L’abolizione della protezione umanitaria e le altre novità in materia di immigrazione a opera decreto sicurezza

Maria Donatella Laricchia
Maria Donatella Laricchia
13 Dicembre 2018

Le modifiche introdotte dal Legislatore in tema di immigrazione mirano ad arginare il fenomeno migratorio e a contrastare la domanda di protezione internazionale, eliminando il permesso di soggiorno per motivi umanitari e introducendo una tipizzazione delle tipologie di tutela complementare. Ciò in quanto, come esplicitato nella relazione al decreto sicurezza, la maggiore criticità del sistema è rappresentata dall'alta percentuale di riconoscimento della protezione umanitaria rispetto alla...
Abstract

Con il presente lavoro si cercherà di analizzare, nello specifico, le modifiche introdotte dal Legislatore in tema di immigrazione, le quali mirano ad arginare il fenomeno migratorio e a contrastare la domanda di protezione internazionale, eliminando il permesso di soggiorno per motivi umanitari e introducendo una tipizzazione delle tipologie di tutela complementare.

Introduzione

Lo scorso 3 dicembre è stata pubblicata in Gazzetta ufficiale la legge 1 dicembre 2018, n. 132 di Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 4 ottobre 2018, n. 113, recante disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Delega al Governo in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze di polizia e delle Forze armate.

Il decreto sicurezza, così come modificato dalla legge di conversione, si articola in 40 articoli suddivisi nei seguenti 4 Titoli: Titolo I (artt. 1-15) – Disposizioni in materia di rilascio di speciali permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario nonché in materia di protezione internazionale e di immigrazione; Titolo II (artt. 16-31) – Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, prevenzione e contrasto al terrorismo e alla criminalità mafiosa; Titolo III (artt. 32-38) – Disposizioni per la funzionalità del Ministero dell'Interno nonché sull'organizzazione e il funzionamento dell'agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata; Titolo IV (artt. 39-40) – Disposizioni finanziarie e finali.

Le modifiche introdotte dal Legislatore in tema di immigrazione mirano ad arginare il fenomeno migratorio e a contrastare la domanda di protezione internazionale, eliminando il permesso di soggiorno per motivi umanitari e introducendo una tipizzazione delle tipologie di tutela complementare.

Ciò in quanto, come esplicitato nella relazione al decreto sicurezza, la maggiore criticità del sistema è rappresentata dall'alta percentuale di riconoscimento della protezione umanitaria rispetto alla protezione internazionale, che dipenderebbe da «una definizione legislativa dell'istituto dai contorni incerti, che lascia ampi margini ad una interpretazione estensiva in contrasto con il fine di tutela temporanea di esigenze di carattere umanitario per il quale l'istituto è stato introdotto nell'ordinamento», oltre che nella ritenuta ”anomala” sproporzione tra i numeri di riconoscimento delle protezioni tipiche e quella umanitaria, quest'ultima ritenuta residuale, da riconoscere in casi di eccezionale gravità.

Il numero di riconoscimenti delle domande di protezione per motivi umanitari si attesta, infatti, al 25%, mentre i riconoscimenti delle domande di asilo e di protezione sussidiaria costituiscono entrambi il 7% del totale delle domande presentate; ai casi di protezione umanitaria riconosciuta dalle Commissioni territoriali si aggiungono quelli riconosciuti dall'autorità giudiziaria a seguito dei ricorsi avverso le decisioni di rigetto che costituiscono il 28% nel 2018.

Dal permesso di soggiorno per motivi umanitari ai casi speciali di permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario

La protezione umanitaria era una forma di tutela complementare al rifugio politico e alla protezione sussidiaria riconosciuta in caso di seri o gravi motivi di carattere umanitario, anche risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano (previgente articolo 5, comma 6 del decreto legislativo 286/1998), per cui varie situazioni di vulnerabilità individuale potevano trovare protezione nel riconoscimento di questa tipologia di protezione a clausola aperta.

Il decreto, parallelamente all'eliminazione della protezione umanitaria, introduce una tipizzazione dei casi nei quali può essere rilasciato un permesso di soggiorno temporaneo per esigenze di carattere umanitario, ovvero:

  • permesso di soggiorno per condizioni di salute di particolare gravità (lett. d-bis) inserita dal decreto sicurezza al comma 1-bis dell'art. 19 del d.lgs. 286 del 1998): (il maxiemendamento ha sostituito le parole “eccezionale gravità” con “particolare gravità”); si tratta del permesso di soggiorno per cure mediche quando lo straniero versi in condizioni di salute di particolare gravità accertate mediante idonea documentazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale, tali da determinare un rilevante (non più irreparabile come previsto dalla versione originaria del decreto) pregiudizio; il permesso è rilasciato per il tempo attestato mediante idonea certificazione sanitaria;

  • permesso di soggiorno per situazioni contingenti di calamità naturale nel Paese di origine (nuovo art. 20-bis del decreto legislativo 286 del 1998 inserito dal decreto sicurezza) che impediscono temporaneamente il rientro dello straniero in condizioni di sicurezza; tale permesso di soggiorno, rilasciato dal Questore, pur consentendo lo svolgimento di attività lavorativa, non è prorogabile né convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, ha la durata di 6 mesi ed è rinnovabile per un periodo ulteriore di 6 mesi; la previsione del rinnovo per ulteriori 6 mesi è stata introdotta con il maxiemendamento;

  • permesso di soggiorno per compimento di atti di particolare valore civile (nuovo art. 42-bis del d.lgs. 286 del 1998 inserito dal decreto sicurezza): la potestà di autorizzare il rilascio del permesso di soggiorno per valore civile è attribuita al Ministro dell'interno, su proposta del Prefetto competente per territorio, fatte salve controindicazioni soggettive derivanti dalla sussistenza della pericolosità dello straniero per l'ordine pubblico e la sicurezza dello Stato; detto permesso di soggiorno, rilasciato dal Questore, ha durata di 2 anni, è rinnovabile, consente l'accesso allo studio nonché di svolgere attività lavorativa ed è convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo o subordinato.

