Pignoramento esattoriale diretto presso terzi

28 Dicembre 2018

Il pignoramento esattoriale cd. “diretto”, disciplinato dagli artt. 72-bis e ss. del d.P.R. n. 602/1973, costituisce una forma di esecuzione forzata interamente stragiudiziale e semplificata al fine della riscossione coattiva dei crediti relativi ad atti impositivi, che inizia con la notificazione dell'ordine di pagamento diretto, si completa con il pagamento diretto da parte del terzo e in cui il controllo del giudice è solo eventuale.
Pignoramento dei crediti verso terzi

Nel pignoramento presso terzi l'oggetto dell'azione esecutiva sono i crediti che il debitore esecutato, vanta nei confronti di terzi (c.d. debitor debitoris).

L'art. 72-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, modificato dall'art. 2, comma 6, del D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, disciplina l'esecuzione che ha ad oggetto crediti certi, liquidi ed esigibili che il debitore vanta nei confronti di soggetti terzi quali, ad esempio, banche presso cui il debitore ha depositato denaro, i datori di lavoro presso cui il debitore presta un'attività lavorativa e da cui percepisce uno stipendio e più in generale tutti i soggetti che per qualsiasi titolo o ragione sono debitori nei confronti del debitore fiscale.

La norma in premessa autorizza l'agente della riscossione ad una sorta di espropriazione immediata dei crediti del debitore verso terzi, estromettendo completamente il giudice dell'esecuzione quale soggetto che dirige la procedura esecutiva e davanti al quale, nei procedimenti ordinari, il terzo viene chiamato a comparire ai sensi dell'art. 543, secondo comma, c.p.c., al fine di rendere la dichiarazione per l'accertamento dei beni e dei crediti, che il debitore del Fisco vanta nei suoi confronti.

Trattasi di una procedura semplificata interamente stragiudiziale, che inizia con la notificazione dell'ordine di pagamento diretto e si completa con il pagamento diretto da parte del terzo, sicché l'atto di pignoramento non deve essere iscritto a ruolo (neppure il debitore opponente, può sostituirsi al creditore per curare l'iscrizione a ruolo), in quanto non transita mai davanti all'ufficio giudiziario (v. Cass. Civ., n. 26830/2017).

In pratica, in base al nuovo meccanismo, l'atto di pignoramento, in luogo della citazione prevista dal codice di rito, contiene l'ordine al terzo di pagare direttamente all'agente della riscossione gli importi da lui dovuti all'esecutato nel termine di 60 giorni dalla notifica del pignoramento medesimo (v. Corte Cost. n. 393/2008), per le somme per le quali il diritto alla percezione sia maturato anteriormente alla data di tale notifica, ovvero alle rispettive scadenze, per le restanti somme.

Laddove si dovesse verificare un'eventuale inottemperanza all'ordine di pagamento dell'agente di riscossione di cui al comma 1 dell'art. 72 bis (inottemperanza che, comunque, non prevede comunque sanzioni), si procede previa citazione del terzo intimato e del debitore, secondo le norme del codice di procedura civile (v. Cass. Civ., n, 14741/2018).

Pertanto, alla fase giudiziale si ricorre solo in caso di inottemperanza da parte del terzo all'ordine di pagamento: in caso contrario, la procedura si risolve in via stragiudiziale.

Questo efficace sistema di riscossione che si pone in alternativa rispetto all'espropriazione forzata prevista dall'art. 543 c.p.c., è stato progressivamente esteso dal legislatore fino a divenire, negli ultimi tempi, lo strumento “ordinario”, mediante il quale il Fisco procede all'esecuzione presso terzi sui beni del debitore.

Infatti, ricevuta la risposta positiva del terzo debitore (cosiddetta dichiarazione stragiudiziale del terzo, prevista dall'art. 75-bis d.P.R. n. 602/1973), l'agente può scegliere di procedere, secondo il rito speciale oppure ordinario, quindi rispettivamente in forza degli art. 72 e 72-bis d.P.R. n. 602/1973, ovvero dell'art. 543 e segg. c.p.c. all'espropriazione mobiliare presso terzi ed anche, simultaneamente, all'adozione delle azioni esecutive e cautelari.

