Cassazione: il principio di bigenitorialità non si traduce in una proporzione matematica
14 Dicembre 2018
Il caso. Il padre di una minore ha presentato ricorso per cassazione avverso il decreto con cui la Corte d'appello di Roma, accertata l'esistenza di una grave conflittualità tra i genitori alimentata da una competitività esasperata, aveva disposto l'affido della minore al servizio sociale competente per l'assunzione, sentiti i genitori, delle decisioni più importanti relative alla scuola, alla salute e all'attività sportiva, fermo restando il collocamento prevalente della bambina presso la madre e il diritto di entrambi i genitori di assumere le decisioni afferenti alla sua vita quotidiana.
I provvedimenti ex art. 333 c.c. non necessitano di un termine. La Cassazione rileva, in primo luogo, che il provvedimento con il quale è stato disposto l'affido della minore ai servizi sociali non ha carattere definitivo, come al contrario sostenuto dal ricorrente. Il provvedimento in esame, infatti, deve ricondursi nell'ambito dei provvedimenti convenienti per l'interesse del minore ex art. 333 c.c., assunti dall'autorità giudiziaria al fine di superare la condotta pregiudizievole di uno o entrambi i genitori senza dare luogo a una pronuncia di decadenza della responsabilità genitoriale. Essi hanno natura di atto di giurisdizione non contenziosa e non hanno carattere definitivo in quanto devono considerarsi revocabili e reclamabili. Nel caso in esame, pertanto, la previsione di un termine non risulta necessaria poiché il provvedimento poteva essere riesaminato in qualsiasi momento.
Il principio di bigenitorialità non è una proporzione matematica. Con il secondo motivo di ricorso, poi, il ricorrente denunciava la violazione dell'art. 316 c.c. per violazione del principio di parità tra i genitori avendo la Corte d'appello modificato la regolamentazione del suo diritto di visita e ridotto il pernotto della figlia presso di lui. A tal proposito, la Suprema Corte ricorda che il principio di bigenitorialità si traduce nel diritto di ciascun genitore ad essere presente in maniera significativa nella vita del figlio nel reciproco interesse senza, però, che ciò comporti «l'applicazione di una proporzione matematica in termini di parità dei tempi di frequentazione del minore». L'esercizio di tale diritto deve infatti essere armonizzato in concreto con le complessive esigenze di vita del figlio e dell'altro genitore. Per questi motivi la Cassazione rigetta il ricorso.
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