In caso di revoca dell’aggiudicazione l’indennizzo non è dovuto in caso di omessa attivazione delle opportune azioni giudiziarie da parte del danneggiato

04 Dicembre 2018

L'art. 21-quinquies della legge n. 241/1990 statuisce che ove la revoca comporti pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'Amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo. Tuttavia, alla luce dei generali canoni di diligenza e buona fede, l'indennizzo non può essere riconosciuto qualora non si attivino i rimedi giudiziali e amministrativi potenzialmente idonei ad evitare il danno.

La vicenda. Dopo aver indetto una gara avente ad oggetto la progettazione esecutiva e la realizzazione di alcuni lavori, l'Amministrazione (nel caso di specie, il Ministero della Difesa) disponeva l'aggiudicazione della stessa in favore dell'impresa prima classificata.

Non procedendosi alla stipulazione del contratto (pur essendo scaduto il c.d. stand still period) l'aggiudicataria inoltrava plurime diffide all'Amministrazione, senza tuttavia adire l'autorità giudiziaria per ottenere coattivamente l'esecuzione del vincolo contrattuale. Per converso, l'Amministrazione, non soltanto non procedeva alla stipula del contratto, ma disponeva altresì la revoca dell'aggiudicazione definitiva a seguito di asseriti mutamenti della situazione in fatto che aveva giustificato l'avvio della procedura.

Decidendo di non esperire i rimedi giudiziali per ottenere la caducazione del provvedimento adottato in autotutela, l'impresa aggiudicataria adiva il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio solamente al fine di ottenere il risarcimento dei danni patiti a seguito della revoca disposta.

Nel risolvere la controversia, il Collegio preliminarmente ha cura di ricordare che, anche nelle procedure ad evidenza pubblica, la revoca è una peculiare forma di autotutela decisoria preordinata alla rimozione con efficacia ex nunc di un provvedimento amministrativo, essendo sorretta da ragioni di opportunità frutto di valutazioni ampiamente discrezionali dell'Amministrazione.

Sicché, essendo pacifico che, una volta stipulato il contratto, la revoca non possa aver luogo, è altrettanto incontestato che, prima della stipulazione, vertendosi ancora in una fase “pubblicistica”, l'aggiudicazione sia revocabile, sussistendone i presupposti.

Chiarito ciò in termini generali, non può comunque essere sottaciuto che, una volta intervenuta l'aggiudicazione definitiva, assume una significativa consistenza in capo al privato l'affidamento circa l'effettivo conseguimento del bene della vita agognato. Pertanto, il TAR, sulla scorta della giurisprudenza affermatasi negli anni, afferma che, la sopravvenienza di ragioni di interesse pubblico deve essere di significativa rilevanza tale da risultare preminente sulle esigenze di tutela del legittimo affidamento ingenerato nell'impresa che ha partecipato alla gara risultando aggiudicataria. Pertanto, l'istituto della revoca ha una natura eccezionale per i soli casi in cui una rinnovata istruttoria, ovvero sopravvenute ed oggettive esigenze, abbiano rivelato l'inidoneità dell'opera originariamente richiesta dalla stessa Amministrazione. Ne consegue che non può considerarsi legittimamente disposta una revoca dell'aggiudicazione causata da un mero ripensamento circa il grado di satisfattività della prestazione messa a gara.

Premesso ciò, nel caso di specie, tuttavia, il TAR dichiara la legittimità del provvedimento di revoca negando però il riconoscimento in favore del ricorrente dell'indennizzo prescritto dall'art. 21-quinquies della l. n. 241 del 1990.

Infatti, ad avviso del giudice di prime cure, l'indennizzo, pur essendo previsto dalla legge come ristoro economico per un atto di revoca legittimamente adottato, non può essere corrisposto laddove, come avviene per il risarcimento del danno, il ricorrente avrebbe potuto evitare il pregiudizio attivando gli opportuni strumenti giudiziali.

Si legge nella sentenza, ove il ricorrente avesse tempestivamente proposto ricorso- tanto con riguardo alla ordinaria azione di annullamento del provvedimento di revoca, quanto con riferimento all'azione di accertamento dell'obbligo dell'Amministrazione di stipulare il contratto - si sarebbero adottate misure giudiziarie adeguate e congruenti, tali da far ottenere il bene della vita.

Ad avviso del Collegio, pertanto, il pregiudizio lamentato dal ricorrente non si sarebbe verificato se questi avesse assunto “un comportamento adeguato, consono ed improntato all'ordinaria diligenza, considerato che, da tempo, la giurisprudenza ha statuito come l'attivazione di azioni giudiziarie non comporti per la parte un singolare ed eccessivo sacrificio”.

Secondo il TAR tali conclusioni sono il naturale riflesso dell'assetto delle situazioni soggettive così come rinvenibili nella normativa codicistica del 2010. L'attuale sistema, infatti, postula l'adozione, da parte del danneggiato, “di puntuali canoni comportamentali conformi ai principi di buona fede e diligenza con l'adozione di tutti gli strumenti giuridici ed amministrativi adeguati, secondo il criterio del più probabile che non, per ridurre od evitare il danno lamentato”.

Al contrario, se non si attivassero i rimedi potenzialmente idonei ad evitare il danno, verrebbe a mancare il nesso causale che consente di collegare la condotta antigiuridica alle conseguenze dannose risarcibili.

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