L'eliminazione della protezione umanitaria e il limitato ambito applicativo di tali ipotesi tipizzate di permesso di soggiorno determinano un preoccupante vuoto di tutela con riguardo a situazioni che dovrebbero trovare protezione in forza di obblighi costituzionali e internazionali, come, invece, ribadito dall'articolo 2, comma 1, del d.lgs. 286/1998 (T.U. Immigrazione), il quale stabilisce il principio secondo il quale «allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti».

Tra tali diritti vi è il diritto alla vita e all'integrità fisica in tutte le sue declinazioni, che richiamano altri diritti specifici, il diritto alla non discriminazione, il diritto all'unità familiare, il diritto del minore alla protezione, il diritto all'istruzione, il diritto di difesa, il diritto alla salute, il diritto alla parità di genere e alle differenze di genere (che trovano fonte sia nella Costituzione che in altre fonti internazionali specifiche) e tutti gli altri diritti che esprimono le libertà fondamentali costituzionali.

In particolare, si pensi al principio di non refoulement verso Stati che praticano le condotte vietate dall'articolo 3 della Cedu il cui unico esplicito richiamo nella norma italiana è relativo al divieto di allontanamento nel caso in cui esistano fondati motivi di ritenere che la persona rimpatriata rischi di essere oggetto di persecuzione (articolo 19, comma 1, del d.lgs. 25 del 2008) o sottoposta a tortura (articolo 19, comma 1.1, del d.lgs. 25 del 2008). In base alla novella dell'articolo 35, comma 3, del d.lgs. 25 del 2008, nelle ipotesi di rischio di persecuzione e tortura viene riconosciuto un permesso di soggiorno per protezione speciale, mentre nessuna esplicita tutela è prevista nelle ipotesi di rischio, nello Stato di rinvio, di assoggettamento a pene o trattamenti inumani e degradanti che non rientrino, eventualmente, nelle ipotesi ora tipizzate.

Estesa da 90 a 180 giorni la durata massima del trattenimento delle straniero nei centri di permanenza per il rimpatrio

Quando non è possibile eseguire con immediatezza l'espulsione dello straniero mediante accompagnamento coattivo alla frontiera o il suo respingimento e sussistono determinati requisiti che legittimano l'applicazione della misura privativa della libertà personale, può essere disposto il suo trattenimento in un Centro di permanenza per il rimpatrio.

Il decreto prolunga il periodo massimo di trattenimento dei cittadini stranieri in detti centri in vista del loro allontanamento dal territorio italiano dai 90 fino a 180 giorni (l'articolo 2 del decreto modifica l'art. 14 del d.lgs. 286 del 1998).

Viene, inoltre, consentito con efficacia circoscritta a un periodo di tre anni, il ricorso alla procedura negoziata per l'esecuzione dei lavori di realizzazione di nuovi Centri di permanenza per il rimpatrio e ristrutturazione o adeguamento di quelli già esistenti, al fine di ottenere un rapido ampliamento dei posti nei Centri stessi e facilitare l'esecuzione di provvedimenti di rimpatrio degli stranieri irregolarmente presenti nel territorio nazionale.

Come è noto, nel corso degli anni il Legislatore è intervenuto più volte sui termini massimi di trattenimento degli stranieri nei Centri, prolungandoli o riducendoli, e l'estensione nuovamente proposta della durata massima del trattenimento, tuttavia, non appare trovare giustificazione in un'effettiva esigenza di sistema, né sembra idonea al raggiungimento dello scopo che si prefigge. Infatti, nel corso degli anni la media dei rimpatri effettuati rispetto alle persone trattenute, indipendentemente dai termini di trattenimento vigenti, si è sempre attestata attorno al 50% (secondo dati tratti dal Documento della Commissione diritti umani del Senato, dal Documento programmatico Cie del Ministero dell'Interno 2013, e dalla Relazione al Parlamento del Garante Nazionale del 2018).

Dunque, i dati relativi alle persone effettivamente rimpatriate che sono transitate nei centri di detenzione amministrativa indicano come l'efficacia del sistema del trattenimento non sia direttamente correlata all'estensione dei termini massimi di permanenza nei Centri ma segua un andamento proprio.

Il trattenimento, dunque, come concepito oggi dal Legislatore, funge unicamente da deterrente rispetto al fenomeno migratorio attraverso la prospettazione di una potenziale ingiustificata sofferenza individuale basata sulla privazione della libertà.

Inoltre, l'indicazione che dalla previsione del prolungamento dei termini di durata massima non debbano derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica desta preoccupazione, poiché, a un'estensione dei tempi di permanenza all'interno dei Centri, dovrebbero accompagnarsi misure dirette a garantire un aumento e una diversificazione delle attività a favore delle persone trattenute.

Trattenimento per la determinazione o la verifica dell'identità e della cittadinanza dei richiedenti asilo

L'articolo 3 del decreto sicurezza prevede la possibilità di trattenere il richiedente asilo, allo scopo di accertarne l'identità o la cittadinanza, presso appositi locali all'interno delle strutture già individuate come hotspot (punti di crisi) e Centri governativi di prima accoglienza per il tempo strettamente necessario e, comunque, non superiore a 30 giorni; ove non sia stato possibile determinarne l'identità, il trattenimento potrà, poi, essere effettuato nei Centri di permanenza per il rimpatrio fino ad un massimo di 180 giorni, sempre ai fini identificativi (comma 3-bis inserito dal decreto sicurezza all'art. 6 del d.lgs. 142 del 2015).

