Violenza sessuale e rapporti coniugali. Certezze ermeneutiche e criticità probatorie
27 Dicembre 2018
Premessa
Il delitto di violenza sessuale di cui all'art. 609-bis c.p. è tra quelli da sempre al centro di un dibattito di varia natura: un reato che suscita una generale riprovazione sociale, in privato come sui media, duramente sanzionato (con la reclusione da cinque a dieci anni, aumentata da sei a dodici anni per le ipotesi aggravate) e il cui accertamento presenta una serie di peculiari specificità; circostanza che non deve stupire, ove si consideri come la valutazione sulla congiunzione carnale o sulla manifestazione della sessualità rappresenti, in chiave antropologica e quindi storico-sociale, un elemento di imprescindibile e assoluta rilevanza. È – anche – osservando l'evoluzione della considerazione di tale forma di rapporti che emerge con maggiore chiarezza il divenire della relazione uomo\donna e del ruolo di quest'ultima nella società. Un reato punito con pene assolutamente significative che non solo “copre” un ampia gamma di condotte in concreto, ma che si può verificare in una ancora più ampia gamma di rapporti interpersonali. La difficoltà di valutazione della responsabilità – quantomeno in punto elemento soggettivo – può essere inversamente proporzionale alla “intensità” del rapporto pregresso tra l'autore del reato e la vittima. La violenza carnale determinata da un incontro occasionale (o addirittura in assenza di una precedente conoscenza) impone una serie di accertamenti e determina una valutazione sul piano psicologico certamente differente rispetto all'ipotesi di violenza che si può verificare in un rapporto continuativo o nell'ambito di una relazione coniugale. Conseguentemente, le indicazioni della S.C. devono essere opportunamente modulate e valutate tenendo conto di tale non irrilevanti aspetti. Le indicazioni della Suprema Cassazione
Il punto di partenza dell'analisi deve essere individuato nelle specifiche, condivisibili e chiare indicazioni della S.C. sul tema. Indicazioni che, tuttavia, devono essere “calate” non solo – come è ovvio – nella realtà delle singole vicende, quanto anche in “macrocategorie” socio-criminali che consentono (o forse impongono) risposte articolate e specifiche. In termini generali, la S.C. ha precisato che in tema di reati contro la libertà sessuale, integra la violazione dell'art. 609-bis c.p. qualsiasi forma di costringimento psico-fisico idonea a incidere sull'altrui libertà di autodeterminazione, a nulla rilevando l'esistenza di un rapporto di coppia coniugale o paraconiugale tra le parti, atteso che non esiste all'interno di un tale rapporto un "diritto all'amplesso", né conseguentemente il potere di esigere o imporre una prestazione sessuale (Cass. pen., Sez.III, 4 febbraio 2004, n. 14789); In particolare, nei rapporti di coppia di tipo coniugale non avrebbe valore scriminante il fatto che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali, subendoli, laddove risulti la prova che l'agente, per le violenze e minacce poste in essere nei riguardi della vittima in un contesto di sopraffazione e umiliazione, abbia la consapevolezza di un rifiuto implicito da parte di quest'ultima al compimento di atti sessuali. Per la S.C. «le relazioni sessuali, per la loro variegabilità, costituiscono uno degli essenziali modi di espressione della persona umana, rientranti tra i diritti inviolabili tutelabili costituzionalmente, con la conseguenza che, da un lato, la libertà sessuale deve essere intesa come libertà di espressione e autodeterminazione afferente alla sfera esistenziale della persona e, dall'altro, è innegabile che tale libertà non è indisponibile, occorrendo sempre una forma di collaborazione reciproca tra soggetti che vengono in relazione sessuale tra loro» (Cass. pen., Sez. III, 17 febbraio 2015, n. 39865; un principio già affermato da Cass. pen., Sez.III, 7 marzo 2006, n. 16292, in una vicenda riguardante due episodi di violenza sessuale, perpetrati dal marito nei confronti della moglie – dalla quale viveva da anni separato – costretta a incontrarlo a seguito di ripetute minacce di morte e di comportamenti aggressivi, tra i quali un tentativo di incendio della di lei abitazione; allo stesso modo è stato ritenuto sussistente il reato per avere l'imputato, legato da una relazione sentimentale con la vittima, fatto uso di violenza fisica più volte in precedenza e anche nei momenti immediatamente antecedenti il rapporto sessuale, rendendo, di conseguenza, irrilevante l'atteggiamento passivo di non opposizione della donna al momento del congiungimento carnale: Cass.pen., Sez. III, 23 maggio 2013, n. 29725). Un dato è certo: nel nostro ordinamento non è ravvisabile un diritto assoluto del coniuge al compimento di atti sessuali, inteso come mero sfogo all'istinto sessuale contro la volontà del partner, tanto più ove tali rapporti trovino luogo in un contesto di sopraffazioni, infedeltà e violenze che costituiscono l'opposto rispetto al