In breve, questa speciale procedura consente alla P.A. di recuperare un credito vantato da un soggetto iscritto a ruolo, pignorandone il credito da un debitore di questi, attraverso un iter più veloce del procedimento di pignoramento presso terzi, previsto dal codice di procedura civile e, quindi, senza necessariamente ricorrere ad una procedura giudiziale.

Requisiti formali dell'atto di pignoramento diretto

L'atto di pignoramento esattoriale presso terzi di cui al citato art. 72-bis, deve contenere ed indicare il credito per il quale si procede, nonché gli estremi identificativi del titolo dello stesso, oltre ai dati anagrafici del debitore e del terzo esecutato.

Invero, al pignoramento presso terzi ex art. 72-bis d.P.R. n. 602/1973, si applica il disposto dell'art. 543, secondo comma, n. l, c.p.c., secondo cui l'atto deve contenere l'indicazione del credito per cui si procede.

In particolare l'atto di pignoramento deve contenere il riferimento all'avviso di accertamento o alla cartella di pagamento o, eventualmente, all'avviso di mora, i quali informano il debitore sulla fonte e natura del credito per cui si procede a riscossione.

Laddove non sia specificato il credito per cui si procede, il relativo pignoramento è da intendersi nullo (v. Cass. Civ., n. 26519/2017).

L'atto di pignoramento deve, altresì, indicare il debito del terzo, dovuto al debitore iscritto a ruolo.

A mente del comma 1 bis dell'art. 72-bis, introdotto dall'art. 1 comma 141 L. n. 244/2007, l'atto di pignoramento può essere redatto e sottoscritto anche da dipendente dell'AdR che non possiede la qualifica di ufficiale della riscossione: in tale ipotesi, l'atto deve recare l'indicazione a stampa dell'Agente della Riscossione e non va annotato in ordine cronologico, nel registro tenuto dagli ufficiali di riscossione (v. art. 44 co. 1 D.Lgs. n. 112/1999).

Sul punto, laddove il pignoramento diretto di cui al citato art. 72-bis dovesse tramutarsi in citazione per pignoramento presso terzi ex art. 543 c.p.c. (ad esempio, laddove vi dovesse essere inottemperanza del terzo), detta citazione è valida, anche laddove sottoscritta da funzionario delegato dall'agente di riscossione.

In tale circostanza non è necessaria la sottoscrizione di un difensore abilitato munito di procura, giacché l'art. 41, comma 1 e comma 2 lettera c), del D.Lgs. n. 112/1999, stabilisce che l'agente della riscossione può essere rappresentato dai dipendenti delegati, che possono stare in giudizio personalmente (v. Cass. Civ., n. 26830/2017).

Crediti pignorabili e crediti impignorabili

Il Concessionario della Riscossione può pignorare la generalità dei crediti, esclusi quelli pensionistici e quelli indicati dall'art. 545 c.p.c..

Quest'ultima norma esclude la pignorabilità dei crediti di cui appresso si dirà.

Sono esclusi i seguenti crediti:

1) i crediti alimentari sono pignorabili solo per causa di alimenti, previa autorizzazione del giudice e nella misura da lui determinata con decreto.

Detti crediti alimentari impignorabili, sono soltanto quelli che non debbono, a loro volta, soddisfare un credito alimentare; in quest'ultimo caso, la natura del credito vantato dal creditore procedente prevale sulla destinazione del credito vantato dal debitore escusso.

Pertanto, per i crediti alimentari è possibile parlare d'impignorabilità relativa, sia perché possono essere aggrediti solo per soddisfare crediti della stessa natura, sia perché presuppongono il provvedimento autorizzativo del giudice.

In ordine a tali crediti, essi non saranno pignorabili da parte del Concessionario, il quale agisce per la riscossione di tributi, ossia per crediti di natura non alimentare.

2) Assolutamente impignorabili sono, invece, i crediti di cui all'art. 545, 2° co. (sussidi di povertà, maternità o funerali): si tratta di crediti di natura vitale che affondano le loro radici in stati di bisogno notevolmente più intensi, in certi casi, di quelli puramente alimentari di cui sopra.

Rientrano in tale categoria sia i crediti per sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell'elenco dei poveri, sia i crediti dovuti per maternità, malattie o funerali da casse di autorizzazione, enti di assistenza o istituti di beneficenza.

