Nuova disciplina a tutela degli obblighi di assistenza familiare: l'art. 570-bis c.p. va alla Consulta
07 Gennaio 2019
Massima
Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 570-bis c.p., come introdotta con d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21 per avere la norma operato un'abrogazione implicita della previgente normativa, nella parte in cui consentiva la punibilità del genitore di prole nata da unione di fatto, in violazione della legge delega.
Il caso
Tizio – unito da vincolo more uxorio con Caia – viene imputato e condannato per il reato di cui all'art. 12-sexies legge n. 898/1970 come richiamato dall'art. 3 legge n. 54/2006. Il difensore impugna la decisione. Nel corso del giudizio di appello, il procuratore generale fa rilevare che – nelle more – era entrato in vigore il d.lgs. n. 21/2018, il quale non solo aveva abrogato le previgenti disposizioni, ma aveva altresì introdotto una nuova disposizione unitaria – appunto l'art. 570-bis c.p. – in ragione della quale non era più prevista la punibilità della condotta di violazione degli obblighi di assistenza familiare se posta in essere da soggetto non legato da vincolo di coniugio. Per tale ragione, il procuratore chiede alla Corte di sollevare questione di costituzionalità. La questione
La nuova disciplina penale a tutela degli obblighi di assistenza familiare, introdotta con l'art. 570-bis c.p., è costituzionalmente legittima? Il dubbio viene sollevato in relazione al fatto che detta disciplina non consente più, rispetto al passato, la punizione penale del mancato pagamento dell'assegno per i figli da parte del genitore nella coppia di fatto. Le soluzioni giuridiche
La Corte ritiene la questione non manifestamente infondata. Osservano i giudici che, in vigore del regime normativo anteriore alla riforma del 2018, la violazione degli obblighi di corresponsione, in favore dell'altro coniuge e/o dei figli, dell'assegno stabilito dal giudice con la pronuncia di divorzio era punita dall'art. 12-sexies legge n. 898/1970. Peraltro, l'ambito applicativo di questa disposizione – originariamente nata in seno alla legge sul divorzio – era stato significativamente ampliato dagli artt. 3 e 4 legge n. 8/2006, il quale aveva esteso la punibilità per i medesimi fatti anche in caso di separazione personale, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi a figli nati da genitori non coniugati. A tal proposito la Corte richiama la costante giurisprudenza della Cassazione formatasi sotto la normativa predetta (Cass. n. 25267/2017) secondo la quale «gli obblighi dei genitori, nascendo dal rapporto di filiazione, non subiscono alcuna modifica a seconda che sia o meno intervenuto il matrimonio. In questa ottica, si è ritenuto che l'interpretazione sistematica degli artt. 3 e 4 legge n. 54/2006 doveva deporre nel senso della totale equiparazione anche della disciplina penalistica posta a presidio dell'esatto adempimento delle obbligazioni statuite a carico dei genitori in favore dei figli all'esito della cessazione della convivenza». La Corte di appello nota che questa sistemazione complessiva non è più possibile una volta sostituite le vecchie disposizioni con il vigente art. 570-bis c.p., il quale non richiama più le unioni di fatto. In motivazione si legge che «dalla combinata lettura delle norme denunciate di incostituzionalità si desume, invece, che sono stati esclusi dalla punizione penale le omissioni degli obblighi economici disposti, in sede giudiziaria, in favore di figli nati fuori dal matrimonio. Ogni eventuale dubbio in proposito è superato dalla testuale individuazione del soggetto attivo del reato di nuova formulazione, che è il coniuge. Infatti mentre l'abrogata normativa stabiliva che il colpevole del reato poteva essere chiunque fosse onerato del contributo di mantenimento in favore dei figli, la riforma in questione introduce un reato proprio, che può essere commesso solo da chi si sia, o sia stato, unito in matrimonio con l'altro genitore del figlio beneficiato dall'assegno di mantenimento». Ritiene la corte che questo esito sia costituzionalmente viziato per violazione della legge delega n. 103/2017. Infatti la delega conferiva «inequivocabile mandato di (mero) trasferimento nell'unicità organica del codice penale di fattispecie criminose disseminate in leggi speciali. In virtù della esplicitata finalità di una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni in funzione dell'effettività della funzione rieducativa della pena in conformità ai principi costituzionali». Mentre, quella realizzata dal legislatore delegato è «una abrogazione, sono solo formale e funzionale alla realizzazione della riserva di codice, ma sostanziale di una parte della previgente previsione incriminatrice». La questione è del tutto nuova e non sembra avere avuto precedenti noti e pubblicati. Si tratta di stabilire se il nuovo testo dell'art. 570-bis c.p. sia conforme al dettato costituzionale. La norma è del 2018 e, prima della decisione in commento, il dubbio di costituzionalità non risultava essere stato sollevato da nessuna Corte. Osservazioni
