Le nuove disposizioni di diritto penale sostanziale introdotte dal decreto sicurezza
18 Dicembre 2018
Abstract
La l. 1 dicembre 2018, n. 132, di conversione con modifiche del d.l. 4 ottobre 2018, n. 113, recante Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Delega al Governo in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze di polizia e delle Forze armate, entrata in vigore il 4 dicembre 2018, prevede, per quanto qui rileva, numerose modifiche alle norme di diritto sostanziale in materia penale. Grazie a un intervento eterogeneo, la novella risulta disseminata nel decreto tra le Disposizioni in materia di sicurezza pubblica e di prevenzione del terrorismo di cui al Capo I del Titolo II, le Disposizioni in materia di prevenzione e contrasto alla criminalità mafiosa di cui al Capo II del Titolo II, e le Disposizioni in materia di occupazioni arbitrarie di immobili, di cui al Capo III del Titolo II. L'art. 600-octies, inserito dalla l. 15 luglio 2009 n. 94, recante Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, ebbe a promuovere in delitto la fattispecie d'impiego di minori nell'accattonaggio, già prevista come contravvenzione dall'abrogato art. 671. L'applicazione dell'art. 671, infatti, aveva fatto registrare posizioni assai diverse in giurisprudenza. In alcune pronunce, la Cassazione aveva configurato nell'impiego del minore nell'accattonaggio gli estremi dei maltrattamenti (Cass. Pen., sez. VI, 9 novembre 2006 n. 3419 e più di recente, Cass. pen., Sez. V, 28 novembre 2008, n. 44516); in altre, aveva ravvisato gli estremi della contravvenzione, sul presupposto che il minore fosse in grado di recepire l'attività alla quale era volto (Cass. pen., Sez. I, 8 gennaio 2003 n. 197),e aveva, invece, escluso la rilevanza penale del fatto in assenza di tale consapevolezza (Cass. pen., Sez. I, 27 febbraio 1998, n. 2597). Il delitto, analogamente alla corrispondente contravvenzione, punisce - con la reclusione fino a 3 anni, salvo che il fatto costituisca più grave reato - chiunque si avvalga, per mendicare, di una persona minore degli anni 14 o, comunque, non imputabile, ovvero permette che tale persona (ove sottoposta alla sua autorità o affidata alla sua custodia o vigilanza) mendichi, o permette che altri se ne avvalga per mendicare. Una differenza è rinvenibile nell'ambito di applicazione, più ampio rispetto a quello della contravvenzione, in quanto la prima delle condotte che lo integrano prescinde dal fatto che il minore o la persona non imputabile sia sottoposta all'autorità del soggetto attivo o affidata alla sua custodia o vigilanza; elemento che permane con riferimento alle altre due condotte previste. Inoltre, a differenza dell'art. 671, l'art. 600-octies non contempla esplicitamente le pene accessorie (sospensione dall'esercizio della potestà genitoriale o dall'ufficio di tutore) applicabili nel caso in cui il fatto sia commesso dal genitore o dal tutore. Trovano, comunque, applicazione le norme, di carattere generale, contenute negli artt. 31 e 34. L'art. 21-quinquies d.l. 113/2018 integra la rubrica dell'art. 600-octies e inserisce un nuovo comma al fine di sanzionare quelle forme di gestione imprenditoriale, sistematica e continuativa dell'attività di accattonaggio. La nuova previsione, infatti, punisce con la pena della reclusione da 1 a 3 anni chiunque organizzi l'altrui accattonaggio, se ne avvalga o lo favorisca a fini di profitto. L'art. 21-quater d.l. 113/2018, recante Introduzione del delitto di esercizio molesto dell'accattonaggio, inserisce il nuovo art. 669-bis c.p. Da una pur sommaria lettura dell'articolo, tuttavia, si evince che, oltre alla sua chiara collocazione sistematica all'interno del Libro III, Titolo I, Capo I, Sezione I, § 4, del codice penale - recante Contravvenzioni concernenti la vigilanza sui mestieri girovaghi e la prevenzione dell'accattonaggio - è prevista la pena dell'arresto e dell'ammenda che, ai sensi dell'art. 17 c.p., costituiscono le pene previste per le contravvenzioni. La formulazione si apre con la clausola di salvezza che rende la fattispecie sussidiaria, in quanto configurabile solo ove il fatto non costituisca più grave reato. Si pensi alla riduzione in schiavitù, di cui all'art. 600 c.p., in caso di sfruttamento di anziani o