Sono, altresì, non pignorabili le somme dovute dall'assicuratore al contraente o al beneficiario nell'assicurazione sulla vita (v. art. 1923 c.c.), nonché le quote di società di persona, di cooperativa, e di consorzio, finché durano rispettivamente la società o il consorzio.

Per ciò che attiene ad eventuali crediti che il Ministero dell'Economia e delle Finanze vanta nei confronti del concessionario del servizio esattoriale, essi possono essere pignorati dal creditore dello stesso Ministero.

Ne sono escluse quelle somme di denaro che abbiano già ricevuto, per effetto di una disposizione di legge o di un provvedimento amministrativo, una concreta destinazione ad un pubblico servizio, con l'erogazione della spesa necessaria all'attività (v. Cass. 15601/2005).

In particolare, nel relativo giudizio deve essere la P.A. a far valere una qualche condizione di impignorabilità per disposizione di legge o di provvedimento amministrativo, senza limitarsi ad invocare la semplice condizione soggettiva di P.A. che non è più contemplata dal sistema vigente.

Non sono, ad esempio, impignorabili i fondi accantonati da un ente pubblico per il trattamento di fine rapporto dei propri dipendenti, non essendo l'indisponibilità degli stessi prevista da alcuna norma, e non potendo estendersi ad essi né l'art. 545, comma 3 e 4, c.p.c. ed il d.P.R. n. 180/1950, i quali presuppongono che il debitore escusso sia il dipendente, né l'art. 2117 c.c., il quale, nel dichiarare impignorabili i fondi speciali per l'assistenza e la previdenza, detta una norma di carattere eccezionale, come tale non suscettibile di applicazione analogica (v. Cass. Civ., n. 3287/2008).

Limiti di pignorabilità

L'art. 72-ter d.P.R. n. 602/1973 introduce dei limiti di pignorabilità con l'evidente scopo di preservare un credito, quale quello di lavoro, direttamente legato al soddisfacimento delle esigenze primarie di vita del soggetto esecutato e, quindi, meritevole di particolare tutela.

Ciò spiega la deroga in senso più favorevole per il debitore che prevede soglie di pignorabilità più basse rispetto alla procedura ordinaria.

In particolare, gli stipendi, i salari e le altre indennità legati al rapporto lavorativo di importo inferiore ad € 2.500,00 risultano pignorabili da parte dell'Agente della Riscossione solo nella percentuale di un decimo (1/10); quelli di importo compreso tra € 2.500,00 e € 5.000,00, per la quota di un settimo (1/7).

Per i salari, stipendi o le altre indennità ricollegate al rapporto di lavoro di importo superiore ad € 5.000,00, si applica la normale regola processual-civilistica (v. art. 545 co. 4 c.p.c.) della pignorabilità nella misura di un quinto (1/5).

L'eventuale percezione di più stipendi o salari, comporta che gli stessi andranno sommati al fine di determinare il tetto oltre il quale gli stessi risulteranno pignorabili (v. Tribunale Benevento 20 febbraio 2017 n. 283).

È, quindi, evidente che l'entità della pignorabilità è graduata in base all'entità del reddito medio mensile, derivante da lavoro dipendente o pensione (al netto di ritenute fiscali e rimborsi spese).

Laddove l'Agente della Riscossione dovesse pignorare stipendi, salari ed indennità in misura eccedente ai limiti di cui al citato art. 72-ter, il pignoramento per la parte eccedente la misura pignorabile va ritenuto ritenere nullo ed inefficace (v. Tribunale Bari sez. 2, 20 aprile 2016 n. 2248).

Sebbene tali limiti richiamino letteralmente l'agente di riscossione (v. artt. 72-bis e 72-ter d.P.R. n. 602/1973), deve ritenersi pacifica la loro applicabilità anche alla riscossione coattiva diretta da parte dei comuni (v. Tribunale Modena 02 dicembre 2013).

A mente del comma 2-ter del citato art. 72-ter , l'esattore non può includere nel pignoramento l'ultimo stipendio affluito sul conto corrente del debitore, che resta quindi nella sua piena disponibilità.

Tali limiti non trovano applicazione ove oggetto di pignoramento sia il conto corrente del debitore presso un istituto di credito: in tale situazione sono del tutto irrilevanti le ragioni per cui le somme oggetto di futura ablazione siano versate su quel dato rapporto bancario (v. Cass. Civ., n. 17178/2012).

