È reclamabile l’ordinanza avente contenuto analogo agli ordini di protezione ex art. 342-ter c.c.?

10 Dicembre 2018

È reclamabile dinanzi al Tribunale, in composizione collegiale, l'ordinanza avente contenuto analogo agli ordini di protezione ex art. 342-ter c.c., adottata dal giudice istruttore?
Massima

I provvedimenti avente contenuto analogo agli ordini di protezione ex art. 342-ter c.c., adottati dal giudice istruttore, non sono reclamabili. La loro modificabilità resta subordinata – nel corso del giudizio – ad una diversa valutazione da parte della stessa Autorità Giudiziaria che li ha emessi ed è legata all'impugnazione del provvedimento definitorio finale.

Il caso

Nel corso di un giudizio di separazione, superata la fase presidenziale, Tizia fa istanza per ottenere un provvedimento restrittivo ex art. 342-bis ss. c.c. e il Giudice Istruttore accoglie l'istanza pronunciando apposita ordinanza.

Caio, il marito, interpone reclamo avverso detta ordinanza, rubricando il ricorso come «ex art. 669-terdecies c.p.c.» e chiedendo «immediata ricostituzione dello stato di fatto quo ante, essendo la suddetta ordinanza gravemente lesiva della liberà personale (…) ed essendo stata la stessa infondata, illegittima, non basata su prova alcuna e in ogni caso palesemente ingiusta».

Il Tribunale, in funzione collegiale, assegna termine alla difesa della moglie per memorie e fissa udienza di comparizione parti.

La difesa di Tizia si costituisce nel procedimento di “reclamo” azionato da Caio, chiedendo la conferma dei provvedimenti di protezione «eventualmente anche disponendo un prolungamento del periodo di allontanamento».

Comparse le parti in udienza, il Giudice rilevava una questione di inammissibilità e invitava i procuratori delle parti a prendere posizione.

Il ricorrente produceva “stampata” dal sito del Tribunale di Milano, invocando la natura cautelare del procedimento in quanto, come da “istruzioni” reperite sul sito, questo sanciva che il procedimento ex art. 342-bis c.c. avrebbe avuto natura cautelare.

Il Tribunale, preliminarmente, ha sottolineato come sia privo di rilievo l'assunto circa la vincolatività delle indicazioni contenute nel sito del Tribunale in ordine alla qualificazione giuridica dello strumento di impugnazione prescelto.

Ciò premesso, il riunito Collegio giudicante ha rilevato come la ordinanza reclamata sia, pacificamente, un provvedimento del Giudice Istruttore di «contenuto analogo agli ordini di protezione ex art. 342-ter c.c., in forza dell'applicazione dell'art. 8 l. n. 154/2001, che ha esteso l'applicazione degli ordini di protezione anche ai procedimenti di separazione e divorzio pendenti».

Ricordato il dettato normativo, il Tribunale ha sottolineato la strutturale differenza fra il provvedimento emesso ex art. 342-bis c.c. sotto forma di decreto, che ha in sé strumento autonomo di impugnazione previsto dall'art. 736-bis, comma 4, c.p.c., e i provvedimenti «aventi contenuti indicati nell'art. 342-ter c.c.».

Per questi ultimi, «la forma del provvedimento ne determina (…) la possibilità e ne segna i limiti dell'eventuale impugnazione».

Rilevato, quindi, che si trattava di provvedimento del Giudice Istruttore, il Tribunale ha ricordato la interpretazione della Suprema Corte, secondo cui «la reclamabilità dei provvedimenti adottati dal Giudice Istruttore ex art. 709, u.c., c.p.c. (…) resta subordinata – nel corso del Giudizio – ad una diversa valutazione da parte della stessa Autorità Giudiziaria che li ha emessi ed è legata – alla conclusione del giudizio – all'impugnazione del provvedimento definitorio finale».

Quanto alla possibile obiezione tale per cui la mancanza di uno strumento di impugnazione possa privare totalmente di tutela i destinatari di provvedimenti aventi natura cautelare e incidenti su libertà fondamentali, secondo il Collegio, deve rammentarsi che in quella fase si è già prodotto l'allontanamento dalla casa familiare per effetto dei provvedimenti presidenziali.

