L’equivoco tra giurista e medico legale in tema di parametrazione del danno biologico
27 Novembre 2018
La parametrazione tecnica medico-legale
È nozione comune per qualsiasi specialista medico-legale che la parametrazione dell'invalidità permanente biologica segue l'integrazione di parametri di riferimento tecnici contenuti nei cosiddetti Barèmes ove il presupposto valutativo è costituito esclusivamente e sostanzialmente da riferimenti di esclusiva disfunzionalità anatomica e/o psichica che integrano l'incidenza della menomazione accertata rispetto alle attività quotidiane comuni a tutti, con le uniche variabili connesse necessariamente all'età e sesso del danneggiato. Parametri tecnici che, in vero, non hanno subito alcuna modifica sostanziale allorché la valutazione della disfunzionalità anatomica e/o psichica passò – con l'avvento del danno biologico – dal concetto di danno alla capacità lavorativa generica a quello di invalidità permanente biologica, nonostante fosse mutato il presupposto valutativo dell'incidenza della menomazione: dalla ricaduta negativa sul “non fare reddituale” rispetto alla stima sul “non fare areddittuale”.
A prescindere da tale “iniziale peccato veniale”, quali specialisti medico legali, accertatori della componente base del danno, dobbiamo necessariamente prendere atto che l'errore “concettuale” espresso nel c.d. “decalogo SIMLA” del 2001 fu quello di inserire in una parametrazione di natura disfunzionale, ovvero la ricaduta negativa sul fare quotidiano del danneggiato, anche una proporzionale ed automatica ricaduta negativa sul sentire del soggetto, portatore di una determinata percentuale di invalidità permanente (i c.d. aspetti dinamico relazionali), senza che la Ns. valutazione consentisse di differenziare, rispetto alla invalidità quantificata, quali fossero effettivamente le conseguenze medie della menomazione sul comune “sentire” di ogni danneggiato che non sempre possono coincidere con la “ realtà del danno non patrimoniale” quale appare dalla sola invalidità permanente biologica.
In altri termini il ricomprendere i comuni “aspetti dinamico relazionali” nel concetto di inabilità ed invalidità permanente biologica è un sostanziale “errore interpretativo tecnico”, non avendo tali parametri alcuna valenza probatoria automatica sul sentire del soggetto che ha patito una documentata lesione e che nella sua quotidianità convive con un'accertata menomazione. Ricomprendere gli “aspetti dinamico relazionali” nella componente di inabilità temporanea ed invalidità permanente biologica (parametri che incidono esclusivamente sul “non fare” del danneggiato) ha un significato solo nel senso di valutare gli “impedimenti” o difficoltà del danneggiato nel partecipare al contesto sociale, famigliare o relazionale (quindi un “non fare dinamico relazionale), ma non può in sé ricomprendere la sofferenza del soggetto per il “non poter fare come prima” in conseguenza del mutamento peggiorativo della propria integrità psicofisica né tantomeno la sofferenza del danneggiato nel sentirsi “svalutato” né tantomeno la percezione intrinseca della componente di dolore nocicettivo (ove questo sussista). La sofferenza intima connessa al vissuto della lesione ed alla convivenza con la menomazione è una componente sempre presente nel danno alla persona accertabile dallo specialista medico legale: componente distinta da quella connessa ad altre condizioni “esistenziali” o conseguente ad altri diritti violati, non direttamente riconducibili all'evento lesivo psicofisico. Ad ogni disfunzionalità umana, conseguente a lesione psichica o fisica, corrisponde sempre un grado di sofferenza ad essa correlabile e definibile con differenti parametri “qualitativi”, accertabili anch'essi – in via convenzionale / presuntiva – dallo specialista medico legale (dolore, disagio e degrado - Documento SIMLA maggio 2018). Unico soggetto idoneo a qualificare l'effettiva corrispondenza quali-quantitativa del danno: parametri che – si ribadisce - non sono rapportabili in via “automatica” al grado di generica disfunzionalità accertata (inabilità temporanea biologica ed invalidità permanente biologica) (La proposta della Società Medico Legale Triveneta: il nuovo Barème sul danno biologico di lieve entità in Ridare.it)
In tale ottica - onde chiarire equivoci interpretativi tecnici - è bene ricordare che l'apprezzamento del “dolore” non fa parte in sé della stima dell'invalidità permanente biologica, ma – ove presente e oggettivamente valutabile – serve a motivare una maggior disfunzionalità, in genere di tipo articolare e quindi una maggiore quota di invalidità permanente biologica, ma non riguarda l'apprezzamento qualitativo della “sofferenza” da parte di quello specifico danneggiato (in termini di “sentire”, oltre al relativo “disagio nel non poter fare quotidiano”, e alla ammissibile “percezione del mutamento peggiorativo della propria integrità fisica) rispetto ad altro soggetto che ha analoga percentuale di invalidità, senza manifestazioni di dolore nocicettivo. Cosa emerge nella pratica applicativa
Per fare un semplice esempio (in parte attinente anche al caso citato in Cass. civ., n. 901/2018 e sostanzialmente ripreso da Cass. civ. n. 7513/2018), è sufficiente considerare che il riconoscimento di un 8% di invalidità permanente biologica per riduzione della capacità genitoriale, è totalmente differente da un 8% riconosciuto per gli esiti medi disfunzionale di una qualsiasi lesione fratturativa di un arto inferiore, ovvero da un 8% conseguente ad una perdita della funzione olfattiva ovvero – come spesso avviene nella comune pratica professionale - da un 8% derivante dalla somma di plurime microlesioni. Trattasi chiaramente di condizioni menomative quantitativamente analoghe, sotto il profilo di una parametrazione derivante dall'applicazione dei comuni Barèmes medico-legali, ma totalmente differenti, per quanto riguarda le ricadute della menomazione, in sé distintamente considerata sotto il profilo qualitativo, relativamente alle ripercussioni sugli aspetti “dinamico relazionali” e quindi alla condizione di “sofferenza intrinsecamente correlabile a quella determinata e qualificata menomazione”.