Pignoramento di fitti o pigioni

L'atto di pignoramento di fitti, pigioni (cioè i canoni dovuti per i contratti di locazione e i corrispettivi dovuti per il contratto di affitto), contiene l'ordine all'affittuario, all'inquilino o al conduttore, di pagare direttamente al concessionario i fitti, le pigioni e i canoni di locazione scaduti e non corrisposti, nel termine di quindici giorni dalla notifica ed i fitti, le pigioni e i canoni di locazione a scadere alle rispettive scadenze fino a concorrenza del credito per cui il concessionario procede (v. art. 72 d.P.R. n. 602/1973).

Nel caso di inottemperanza all'ordine di pagamento si procede, previa citazione del terzo intimato e del debitore, secondo le norme del codice di procedura civile.

Pertanto, anche nel caso di pignoramento esattoriale speciale di fitti e pigioni la fase della citazione del terzo è meramente eventuale, giacché il secondo comma del citato art. 72 (cui pure l'art. 72-bis espressamente fa rinvio), la contempla solo “nel caso di inottemperanza all'ordine di pagamento”, ipotesi nella quale “si procede, previa citazione del terzo intimato e del debitore, secondo le norme del codice di procedura civile”.

Con l'obiettivo di assicurare massima celerità ed efficienza alla riscossione dei crediti erariali, dunque, la procedura esattoriale è stata tradizionalmente connotata dalla marcata centralità di ruolo e poteri riconosciuti al creditore procedente, così che il pignoramento (e, nell'espropriazione immobiliare, la vendita) sono effettuati a cura e sotto la responsabilità del creditore, ossia dell'Agente della riscossione, senza necessità di autorizzazione da parte dell'autorità giudiziaria, secondo quanto stabilito dall'art. 52 d.P.R. n. 602/1973.

Natura giuridica dell'atto di pignoramento esattoriale

L'atto di pignoramento esattoriale diretto è qualificato come un atto complesso, che riunisce in sé l'atto di pignoramento e, contestualmente, l'ordine di pagamento diretto al concessionario.

Tale atto ha natura di atto esecutivo e, quindi, di atto processuale di parte.

Ne è esclusa, pertanto, la fidefacienza di cui agli art. 2699 e 2700 c.c..

La fede privilegiata, infatti, è relativa ai soli atti pubblici, sicché si ritiene infondata l'affermazione secondo cui l'atto di pignoramento eseguito dall'esattore fa fede fino a querela di falso.

Del medesimo avviso la Suprema Corte la quale ha affermato che l'atto di pignoramento presso terzi, anche quando è predisposto nelle forme previste dall'art. 72-bis d.P.R. n. 602/1973, e quindi quando viene proposto durante l'esecuzione esattoriale, ha la natura di atto esecutivo e dunque, di atto processuale di parte.

I giudici spiegano che la cosiddetta fidefacienza di cui all'art. 2700 c.c. è riservata ai soli atti pubblici, di talché il pignoramento esattoriale eseguito dall'agente di riscossione non può avere piena fede, fino a querela di falso, dell'attività compiuta per la sua redazione, inclusa l'effettiva allegazione dei documenti ivi menzionati.

Consegue che l'attestazione ivi contenuta delle attività svolte dal funzionario che ha materialmente predisposto l'atto (ad esempio l'allegazione di un elenco contenente l'indicazione delle cartelle di pagamento relative ai crediti posti in riscossione), non è assistita da fede pubblica e non fa piena prova fino a querela di falso, a differenza di quanto avviene quando l'agente di riscossione esercita – ex art. 49, comma 3, d.P.R. n. 602/1973 – le funzioni proprie dell'ufficiale giudiziario, ad esempio notificando il medesimo atto (v. Cass. 26519/2017).

Conseguenze del pignoramento

Nella procedura esattoriale, con l'atto di pignoramento dei crediti presso terzi l'Agente della Riscossione ordina al terzo, ritenuto debitore del debitore e senza nessun obbligo di avviso a quest'ultimo, di corrispondere direttamente al concessionario le somme dovute al debitore, entro il termine di sessanta giorni se si tratta di somme per le quali il debitore ha già maturato il diritto alla percezione, oppure alle rispettive scadenze, le restanti somme.