sentimento di stima, affiatamento e reciproca solidarietà in cui il rapporto sessuale si pone come una delle tante manifestazioni (Cass. pen., Sez.III, 12 luglio 2007, n. 36962). Indubbiamente, l'art. 143 c.c., in tema di disciplina dei diritti e dei doveri reciproci dei coniugi, stabilisce che «con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri, derivando, dal matrimonio, l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia e alla coabitazione». È altrettanto certo che tra gli obblighi di assistenza morale previsti da tale norma può essere riconosciuto quello di intrattenere rapporti sessuali – circostanza che può essere valutata in sede di separazione in relazione al possibile “addebito” – ma è incontestabile che non si tratta di obbligo coercibile. L'ipotetica valutazione “civilistica” della mancata disponibilità ai rapporti sessuali non può essere superata in termini coercitivi. Proprio in tema di violenza sessuale, la S.C. ha precisato che il rapporto coniugale non degrada la persona del coniuge a mero oggetto di possesso dell'altro coniuge, con la conseguenza che laddove l'atto sessuale sia compiuto quale mera manifestazione di possesso del corpo, esso acquista rilevanza penale (Cass. pen., Sez.III, 4 marzo 2004, n. 14789, cit.). Se la libertà sessuale rientra tra i diritti inviolabili della persona, in quanto modo di espressione della persona umana, non è comunque indisponibile, occorrendo pur sempre una forma di collaborazione reciproca tra soggetti che vengono in relazione (sessuale) tra loro. Il verificarsi di episodi di violenza sessuale in ambito coniugale può rilevare anche ai fini della valutazione sulla procedibilità per il reato de quo, laddove sia rilevabile una connessione tra il delitto di maltrattamenti in famiglia e un fatto di violenza sessuale in danno del coniuge commesso in costanza del matrimonio, laddove l'indagine sul primo coinvolga necessariamente tutti gli aspetti del rapporto di coniugio. Come precisato dalla Cassazione, in effetti, ai fini della perseguibilità senza querela del delitto di violenza sessuale, la connessione con un reato procedibile d'ufficio – cui si riferisce l'art. 609-septies c.p. – non si connota in senso processuale ma in senso materiale e sussiste ogni qual volta l'indagine sul delitto perseguibile d'ufficio comporti necessariamente l'accertamento di quello punibile a querela, cioè debbano essere investigati fatti commessi l'uno in occasione dell'altro, oppure l'uno al fine di eseguire l'altro, o ancora l'uno per occultare l'altro od al fine di conseguire la relativa impunità. (Cass. pen., Sez. III, 7 ottobre 2003, n. 43139). Il quadro generale deve essere completato da una notazione sulla rilevanza di “condizionamenti culturali” rilevanti sui fatti di violenza carnale; precisa la S.C., in relazione alla valutazione della sussistenza del delitto di cui all'art. 609-bis c.p. – che non hanno diritto di cittadinanza, nella valutazione della condotta criminosa, eventuali giustificazioni dedotte in nome di presunti limiti o diversità culturali nella concezione del rapporto coniugale: le stesse porterebbero al sovvertimento del principio dell'obbligatorietà della legge penale e all'affievolimento della tutela di un diritto assoluto e inviolabile dell'uomo quale è la libertà sessuale(Cass. pen., Sez. III, 5 giugno 2015, n. 37364). La S.C. ha avuto modo, di recente, di occuparsi del problema, in relazione a un caso di violenza sessuale sui minori; nel caso di specie la S.C. era stata chiamata a valutare – in una vicenda con oggetto violenza ai danni di un minore di cui all'art. 609-quater c.p. – l'elemento soggettivo del reato, per decidere se rispetto a tale aspetto avrebbe potuto assumere rilevanza il “fattore culturale”. La decisione ha escluso che la piena applicazione di una norma penale possa essere limitata in forza del rispetto di tradizioni culturali, religiose, sociali, atteso che le stesse non possono in alcun modo sovrapporsi alla norma giuridica, a fortiori in relazione a condotte lesive della sfera sessuale di un soggetto, tali da ledere, in mancanza del consenso di quest'ultimo, il bene giuridico a prescindere dal motivo per il quale il soggetto agente l'abbia compiuto. (Cass. pen., Sez III, 18 gennaio 2018, n. 29613 in R.M. Longobardi, La violenza sessuale ed i reati culturalmente orientati: il punto della Cassazione, in www.salvisjuribus.it). Per la S.C., la posizione di garanzia verso i propri figli, costituita dall'art. 147 c.c. in capo al genitore, comporta l'obbligo per costui di tutelare la vita, l'incolumità e la moralità sessuale dei minori contro altrui aggressioni: ne consegue che risponde del delitto di cui all'art. 609-quater c.p., in concorso con l'autore del reato, ai sensi dell'art. 40, comma 2, c.p., la madre che non impedisca, e anzi consenta, che il coniuge abusi sessualmente dei figli minorenni (Cass. pen., Sez.III, 1 dicembre 2005, n. 3124). Calare nel contesto coniugale in concreto i principi sopra