disabili per l'accattonaggio; al maltrattamento di animali, ai sensi dell'art. 544-ter c.p., in caso di loro sottoposizione a comportamenti o fatiche insopportabili; alla violenza privata, di cui all'art. 610 c.p., nel caso in cui la mendicità si configuri come intimidatoria e invasiva. La nuova fattispecie punisce, quindi, con l'arresto da 3 a 6 mesi e con l'ammenda da 3.000 a 6.000 euro, chiunque eserciti l'accattonaggio con modalità vessatorie o simulando deformità o malattie o attraverso il ricorso a mezzi fraudolenti per destare l'altrui pietà. La norma riprende - con aggravio del limite edittale minimo della pena detentiva e introduzione della (inutile) pena pecuniaria - quanto già previsto dal secondo comma dell'art. 670, abrogato dalla l. 25 giugno 1999, n. 205, che sanzionava la “mendicità”. In merito si ricorda che la Consulta aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 670, comma 1, c.p. in quanto, per la mendicità non invasiva, “non può ritenersi in alcun modo necessitato il ricorso alla regola penale, né la tutela dei beni giuridici della tranquillità pubblica e dell'ordine pubblico può dirsi seriamente posta in pericolo dalla mera mendicità che si risolve in una semplice richiesta di aiuto”. Con riguardo, invece, alla mendicità "molesta" di cui al secondo comma dell'art. 670 c.p., la Corte ha ritenuto che “la repressione penale della mendicità che si manifesti in forme invasive, che comportino modalità ripugnanti o vessatorie, ovvero la simulazione di deformità o malattie, è giustificata dall'esigenza di tutelare rilevanti beni giuridici, fra i quali anche lo spontaneo adempimento del dovere sociale di solidarietà, turbato dall'impiego di mezzi fraudolenti volti a destare l'altrui pietà” (Cfr. Corte cost., 28 dicembre 1995, n. 519). Il nuovo art. 669-bis c.p. prevede, infine, la misura cautelare del sequestro - ma non anche quella definitiva della confisca in caso di condanna - delle cose che sono servite o sono state destinate a commettere l'illecito o che ne costituiscono il provento. Invasione di terreni o edifici
La novella riscrive completamente il delitto d'invasione di terreni o edifici di cui all'art. 633 c.p. Il comma 1, nel ricalcare pedissequamente la versione precedente, non interviene sulla configurazione dell'illecito - chi invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto - che resta anche perseguibile a querela, ma si limita a inasprire, da 1 a 3 anni, i limiti edittali della pena detentiva già prevista (reclusione fino a 2 anni) e a impostare come congiunta, invece che come alternativa, la pena pecuniaria, che rimane tuttavia immutata nel quantum monetario: da 103 a 1.032 euro di multa. Il secondo comma ridelinea le circostanze aggravanti speciali a efficacia speciale, la cui presenza modifica anche il regime di procedibilità, che comportano la reclusione fino a 4 anni (senza limite edittale minimo), congiuntamente alla multa da 206 a 2.064 euro. La prima, ricorre quando il fatto è commesso da più di 5 persone (c.d. occupazioni collettive); la seconda, quando il fatto è commesso da persona palesemente armata - viene meno, invece, la vecchia circostanza aggravante quando il fatto fosse stato commesso da più di 10 persone, anche non armate. Il comma 3 imposta come aggravante speciale a efficacia comune, la promozione o l'organizzazione dell'invasione commessa da 2 o più persone. Il severo inasprimento della pena detentiva, tuttavia, sembra non aver tenuto in debito conto la circostanza a tenore della quale, ai sensi dell'art. 4, comma 1, lett. a) d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, recante Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace a norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468, l'art. 633, comma 1, c.p. - salvo che ricorra l'ipotesi di cui all'art. 639-bis c.p. (se si tratta di acque, terreni, fondi o edifici pubblici o destinati a uso pubblico) - è devoluto all'attività cognitiva ratione materiae del giudice onorario. Ne deriva che, stante il fatto che al giudice di pace penale - per il quale è stato costruito un apposito apparato sanzionatorio - è preclusa l'applicazione della pena detentiva, si deve procedere sul nuovo quadro edittale ad applicare il criterio di conversione ex art. 52 d.lgs. 274/2000. Si