Il tutto fino a concorrenza del credito per il quale il concessionario procede, degli interessi di mora e dei compensi di riscossione maturati sino al giorno del pagamento e riportati nell'atto stesso.

Nell'atto di pignoramento si intima al terzo stesso di non disporre dei crediti nella titolarità del debitore e, quindi, ad esempio, di non pagare il proprio debito nei confronti del debitore esecutato.

Il terzo, inoltre, è avvertito che deve custodire le somme da lui dovute e nei limiti dell'importo del credito intimato, aumentato della metà.

Il vincolo nascente dall'ordine di pagamento diretto ex art. 72-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, è opponibile ai terzi.

Qualora l'ordine di pagamento sia stato eseguito dal terzo, sono precluse azioni esecutive concorrenti di altri creditori sulle medesime somme (v. Cass. Civ., n. 2857/2015).

In ambito penale, il totale adempimento del debito d'imposta a seguito di procedura coattiva di pignoramento presso terzi, comporta la revoca della misura del sequestro preventivo (v. art. 321 c.p.p.) finalizzato alla confisca per equivalente (v. Cass. Civ., n. 7550/2016).

Difatti, la misura cautelare del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del reato, corrispondente all'ammontare dell'imposta evasa, può essere legittimamente mantenuto fino a quando permane l'indebito arricchimento derivante dall'azione illecita, che cessa con l'adempimento dell'obbligazione tributaria (v. Cass. Civ., n. 20887/2015 e Cass. Civ., n. 46726/2012).

Si evidenzia che ai fini della revoca della misura cautelare, la mera rateizzazione del pagamento (che rileva sul piano amministrativo - tributario determinando la sospensione della procedura esecutiva di recupero), non è considerata idonea alla rimozione della misura ablativa (v. Cass. Civ., n. 6635/2014).

Tuttavia, seppur è evidente che la misura ablativa andrà mantenuta sino al completo pagamento del debito fiscale, è altrettanto innegabile che il raggiungimento di un accordo per la rateizzazione del debito tributario con l'Amministrazione finanziaria, debba esplicare i suoi effetti anche nel campo penale, finendo necessariamente per incidere sul quantum della somma sequestrata per equivalente, in relazione al profitto derivato dal mancato pagamento dell'imposta evasa (v. Cass. Civ. n. 46726/2012).

Pertanto, al fine di evitare che il mantenimento del sequestro preventivo in vista della confisca nel suo quantum iniziale, nonostante il pagamento - sebbene parziale - del debito erariale, dia luogo ad una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto col principio che l'espropriazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al profitto derivato (v. Cass. Civ., n. 3260/2012), l'importo della misura ablativa, andrà ridotto in proporzione a quanto versato dal debitore in sede di rateazione.

Forme di tutela

Nessun dubbio sussiste sulla possibilità di controllo giurisdizionale sull'atto di pignoramento ex art. 72-bis d.P.R. n. 602/1973.

Nonostante ciò, non sempre è risultata pacifica l'individuazione del Giudice competente.

Risulta, pertanto, opportuno, tratteggiare il quadro attinente al riparto di giurisdizione (vedi Cass. SS. UU. 8618/2015 e Cass. 18505/2013), che poggia su ben precisi capisaldi: 1) le cause concernenti il titolo esecutivo, in relazione al diritto di procedere ad esecuzione forzata tributaria, si propongono davanti al giudice tributario (v. artt. 2 co. 1 D.Lgs. n. 546/1992 e 9, co. 2 c.p.c.); 2) le opposizioni all'esecuzione di cui all'art. 615 cod. proc. civ., concernenti la pignorabilità dei beni, si propongono davanti al giudice ordinario (v. art. 9, co. 2 c.p.c.); 3) le opposizioni agli atti esecutivi di cui all'

art. 617 c.p.c.

, ove siano diverse da quelle concernenti la regolarità formale e la notificazione del titolo esecutivo, si propongono al giudice ordinario (v. art. 9, 2° comma, c.p.c.); 4) le opposizioni di terzo all'esecuzione di cui all'art. 619 c.p.c., si propongono al giudice ordinario (v. artt. 58 D.Lgs. n. 546/1992 e 9, co. 2 c.p.c.).