Il problema interpretativo tecnico medico-legale –e di conseguenza risarcitorio- assume particolare rilevanza, con evidente possibilità di sperequazione risarcitoria, in relazione alla sussistenza del limite normativo (il 9% di IP) posto che, stante l'attuale Baréme di legge, alcune menomazioni, pur definite “quantitativamente” al di sotto del 9% presentano aspetti “qualitativi” oggettivamente significati in rapporto alle ricadute personali e dinamico relazionali di qualsiasi soggetto (vedasi ad esempio la perdita del testicolo o dell'ovaio, esiti disestetici di moderata entità in donne di giovane età, perdita della funzione olfattiva, disturbi da adattamento post traumatico di moderata entità, ecc.) col risultato che le stesse trovano minor riscontro risarcitorio rispetto ad invalidità biologiche, stimate con danni pur di poco superiore al limite di legge, ma costituiti da plurime condizioni menomative che – valutate singolarmente – hanno minor o quasi assente ricaduta su comuni aspetti dinamico relazionali e quindi sulla “sofferenza” del danneggiato.
Per fare un altro esempio si può arrivare a stimare un danno biologico superiore al 9% a seguito del complessivo apprezzamento tecnico conseguente alla perdita della milza, senza residue complicanze sulla crasi ematica (invalidità che viene stimata nella misura dell 8% con ricaduta dinamico relazionale pressoché nulla), assieme a coesistenti esiti di un trauma minore del collo ed esiti dolorosi di singola frattura costale: complesso menomativo biologico che troverebbe paradossalmente maggior presupposto risarcitorio (con applicazione delle Tabelle di Milano) rispetto – ad esempio - alla già considerata perdita dell'ovaio in età fertile o del testicolo in età post-puberale o per un danno estetico di moderata entità in soggetto femminile o di altre condizioni menomative individuate nel Baréme di legge come “lesioni di lieve entità”, ma, al contrario, fonti di rilevante “sofferenza correlata” per qualsiasi danneggiato/a. Ciò senza voler entrare nel merito della proporzionale “disparità” di liquidazione delle relative componenti di inabilità temporanea biologica e nella ulteriore disparità liquidativa allorché sussistano ulteriori ricadute della menomazione su peculiari o particolari aspetti dinamico relazionali dello specifico danneggiato.
Sulla scorta di tali considerazioni tecniche pare dunque evidente che l'affermazione espressa nella recente sentenza n. 7513/2018, secondo la quale un soggetto che ha una invalidità permanente biologica del 50% «..sarà teoricamente in grado di svolgere la metà delle ordinarie attività che una persona sana, dello stesso sesso ed età, sarebbe stata in grado di svolgere.. » di fatto, non ha alcun significato “tecnicamente” esaustivo, se non si definiscono anche gli aspetti “qualitativi” dei postumi, che servono a chiarire, nellasostanza, quale sia l'effettiva ricaduta della disfunzionalità, in sé accertata e quantificata, sia in relazione al “fare quotidiano areddituale”, sia sui comuni aspetti dinamico-relazionali (da cui deriva il grado di sofferenza intrinsecamente correlabile alla lesione e alla menomazione): ciò indipendentemente da eventuali “specifiche” ricadute di natura dinamico relazionali peculiari per quel determinato danneggiato (commentando la citata sentenza si deve ritenere che il “coltivare un piccolo terreno agricolo”, pur anche solo come hobby, non può certo considerarsi “attività della vita quotidiana” comune a tutti i danneggiati con pari invalidità, di pari età e sesso, ..). Conclusioni
In conclusione – dovendosi inquadrare il danno biologico nel contesto del danno non patrimoniale – emerge l'evidente necessità di una parametrazione aggiuntiva alla inabilità ed invalidità biologica, di natura “qualitativa” che non rappresenta “duplicazione di danno”, bensì specificazione degli aspetti di sofferenza connessi alla lesione ed alla menomazione accertata: condizione definibile in via presuntiva dallo specialista medico-legale, che è l'unico soggetto in grado di apprezzare l'elemento di prova fondamentale ai fini del danno, cioè la realtà clinica della lesione e della menomazione. Il problema, se mai, è solo di quello di un adeguamento della parametrazione risarcitoria del “danno base” individuato nelle Tabelle di Milano tramite l'applicazione di “percentuali” integrative (peraltro già previste dalle citate Tabelle per la componente “sofferenza”) secondo graduazione valutativa espressa in forma “qualitativa o numerica” da parte dello specialista medico-legale, come tale suscettibile anch'essa di contraddittorio tra le parti in sede tecnica (anche in fase extragiudiziaria). Ciò ferma restando l'autonoma possibilità risarcitoria aggiuntiva al danno biologico “base” per ulteriori allegazioni, suffragate da adeguato riscontro probatorio, conseguenti ad eventuali interferenze della menomazione su peculiari aspetti dinamico relazionali dello specifico danneggiato, la cui definizione non compete allo specialista medicolegale, così come non compete allo stesso la valutazione di possibili differenti componenti di danno non patrimoniale conseguenti a lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati. Peraltro, si deve considerare che aspetti quali “la disistima, la vergogna, la percezione del peggioramento della propria integrità” rappresentano comunque sempre aspetti “qualitativi” di un determinato danno biologico e come tali suscettibili di “equilibrato e motivato” apprezzamento medico-legale rispetto alla accertata lesione, al suo decorso e alla definitiva menomazione. |