Il soggetto si considera non identificato quando non ha un documento di identità o è falso: si apre uno scenario in cui tale condizione di non identificazione riguarda costantemente i richiedenti asilo, i quali per riuscire a fuggire da conflitti o persecuzioni, sono sprovvisti di documenti.

Ciò si pone in contrasto con le norme relative alla procedura per il riconoscimento della protezione internazionale, le quali stabiliscono il principio generale che il richiedente non può essere trattenuto al solo fine di esaminare la sua domanda ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo 142/2015 di attuazione della direttiva 2013/32/Ue (la regola generale della libertà del richiedente asilo è, tuttavia, derogata da alcune eccezioni che in presenza di alcune condizioni stabiliscono il suo trattenimento in appositi spazi).

Tale principio è ribadito dall'art. 8 della direttiva accoglienza Ue 33/2013 e dalla Convenzione di Ginevra, secondo cui sono vietate forme di sanzione ai richiedenti protezione e, quindi, un trattenimento fatto in modo sistematico, come quello contemplato dall'art. 3 del decreto sicurezza, può essere considerato una forma di sanzione.

La norma non disciplina tassativamente i presupposti alla base della misura e finisce, quindi, per sanzionare con la privazione della libertà tutti i richiedenti nei cui confronti l'Autorità di pubblica sicurezza decida di esercitare l'ampia discrezionalità di cui dispone.

Ne consegue un uso generalizzato del trattenimento contrastante con i principi di necessità, proporzionalità e ricorso a esso solo come misura di ultima istanza: infatti, la direttiva 2013/33/Ue contempla la possibilità di trattenere il richiedente per verificare la sua identità o cittadinanza, ma solo dopo una valutazione caso per caso e in una ottica non generalizzata come è ravvisabile nella nuova fattispecie introdotta dal decreto.

Alla luce dei principi elaborati dalla Cedu, infatti, non solo è necessario che i provvedimenti limitativi della libertà personale abbiano una base legale nel diritto interno, come previsto dall'art. 13 Cost., ma occorre anche che le previsioni della legge siano chiaramente definite e che siano idonee a evitarne un uso arbitrario.

Per quanto riguarda i luoghi del trattenimento, essi sono gli hotspot, i centri governativi di prima accoglienza e i C.P.R., in contrasto con quanto previsto dall'art. 10 della direttiva accoglienza Ue 33/2013, il quale stabilisce che «Il trattenimento dei richiedenti ha luogo, di regola, in appositi centri di trattenimento. Lo Stato membro che non possa ospitare il richiedente in un apposito centro di trattenimento e sia obbligato a sistemarlo in un istituto penitenziario, provvede affinché il richiedente trattenuto sia tenuto separato dai detenuti ordinari e siano applicate le condizioni di trattenimento previste dalla presente direttiva».

Dunque, il trattenimento può avvenire all'interno dei C.P.R. o in istituti penitenziari, ma non negli hotspot, i quali, inoltre, appaiono strutturalmente inadeguati a fungere da luoghi di trattenimento per un tempo prolungato, in quanto pensati per ospitare persone per un brevissimo arco temporale, sia sotto il profilo delle condizioni materiali di accoglienza, che rispetto alla qualità e quantità dei servizi erogati. Alla luce della configurazione delle strutture e in considerazione della clausola di invarianza finanziaria, la soluzione prospettata appare peraltro di difficile attuazione perché richiederebbe la realizzazione di interventi strutturali specifici.

Si ravvisa, tra l'altro, una grave lacuna in merito alle garanzie del trattenimento, in particolare non vengono determinati i tempi e i modi della convalida, ma, nel silenzio del Legislatore, si ritiene applicabile la disciplina sulla convalida del trattenimento ex art. 6 del d.lgs. n. 142 del 2015.

La norma, inoltre, non prevede con quali modalità il richiedente asilo sia trattenuto, in particolare, all'interno degli hotspot e dei regional hubs. D'altra parte, peraltro, nessuna norma di rango primario regola compiutamente gli hotspot, la cui disciplina rimane affidata a comunicazioni della Commissione europea al Parlamento e al Consiglio, a circolari interne e a documenti come le Standard Operating Procedures (SOP) che non possono certamente essere ritenute idonee a regolare una misura incidente sulla libertà personale degli individui.

Gli hotspot divengono, quindi, strutture detentive senza una specifica regolazione delle condizioni di trattenimento delle persone ivi ospitate e ciò apre profili di criticità in relazione alla riserva assoluta di legge circa i modi della restrizione della libertà personale.

Né è prevista esplicita previsione delle garanzie previste dalla direttiva 33/2013 quali, ad esempio, il diritto agli spazi all'aria aperta (art. 10 comma 2 della direttiva 33/2013) o le garanzie sulla divisione di spazi e modalità specifiche da garantirsi in caso di trattenimento dei minori con i genitori e persone vulnerabili (art. 11 della direttiva 33/2013), né sono espressamente previste le divisioni per genere e nulla, inoltre, è precisato in riferimento al diritto di visita che avrebbe dovuto essere, invece, oggetto di espressa previsione normativa considerando che, ad oggi, gli hotspot sono luoghi inaccessibili per gli avvocati o per i familiari.