È incontestabile il fatto che l'introduzione dell'art. 570-bis c.p. abbia determinato un arretramento nella tutela penale degli obblighi di mantenimento nei confronti dei figli, escludendo i genitori non coniugati. Come giustamente osservato dalla Corte remittente, la norma è formulata come reato proprio e il soggetto attivo che non riveste la qualifica soggettiva di “coniuge” non può esserne autore. Quindi, nel rispetto del principio di tassatività e divieto di analogia che in ambito penale è presidio irrinunciabile, non è obiettivamente possibile alcuna operazione interpretativa che ricostituisca la situazione precedente. Ora, la domanda fondamentale da porsi è se questo risultato sia stato voluto o frutto di mero “incidente”. Tenuto conto della sconfortante qualità tecnica che il legislatore nazionale esibisce ormai da anni, c'è fermamente da dubitare che il governo delegato abbia voluto introdurre una discriminazione francamente incomprensibile. Soprattutto, questo esito – a prescindere da considerazioni etiche e sociali che qui non competono – si presenta del tutto eccentrico rispetto alla disciplina civilistica dei rapporti tra genitori e figli improntata, come ben noto, alla parità assoluta di trattamento a prescindere dall'esistenza di un legame coniugale tra i genitori (artt. 337-bis ss. c.c.). Né si può pensare di colmare la lacuna facendo ricorso all'art. 570 c.p.. Questa disposizione punisce colui che fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore o al coniuge non separato per colpa. Pacificamente la giurisprudenza ha sempre interpretato la norma nel senso che il mancato versamento dell'eventuale assegno, in questo caso, deve determinare uno stato di bisogno. Condizione che non sussiste, ad esempio, ogniqualvolta l'altro genitore sia comunque in grado di provvedere lui ai bisogni primari della prole. Questione ulteriore è se lo strumento utilizzato dalla Corte di appello trentina – cioè il rinvio alla Corte costituzionale – sia adeguato allo scopo. Effettivamente la legge delega in forza della quale il governo ha emanato il d.lgs n. 21/2018 prevedeva esclusivamente il riordino della materia, per una sua migliore intelligibilità. Mentre l'effetto è stato quello di una selezione tra le fattispecie incriminatrici esistenti, con abrogazione di una di esse. Dunque, il superamento della delega conferita sembra evidente. Tema successivo, che giustamente la Corte di appello si pone, è quello dell'ammissibilità di una pronuncia di incostituzionalità in malam partem. Cioè, ove la Corte dovesse ritenere illegittima l'abrogazione, l'effetto sarebbe quello di ampliare l'area del penalmente rilevante, potenzialmente confliggendo con il principio di riserva di legge in campo penale. A questo proposito è utile segnalare il precedente costituito da Corte cost. n. 5/2014. In detta pronuncia, su vicenda analoga a quella che interessa noi (abrogazione di fattispecie penale mediante decreto adottato in eccesso di delega), la Corte ha escluso che il sindacato sulla legittimità dell'operato del governo possa essere precluso invocando il principio di riserva di legge in materia penale. La strada sembra, quindi, tracciata. Peraltro rimane da capire quali sarebbero le conseguenze in caso di accoglimento della questione. La prima possibilità è quello di tranciare via tutto l'art. 570-bis c.p., con restaurazione di tutte le norme previgenti. La seconda è quella di intervenire solo sull'aspetto specifico censurato con modalità che, tuttavia, sembrano assai complesse e non intuibili, vista la formulazione in termini di reato proprio dell'art. 570-bis c.p.. Naturalmente, in attesa della pronuncia del giudice costituzionale, è sempre possibile che il legislatore rimediti sulle proprie inesattezze per risolvere l'ingarbugliata questione.
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