Sulla scia di un evidente contrasto giurisprudenziale formatosi negli anni, le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato che la cognizione dell'opposizione agli atti esecutivi, proposta avverso un atto di pignoramento effettuato in forza di crediti tributari, basata sulla dedotta mancata/invalida della cartella di pagamento o di alto atto prodromico contente la pretesa creditoria, è del Giudice tributario in forza degli artt. 2,19 D.Lgs. n. 546/1992, 57 d.P.R. n. 602/1973 e 617 c.p.c. (v. Cass. SS. UU. 13913/2017).

La Giurisdizione è quindi della Commissione tributaria, a prescindere dal fatto che il contribuente abbia richiesto l'annullamento del solo atto di pignoramento o anche dell'atto presupposto. Recente (v. Cass. 11481/2018).

Ciò, in quanto l'art. 57 d.P.R. n. 602/1973 stabilisce che non sono ammesse dinanzi al Giudice ordinario le opposizioni regolate dall'art. 617 c.p.c. riguardanti la regolarità formale e la notificazione del titolo esecutivo.

Preso atto dei principi formulati dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite nella pronuncia n. 13913/2017, con sentenza n. 114 del 31 maggio 2018 la Consulta ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 57 del d.P.R. n. 602/1973, nella parte in cui introduce limiti all'esperibilità dell'opposizione all'esecuzione forzata tributaria.

Difatti, sino al citato intervento giurisprudenziale, la normativa in tema di opposizione agli atti dell'esecuzione esattoriale (v. art. 57 d.P.R. n. 602/1973), escludeva il rimedio dell'opposizione all'esecuzione di cui all'art. 615 c.p.c., precludendo (o meglio limitando) il diritto alla tutela giurisdizionale riconosciuto, in generale, dall'art. 24 della Cost. e nei confronti della Pubblica Amministrazione dall'art. 113 Cost.

A titolo esemplificativo, al contribuente era preclusa la possibilità di opporsi all'esecuzione (ad esempio il pignoramento), invocando l'omessa notifica del titolo esecutivo (avviso di accertamento esecutivo o cartella di pagamento).

Siffatta deroga (o deviazione) al generale modello di tutele giurisdizionali, è sempre stata giustificata da esigenze di speditezza ed efficacia dell'azione esecutiva esattoriale, la quale dovrebbe tendere alla pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato (v. Corte Cost. n. 281/2011) ed è, per tale ragione, improntata a criteri di semplicità e speditezza della procedura (v. Corte Cost. 351/1998).

Elementi di specialità che la Consulta ha finalmente deciso di rimuovere.

Ebbene, con la sentenza n. 114/2018, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 57, comma 1, lett. a) del d.P.R. n. 602/1973, nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell'esecuzione forzata tributaria (ad esempio atto di pignoramento esattoriale) successivi alla notifica della cartella di pagamento o all'avviso di cui all'art. 50 del d.P.R. n. 602/1973, sono ammesse le opposizioni regolate dall'art. 615 del codice di procedura civile.

Per effetto dell'intervento della Consulta, quindi, è venuta meno la preclusione a promuovere l'opposizione all'esecuzione ex art. 615, c.p.c. oltre che nei casi, fino ad oggi comunque consentiti di questioni inerenti la pignorabilità dei beni.

Del resto, ad avviso della Corte, detta preclusione si traduceva in una vera e propria privazione di ogni tutela che, evidentemente, non poteva essere mantenuta.

In conclusione, ricevuto un atto di pignoramento esattoriale diretto, il contribuente avrà la possibilità di avviare l'opposizione all'esecuzione di cui all'art. 615 c.p.c., al fine di contestare il diritto di parte istante a procedere ad esecuzione forzata.

Pignoramento diretto su conto corrente cointestato

Altra problematica che si pone in tema di pignoramento esattoriale, è quella relativa alla cointestazione di un rapporto bancario assoggettato a pignoramento diretto ex art. 72-bis d.p.r. n. 602/1973, tra il debitore esecutato ed un soggetto terzo, estraneo all'esecuzione.

Difatti, laddove il conto corrente sia intestato a più persone e, come nel caso di specie, il debitore esecutato sia uno solo dei cointestatari, si pone il problema se il pignoramento, debba colpire l'intero saldo attivo del conto corrente o piuttosto una quota dello stesso.