Inoltre, i termini eccessivi di trattenimento proposti dal provvedimento in esame (30 giorni negli hotspot/regional hubs e, se le esigenze identificative permangono, fino a 180 giorni nei CPR) non sono in linea con il principio sancito dall'art. 8 della direttiva 33/2013 in base al quale un richiedente dovrebbe essere trattenuto solo per un periodo il più breve possibile e non appaiono proporzionati alle esigenze di identificazione del richiedente asilo.

Infatti, da un punto di vista pratico, la misura più idonea per determinare o verificare l'identità o la cittadinanza di un richiedente asilo privo di documenti, non potendo naturalmente fare riferimento alle Autorità del Paese d'origine in quanto espressamente vietato da norme nazionali ed europee, risulta essere la consultazione di banche dati (quali Eurodac, Interpol e simili) che però, non sembra necessitare di tempi così lunghi come quelli previsti dal decreto legge in esame.

Certamente la medesima disposizione europea all'art. 8 par. 3, lett. a) dà ad ogni Stato la facoltà di disporre il trattenimento del richiedente asilo per determinarne o verificarne l'identità o la cittadinanza, ma nel fare ciò la norma nazionale italiana non soltanto deve essere conforme all'art. 10, commi 2 e 3, Cost. ma deve anche non limitarsi a ripetere la medesima generica ipotesi menzionata dall'art. 8, par. 3 di quella direttiva, che prescrive ad ogni Stato di specificare nella sua legislazione nazionale i motivi del trattenimento del richiedente asilo; poiché, invece, tale specificazione non è prevista nella nuova disposizione legislativa introdotta dal decreto legge essa appare viziata da manifesta violazione della prescrizione dello stesso art. 8 della direttiva 2013/33/UE.

Inoltre, il maxiemendamento ha modificato l'art. 7 comma 5 lett. e) del d.l. 146 del 2013, prevedendo l'accesso del Garante Nazionale delle persone private della libertà personale nei locali dei centri adibiti al trattenimento ai fini identificativi, prevedendo in modo esplicito l'esercizio dei poteri in tali luoghi con una modifica della stessa legge istitutiva del Garante.

Disposizioni in materia di modalità di esecuzione dell'espulsione

Per quanto riguarda, invece, la modalità di esecuzione dell'espulsione (l'art. 4 del decreto modifica l'art. 13, comma 5-bis del d.lgs. n. 286 del 1998), è previsto che, qualora non vi sia disponibilità nei C.P.R., il giudice di pace, su richiesta del questore, con il decreto di fissazione dell'udienza di convalida, possa autorizzare la temporanea permanenza dello straniero in altre strutture idonee nella disponibilità dell'Autorità di Pubblica Sicurezza, in attesa della definizione del procedimento di convalida del provvedimento di espulsione disposta con accompagnamento alla frontiera. Permanendo tali condizioni, il giudice di pace può autorizzare la temporanea permanenza dello straniero, anche dopo l'udienza di convalida, presso locali idonei dell'Ufficio di frontiera fino all'esecuzione dell'allontanamento e, comunque, per un tempo non superiore alle 48 ore successive all'udienza.

In base a tale disposizione, il periodo di permanenza delle persone in tali strutture idonee può estendersi a 4 giorni nel caso di strutture dell'Autorità di pubblica sicurezza e di ulteriori 2 giorni in locali dell'Ufficio di frontiera, così raggiungendo la possibile durata di 6 giorni.

La norma non individua in maniera puntuale i locali destinati al trattenimento, indicandoli con la formulazione generica strutture diverse e idonee nella disponibilità dell'Autorità di pubblica sicurezza o in locali idonei presso l'ufficio di frontiera e non definisce i parametri per il necessario preliminare giudizio di idoneità e non disciplina le condizioni di trattenimento.

Si apre, quindi, uno spazio indefinito dei luoghi di trattenimento basati su una generica nozione di idoneità, non preventivamente determinata, la cui valutazione è affidata sostanzialmente alla pubblica amministrazione e solo astrattamente, ed eventualmente solo ex post, al vaglio giurisdizionale, in violazione della riserva assoluta di legge circa la precisa individuazione dei luoghi e delle modalità del trattenimento ex art. 13 cost.

Disposizioni in materia di diniego e revoca della protezione internazionale

Viene ampliato il catalogo di reati che, in caso di condanna definitiva, costituiscono motivo di diniego o di revoca rispettivamente dello status di rifugiato e di quello di beneficiario di protezione sussidiaria, includendovi fattispecie delittuose che destano particolare allarme sociale come le fattispecie base dei reati di violenza sessuale e dei reati di produzione, traffico e detenzione ad uso non personale di stupefacenti, nonché di rapina ed estorsione. Sono inseriti, altresì, in tale catalogo di reati, quelli di violenza o minaccia a pubblico ufficiale, le lesioni personali gravi e gravissime, il reato di mutilazione degli organi genitali femminili, nonché i reati di furto e furto in abitazione aggravati dal porto di armi o narcotici (articolo 7).

Disposizioni in materia di paesi di origine sicuri e manifesta infondatezza della domanda di protezione internazionale

Il maxiemendamento ha inserito nel decreto sicurezza l'art. 7-bis, con il quale viene introdotto nel d.lgs. n. 25 del 2008 il nuovo articolo 2-bis che definisce i principi e i criteri per l'individuazione dei Paesi di origine sicuri.

La norma prevede l'adozione di un elenco da parte del Ministro degli Esteri di concerto con i Ministri dell'Interno e della Giustizia, di un elenco dei Paesi di origine sicuri, in conformità a criteri individuati dalla medesima disposizione. Sulla base di tali criteri uno Stato non UE può essere considerato Paese di origine sicuro se, sulla base del suo ordinamento giuridico, dell'applicazione della legge all'interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non sussistono atti di persecuzione, né tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

La designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta con l'eccezione di parti del territorio o di categorie di persone.

