Sì all'applicazione dell'art. 262 c.c. anche in caso di coppia same sex
18 Dicembre 2018
Massima
A fronte del riconoscimento del figlio registrato dall'ufficiale dello stato civile, deve trovare applicazione l'art. 262 c.c. anche nel caso di coppia same sex, ancorché il riconoscimento successivo sia stato effettuato non dal padre, in conformità alla littera legis, bensì dall'altra genitrice di sesso femminile. Il caso
I decreti in commento affrontano una questione in buona sostanza sovrapponibile: in entrambi i casi due donne instauravano una relazione omoaffettiva dalla quale nasceva un bambino che veniva riconosciuto, inizialmente, dalla sola madre biologica. Di quest'ultima, sia nell'uno sia nell'altro caso, il minore acquisiva il cognome. Le partner della genitrice biologica si rivolgevano quindi all'ufficiale dello stato civile il quale, ai sensi dell'art. 254 c.c., accettava il riconoscimento del figlio e provvedeva a operare le opportune trascrizioni nei registri dello stato civile. Le due coppie, infine, una volta ottenuta la trascrizione del riconoscimento, si rivolgevano al tribunale per ottenere, ai sensi e per gli effetti dell'art. 262 c.c., l'aggiunta, al cognome dei bambini (ossia della madre biologica), anche del cognome della madre non biologica, che aveva operato il riconoscimento del figlio solo in epoca successiva ex art. 254 c.c.. La questione
Il Tribunale di Torino, nei due casi in esame, nei quali protagoniste sono coppie formate da due donne e non da due persone eterosessuali (come invece prevede la lettera della norma), è chiamato a decidere sull'applicazione dell'art. 262 c.c., il quale disciplina il cognome del figlio nato al di fuori del matrimonio. Le soluzioni giuridiche
Il percorso motivazionale dei due provvedimenti che qui si commentano è coincidente e sovrapponibile. In entrambi i casi, il Tribunale muove da una più generale considerazione, evidenziando che il procedimento instauratosi a seguito della richiesta delle coppie non è la sede né per sindacare la legittimità dell'operato dell'ufficiale dello stato civile, né per scrutinare la veridicità del riconoscimento dei minori, obiettivi comunque preclusi al giudice del caso concreto e per ottenere i quali si tratterebbe di attivare il particolare procedimento di rettificazione o correzione degli atti dello stato civile, disciplinato dagli artt. 95 ss. d.P.R. n. 396/2000 e il cui fondamento sostanziale va rinvenuto nell'art. 263 c.c., il quale indica, quali legittimati attivi all'impugnazione, il riconosciuto (per il quale l'azione è imprescrittibile), lo stesso autore del riconoscimento e chiunque vi abbia interesse. Ad ogni buon conto, a giudizio del collegio, non sembrano emergere profili di manifesta illegittimità per quanto concerne l'attività dell'ufficiale di stato civile il quale ha provveduto a registrare il riconoscimento, dal momento che proprio il riconoscimento appare coerente con la tutela del minore, principale parametro di riferimento della prevalente giurisprudenza su questioni affini. A fronte dell'atto dell'ufficiale dello stato civile consegue, pertanto e logicamente, che sia applicabile, anche ai casi in esame, il disposto dell'art. 262, comma 2, c.c. (richiamato dal comma 3 dello stesso articolo), per il quale se la filiazione nei confronti del padre è stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre, il figlio può assumere il cognome del padre aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre; a nulla rileva poi che il riconoscimento non sia stato effettuato dal padre (come prevede la littera legis) ma dall'altro partner, same sex, della coppia: ragionando diversamente, argomenta ancora il Tribunale di Torino, vi sarebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra il minore figlio di genitori omosessuali e i minori figli di coppie eterosessuali o adottati, ai sensi dell'art. 44,lett. d), l. n. 184/1983, da partner dello stesso sesso, i quali invece hanno la possibilità di acquisire il cognome di entrambi i soggetti che risultano, sulla base dei registri dello stato civile, suoi genitori. Va da sé, quindi, che entrambi i ricorsi devono essere accolti, risultando l'apposizione di entrambi i cognomi delle mamme rispondente al prevalente interesse del minore. Osservazioni
