Sentenza di annullamento dell'aggiudicazione e possibilità di successivo esercizio dei poteri di autotutela

Marco Calaresu
28 Novembre 2018

L'esecuzione del dictum giudiziale rappresenta un prius logico rispetto all'esercizio (eventuale e successivo) dei poteri di autotutela. Tali poteri non possono, comunque, essere esercitati a fini elusivi del giudicato.

Il caso. Con sentenza n. 1046/2012 il TAR aveva annullato il provvedimento di aggiudicazione, in favore del RTI collocatosi al primo posto in graduatoria, della gara indetta da un'Azienda Ospedaliera per l'affidamento di un appalto integrato. È stato così, inequivocabilmente, sancito il diritto del ricorrente (secondo in graduatoria) all'aggiudicazione dell'appalto. La stazione appaltante ha però successivamente revocato, ex art. 21-quinquies, gli atti di gara, tenuto conto di sopravvenuti vincoli finanziari e di bilancio, e dell'aggravamento della situazione reddituale e patrimoniale. Contro tale provvedimento è stato proposto ricorso con il quale il ricorrente, rilevato che è nel frattempo è cessata l'attività di impresa e che, pertanto, la tutela in forma specifica ab initio domandata non risulta più utile, ha dichiarato di agire ai fini della coltivazione della domanda risarcitoria.

Annullamento giudiziale e poteri di autotutela. Il Collegio rileva preliminarmente che il provvedimento della stazione appaltante, invece di dare esecuzione alla sentenza, aggiudicando l'appalto, ha revocato gli atti di gara frustrando il soddisfacimento dell'interesse finale cui era preordinata la sentenza (idonea a fornire la «massima utilità sostanziale»). Tale provvedimento è stato impugnato dal ricorrente con una ordinaria azione di cognizione funzionale: i) «alla emersione di vizi propri dell'atto di revoca, inteso come espressione di una nuova potestà discrezionale esercitata in modo sviato, contraddittorio ed in violazione dell'art. 21-quinquies l. 241 del 1990»; ii) «all'annullamento della revoca, e alla correlata reintegrazione in forma specifica ovvero per equivalente o ancora, tenendo ferma la revoca, comunque al risarcimento del danno ovvero al riconoscimento dell'indennizzo ex art. 21-quinquies l. n. 24d el 1990». Precisa il TAR che il ricorrente non agisce «alla luce e nel prisma del dettato giudiziale», denunciando non tanto l'esercizio della potestà pubblica in contrasto con il puntuale contenuto precettivo della sentenza, bensì «l'esercizio di una nuova potestà di ritiro/rimozione della procedura per un fine suo proprio», asseritamente fondata sul dettato giudiziale. Il provvedimento impugnato, infatti, si dichiara funzionale «alla esplicazione della potestà amministrativa conseguente al giudicato amministrativo, sul presupposto (per vero erroneo) della sussistenza di margini di discrezionalità».

Ad avviso del Collegio, il diligente e tempestivo adempimento del dictum giudiziale avrebbe: i) imposto al TAR l'aggiudicazione al ricorrente; ii) precluso in nuce una delle possibilità alla base del provvedimento di revoca. L'illegittimo e inerte contegno della stazione appaltante - in disparte gli eventuali profili di nullità per violazione/elusione del giudicato scrutinabili nella sede dell'ottemperanza - si pone sullo sfondo della potestà di revoca poi esercitata, inficiandone ab imis i presupposti e il contenuto. In altre parole, conclude il TAR sul punto, viene qui domandata una «pronuncia dichiarativa della illegittimità lato sensu intesa dell'azione amministrativa successiva alla sentenza», consistente nella omessa, tempestiva adozione del provvedimento di aggiudicazione della gara al ricorrente, e nell'inerzia serbata per quasi tre mesi a far data dalla pubblicazione della sentenza. Tanto basterebbe per la declaratoria di illegittimità del provvedimento di revoca. Tuttavia, a ben vedere, l'azione amministrativa censurata è ulteriormente viziata «nell'intrinseco contenuto dell'atto di revoca, atteso che le ragioni di interesse pubblico ivi enucleate … - non sono sopravvenute, per effetto di eventi successivamente verificatisi ed aventi carattere imprevedibile; … - non sono emerse successivamente, atteso che l'effettiva consistenza dell'opera messa a gara e delle spese relative alla successiva gestione, così come la natura “non essenziale per l'utenza” del servizio, non potevano non essere note, e in ogni caso avrebbero dovuto essere note alla stazione appaltante».

Conclusioni. Alla luce delle esposte argomentazioni, il TAR ha dichiarato di aver acclarato l'elemento oggettivo relativo alla illegittimità del provvedimento di revoca, e dopo aver, altresì, accertato l'esistenza degli altri elementi costitutivi della responsabilità della p.a., ha disposto, in applicazione dell'art. 34, co. 4, c.p.a. che entro 60 gg. dalla comunicazione o dalla notificazione, se anteriore, della decisione, la stazione appaltante, dovrà, previa instaurazione di un contraddittorio con il ricorrente, proporgli il pagamento di una somma di danaro a titolo di risarcimento del danno per equivalente, e un'ulteriore somma, pari al 5% del valore del danno patrimoniale, a titolo di danno curriculare.

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