Il processo penale come strumento di politica sociale
07 Gennaio 2019
È affermazione abbastanza consolidata che il diritto penale e il processo penale siano estrinsecazione di scelte politiche, nella misura in cui determinano ciò che è lecito e ciò che è illecito e definiscono le modalità, cioè i poteri e i mezzi, con i quali si effettuano gli accertamenti delle responsabilità. Si tratta di scelte che ineriscono alla democrazia di un Paese nella misura in cui si tratta di bilanciare le esigenze collettive con quelle individuali, di trovare cioè il giusto equilibrio tra le esigenze di tutela della collettività e quelle dei diritti spesso fondamentali dell'uomo. Si tratta di esigenze di tutela costituzionale o sovranazionale il cui punto di equilibrio non è, naturalmente, statico ma dinamico. Il dinamicismo di questo rapporto è spesso realizzato dalla legge; ma a volte è frutto delle scelte dell'interprete ed è determinato dalle decisioni dei giudici. In altri termini, dentro la cornice delle scelte di fondo del modello di diritto penale e di diritto processuale penale, l'evoluzione della società determina direttamente o indirettamente significative modifiche degli equilibri preesistenti. Le dinamiche sociali, intercettate dalla politica e dalla giurisdizione, finiscono inevitabilmente per rimodulare i profili sanzionatori e quelli dell'accertamento.
Queste considerazioni generali trovano precisi riscontri nella evoluzione storica del processo penale del nostro Paese. Limitandosi a mere indicazioni – peraltro non difficilmente declinabili – si può fare riferimento, in successione, all'evoluzione in senso garantista del sistema inquisitorio, attraverso il c.d. garantismo inquisitorio; al fenomeno del terrorismo con conseguente indurimento dei meccanismi procedurali; all'introduzione del nuovo codice ispirato al modello accusatorio; al contraccolpo delle sentenze costituzionali del 1992 indotte dalle stragi di mafia; alla reazione attraverso la modifica costituzionale del giusto processo, successivamente condizionato dalla stagione della sicurezza, dalla diffusione dei fenomeno terroristici di dimensione internazionale, dalla necessità di sanzionare la criminalità da profitto.
Contestualizzando queste considerazioni generali nell'attuale momento legislativo socio-politico emergono alcuni significativi elementi di riflessione, suscettibili di integrarsi tra loro. Sotto il primo aspetto, non può negarsi che è in atto una progressiva trasformazione, per effetto di innesti normativi, di alcune dinamiche processuali. Il riferimento è sicuramente indirizzato al mutato ruolo della persona offesa. Sono sufficienti brevi riferimenti, idonei, tuttavia, a delineare un possibile processo della persona offesa. Si pensi al diritto di accesso al registro delle notizie di reato finalizzato a ottenere informazioni sullo stato del procedimento; ai diritti di cui all'invio dell'informazione di garanzia e alle informazioni in merito diritti riconosciuti; al diritto di opporsi all'archiviazione; al diritto di appellare la sentenza di non luogo a procedere; alla partecipazione alla procedura della sospensione e messa alla prova e delle condotte riparatorie; al riconoscimento di un ruolo nella procedura della particolare tenuità del fatto; al riconoscimento del ruolo nella disciplina dell'incidente probatorio in relazione alla propria condizione di vulnerabilità. Inevitabilmente il rafforzamento dei poteri processuali diventa l'elemento sul quale la persona offesa innesta la sua domanda di giustizia che supera il dato risarcitorio, per costituirsi come domanda di punizione sollecita ed esemplare. La pretesa punitiva, estrinsecazione del potere statuale – compito del giudice nei confronti del colpevole – di cui è titolare soprattutto il pubblico ministero con la richiesta della condanna, si integra ora con la richiesta di condanna della vittima del reato. Va ulteriormente sottolineato come la persona offesa nel farsi promotrice di questa domanda spesso trovi adeguata sponda nel circuito mediatico nel quale – a differenza dell'imputato, gestito prudentemente dal difensore e nel silenzio doveroso dell'autorità giudiziaria – autogestisce con la sua domanda di “giustizia”. Questo elemento si salda con la configurazione dei fenomeni di criminalità. Con questa espressione si intende fare riferimento a situazioni di reato che, superando il singolo episodio criminoso, costituiscono la prospettazione di una criminalità stratificata ovvero reiterata in termini omogenei, così da costituire un fatto emergente dai comportamenti individuali in conseguenza di dinamiche sociali. Significative si prospettano, in tempi più recenti, le considerazioni sulla “casta” in relazione alla diffusività dei fenomeni corruttivi, con decisive implicazioni sul versante della sanzionabilità della criminalità da profitto. In questo caso, la