Residuano, quindi, in presenza di una istanza ex art. 342-bis ss. c.c., «soltanto le prescrizioni relative alla cessazione della condotta e al non avvicinamento a determinati luoghi che trovano la giustificazione della loro applicazione nella valutazione di comportamenti di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altro coniuge o convivente» (come testualmente recita l'art. 342-bis c.c. e dove i vari tipi di pregiudizio non devono coesistere – è usata la “o”, disgiuntiva – e i “familiari” comprendono, pacificamente, anche i figli minori che non devono essere esposti al conflitto dei genitori e avendo superato da tempo, la giurisprudenza, il concetto della convivenza “attuale” tra le parti interessate, potendo bastare quei rapporti familiari che hanno trovato origine nella pregressa convivenza e oggi necessitati, ad esempio, dalle modalità di frequentazione dei figli).

«Se lacuna di tutela persiste, essa non appare frutto di una svista del legislatore, quanto piuttosto di una scelta: dal 2001, anno di entrata in vigore della l. n. 154/2001, il legislatore è già intervenuto nella disciplina specifica (con la l. n. 38/2009) e nella disciplina degli istituti matrimoniali più volte, senza mai intervenire con norme ad hoc. Non può certo il giudicante in via interpretativa allargare il sistema delle impugnazioni, che per sua natura, è tipico».

La questione

È reclamabile dinanzi al Tribunale, in composizione collegiale, l'ordinanza avente contenuto analogo agli ordini di protezione ex art. 342-ter c.c., adottata dal giudice istruttore?

Le soluzioni giuridiche

Come noto, il legislatore ha inserito con la l. 4 aprile 2001, n. 154 ha inserito:

1) all'interno del libro I del codice civile, il titolo IX-bis, intitolato «Ordini di protezione contro gli abusi familiari», composto dagli artt. 342-bis e 342-ter c.c.;

2) nel titolo II del libro IV del codice di procedura civile, il capo V-bis, intitolato «Degli ordini di protezione contro gli abusi familiari».

Con detta riforma il legislatore ha inteso affrontare il problema della c.d. violenza domestica, composta da varie forme di violenza (verbale, fisica e psicologica) poste in essere da un membro della famiglia ai danni di un altro familiare, non solo in caso di coppie coniugate, ma anche in caso di coppie di fatto e di uniti civilmente.

La l. n. 154/2001 indica quale unico presupposto per l'applicabilità dell'ordine di protezione la condotta di un familiare che sia «gravemente pregiudizievole dell'integrità fisica o morale ovvero della libertà» di altro componente della famiglia, ponendo l'accento sull'evento pregiudizievole dei diritti della persona ed evitando di tipizzare le condotte ad esso causalmente collegate.

È dunque uno strumento duttile, capace di adattarsi a situazioni molto diverse fra loro, secondo la prudente valutazione del giudice.

Per quanto interessa la presente trattazione, vi è da chiedersi quale sia la natura da attribuire a questi provvedimenti. Gli ordini protettivi sono sempre provvedimenti a durata temporanea (la loro efficacia non può essere superiore a sei mesi, salva la possibilità di proroga); in ogni caso, essendo provvedimenti che incidono su diritti personalissimi di un soggetto, la loro efficacia è strettamente legata alla sussistenza di gravi motivi e solo «per il tempo strettamente necessario».

Questo ha portato la dottrina prevalente a ritenere che questi provvedimenti abbiano natura cautelare: essi mirano a porre le condizioni necessarie per evitare il reiterarsi di condotte che possano causare un pregiudizio irreparabile su beni di rilevanza costituzionale, come quelli tutelati dalla norma. Non a caso si parla di “reiterare”, atteso che l'interpretazione corrente è tale per cui si richiede che la condotta debba già essere posta in essere.

Il Tribunale di Milano ha già avuto modo di osservare, in passato, come il diritto di famiglia sia dotato di strumenti, tipici e settoriali per porre rimedio a ciascuna delle possibili violazioni che uno dei partner dovesse porre in essere: fra questi, vi sono i provvedimenti atipici per le condotte aggressive (art. 342-bis c.c.), che opera quando uno dei familiari ponga in essere condotte lesive della persona non solo del coniuge o del convivente, ma anche del figlio (da parte del genitore), del fratello e della sorella, del nipote da parte dei nonni).

