Il neo-formalismo informatico ritorna?

Francesco Pedroni
09 Gennaio 2019

La Cassazione fa un'analisi di quello che è lo stato dell'arte in relazione ad alcune delle più frequenti cause di inammissibilità nei procedimenti innanzi al Collegio, chiedendo alle Sezioni Unite di esercitare la funzione nomofilattica.
Massima

La Corte analizza con attenzione quello che è lo stato dell'arte in relazione ad alcune delle più frequenti cause di inammissibilità nei procedimenti innanzi al Collegio, chiedendo alle Sezioni Unite di esercitare la funzione nomofilattica che le è propria.

Il caso

Un avvocato di un ricorrente per cassazione deposita nella Cancelleria della Corte di Cassazione, nei termini di legge, unitamente al ricorso notificato, copia analogica della sentenza impugnata che gli era stata notificata in via telematica senza attestazione di conformità. Il controricorrente, nel costituirsi, non disconosceva la conformità della predetta copia informale della sentenza impugnata.

La questione

La Corte pone la questione, considerata di “massima particolare importanza”, se il mancato disconoscimento della conformità all'originale della copia informale della sentenza notificata precluda l'improcedibilità del ricorso.

Con l'ordinanza interlocutoria in commento, la Suprema Corte Cassazione ha ritenuto di dover rimettere gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite per la risoluzione dei seguenti tre quesiti:

a) "se in mancanza del deposito della copia autentica della sentenza, da parte del ricorrente o dello stesso controricorrente, nel termine di venti giorni dall'ultima notificazione del ricorso, il deposito in cancelleria nel suddetto termine di copia analogica della sentenza notificata telematicamente, senza attestazione di conformità del difensore l. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, comporti l'improcedibilità del ricorso anche se il controricorrente non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all'originale notificato o intervenga l'asseverazione di conformità all'originale della copia analogica sino all'udienza di discussione o all'adunanza in camera di consiglio";

b) "se il deposito in cancelleria nel termine di venti giorni dall'ultima notificazione del ricorso di copia analogica della relazione di notifica telematica della sentenza, senza attestazione di conformità del difensore (l. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter) o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, comporti l'improcedibilità del ricorso anche se il controricorrente non abbia disconosciuto la conformità della copia informale della relazione di notificazione o intervenga l'asseverazione di conformità all'originale della copia analogica sino all'udienza di discussione o all'adunanza in camera di consiglio";

n) "se ai fini dell'assolvimento dell'onere di deposito della copia autentica della decisione notificata telematicamente nel termine di venti giorni dall'ultima notificazione del ricorso, sia sufficiente per il difensore del ricorrente, destinatario della suddetta notifica, estrarre copia cartacea del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e dei suoi allegati (relazione di notifica e provvedimento impugnato), ed attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali della copia formata su supporto analogico, o sia necessario provvedere anche al deposito di copia autenticata della sentenza estratta direttamente dal fascicolo informatico".

Le soluzioni giuridiche

La Corte ragiona tenendo presente i due recenti interventi giurisprudenziali formatisi sul tema.

In primo luogo, quello, sulla scorta di Cass. 22 dicembre 2017, n. 30765, secondo cui il ricorso per cassazione è improcedibile se il difensore, che propone ricorso contro un provvedimento che gli è stato notificato via PEC, non deposita nella cancelleria della Cassazione copia analogica, con attestazione di conformità del messaggio di posta elettronica certificata ricevuto, nonché della relazione di notifica e del provvedimento impugnato, allegati al messaggio (non è, invece, necessario anche il deposito di copia autenticata del provvedimento impugnato estratta direttamente dal fascicolo informatico).