Si precisa che un Paese può essere considerato di origine sicuro per il richiedente protezione internazionale solo se questi ha la cittadinanza di quel Paese o è un apolide che in precedenza soggiornava abitualmente in quel Paese.

La domanda del richiedente proveniente da Paese di origine sicuro viene esaminata con procedura accelerata. In particolare, se il richiedente proviene da un Paese di origine sicuro e non abbia dimostrato la sussistenza di gravi motivi per ritenere detto Paese non sicuro in relazione alla situazione particolare del richiedente stesso, la sua domanda sarà considerata infondata e la Commissione procederà senza audizione dell'interessato (art 9 del d.lgs. 25/2008, così come modificato dall'art. 7-bis introdotto dal maxiemendamento nel decreto sicurezza).

Ciò in contrasto con la direttiva procedure 2013/32/Ue, la quale prescrive che al migrante proveniente da un Paese incluso nell'elenco dei presunti Paesi sicuri debba essere garantita la possibilità di “invocare” la sussistenza di gravi motivi di pericolo per evitare il rimpatrio nel proprio Paese, laddove, invece, il testo approvato dal Parlamento italiano prevede per il richiedente l'onere di dimostrare la sussistenza di gravi motivi per ritenere non sicuro per sé il proprio Paese.

È introdotta una procedura accelerata e di frontiera per chi presenta domanda di protezione alla frontiera o nelle zone di transito, dopo essere stato fermato per avere eluso o tentato di eludere i controlli di frontiera (articolo 9).

Il d.l.113 del 2018 spinge la richiesta d'asilo verso la frontiera attuando una inversione rispetto a quello che fino ad ora è stato il principio della regola e dell'eccezione: la regola era costituita dalla procedura ordinaria per cui una persona presentava domanda di asilo e, dentro una struttura di accoglienza (SPRAR o CAS), si preparava ad affrontare una Commissione; in caso di diniego il soggetto giungeva con pieni diritti dinanzi all'autorità giudiziaria.

L'eccezione è sempre stata (e adesso la si vuole trasformare nella regola) che una persona presenta una domanda di asilo politico in un luogo ristretto, con una libertà di circolazione limitata: tale domanda viene sottoposta ad una procedura accelerata in cui il soggetto si prepara in tempi rapidissimi ad una Commissione, in un luogo lontano dalla società civile e non in una struttura di accoglienza, ed, eventualmente, in caso di diniego da parte della Commissione, tale diniego è impugnabile, ma con una compressione dei suoi diritti, ovvero può impugnare nel termine di 15 gg (invece che 30 gg) e l'impugnazione non ha un effetto sospensivo automatico, ma può essere chiesto al giudice di sospendere l'eventuale decreto di espulsione nel termine di 5 gg.

Questa che conoscevamo come eccezione, nel caso di persona che faceva domanda di asilo dopo essere stata trattenuta in un C.P.R., ora il nuovo sistema la immagina come regola.

Nello specifico, oggi, in virtù delle modifiche apportate dal dl sicurezza,la procedura accelerata si applica (art. 28-bis del d.lgs. 25 del 2008) nei seguenti casi:

  • art. 28, comma 1, lett. c) del d.lgs. 25 del 2008, cioè quando la domanda è presentata da un richiedente nei confronti del quale è stato disposto il trattenimento nei centri di cui all'art. 14 e nei luoghi di cui all'art. 10-ter del d.lgs. 286 del 1998, quindi in C.P.R. e hotspot (il riferimento all'art. 10-ter e, quindi, agli hotspot è stato inserito con il d.l. sicurezza; in tal caso la Commissione provvede all'audizione entro 7 gg dalla data di ricezione della documentazione, mentre la decisione è adottata entro i successivi 2 gg);
  • nel caso previsto dall'art. 29, comma 1 lett. b), cioè in caso di domanda reiterata considerata inammissibile in quanto identica alla prima, e, in tal caso, la Commissione decide entro 5 gg, senza incontrare il richiedente, quindi, senza audizione;
  • nel caso in cui il richiedente presenti la domanda direttamente alla frontiera o nelle zone di transito dopo essere stato fermato per aver eluso o tentato di eludere i relativi controlli; in tal caso la procedura accelerata potrà essere svolta direttamente alla frontiera o nelle zone di transito e, a tal fine, saranno appositamente istituite fino a 5 sezioni delle Commissioni territoriali; l'audizione avverrà entro 7 gg e la decisione verrà presa entro i successivi 2 gg;
  • nel caso di domanda del richiedente proveniente da un Paese di origine sicuro:
    a
    ) se il richiedente adduce motivi per non ritenere tale Paese sicuro, tale domanda è considerata manifestamente infondata ex art. 28-ter, per cui la procedura accelerata prevede 14 gg per l'audizione e 4 gg per la decisione;
    b) nel caso in cui la domanda del richiedente proveniente da Paese di origine sicuro venga effettuata in frontiera, e sia motivata, la procedura accelerata si svolgerà direttamente in frontiera e, dunque, la Commissione procederà all'audizione entro 7 gg e alla decisione nei successivi 2 gg;
    c)se, invece, il richiedente proveniente da Paese di origine sicuro non adduca motivi per ritenere detto Paese non sicuro, allora la procedura accelerata si svolgerà come per la domanda reiterata e, cioè, sia che la domanda sia presentata in frontiera che fuori frontiera, la Commissione decide entro 5 gg senza audizione.
  • Quando il richiedente presenta domanda dopo essere stato fermato in condizioni di soggiorno irregolare, al solo scopo di ritardare o impedire l'adozione o l'esecuzione di un provvedimento di espulsione o respingimento, la Commissione avrà a disposizione 14 gg per l'audizione e 4 gg per la decisione;
  • Nel caso di domanda manifestamente infondata ai sensi dell'art. 28-ter del d.lgs. 25 del 2008, si prevedono 14 gg per audizione e 4 gg per la decisione.