Quella che offre il Tribunale di Torino nelle due vicende che qui si commentano è una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 262 c.c., tra l'altro recentemente modificato, nella parte che qui rileva (comma 2 e 3), dall'art. 27, comma 1, lett. c) e d) d.lgs. n. 154/2013, e nel suo primo comma oggetto di intervento di Corte cost., sent. n. 286/2016, la quale ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo nella parte in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno. Orbene, assai acutamente i giudici evidenziano che, applicando in senso restrittivo l'art. 262 c.c. o, in altre parole, fornendo di esso una lettura originalista (l'articolo, nel trattare del figlio nato al di fuori del matrimonio, come è certamente nel caso di specie, prevede che il figlio possa assumere il cognome del padre aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre se la filiazione nei confronti del padre è stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre), si creerebbe una situazione di ingiustificata disparità non solo rispetto al figlio nato da coppia eterosessuale, ma anche rispetto al figlio adottato da partner dello stesso sesso secondo l'interpretazione dell'art. 44, comma 1, lett. d), l. n. 184/1983 fornita da pacifica giurisprudenza. Difatti, è ormai incontestato (cfr. in particolare, oltre alle numerose sentenze di merito, Cass. civ., sez. I, sent. 22 giugno 2016, n. 12962) che nel nostro ordinamento sia ammessa l'adozione del figlio del proprio coniuge anche in favore di coppie omosessuali; l'art. 55 l. n. 184/1983 prevede esplicitamente che, in tali circostanze, si applichi anche l'art. 299, comma 1, c.c., il quale stabilisce che l'adottato assume il cognome dell'adottante e lo antepone al proprio. Una interpretazione letterale dell'art. 262 c.c. creerebbe quindi una ingiustificata disparità di trattamento tra il figlio di coppia omosessuale adottato ex art. 44, comma 1, lett. d), l. n. 184/1983, il quale antepone il cognome dell'adottante a quello del proprio genitore biologico che l'ha per primo riconosciuto, e il figlio di coppia omosessuale riconosciuto dal coniuge non biologico successivamente alla nascita, il quale manterrebbe il cognome del solo genitore (biologico) che l'ha riconosciuto (alla nascita). Ora, tale disparità di trattamento, che deriva dal dato letterale dell'art. 262 c.c., può essere superato solo sposando la tesi dei giudici del Tribunale di Torino, i quali hanno operato una lettura del testo di legge costituzionalmente orientata. In questo senso, una questione di legittimità costituzionale sarebbe stata dichiarata, assai probabilmente, infondata, proprio in considerazione della possibilità di ricavare, dalla disposizione, una norma coerente con il complessivo impianto costituzionale, al fine di garantire la tutela del nome e dell'identità ai minori oggetto dei provvedimenti qui in commento, ancorché la Corte costituzionale, con un obiter dictum nella recentissima sentenza Corte cost. n. 212/2018, abbia affermato che «non discende (…) né dalle norme della nostra Costituzione, né da quelle interposte che essa richiama (il fatto che il) diritto al nome, quale elemento costitutivo dell'identità personale, debba concretizzarsi nel cognome comune»; in questo modo, il sistema è stato ricondotto in equilibrio, e a situazioni eguali (ossia a figli di coppie omosessuali) si applicano discipline differenti ma con eguali effetti sostanziali (la possibilità di sommare, al cognome del genitore biologico, anche quello dell'altro partner). Ancora una volta, infine, i giudici corroborano il loro ragionamento richiamando il più generale concetto di prevalente interesse del minore, da intendersi quale valvola di sfogo del sistema giuridico che permette ai giudici, di fronte a un complesso normativo, spesso (almeno apparentemente) idoneo ad adattarsi alle nuove forme familiari, di orientare le loro decisioni fondandole su un patrimonio di regole comuni che viene di volta in volta desunto dalla Costituzione, dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (art. 3, par. 1) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (art. 24, par. 2). |