assiste, infatti, a uno slittamento verso l'alto delle fasce sanzionatorie: il reato passa dal parametro che prevede la pena della multa da 258 a 2.582 euro, o della permanenza domiciliare da 6 a 30 giorni, ovvero del lavoro di pubblica utilità per un periodo da 10 giorni a 3 mesi, al parametro che prevede la pena della multa da 774 a 2.582 euro, o della permanenza domiciliare da 20 a 45 giorni, ovvero del lavoro di pubblica utilità per un periodo da 1 a 6 mesi. La citata novazione sanzionatoria, allora, disarmonica rispetto al contesto normativo all'interno del quale è chiamata ad operare, rischia, in assenza di spazi certi di efficacia, di costituire un aborto giuridico. L'art. 21-sexies d.l. 113/2018 interviene sulla disciplina dell'esercizio abusivo dell'attività di parcheggiatore o guardiamacchine, andando a sostituire integralmente il comma 15-bis dell'art. 7 del codice della strada, già modificato, solo un anno fa, dal d.l. 20 febbraio 2017 n. 14, c.d. decreto sicurezza urbana. Preliminarmente si osserva che aver continuato (ancora una volta) a mantenere la collocazione sistematica della previsione all'interno della norma - art. 7 cod. strada - che regolamenta la circolazione “nei centri abitati”, sembra comprometterne seriamente l'applicabilità al di fuori degli stessi. La modifica interviene sia sulla configurazione dell'illecito, che sull'apparato sanzionatorio. Non viene più sanzionato l'esercizio abusivo dell'attività di parcheggiatore o guardiamacchine, bensì l'esercizio senza autorizzazione della stessa. Sotto il profilo semantico, tuttavia, l'uso della locuzione “senza autorizzazione” (sine titulo) - circostanza che presuppone, a contrariis, l'esistenza della possibilità di ottenere un'autorizzazione - in relazione al mestiere di parcheggiatore, integra una contraddizione in termini. Il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, infatti, non comprende più il rilascio della licenza per mestieri girovaghi. La sanzione amministrativa pecuniaria, invece, viene ridotta sia nel minimo (da 1.000 a 771 euro), che nel massimo (da 3.500 a 3.101 euro). La norma, al pari del passato, si apre con la clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca reato”. Senza dubbio, la pretesa illegittima di denaro (non importa di quanto) portata con illeciti mezzi, minacciando, anche larvatamente, l'automobilista di danneggiare l'auto in caso di mancata corresponsione, integra il delitto di estorsione (cfr. Cass. pen., Sez. II, 7 giugno 2012, n. 21942; e, più di recente, Cass. pen., Sez. II, 7 giugno 2018, n. 30365). Ma la grande novità è contenuta nel secondo periodo del nuovo comma 15-bis. Le già previste ipotesi aggravate, in caso di impiego dei minori o se il soggetto sia già stato sanzionato per la medesima violazione con provvedimento definitivo, infatti, risultano idonee a trasformare l'illecito amministrativo in un'autonoma ipotesi di reato presidiato dalla pena dell'arresto da 6 mesi a 1 anno e l'ammenda da 2.000 a 7.000 euro. Resta, tuttavia, da comprendere come i diversi organi di polizia stradale possano, in concreto, prendere conoscenza del precedente specifico definitivo, stante la mancanza di un'anagrafe di parcheggiatori abusivi. Inalterata resta, infine, la previsione della sanzione accessoria della confisca del provento dell'attività illecita, in quanto unica idonea a garantire (almeno teoricamente) margini di efficacia alla norma. Blocco stradale
Prima della riforma, l'art. 1 d.lgs. 22 gennaio 1948 n. 66, recante Norme per assicurare la libera circolazione sulle strade ferrate ed ordinarie e la libera navigazione, sanzionava con la reclusione da 1 a 6 anni (solo) il reato di blocco ferroviario, consistente nel deporre o abbandonare congegni o altri oggetti di qualsiasi specie in una strada ferrata, al fine di impedire od ostacolare la libera circolazione. La stessa pena era prevista per il blocco in una zona portuale o nelle acque di fiumi, canali o laghi, al fine di ostacolare la libera navigazione, o comunque l'ostruzione o l'ingombro di tali zone. La pena era raddoppiata per il fatto commesso da più persone, anche non riunite, ovvero commesso usando violenza o minaccia alle persone o violenza sulle cose. Il blocco stradale, invece, depenalizzato dal d.lgs. 30 dicembre 