I termini di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 28-bis (ovvero 7+2 gg e 14+4 gg) possono essere superati per assicurare un esame completo della domanda fatti salvi i termini previsti dall'art. 27, commi 3 e 3-bis, quindi il termine può essere più volte prorogato fino ad un massimo di 18 mesi (sono possibili tre proroghe rispettivamente di 6 mesi, 9 mesi e 3 mesi), però nel caso di trattenimento i termini previsti per le proroghe sono ridotti di un terzo; i termini ulteriori previsti per le proroghe riguardano esclusivamente la decisione e non l'audizione.

La domanda, oggi, si considera manifestamente infondata, ai sensi dell'art. 28-ter del d.lgs. 25 del 2008, quando:

  • il richiedente ha sollevato esclusivamente questioni che non hanno alcuna attinenza con i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale;
  • il richiedente proviene da un Paese designato di origine sicuro;
  • il richiedente ha rilasciato dichiarazioni palesemente incoerenti e contraddittorie o palesemente false, che contraddicono informazioni verificate sul Paese di origine;
  • il richiedente ha indotto in errore le autorità presentando informazioni o documenti falsi o omettendo informazioni o documenti riguardanti la sua identità o cittadinanza che avrebbero potuto influenzare la decisione negativamente, ovvero ha dolosamente distrutto o fatto sparire un documento di identità o di viaggio che avrebbe permesso di accertarne l'identità o la cittadinanza;
  • il richiedente è entrato illegalmente nel territorio nazionale, o vi ha prolungato illegalmente il soggiorno e, senza giustificato motivo, non ha presentato la domanda tempestivamente rispetto alle circostanze del suo ingresso;
  • il richiedente ha rifiutato di adempiere all'obbligo del rilievo dattiloscopico;
  • il richiedente si trova nelle condizioni di cui all'articolo 6 comma 2 lettere a), b) e c) e comma 3 del d.lgs. 142/2015, ovvero quando il soggetto è trattenuto in quanto costituisce un pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica.

Mentre, ai sensi dell'art. 29 del d.lgs. 25/2008, la Commissione dichiara la domanda inammissibile e non procede all'esame in 2 casi:

  • se il richiedente è stato già riconosciuto rifugiato in uno Stato firmatario della Convenzione di Ginevra e può ancora avvalersi di tale protezione;
  • quando la domanda è reiterata.

A tal proposito, vi è un esame preliminare della domanda da parte del Presidente della Commissione che procede all'audizione dell'interessato solo nel caso in cui sia stato già riconosciuto rifugiato da altro Stato; diversamente, in caso di domanda reiterata, si applicherà la procedura accelerata senza procedere all'audizione del richiedente.

L'art. 32 del d.lgs. 25 del 2008 disciplina la decisione della Commissione che può riconoscere lo status di rifugiato o la protezione internazionale, oppure rigettare la domanda qualora non sussistano i presupposti o per manifesta infondatezza. L'emendamento al decreto introduce il rigetto della domanda se, in una parte del territorio del Paese di origine, il richiedente non ha fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corre rischi effettivi di subire danni gravi o ha accesso alla protezione contro persecuzioni o danni gravi e può legalmente e senza pericolo recarvisi ed esservi ammesso e si può ragionevolmente supporre che vi si ristabilisca.

L'unica Garanzia per il richiedente è che l'individuazione dei casi di procedura accelerata, sulla base della documentazione in atti, spetta al Presidente della Commissione territoriale (art. 28, comma 1-bis, del d.lgs. 25 del 2008), per cui se non viene preliminarmente stabilita e indicata al ricorrente e se la Commissione non rispetta i termini della procedura accelerata, il richiedente avrà diritto ad impugnare nel termine ordinario di 30 gg

Disposizioni in materia di domanda reiterata

Lo stesso art. 9 del d.l. 113/2018 prevede che, in caso di domanda reiterata, ovvero di domanda considerata identica alla prima, la Commissione, senza procedere all'audizione del richiedente, la dichiara inammissibile, la restituisce alle forze dell'ordine che procedono al rimpatrio e la persona perde automaticamente il diritto a restare in Italia.

Per quanto riguarda, invece, una terza domanda, questa è considerata direttamente inammissibile dalle stesse forze di polizia, cioè, più precisamente, non è possibile nemmeno presentare la terza domanda.

Inoltre, lo stesso art. 9 del d.l. 113 del 2018 prevede che, se la domanda reiterata di asilo viene presentata in fase di esecuzione di un provvedimento di allontanamento (ai sensi dell'art. 29-bis del d.lgs. 25 del 2008), la domanda è considerata inammissibile in quanto si considera presentata al solo scopo di ritardare o impedire l'esecuzione del provvedimento. In tal caso, decide la polizia, e non la Commissione, che procede direttamente con il rimpatrio.

Si evidenziano profili di illegittimità per violazione dell'art. 117 Cost. e degli artt. 40 e 41 della direttiva Ue 32/2013 che riconoscono sempre il diritto del richiedente a restare in Italia, anche in caso di seconda domanda d'asilo, e non prevedono la possibilità di saltare la Commissione, ma solo di non disporre l'audizione.