I provvedimenti del giudice della famiglia possono quindi colorarsi di varia natura, fra cui quella cautelare. Come è noto, i rimedi di cui all'art. 342-bis ss. c.c. non possono essere disposti d'ufficio, ma necessitano di un atto di impulso di parte. Il soggetto abusato può, anche autonomamente, senza difesa tecnica, chiedere protezione con ricorso nel Tribunale del luogo di propria residenza o domicilio.

Dal punto di vista processuale, l'art. 736-bis c.p.c., introdotto nel codice di procedura civile contestualmente all'introduzione degli artt. 342-bis e 342-ter c.c., prevede uno specifico procedimento per l'adozione degli ordini di protezione.

In caso di separazione o divorzio, invece, vale quanto disposto dall'art. 8 l. n. 154/2001, che ha esteso la possibilità di chiedere ordini di protezione anche in detti procedimenti.

Nei procedimenti di separazione e divorzio, siano essi o meno pendenti, l'istanza per l'adozione delle misure di protezione può essere contenuta nell'atto che dà avvio al procedimento ovvero può essere depositata anche nelle more tra la presentazione del ricorso per separazione o divorzio e la fissazione dell'udienza presidenziale: il tutto al fine di scongiurare che la vittima di abusi rimanga sprovvista di tutela fra il deposito del ricorso e l'udienza.

Inoltre, sull'adozione delle misure protettive, può pronunciarsi il Tribunale adito ai sensi degli artt. 316, comma 4 e 337–bis c.c. in caso di genitori, non coniugati, conviventi: l'attribuzione al Tribunale in composizione monocratica, stabilita dall'art. 736–bis, comma 1, c.p.c., non esclude la vis actractiva del tribunale in composizione collegiale chiamato ad arbitrare il conflitto familiare che era già stato incardinato avanti ad esso (Cass. civ., sent., n. 15482/2017).

Quanto ai mezzi di impugnazione, come sancito dal Tribunale di Milano nell'ordinanza in commento, la forma del provvedimento «ne determina la possibilità e ne segna i limiti dell'eventuale impugnazione».

L'autonomo ricorso ex artt. 342-bis e 342-ter c.c. ha specifica impugnativa prevista dall'art. 736-bis c.p.c., per cui è ammesso reclamo al Tribunale entro i termini previsti dal secondo comma dell'art. 739 c.p.c.; sempre giusta art. 739 c.p.c. è ammesso reclamo avverso i decreti pronunciati dal Tribunale in camera di consiglio con ricorso alla Corte d'appello, che pronuncia anch'essa in camera di consiglio.

Quanto ai provvedimenti presidenziali aventi i contenuti indicati nell'art. 342-ter c.c., la loro adozione è regolata non già dagli artt. 342-bis, 342-ter c.c. e 736-bis c.p.c. ma dagli artt. 706 ss. c.p.c. e pertanto essi possono essere impugnati con il rimedio di cui all'art. 708, comma 4, c.p.c.: il reclamo dinanzi alla Corte di appello. Questo perché il rinvio all'art. 342-ter c.c. è limitato dal legislatore al solo contenuto dell'ordine di protezione e non anche alla relativa disciplina processuale.

La questione esaminata dal Tribunale di Milano, invece, riguarda la impugnabilità dei provvedimenti, che abbiano il contenuto di cui agli ordini di protezione, emessi dal Giudice Istruttore. La possibilità, per il G.I. di emettere provvedimenti di contenuto c.d. tipico di cui all'art. 342-ter c.c., è ammessa pacificamente dal citato art. 8 l. n. 154/2001.

Sulla impugnativa dei provvedimenti del Giudice Istruttore emessi ex art. 709, comma 4, c.p.c., la giurisprudenza di merito si è per anni divisa, con pronunce inizialmente a favore della reclamabilità dinanzi al Collegio del Tribunale, ovverosia quanto chiesto dal “reclamante” nel provvedimento qui commentato.

Nel senso della ammissibilità del reclamo al Collegio si era espressa App. Napoli 5 marzo 2007, secondo cui «i provvedimenti con i quali il giudice istruttore, nel giudizio di separazione, abbia revocato o modificato le misure adottate dal presidente del tribunale nell'interesse della prole e dei coniugi, sono reclamabili davanti al tribunale ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c.».