1999 n. 507, era qualificato dall'art. 1-bis come mero illecito amministrativo - esclusa la clausola di salvezza ove il fatto costituisca reato, id est l'interruzione di servizio pubblico di cui all'art. 340 c.p. - punito con la sanzione pecuniaria da 1.032 a 4.131 euro, per la quale non era ammesso il pagamento in misura ridotta ai sensi dell'art. 16 L. 689/81. Con la novella, il nuovo comma 1 dell'art. 1 ripenalizza il blocco stradale e l'ostruzione o ingombro dei binari - in quanto ritenuti lesivi della sicurezza dei trasporti e della libertà di circolazione. In sostanza, si torna al testo previgente alla depenalizzazione del 1999. Tuttavia, la riscrittura dell'art. 1-bis prevede che l'impedimento alla libera circolazione su una strada ordinaria mediante ostruzione “con il proprio corpo”, resta illecito amministrativo punito con la sanzione pecuniaria da 1.000 a 4.000 euro, per la quale è, oggi, ammesso il pagamento in misura ridotta. La medesima sanzione si applica ai promotori e organizzatori; tale previsione risulta del tutto inutile in quanto non determina alcuna differenziazione sanzionatoria rispetto al semplice partecipante. L'ostruzione di strada ferrata attuata con le citate modalità, invece, resta illecito penale. Subappalti illeciti
L'art. 21 l. 13 settembre 1982, n. 646, recante Disposizioni in materia di misure di prevenzione di carattere patrimoniale, nella formulazione previgente, puniva con la pena dell'arresto da 6 mesi a 1 anno e con l'ammenda non inferiore a 1/3 del valore dell'opera concessa in subappalto o a cottimo e non superiore a 1/3 del valore complessivo dell'opera ricevuta in appalto, chiunque, avendo in appalto opere riguardanti la P.A., avesse concesso, anche di fatto, in subappalto o cottimo, in tutto o in parte, le stesse opere senza autorizzazione del committente. La stessa pena dell'arresto da 6 mesi a 1 anno e dell'ammenda pari a 1/3 del valore dell'opera ricevuta in subappalto o in cottimo era prevista anche nei confronti del subappaltatore e dell'affidatario del cottimo. La novella, nel sostituire alla pena dell'arresto quella della reclusione e alla pena dell'ammenda quella della multa, trasforma i reati de quibus da contravvenzioni in delitti, oggi puniti con la ben più elevata pena detentiva da 1 a 5 anni - equiparata a quella prevista dall'art. 356 c.p., per il delitto di frode in pubbliche forniture - fermo restando l'importo della pena pecuniaria. Conseguenza - forse non voluta - di tale opera di riqualificazione penale è l'esclusione della punibilità delle condotte colpose (si pensi alle ipotesi in cui il subappaltatore e il concessionario del cottimo vengano meno all'onere di verificare che l'appaltatore abbia ricevuto dal committente l'autorizzazione al subappalto o alla concessione del cottimo). Estensione del Daspo
L'art. 20 d.l. 113/2018, previa integrazione del comma 1 dell'art. 6 l. 13 dicembre 1989, n. 401, estende, per finalità di prevenzione, l'applicazione del Divieto di Accesso alle manifestazioni SPOrtive, Daspo, quale misura di prevenzione atipica, ai soggetti di cui all'art. 4, comma 1, lett. d) D.Lgs. 6/9/2011, n. 159, indiziati di reati di terrorismo, anche internazionale, e di altri reati contro la personalità interna dello Stato e l'ordine pubblico. La ratio della disposizione risiede nella considerazione che i luoghi di svolgimento di tali eventi sportivi, costituendo momento di aggregazione di persone, possono rappresentare obiettivi sensibili per potenziali attacchi terroristici. Ai sensi del comma 6, la violazione del D.A.SPO. integra un delitto punito con la reclusione da 1 a 3 anni e con la multa da 10.000 a 40.000 euro. Le stesse disposizioni si applicano nei confronti delle persone che violano in Italia il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive adottato dalle competenti Autorità di uno degli altri Stati membri dell'Unione europea. Gli artt. 21, 21-ter e 31-ter d.l. 113/2018, recano modifiche al Capo II del già citato d.l. 20 febbraio 2017 n. 14. Lo strumentario previsto dall'art. 9 del c.d. decreto sicurezza urban”, prevede la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 300 euro - da irrogarsi secondo il procedimento scandito dalla L. 689/1981 - a carico di chi ponga in essere condotte che impediscono