Procedimento immediato innanzi alla commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale

L'art. 10 del d.l. 113 del 2018, che modifica l'art. 32 del d.lgs. n. 25 del 2008, prevede il «Procedimento immediato innanzi alla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale» nel caso in cui il richiedente asilo sia sottoposto a procedimento penale per reati di media gravità di cui all'art. 12, comma 1, lett. c) e altri gravi reati (quali, per esempio, omicidio, rapina, sequestro di persona a scopo di estorsione, associazioni di tipo mafioso e altri previsti all'articolo 407, comma 2, lett. a) c.p.p.) e costituisca un pericolo per la sicurezza dello Stato o per l'ordine e la sicurezza pubblica, ovvero sia stato condannato anche con sentenza non definitiva per tali reati.

In tali casi, il questore lo comunica tempestivamente alla Commissione territoriale che provvede nell'immediatezza all'audizione dell'interessato e adotta contestuale decisione.

Salvo che sussistano gravi motivi di carattere umanitario, in caso di rigetto della domanda, il richiedente deve lasciare il territorio nazionale, anche in pendenza di ricorso avverso la decisione della Commissione, in quanto tale ricorso non ha nessun effetto sospensivo.

La norma, oltre a introdurre una ipotesi di procedura immediata non contemplata dalla direttiva 33/2013, prevede una ipotesi di rimpatrio forzato senza diritto di attendere una decisone da parte di una autorità giurisdizionale. Infatti, in tutti i casi previsti dalla norma (sottoposizione a procedimento penale oppure condanna per taluni reati), è previsto l'obbligo del richiedente asilo di lasciare il territorio italiano subito dopo la valutazione negativa da parte della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione internazionale, senza avere la possibilità di restare sul territorio italiano in attesa di una decisione dell'autorità giudiziaria.

Inoltre, come può leggersi nell'inciso della norma, questa perdita del diritto a restare sul territorio italiano potrebbe scaturire dall'apertura di un procedimento penale, quindi, come conseguenza di una mera denuncia, perfino da parte di un privato, qualora il richiedenterisulti essere “pericoloso”. Il tutto con evidente violazione del principio di presunzione di non colpevolezza sancito dall'art. 27 della Costituzione italiana oltre che dall' art. 6 della Cedu, nonché per violazione del diritto ad un equo processo ex art. 6 Cedu.

Si ravvisa, inoltre, la violazione dell'art. 33 della Convenzione di Ginevra, che vieta l‘espulsione dei rifugiati se non per condanna definitiva per avere commesso reati gravi.

Disposizioni in materia di accoglienza dei richiedenti asilo

Altrettanto preoccupante è la riforma del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (Sprar) che sarà destinato esclusivamente alle persone titolari di protezione internazionale e dei nuovi permessi di soggiorno per casi speciali, nonché ai minori stranieri non accompagnati, con ricadute negative dal punto di vista della salute individuale e pubblica, della spesa sanitaria e dei costi sociali per l'integrazione.

Le persone richiedenti asilo non saranno, così, più ammesse alle pratiche di formazione e inserimento socio lavorativo e la loro permanenza nei soli Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) istituiti dalle Prefetture, che spesso non prevedono procedure idonee all'integrazione, inciderà negativamente su tali soggetti.

Infatti, restare a lungo inattivi in un centro, senza imparare la lingua, senza lavorare, e in una situazione caratterizzata da indeterminatezza, reca danni alla salute sia fisica che mentale, oltre a compromettere le possibilità di successiva integrazione. Si sottolinea che la misura coinvolgerà anche molte persone in condizioni di fragilità (donne in gravidanza, persone affette da disabilità, anziani, genitori con figli minori, vittime di tratta, tortura, violenze, malati fisici e/o psichici) che, non potendo accedere al sistema Sprar, saranno inserite in centri di accoglienza che non prevedono misure adeguate alla presa in carico delle specifiche vulnerabilità.

Disposizioni in materia di iscrizione anagrafica

L'art. 13 del decreto sicurezza rubricato Disposizioni in materia di iscrizione anagrafica, modificando l'art 4 del d.lgs. 142 del 2015, prevede che non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica il permesso di soggiorno, di cui al comma 1 dell'art. 4, rilasciato per richiesta di asilo valido nel territorio nazionale per sei mesi, rinnovabile fino alla decisione della domanda o comunque per il tempo in cui è autorizzato a rimanere nel territorio nazionale.

Tale norma non appare condivisibile in quanto, come sancito dalle Sezioni unite della Corte di cassazione con sentenza n. 499 del 2000, l'iscrizione anagrafica costituisce diritto soggettivo e, dunque, presupposto per esercitare effettivamente alcuni diritti fondamentali, come l'accesso all'assistenza sociale e sanitaria.

Disposizioni in materia di acquisizione e revoca della cittadinanza

È prevista, tramite inserimento di un articolo 10-bis alla legge 5 febbraio 1992 n. 91, la revoca della cittadinanza per coloro che abbiano riportato condanne definitive per delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni, nonché per i reati di assistenza ad appartenenti ad associazioni sovversive e con finalità di terrorismo e di sottrazione di beni sottoposti a sequestro per prevenire il finanziamento di condotte con finalità di terrorismo. La revoca viene adottata con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell'Interno entro tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna per i reati elencati (articolo 14).

L'emendamento dispone, inoltre, che la concessione della cittadinanza italiana è subordinata al possesso, da parte dell'interessato, di un'adeguata conoscenza della lingua italiana non inferiore al livello B1 del Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue.