In secondo luogo, il recentissimo e innovativo intervento di Cass. Sez. U. 24 settembre 2018, n. 22438 secondo cui “il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall'ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC, senza attestazione di conformità del difensore l. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l'improcedibilità ove il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica del ricorso ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all'originale notificatogli d.lgs. n. 82 del 2005, ex art. 23, comma 2. Viceversa, ove il destinatario della notificazione a mezzo PEC del ricorso nativo digitale rimanga solo intimato (così come nel caso in cui non tutti i destinatari della notifica depositino controricorso) ovvero disconosca la conformità all'originale della copia analogica non autenticata del ricorso tempestivamente depositata, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità sarà onere del ricorrente depositare l'asseverazione di conformità all'originale della copia analogica sino all'udienza di discussione o all'adunanza in camera di consiglio”.

Primo quesito: se vi sia improcedibilità in caso di deposito di copia analogica della sentenza notificata telematicamente, senza attestazione di conformitàse in mancanza del deposito della copia autentica della sentenza, da parte del ricorrente o dello stesso controricorrente, nel termine di venti giorni dall'ultima notificazione del ricorso, il deposito in cancelleria nel suddetto termine di copia analogica della sentenza notificata telematicamente, senza attestazione di conformità del difensore l. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, comporti l'improcedibilità del ricorso anche se il controricorrente non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all'originale notificato o intervenga l'asseverazione di conformità all'originale della copia analogica sino all'udienza di discussione o all'adunanza in camera di consiglio”.

Secondo la Corte, sulla base della motivazione di Cass. Sez. U. 24 settembre 2018, n. 22438, il deposito della copia autentica della sentenza pare costituire un requisito di procedibilità di differente natura e funzione rispetto al deposito del ricorso notificato per via telematica.

La premessa maggiore del ragionamento è rappresentata dall'art. 23, comma 2 del d.lgs. 82/2005 che, richiamando la disciplina sulla prova in merito all'efficacia probatoria della copia del documento ("le copie e gli estratti su supporto analogico del documento informatico, conformi alle vigenti regole tecniche, hanno la stessa efficacia probatoria dell'originale se la loro conformità non è espressamente disconosciuta"), suggerisce che mediante l'idoneità del documento ciò che deve provarsi è un fatto processuale - se ed in quale data sia stata effettuata la notifica - il cui accertamento condiziona la procedibilità del ricorso. La sanzione dell'improcedibilità costituirebbe, in questo caso, presidio dell'esigenza di accertamento del tempestivo esercizio del diritto di impugnazione e dell'assenza del vincolo della cosa giudicata formale.
Tale argomento sarebbe confermato anche dall'idoneità dell'asseverazione di conformità all'originale della copia analogica depositata sino all'udienza di discussione o all'adunanza in camera di consiglio nel caso di espresso disconoscimento o di mancato deposito del controricorso da parte dell'intimato.

Da tale premessa, secondo la Corte, discende la logica conseguenza che se l'asseverazione depositata sino all'udienza di discussione o all'adunanza in camera di consiglio è il surrogato del mancato disconoscimento vuol dire che la copia analogica, sia pure non asseverata, deve esservi ab initio con il deposito del ricorso e che l'efficacia di accertamento del fatto processuale è riconducibile alla copia originariamente depositata, all'esito del non disconoscimento o dell'asseverazione "ora per allora".

In tale meccanismo e con riferimento alla sentenza impugnata, continua la Corte, non trova applicazione il principio del raggiungimento dello scopo, per il quale rilevano anche i comportamenti o atti successivi alla scadenza del termine entro il quale doveva depositarsi l'atto (cfr. Cass. Sez. U. 5 agosto 2016, n. 16598) in quanto la condizione di procedibilità, rappresentata dal deposito di copia autentica della sentenza nel termine di venti giorni dall'ultima notificazione del ricorso, non inerisce all'accertamento di un fatto processuale, ma è l'oggetto del ricorso che, proprio per la sua natura di oggetto dell'impugnazione, deve essere presente nella forma di un documento giuridicamente certo. Il deposito di copia autentica della sentenza nel termine perentorio resterebbe così un onere da assolvere in modo indipendente dalla tipologia dei fatti processuali suscettibili di accertamento.