Ciò poiché il conto bancario (o postale) “cointestato” rientra nella nozione di “bene comune indiviso“, la cui espropriazione è disciplinata dalle regole generali del codice di procedura civile (v. artt. 599 e 601 c.p.c.).

Tanto premesso, la procedura di cui all'art. 72-bis del d.P.R. 602/1973 non può essere attivata nel caso di conto corrente bancario cointestato: se il Concessionario procedesse secondo la normale riscossione esattoriale, finirebbe per pignorare l'intero estratto conto, il cui 50%, però, appartiene a un soggetto diverso, che non è debitore.

Di conseguenza in tale situazione l'agente della riscossione sarà costretto ad adire il giudice dell'esecuzione, come si trattasse di un creditore qualsiasi, notificando l'atto di pignoramento non solo al debitore, ma anche a tutti gli altri contitolari.

In casi del genere trova applicazione la presunzione di cui agli artt. 1852 e ss c.c., in base al quale i contitolari di un conto corrente bancario si presumono titolari per quote uguali: spetterà all'esecutante, provare che la titolarità nell'ambito del rapporto di conto corrente bancario è ripartita secondo proporzioni differenti.

Del medesimo avviso l'Arbitro Bancario Finanziario (di seguito ABF), il quale ha più volte affermato che il pignoramento sulle somme depositate in un conto corrente bancario cointestato al debitore e ad una persona estranea non può riguardare l'intero ammontare del denaro depositato, dovendosi presumere la contitolarità degli intestatari del conto, in quanto i rapporti interni tra i depositanti sono regolati dall'art. 1298, secondo comma, c.c., in forza del quale le parti di ciascuno si presumono eguali, se non risulta diversamente (v. ABF 26.10.2011, n. 2269).

Ne consegue che in assenza di una prova contraria, gli intestatari del conto corrente sono considerati creditori solidali della banca e le rispettive quote si presumono uguali (v. ABF ;07.06.2013, n. 3137).

Stante quanto detto, in presenza di conti correnti intestati a più soggetti, il Concessionario della Riscossione non potrà ricorrere al pignoramento diretto, ma dovrà utilizzare il rimedio di cui all'art. 543 c.p.c..

In tale circostanza, solo dopo la divisione del bene comune (v. art. 600 c.p.c.) – e quindi la differenziazione dei saldi attivi tra il contribuente debitore ed il cointestatario non debitore – sarà possibile l'assegnazione all'Agente della riscossione, con esclusione delle somme accreditate quale ultimo emolumento a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento.

In conclusione

In conclusione, l'attuale normativa sul pignoramento diretto esattoriale dei crediti presso terzi prevista dagli artt. 72-bis e ss. d.P.R. n. 602/1973 introduce una grossa semplificazione della procedura esecutiva rispetto al modello ordinario, in quanto, per effetto di tale disciplina, l'agente della riscossione può soddisfare il credito senza ricorso alcuno all'autorità giudiziale, ma stimolando semplicemente la “collaborazione” del terzo debitore.

Nel solo caso d'inottemperanza all'ordine dell'agente, torneranno applicabili le disposizioni del c.p.c., ovverosia la citazione del terzo intimato e del debitore.

In ultimo occorre precisare che spetta all'Esattore scegliere quale modus operandi utilizzare e se, cioè, ricorrere al pignoramento diretto più rapido e snello o, in alternativa, promuovere la procedura esecutiva ordinaria, con citazione innanzi al Giudice dell'Esecuzione.

Tale discrezionalità di scelta del concessionario tra due modalità di esecuzione forzata presso terzi, non crea né una lesione del diritto di difesa dell'opponente né, tantomeno, una rilevante disparità di trattamento tra i debitori esecutati, sia perché questi sono portatori di un interesse di mero fatto rispetto all'utilizzo dell'una o dell'altra modalità e possono in ogni caso proporre le opposizioni di cui agli artt. 615, 617 c.p.c. e 57 d.P.R. n. 602/1973, sia perché non sussiste un principio costituzionalmente rilevante di necessaria uniformità di regole procedurali (v. Corte Cost. n. 67/2007 e Corte Cost. n. 101/2006).

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