espressi può non essere banale. In primo luogo, le indicazioni della S.C. sulle tipologie di condotta che possono integrare il delitto de quo coprono una gamma molto ampia di possibilità. Vanno considerati atti sessuali quelli che siano idonei a compromettere la libera determinazione della sessualità della persona o a invadere la sfera sessuale con modalità connotate dalla costrizione (violenza, minaccia o abuso di autorità), sostituzione ingannevole di persona, abuso di inferiorità fisica o psichica, in essi potendosi ricomprendere anche quelli insidiosi e rapidi, che riguardino zone erogene su persona non consenziente, come ad es. palpamenti, sfregamenti, baci (Cass. pen., Sez. III, 26 settembre 2013, n. 42871). Nondimeno, ai fini della configurabilità del delitto di violenza sessuale, la rilevanza di tutti quegli atti che, in quanto non direttamente indirizzati a zone chiaramente definibili come erogene, possono essere rivolti al soggetto passivo, anche con finalità del tutto diverse, come i baci o gli abbracci, costituisce oggetto di accertamento da parte del giudice del merito, secondo una valutazione che tenga conto della condotta nel suo complesso, del contesto sociale e culturale in cui l'azione è stata realizzata, della sua incidenza sulla libertà sessuale della persona offesa, del contesto relazionale intercorrente tra i soggetti coinvolti e di ogni altro dato fattuale qualificante (Cass. pen., Sez. III, 26 novembre 2014, n. 964). Non breve l'elenco degli esempi: integra il reato di violenza sessuale e non quello di molestia sessuale la condotta consistente nel toccamento non casuale dei glutei, ancorché sopra i vestiti, essendo configurabile la contravvenzione solo in presenza di espressioni verbali a sfondo sessuale o di atti di corteggiamento invasivo ed insistito diversi dall'abuso sessuale. (Cass. pen., Sez III, 12 maggio 2010, n. 27042). Anche il "succhiotto" – consistente in un livido causato dalla suzione con le labbra di una parte dell'epidermide o da un bacio molto aggressivo – ha natura di atto sessuale, in quanto provocato da un'attività prolungata delle labbra sul corpo altrui, che, per la relativa durata ed intensità, è espressione di carica erotica (Cass. pen., Sez. III, 8 settembre 2016, n. 47265). Non solo: va qualificato come atto sessuale anche il bacio sulla bocca che sia limitato al semplice contatto delle labbra, potendosi detta connotazione escludere solo in presenza di particolari contesti sociali, culturali o familiari nei quali l'atto risulti privo di valenza erotica, come, ad esempio, nel caso del bacio sulla bocca scambiato, nella tradizione russa, come segno di saluto (Cass., Sez. III, n. 25112, 13/2/2007, CED 236964: vediamo, quindi, che il fattore culturale in qualche modo viene considerato in rapporto a condotte in ambito interpersonale). In concreto, a fronte dell'imposizione di un rapporto orale i dubbi sul potenziale “dissenso” tacito della persona offesa possono essere veramente modesti; il discorso si complica a fronte di una congiunzione carnale, rispetto alla quale la valutazione del dissenso tacito impone una ricostruzione del rapporto, ossia della sussistenza di elementi in fatto tali da giustificare un “assenso” all'atto sessuale derivante da un clima d'intimidazione, di sopraffazione, di pregressa violenza. Problematico l'aspetto del dissenso “temporaneo/occasionale”: ove a fronte di un rapporto privi di specifiche criticità, caratterizzato da una regolare vita sessuale di coppia, un temporaneo allontanamento “fisico” del coniuge può essere di non facile e immediata comprensione, così che una (modesto, ovviamente) forma di “pressione“ per procedere all'atto deve essere valutata con attenzione. Il punto è delicatissimo: non si tratta certamente di “rivitalizzare” l'odioso e anacronistico broccardo vis grata puellae, quanto di verificare se, proprio in ambito coniugale, non possano esservi situazioni nelle quali a fronte di un dissenso sostanziale (e magari di non univoca lettura) dalle vittima del reato possa essersi sorta una sincera (al più superficiale) convinzione di condivisione da parte del coniuge. Convinzione che difficilmente può essere giustificabile in relazioni occasionali e che, al contrario, potrebbe manifestarsi in relazioni continuative. Pur trattandosi, pertanto, di delitto caratterizzato dalla sussistenza di un dolo generico, l'approfondimento della effettiva natura del manifestarsi del rapporto è indispensabile per un corretto e completo accertamento della rilevanza penale del fatti. Non irrilevante – anche se statisticamente modesto – anche il tema del dissenso “sopravvenuto” durante l'atto. Sia che si tratti di un dissenso effettivamente giunto durante l'atto, sia che la manifestazione del dissenso si palesi in tale momento. Anche in questo caso, rileva non solo il “pregresso” del rapporto, quanto le modalità espressive e gestuali con le quali il dissenso- in condizioni non ordinarie di valutazione- può essersi manifestato.