In sostanza, la differenza fra fatto processuale (da accertare) e documento (in copia autentica) trova la propria ratio nella circostanza che, presupponendo il (mancato) disconoscimento la disponibilità dell'effetto del (mancato) disconoscimento medesimo, quest'ultimo è configurabile solo con riferimento alla notificazione perché la conformità all'originale riguarda in tal caso l'atto destinato alla parte cui viene riconosciuto il potere di disconoscere o non disconoscere. Tale disponibilità non è configurabile con riferimento alla sentenza, la cui verifica di autenticità, diversamente dalla relazione di notificazione, non può essere rimessa alla parte mediante il mancato disconoscimento, non ricorrendo la caratteristica della destinazione dell'atto alla parte, la quale giustifica l'effetto riconducibile al mancato disconoscimento.

In conclusione, la Corte ritiene che solo la notificazione, in quanto fatto da accertare, paia integrare la condizione di procedibilità anche grazie al contegno della parte nel processo ed alla disponibilità degli effetti del contegno medesimo.

Secondo quesito: se vi sia improcedibilità in caso di deposito di copia analogica della relazione di notifica telematica della sentenza, senza attestazione di conformità"se il deposito in cancelleria nel termine di venti giorni dall'ultima notificazione del ricorso di copia analogica della relazione di notifica telematica della sentenza, senza attestazione di conformità del difensore l. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, comporti l'improcedibilità del ricorso anche se il controricorrente non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all'originale della relazione di notificazione o intervenga l'asseverazione di conformità all'originale della copia analogica sino all'udienza di discussione o all'adunanza in camera di consiglio".

La Corte si chiede altresì, ritenendo di concludere positivamente, se il principio enunciato da Cass. Sez. U. 24 settembre 2018, n. 22438 sia trasferibile anche alla copia analogica non asseverata della relazione di notificazione della sentenza avvenuta con modalità telematiche, trattandosi anche in questo caso di un fatto processuale da accertare e nella disponibilità dell'autore della notificazione, titolare del potere di non disconoscere la conformità della copia depositata all'originale.

Terzo quesito: se vi sia necessità di provvedere al deposito di copia autenticata della sentenza estratta dal fascicolo informatico oltre al deposito della pec di notifica ricevuta "se ai fini dell'assolvimento dell'onere di deposito nel termine di venti giorni dall'ultima notificazione del ricorso della copia autentica della decisione notificata telematicamente, sia sufficiente per il difensore del ricorrente, destinatario della suddetta notifica, estrarre copia cartacea del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e dei suoi allegati (relazione di notifica e provvedimento impugnato), ed attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali della copia formata su supporto analogico, o sia necessario provvedere anche al deposito di copia autenticata della sentenza estratta direttamente dal fascicolo informatico".

Secondo la Corte la questione, già risolta nel senso della sufficienza dell'asseverazione della copia del provvedimento notificato (Cass. 22 dicembre 2017, n. 30765), si riapre all'esito della pronuncia di Cass. Sez. U. 24 settembre 2018, n. 22438, perchè se si nega che l'asseverazione "ora per allora" possa rilevare con riferimento alla copia della sentenza notificata telematicamente, il dubbio se la possibilità che la condizione di procedibilità rappresentata dalla copia autentica della sentenza possa essere integrata da copia autentica della copia notificata permane.

In questo senso, l'analisi della formulazione dell'art. 369, comma 2, n. 2), c.p.c., propende per il deposito della "copia autentica della sentenza o della decisione impugnata" e della "relazione di notificazione, se questa è avvenuta", ma non per il deposito, ove sia intervenuta la notificazione della sentenza, della "relazione di notificazione con la copia conforme all'originale dell'atto notificata". Il dato testuale sarebbe quindi confermativo del principio sopra affermato che la sentenza rileva non come articolazione della notificazione, ma quale entità autonoma che deve risultare nel processo sulla base di determinati requisiti documentali (il deposito della copia conforme all'originale dell'atto notificata integra il prescritto requisito della copia autentica della sentenza a condizione che si tratti della copia con attestazione di conformità all'originale rilasciata dal cancelliere e non del documento che reca solamente la dichiarazione dell'ufficiale giudiziario di consegna di copia conforme a quella recante la relata di notifica - Cass. civ., 6 maggio 2011, n. 10008; Cass. civ., 8 gennaio 2003, n. 102; Cass. civ., 6 febbraio 1998, n. 7189).