la libera accessibilità e fruizione delle aree interne di infrastrutture, fisse e mobili, ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano, e delle relative pertinenze, in violazione dei divieti di stazionamento o di occupazione di spazi ivi previsti. Il comma 3 stabilisce che le predette norme possono estendersi, anche ad aree urbane individuate dai regolamenti di polizia urbana su cui insistono scuole, plessi scolastici e siti universitari, musei, aree e parchi archeologici, complessi monumentali o altri istituti e luoghi della cultura o interessati da consistenti flussi turistici, ovvero adibite a verde pubblico. La novella prevede che i regolamenti di polizia urbana possano individuare anche aree su cui insistono “presidi sanitari” o destinate allo “svolgimento di fiere, mercati, pubblici spettacoli”. Accanto alla sanzione pecuniaria è, poi, previsto un ordine di allontanamento dal luogo ove è stato commesso il fatto. L'ordine di allontanamento opera anche a carico di chi, nelle medesime aree, abbia commesso gli illeciti amministrativi di ubriachezza (art. 688 c.p.), atti contrari alla pubblica decenza (art. 726 c.p.), esercizio abusivo del commercio (art. 29 d.lgs. 31 marzo 1998 n. 114) o di esercizio dell'attività di parcheggiatore abusivo (art. 7, comma 15-bis, cod. strada). L'art. 10 stabilisce che l'ordine di allontanamento di cui all'art. 9 deve essere rivolto con atto scritto dall'organo accertatore e deve recare le motivazioni sulla base delle quali è stato adottato, l'indicazione che ne cessa l'efficacia trascorse 48 ore dall'accertamento del fatto e che la sua violazione è punita con la sanzione pecuniaria da 100 a 300 euro “aumentata del doppio”. Copia del provvedimento deve essere trasmessa con immediatezza al questore con contestuale segnalazione ai servizi socio-sanitari, ove ne ricorrano le condizioni. Alla reiterazione delle condotte illecite consegue la possibilità per il questore, ove ritenga che dalla condotta tenuta possa derivare pericolo per la sicurezza, di disporre, con provvedimento motivato, il divieto di accesso a una o più delle aree espressamente individuate, per non più di 12 mesi - termine così raddoppiato dal d.l. 113/2018. Si tratta di una misura ricalcata sulla falsariga del D.A.SPO., che si potrebbe definire Divieto di Accesso in SPazi Urbani (D.A.SP.U.). La novella - che, in maniera disorganica, apporta modifiche all'art. 10, prima, al comma 1-bis dell'art. 21 e, poi, al comma 1 dell'art. 21-ter d.l. 113/2018 - introduce, a carico di chi violi il divieto di accesso (cioè colui che abbia già reiterato le condotte illecite di cui all'art. 9) un nuovo reato contravvenzionale punito con l'arresto da 6 mesi a 1 anno. Se le condotte illecite sono commesse da un condannato, con sentenza definitiva o “confermata in appello”, nel corso degli ultimi 5 anni, per reati contro la persona o il patrimonio, la durata del divieto di accesso non può essere inferiore a 12 mesi - termine così raddoppiato dal d.l. 113/2018 - né superiore a 2 anni. Anche in questo caso, viene introdotto, a carico di chi violi questo divieto di accesso, un nuovo reato contravvenzionale, punito con l'arresto da 1 a 2 anni. Al fine di rafforzare la previsione, è anche previsto che l'autorità giudiziaria, in caso di condanna per reati contro la persona o il patrimonio commessi nei luoghi di cui all'art. 9, possa subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena, all'imposizione del divieto di accedere a luoghi o aree specificamente individuati. In questo caso, la violazione del divieto comporta la revoca della sospensione con esecuzione della sentenza di condanna. Disposizioni per la prevenzione di disordini negli esercizi pubblici e nei locali di pubblico trattenimento
L'art. 21, comma 1-ter,d.l. 113/2018, inserisce nel “decreto sicurezza urbana” il nuovo art. 13-bis con il quale viene esteso l'ambito applicativo del divieto di accesso a pubblici esercizi e locali di pubblico trattenimento, già previsto dall'art. 13.L'art. 13 persegue l'altisonante obiettivo di recare (ulteriori) misure tese a rafforzare il contrasto al dilagare del reato di “vendita o cessione” di sostanze stupefacenti di cui all'art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nei locali e nelle scuole.