Le considerazioni di cui sopra devono essere rapportate anche alle varie e differenti tipologie di condotta che – in astratto – possono essere ricondotte alla fattispecie in oggetto. Se effettivamente anche forme di sessualità “minore” (baci, carezze, palpeggiamenti superficiali) ove volontariamente posti in essere assumono una inequivoca valenza penale nell'ambito di incontri “occasionali” o di relazioni “superficiali”, un corretto inquadramento di tale condotte in ambito qualsiasi forma di ambito relazionale stabile (di natura coniugale o assimilabile) impone una dettagliata ricostruzione delle modalità “consuete” del manifestarsi del rapporto e del grado di confidenza/tolleranza che contraddistingue lo stesso. Emblematica al riguardo una vicenda affrontata dalla S.C. (Cass.pen., Sez. III, 17 febbraio 2015, n. 39865) con la quale è stata affermata la responsabilità per il delitto di violenza sessuale nei confronti di un marito che, approfittando del sonno della moglie – che da tempo non aveva più consentito a rapporti sessuali – ne toccava le parti intime. Non solo: il delitto de quo de quo può essere verificato non soltanto a fronte di una condotta meramente passiva assunta dalla donna in occasione delle iniziative sessuali del coniuge ma anche laddove la stessa non abbia riferito delle violenze subite anche con prossimi congiunti – che pure le erano stati di aiuto e conforto nelle difficoltà – stante il naturale pudore di trattare argomenti del genere soprattutto con la prole, che pure aveva assistito a ripetuti episodi di violenza domestica. (Cass. pen., Sez. III,9 novembre 2017, n. 51074, in canestrinilex.com, con nota di N. CANESTRINI, Rapporto sessuale fra coniugi: senza consenso esplicito è reato). L'art. 609-ter c.p., prevede la pena è della reclusione da sei a dodici anni se i fatti di cui all'articolo 609-bis sono commessi, tra l'altro (5-quater) «nei confronti di persona della quale il colpevole sia il coniuge, anche separato o divorziato, ovvero colui che alla stessa persona è o è stato legato da relazione affettiva, anche senza convivenza». La circostanza, in sé, del rapporto coniugale (o situazioni sovrapponibili) è ritenuta pertanto motivo di “aggravamento” della responsabilità. Un elemento che consente di fornire una risposta alla possibile ravvisabilità, nel caso di specie, della circostanza attenuante di cui all'art. 609-bis, comma 3, c.p. (per la quale «Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi»). Secondo le indicazioni della S.C., in tema di violenza sessuale, ai fini del riconoscimento della diminuente per i casi di minore gravità di cui all'art. 609-bis, ultimo comma, c.p., deve farsi riferimento a una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest'ultima, anche in relazione all'età, mentre per il diniego della stessa attenuante è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità (Cass.pen., Sez. III, 15 aprile 2015, n. 21623). Il principio, trasposto in ambito coniugale, ha portato la S.C. a escludere che il rapporto matrimoniale (o, è doveroso ritenere, forme analoghe di rapporto) possa di per sé essere tale da escludere la sussistenza dell'attenuante; nel caso concretamente affrontato si è ritenuto che il rapporto coniugale tra imputato e persona offesa non potesse ritenersi motivo di attenuazione della gravità intrinseca della violenza sessuale, considerata la sostanziale abitualità del comportamento dell'imputato stesso, il quale, del tutto indebitamente, riteneva l'attività sessuale una sorta di prestazione dovuta dalla moglie (Cass. pen., Sez. III, 12 luglio 2016, n. 28492).
In conclusione
Fonte: www.ilpenalista.it N. CANESTRINI, Rapporto sessuale fra coniugi: senza consenso esplicito è reato, in canestrinilex.com R. M. LONGOBARDI, La violenza sessuale ed i reati culturalmente orientati: il punto della Cassazione, in salvisjuribus.it L. MARINO, L'aggravante dei futili motivi nei reati culturalmente orientati, in ilPenalista.it C. PARZIALE, Toccamenti fugaci finalizzati a umiliare la persona offesa. Molestie o violenza sessuale? in ilPenalista.it |