La revoca della cittadinanza contrasta con l'art. 22 Cost. secondo cui “Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome” e inoltre, viola anche l'art. 3 Cost., in quanto la cittadinanza non viene revocata qualora sia un cittadino italiano a commettere un reato.

Disposizioni intertemporali e protezione speciale

A tal proposito non rilevano le disposizioni intertemporali previste dall'art. 1, commi 8 e 9, del decreto sicurezza: in particolare il comma 8 si riferisce all'ipotesi in cui, alla data di entrata in vigore del decreto, il permesso di soggiorno, precedentemente rilasciato per motivi umanitari, sia in scadenza e, in tal caso, potrà essere rilasciato un permesso di soggiorno ai sensi dell'art. 32, comma 3, del d.lgs. 25 del 2008, ovvero una Protezione speciale, qualora ricorrano i presupposti di cui all'art. 19, commi 1 (rischio di persecuzione) e 1.1 (rischio di tortura) del medesimo decreto, della durata di un anno e rinnovabile, che consente di svolgere attività lavorativa, ma non può essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro; invece, il comma 9 contempla l'ipotesi in cui la Commissione si sia già pronunciata, prima dell'entrata in vigore del decreto, accordando al richiedente la protezione umanitaria cioè si tratta di decisioni della commissione territoriale già assunte, ma non necessariamente notificate al richiedente alle quali consegue il rilascio di un permesso di soggiorno recante la dicitura “Casi Speciali”, come introdotti dall'art. 1, comma 1, del d.l. 113 del 2018, della durata di due anni e convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo o subordinato.

Quindi, è evidente che il decreto nulla dispone per i casi in cui il soggetto, pur essendo sul territorio italiano prima del 5 ottobre, non abbia presentato domanda prima di tale data. Conseguentemente, a tali soggetti si applicherà la disciplina precedente: lo straniero, infatti, giunge in Italia con una situazione giuridica già definita, quindi, se il soggetto è giunto in Italia prima del 5 ottobre non si applica il decreto sicurezza indipendentemente dal momento in cui ha presentato la domanda, non essendoci, tra l'altro, disposizioni specifiche nel decreto, la cui applicazione, dunque, non è retroattiva.

In conclusione

All'esito della disamina delle riforme apportate in materia di immigrazione, oggi, il permesso di soggiorno per motivi umanitari scompare e viene solo parzialmente sostituito dai permessi di soggiorno per calamità naturale, per motivi di particolare valore civile, per condizioni di salute di particolare gravità,per protezione speciale, nonché per motivi di protezione sociale (art. 18 del d.lgs. 286/1998), per tutela di vittime di violenza domestica (art. 18-bis del d.lgs. 286/98) e per sfruttamento lavorativo (art. 22, comma 12-quater, del d.lgs. 286/98).

Viene abrogato, dunque, il permesso di soggiorno per motivi umanitari, che veniva concesso nei casi in cui, pur in assenza degli estremi per il riconoscimento dell'asilo o della protezione sussidiaria, ricorrevano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano, tali da determinare la protezione della persona. Negli anni, la convertibilità dei permessi di soggiorno umanitari in permessi di lavoro ha favorito l'inserimento socio-economico di migliaia di persone, consentendone la regolarizzazione e, dunque, l'abrogazione della protezione umanitaria porterà un maggiore tasso di irregolarità.

Infatti, il passaggio dal permesso di soggiorno per motivi umanitari ad un ristretto numero di permessi di soggiorno per “casi speciali” rischia di far cadere in una condizione di irregolarità le circa 140.000 persone titolari di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, esponendoli al rischio di povertà estrema, di marginalità e di devianza.

Discutibile e preoccupante è la configurazione di tali permessi di soggiorno come autorizzazioni precarie, quasi sempre non rinnovabili e non convertibili: questo significa che, dopo il primo anno di applicazione della nuova disciplina, si produrrà irregolarità e lavoro nero.

Inevitabile è che una serie di diritti della persona, sanciti da Convenzioni internazionali e dalla nostra Costituzione, rischiano di rimanere inesigibili da parte di persone rese prive di quella precedente forma di protezione e, in particolare, ora si crea un vulnus per tutti coloro che, prima di arrivare nel nostro Paese siano transitati in Paesi terzi nei quali possano aver subito tortura o altri trattamenti inumani e degradanti.

Perplessità desta anche il significativo prolungamento della durata del trattenimento presso i C.P.R. dello straniero destinato al rimpatrio, nonché l'introduzione della nuova ipotesi di trattenimento del richiedente asilo che può raggiungere i 210 giorni, ai fini puramente identificativi e di verifica della cittadinanza.

Appare non condivisibile anche l'ampliamento della tipologia dei luoghi di privazione della libertà personale, con un'estensione della detenzione amministrativa che rischia di essere ben lontana dal rispondere a effettive esigenze di tipo investigativo e burocratico e si configura come un aggravio di sofferenza funzionale soltanto a scoraggiare gli arrivi.

Infine, è opportuno evidenziare che non si comprende la necessità del ricorso alla decretazione d'urgenza, specie in una fase come quella attuale in cui il numero delle persone straniere che giungono in Italia è talmente ridotta da non comportare alcuna forma di allarme sociale.

Il decreto legge, inoltre, non risulta neanche idoneo a combattere i trafficanti di esseri umani, i quali vivono della chiusura delle frontiere e della impossibilità di ingresso legale in Italia ed in Europa, mentre, se si vuole rafforzare il controllo di legalità sulla accoglienza dei richiedenti asilo, ciò non può farsi smantellando l'unico sistema ritenuto degno di tale funzione, ovvero lo SPRAR.

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