È infatti, prevista la possibilità per il questore di disporre, per ragioni di sicurezza, il divieto temporaneo, per un periodo compreso tra 1 a 5 anni, di accesso o di stazionamento nelle “immediate vicinanze” di specifici locali pubblici, aperti al pubblico o pubblici esercizi, o presso istituti scolastici e sedi universitarie nei confronti di coloro che, nel corso degli ultimi 3 anni, risultino essere stati condannati con sentenza definitiva o “confermata in appello”, per lo spaccio commesso presso quegli stessi locali o esercizi. Si tratta di una misura inibitoria, ricalcata sulla falsariga del D.A.SPO. - che si potrebbe definire come Divieto di Accesso a determinati Locali Pubblici (D.A.L.P.) - onde prevenire il ripetersi di analoghi fenomeni di spaccio. In caso di violazione del D.A.L.P. e delle eventuali ulteriori misure aggiuntive a tutela della sicurezza, il comma 6 istituisce, “salvo che il fatto costituisca reato”, uno specifico illecito amministrativo presidiato dalla sanzione pecuniaria da 10.000 a 40.000 euro e dalla sanzione (accessoria della) sospensione della patente di guida da 6 mesi a 1 anno, irrogate dal prefetto. Anche in questo caso, è previsto che l'autorità giudiziaria, in caso di condanna per reati contro la persona o il patrimonio commessi nei luoghi de quibus, possa subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena all'imposizione del divieto di accedere a luoghi o aree specificamente individuati. Il nuovo art. 13-bis introduce l'ulteriore possibilità per il questore di disporre, per ragioni di sicurezza, il divieto temporaneo, anche per specifiche fasce orarie e per un periodo compreso tra 6 mesi e 2 anni, di accesso o di stazionamento nelle “immediate vicinanze” di specifici pubblici esercizi o locali di pubblico trattenimento, nei confronti di coloro che, nel corso degli ultimi 3 anni, risultino essere stati condannati con sentenza definitiva o “confermata in appello”, per reati (anche contravvenzionali) commessi nel corso di gravi disordini avvenuti presso quegli stessi locali o esercizi; delitti non colposi contro la persona e il patrimonio e delitti previsti dall'art. 73 D.P.R. 309/1990. Come visto, anche l'art. 13 richiama, anzi è interamente dedicato, al delitto di cui all'art. 73 D.P.R. 309/1990. In tale occasione, tuttavia, il riferimento alle sole condotte di “vendita o cessione di sostanze stupefacenti” potrebbe essere inteso, onde evitare che questa parte della novella diventi un mero duplicato della precedente, nel senso che il divieto di accesso di cui all'art. 13 resti riferibile alla condanna solo per le ipotesi ivi tassativamente citate, mentre l'art. 13-bis a tutte le condotte ulteriori e diverse punite dal citato art. 73. Si tratta di una misura inibitoria, ancora una volta ricalcata sulla falsariga del D.A.SPO. - che si potrebbe definire come Divieto di Accesso a determinati Locali di pubblico Trattenimento (D.A.L.T.) - onde prevenire il ripetersi di analoghi fenomeni. La violazione del divieto di accesso è presidiata da un reato punito con la reclusione da 6 mesi a 1 anno e con la multa da 5.000 a 20.000 euro. In conclusione
In relazione alle nuove misure inibitorie, si osserva come, in maniera alquanto eccentrica, la violazione del D.A.L.T. integra (ai sensi dell'art. 13-bis comma 6,) un delitto, la violazione del Daspo. integra (ai sensi dell'art. 10, commi 1, 2 e 3) una contravvenzione, mentre la violazione del similare D.A.L.P. costituisce (ai sensi dell'art. 13, comma 6) un mero illecito amministrativo. Ancillotti - Bedessi - Carmagnini - Manzione - Piccioni, Il Pacchetto Sicurezza 2009. Tutte le novità in materia di sicurezza urbana, ordine pubblico diritto e procedura penale, stranieri e circolazione stradale, edizioni Maggioli, Strumenti legali - 2009; Bedessi - Bezzon - Napolitano - Orlando - Piccioni, Il nuovo decreto Sicurezza Urbana - edizioni Maggioli - 2017. |