di primo grado, il giudice di appello, constatato tale vizio, deve rimettere la causa al primo giudice, ai sensi dell'art. 354, comma 1, c.p.c..

Peraltro, in giurisprudenza, è stato affermato che l'illegittima estromissione di una parte che, ai sensi dell'art. 354 c.p.c., impone la rimessione della causa dal giudice d'appello a quello di primo grado, deve ritenersi realizzata solo quando quest'ultimo abbia emesso una sentenza a contraddittorio non integro, per avere impedito ad una delle parti di parteciparvi (Cass. civ., sez. II, 22 luglio 2004, n. 13766; Cass. civ., sez. I, 22 settembre 1997, n. 9345).

Laddove, invece, l'estromissione dal giudizio di una delle parti convenute sia avvenuta per ritenuta carenza di legittimazione, si ritiene che si configuri, nonostante l'improprietà della formula adottata, una statuizione di rigetto della domanda nei suoi confronti, per difetto di una condizione dell'azione, conseguendone che il giudice di appello, che ritenga non corretta detta pronuncia, deve trattenere la causa e giudicare nel merito, non ricorrendo ipotesi di rimessione al primo giudice, ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c. (Cass. civ., sez. II, 22 luglio 2004, n. 13766).

Riferimenti
  • Consolo, Codice di procedura civile (artt. 108, 109), Assago 2013, 1239 ss. e 1245 ss.;
  • Luiso, Diritto processuale civile, Milano 2017, I,354 ss.;
  • Muroni, in Consolo, Codice di procedura civile (art. 111), Assago 2013, 1263 ss..
Sommario