L'assunto dei Collegio napoletano era fondato sul fatto che i provvedimenti emessi dal G.I., al pari delle ordinanze presidenziali, sono destinati ad incidere sui diritti costituzionali delle parti. Pertanto, sulla base di una “interpretazione costituzionalmente orientata” la Corte ritenne che, pur in mancanza di un'apposita disposizione normativa, tali provvedimenti fossero anch'essi soggetti a reclamo.

Nella fattispecie era stato dichiarato inammissibile il reclamo proposto dinanzi alla stessa Corte di appello avverso i provvedimenti del G.I. perché inoltrato a giudice ritenuto “incompetente”.

Di diversa opinione proprio il Tribunale di Milano, che già in passato aveva affrontato il problema relativo alla impugnabilità dei provvedimenti emessi dal Giudice Istruttore, giungendo alla conclusione che «Il reclamo al Collegio avverso il provvedimento emesso dal giudice istruttore sulle istanze di modifica dei provvedimenti assunti nella fase presidenziale, nei procedimenti di separazione e divorzio, deve ritenersi inammissibile, essendo previsto lo strumento di garanzia della piena modificabilità di tale provvedimento da parte dello stesso giudice che lo ha emesso» (Trib. Milano, sez. IX, 6 dicembre 2011).

Sul punto si è espressa anche la Corte di cassazione, che ha messo la parola fine all'annoso dibattito: i Giudici della Suprema Corte hanno sancito che l'effettività della tutela delle posizioni soggettive, nel procedimento di separazione e divorzio, è garantita dalla modificabilità e revisione, a richiesta di parte, delle condizioni separative e divorzili, anche all'esito della decisione definitiva «piuttosto che dalla moltiplicazione di momenti di riesame e controllo da parte di altro organo giurisdizionale nello svolgimento del giudizio a cognizione piena» (Cass. civ., sent., 4 luglio 2014, n. 15416 e, ex ultimis, Cass. civ., sent.,10 maggio 2018, n. 11279).

Osservazioni

La impugnabilità dei provvedimenti del Giudice Istruttore aventi contenuto analogo agli ordini di protezione contro gli abusi familiari è stata oggetto di contrasti in dottrina e giurisprudenza. Il motivo è dettato dalla peculiarità dello strumento di cui all'art. 342-bis ss. c.c..

Si tratta di uno strumento tanto utile quanto incisivo. Da un lato il provvedimento mira a tutelare la vittima di violenze, dall'altro incide – inevitabilmente – in misura considerevole sui diritti costituzionali del soggetto nei confronti del quale si chieda la cessazione della condotta, l'allontanamento dalla casa familiare o il divieto di avvicinarsi alla vittima.

È chiaro, quindi, il ragionamento della Corte di appello di Napoli, che ha postulato la percorribilità del reclamo al Collegio del Tribunale sulla base di una interpretazione “costituzionalmente orientata”, in considerazione del fatto che i provvedimenti emessi dal G.I. in materia sono destinati ad incidere su diritti (fondamentali) delle parti.

Il Tribunale di Milano, tuttavia, ha chiarito un concetto fondamentale, proprio della tipicità dei procedimenti di separazione e divorzio, che si caratterizzano per la struttura c.d. bifasica dei giudizi: all'atto della devoluzione della causa al Giudice Istruttore, il Presidente del Tribunale ha già disposto, per effetto dei provvedimenti presidenziali (che sono reclamabili), l'allontanamento dalla casa familiare, la regolamentazione dei rapporti fra coniugi e fra genitori e figli, come pure le misure economiche, benché il tutto in via provvisoria.

In caso di istanza endoprocessuale per l'emissione di ordini di protezione, dunque, il Giudice Istruttore valuterà esclusivamente eventuali comportamenti «di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altro coniuge o convivente» che, se presenti, determineranno, al più, la cessazione della condotta e il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima.

Pertanto, nella impossibilità di applicare analogicamente il reclamo di cui all'art. 708 c.p.c. per i provvedimenti del Giudice Istruttore, vista la natura tipica dei mezzi di impugnazione, il Tribunale ha deciso, conformemente all'orientamento di legittimità, per la inammissibilità del suddetto reclamo.

Il tutto, come sottolineato dai Giudici milanesi, non può essere riconducibile ad una mera svista del legislatore ma, certamente, al riconoscimento del tratto distintivo di simili provvedimenti rappresentato dalla agevole e incondizionata possibilità per il Giudice Istruttore di intervenire a revocare, modificare, integrare il proprio antecedente provvedimento.

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