La sorte del versamento per un aumento di capitale mai avvenuto: tra restituzione e postergazione

La Redazione
04 Dicembre 2018

Il socio che abbia effettuato un versamento in favore della società, in conto futuro aumento di capitale, ha diritto alla restituzione se l'aumento di capitale non viene effettivamente deliberato, ma dalla provvisorietà del versamento non discende in via automatica l'applicazione del principio di cui all'art. 2467 c.c.: perché vi sia postergazione occorre provare la funzione di finanziamento della dazione del socio.

Il socio che abbia effettuato un versamento in favore della società, in conto futuro aumento di capitale, ha diritto alla restituzione se l'aumento di capitale non viene effettivamente deliberato entro un dato termine, ma dalla provvisorietà del versamento non discende in via automatica l'applicazione del principio di cui all'art. 2467 c.c.: perché vi sia postergazione occorre provare la funzione di finanziamento della dazione del socio. È questo il principio affermato dalla Cassazione, nella sentenza n. 31186 del 3 dicembre.

Il caso. Il Comume di Palermo, unico azionista di una s.p.a. partecipata, trasferiva nella società un pacchetto azionario di altra società e conferiva due immobili. Entrambe le operazioni rientravano nel progetto di risanamento della s.p.a., già in amministrazione straordinaria, e venivano qualificate come versamenti in contro futuro aumento di capitale, trattandosi di apporti funzionalmente collegati e risolutivamente condizionati all'aumento di capitale, programmato proprio nell'ottica di un risanamento. Successivamente, però, la società veniva dichiarata fallita e l'aumento di capitale rimaneva inattuato; il Comune si insinuava al passivo chiedendo la restituzione di quanto versato. La domanda veniva rigettata dal giudice delegato e, in seguito all'opposizione al passivo, accolta dal Tribunale. La curatela proponeva, quindi, ricorso per cassazione avverso il decreto del Tribunale.

La qualificazione dell'apporto. Costituisce questione giuridica la qualificazione dell'apporto del socio, e tale indagine va compiuta sulla base della volontà delle parti. La ricorrente propone una duplice alternativa: o si ritiene che il Comune, con gli atti di trasferimento, abbia definitivamente incrementato il patrimonio netto della società, e allora non si potrebbe disporre la restituzione dei beni, in quanto appunto ormai confluiti nella piena disponibilità della società, oppure si deve ritenere che “il comune abbia solo provvisoriamente aumentato la disponibilità patrimoniali della società, in vista del futuro aumento di capitale, e allora si dovrebbe affermare il necessario assoggettamento del socio alla disciplina della postergazione”, mentre il Tribunale ha disposto la restituzione immediata dei beni.

Il versamento in conto futuro aumento di capitale. Per la S.C., tuttavia, tale ragionamento non può essere accolto. Deve, anzi, ritenersi pacifico che i versamenti di cui si tratta erano stati effettuati in conto di un programmato aumento di capitale, da effettuarsi nell'ottica di risanamento entro un anno dalla chiusura dell'amministrazione straordinaria. La volontà delle parti, come ricostruita dal Tribunale con un ragionamento esente da vizi, era nel senso di intendere il conferimento risolutivamente condizionato al futuro aumento di capitale soggetto a termine preciso. Pertanto, tale conferimento non poteva che intendersi provvisorio, e non comporta un definitivo incremento del patrimonio sociale.

Qualora, come nel caso in esame, l'aumento di capitale non viene deliberato o eseguito, sorge il diritto alla restituzione, come conseguenza del meccanismo risolutivo sopra descritto.

Ma anche in questo caso, secondo la S.C. ha errato la ricorrente nel ritenere applicabile la disciplina della postergazione.

La restituzione del versamento e la postergazione. In primo luogo, per pacifica giurisprudenza il principio di cui all'art. 2467 c.c., dettato per le s.r.l., può ritenersi applicabile anche alle s.p.a. (chiuse): per tutti, Cass. n. 16291/2018.

Occorre, tuttavia, che ci si trovi dinanzi a una dazione a titolo di finanziamento, alla quale associale l'obbligo di rimborso. I versamenti o i trasfetrimenti eseguiti in conto di un futuro aumento di capitale non possono rimanere attratti dal principio della postergazione in virtù della mera circostanza della provvisorietà dell'apporto: quel che rileva, al contrario, è stabilire in concreto la natura di versamento oppure di finanziamento, e tale indagine è questione di interpretazione (Cass. n. 21563/2008).

La provvisorietà potrebbe essere valorizzata, al fine della postergazione, solo in nome del positivo riscontro di una funzione oggettiva della dazione diversa da quella apparente: occorrerebbe, però, a tal fine, dimostrare una sorta di simulazione, ovvero che la ragion pratica della dazione sia stata in effetti quella del finanziamento.

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