A parere della Corte, nel caso in esame, l'onere processuale attiene non alla dimostrazione di quale sia il provvedimento notificato e che deve essere impugnato, ma alla presenza nel processo del provvedimento nella sua entità obiettiva grazie al requisito documentale della copia autentica.

Osservazioni

I quesiti posti dalla Suprema Corte con l'ordinanza in commento sono indubbiamente improntati ad una visione formalistica degli oneri connessi al deposito di un ricorso per cassazione in nome dei richiamati principi che regolano la prova e la certezza dell'esistenza e conformità dei provvedimenti giurisdizionali oggetti di esame in cassazione.

Il dubbio, però, che tale impostazione sia principalmente diretta all'espansione dell'area della improcedibilità del ricorso per cassazione a fini deflattivi è fondato se si considerano le fonti normative analizzate nell'ordinanza sotto il profilo gerarchico e interpretativo.

In estrema sintesi, per quanto Cass. Sez. U. 24 settembre 2018, n. 22438 sembra aver tracciato una strada improntata all'antiformalismo, l'ordinanza pone alle Sezione Unite di verificare ulteriormente se, ai fini della procedibilità del ricorso per cassazione, l'avvocato del ricorrente debba, tra l'altro, attestare la conformità della copia analogica della sentenza notificatagli, la conformità della copia analogica della relazione di notificazione e debba provvedere al deposito di copia autenticata della sentenza estratta dal fascicolo informatico oltre al deposito della pec di notifica ricevuta. Ciò anche se il controricorrente non abbia disconosciuto la conformità delle predette copie o intervenga l'asseverazione di conformità all'originale della copia analogica sino all'udienza di discussione o all'adunanza in camera di consiglio.

Tale impostazione, se ammessa, sarebbe in contrasto con lo spirito antiformalista delle norme che regolano la materia.

In primo luogo, in contrasto con l'art. 9 della l. n. 53/1994 che attribuisce il potere di attestare la conformità ai documenti informatici esclusivamente all'avvocato che procede alla notificazione e non al destinatario della stessa. Il comma 1-bis di tale norma prevede, infatti, che l'attestazione di conformità riguardi la ricevuta di accettazione e di consegna delle PEC che sono nell'esclusiva disponibilità dell'avvocato notificante (che, quando redige la relazione di notificazione è pubblico ufficiale ai sensi dell'art. 6 della legge n. 53/1994) e non di quello ricevente. Non si deve poi dimenticare che, mentre il notificante, in relazione agli adempimenti via pec di cui si discute, è sempre un avvocato, non sempre lo è chi riceve la notifica; in caso di contumacia la notificazione della sentenza è fatta personalmente alla parte (art. 292 c.p.c.) che non potrebbe attestarne la conformità ai sensi delle disposizioni in esame.

In secondo luogo, vi sarebbe contrasto con la lettura combinata dell'art. 2719 c.c. e dell'art. 23, comma 2, CAD che affermano come l'efficacia delle copie fotografiche di scritture non espressamente disconosciute è equiparata a quella delle copie autentiche e che i duplicati, le copie, gli estratti del documento informatico, anche se riprodotti su diversi tipi di supporto, sono validi a tutti gli effetti di legge, se conformi alle vigenti regole tecniche. Anche la Cass. Sez. U. 24 settembre 2018, n. 22438 ha confermato questo principio.

Infine, come correttamente affermato (Villata, Contro il Neo-formalismo informatico, Riv. Dir. Proc., 2018, 1, 155 ss.), la questione non può non essere considerata alla luce del principio generale del giusto processo (art. 111 Cost. e art. 6 CEDU) per cui un'interpretazione costituzionalmente orientata deve escludere le ipotesi di improcedibilità per forma degli atti che pregiudicano il diritto a vedere esaminato nel merito una domanda di giustizia.

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