risposta del Legislatore – con provvedimenti spesso progressivi – risponde con una molteplicità di strumenti, secondo il modello di giustizia integrata penale, processuale, penitenziaria. Spesso i due riferiti elementi, quello della tutela delle vittime e quello dei fenomeni di criminalità si saldano, inducendo il Legislatore a soddisfare le istanze di “giustizia” che le persone offese reclamano. Storicamente, in questo schema la classe politica punta a ricondurre negli schemi generali del sistema queste sollecitazioni a risposte sanzionatorie che provengono dalla domanda delle società, anche perché spesso alle vittime dirette dei fenomeni, si aggiungono le domande di tutela di coloro i quali ritengono che quei fenomeni, ancorché non li coinvolgano direttamente, possono riguardarli potenzialmente ovvero perché ritengono che una risposta sanzionatoria vada data. Nel delineato quadro dinamico, il dato politico di novità che si è evidenziato da ultimo nella società italiana, è costituito dal fatto che il quadro politico di riferimento tra società e potere legislativo è mutato e che le istanze punitive non risultano più mediate dai corpi intermedi ma sono rappresentate a livello politico in modo maggiormente diretto. In altri termini, le istanze provenienti dai fenomeni criminali – veramente diffusi o percepiti come tali – raggiungono in modo diretto la politica richiedendo risposte che per esigenze di consenso devono trovare adeguata risposta. Le eliminazioni di corpi intermedi, capaci di filtrare e metabolizzare la domanda sociale determina inevitabilmente un certo massimalismo nella risposta politica.
In questo quadro che vede combinarsi la presenza rafforzata della persona offesa, i fenomeni criminali e il mutato contesto politico, il processo penale assume un nuovo ruolo. Il processo penale diventa uno strumento di politica sociale ritenuto funzionale alla tenuta della coesione del Paese, dovendo rispondere allo stato di disagio, reale o percepito, diffuso in larga parte della collettività. Sono molti gli indizi – ovvero le prove – che confermano questo assunto. Bastià guardare alle recenti riforme in tema di stalking, di omicidio stradale, di eliminazione dell'abbreviato per i reati puniti con l'ergastolo, di riforma dell'immigrazione (e delle sue ricadute in punto sicurezza), di introduzione del whistleblower, di riforma dei reati contro la pubblica amministrazione da parte dei pubblici ufficiali, limitandosi ad accennare solo ad alcune di esse. Un dato ulteriormente significativo di questo panorama è rappresentato dall'associazionismo delle persone offese relativamente ai riferiti “fenomeni criminali”, per la prospettazione di specifiche richieste normative indirizzate alla classe politica. Ancora più chiaramente va sottolineato come, da ultimo, siano state proposte iniziative di rafforzamento e coordinamento dei queste entità associative al fine di rendere più forte la risposta e la tutela. Invero, in tal modo si assiste ad uno spostamento dal pubblico (P.M.) al privato (persona offesa) di una parte della titolarità della pretesa punitiva.
È evidente come in questo nuovo contesto siano molti gli elementi che entrano in conflitto con le esigenze della risposta punitiva. In primo luogo, certamente va collocata l'inefficacia sanzionatoria connessa la durata delle procedure, la prescrizione ed i vari strumenti della premialità, la durata della pena con i connessi benefici rieducativi. Tutto ciò mette in crisi il processo penale come strumento di garanzia sul quale devono continuare a vigilare la Corte costituzionale e la Corte europea senza dimenticare la necessità delle interpretazioni conformi alla Carta costituzionale e alla Cedu. I diritti dell'imputato e le aspettative della persona offesa devono trovare risposte adeguate nell'attuazione della revisione costituzionale e convenzionale della durata ragionevole del processo. Il problema non è quello di fissare cadenze dell'attuale processo, pur ridelineato, ma rovesciando il percorso, fissare un tempo ragionevole e flessibile sul quale rimodulare il processo. Si tratta, cioè, di strutturare il processo penale così da impedire che l'imputato diventi una vittima del processo senza fine, che la persona offesa conosca in tempi adeguati l'esito delle sue richieste, che il giudice definisca l'eventuale responsabilità e l'eventuale pretesa punitiva, in archi temporali congrui. Naturalmente per rendere effettivi questi obiettivi sarà necessario prevedere in caso di mancato rispetto delle previste cadenze procedurali, profili sanzionatori processuali, risarcimenti ovvero premialità sanzionatorie. La prescrizione del processo, naturalmente dovrà coordinarsi con una prescrizione del reato – prospettata in un arco temporale ampio – considerato che l'estinzione dell'illecito non esclude effetti su altri piani (civile e preventivi). |