Le note di variazione in diminuzione IVA nel concordato in continuità

Fabio Gallio
10 Gennaio 2019

Con la risposta n. 54 del 2018, fornita a seguito alla presentazione di un'istanza di interpello, l'Agenzia delle Entrate si è occupata della problematica relativa alle note di variazione IVA emesse a seguito della riduzione dell'importo dei debiti avvenuta nel corso di una procedura di concordato preventivo con continuità ex art. 186-bis l.fall..
Il quadro normativo

Con la risposta n. 54 del 2018, fornita a seguito alla presentazione di un'istanza di interpello, l'Agenzia delle Entrate si è occupata della problematica relativa alle note di variazione IVA emesse a seguito della riduzione dell'importo dei debiti avvenuta nel corso di una procedura di concordato preventivo con continuità ex art. 186-bis l.fall..

In particolare, è stato chiesto se la società in concordato, dopo aver ricevuto le note di variazione IVA relative ai debiti chirografari oggetto di falcidia, è obbligata ad annotarle nei registri IVA (registro delle fatture di vendita con segno positivo o di acquisto con segno negativo) ma non anche a versare all'Erario l'IVA oggetto di rettifica.

Si deve ricordare che le variazioni dell'IVA dovuta sono regolate dall'articolo 26 del d.P.R. n. 633/1972.

In particolare, il secondo comma sancisce che è possibile operare una variazione in diminuzione quando un'operazione, per la quale sia stata emessa fattura e sia stata registrata secondo gli artt. 23 e 24, venga meno o se ne riduca l'ammontare imponibile a causa della dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili, oppure in conseguenza dell'applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, oppure per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose o a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'articolo 182-bis l.fall., ovvero di un piano attestato ai sensi dell'articolo 67, terzo comma, lettera d),, pubblicato nel registro delle imprese o in conseguenza dell'applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente.

Il terzo comma prevede anche che gli eventi sopraindicati possano verificarsi in dipendenza di un sopravvenuto accordo fra le parti. In tali casi, la variazione deve essere registrata entro un anno dall'effettuazione dell'operazione imponibile.

Relativamente alle procedure concorsuali, la suddetta disposizione risponde ad esigenze equitative ed è volta a consentire al cedente del bene o al prestatore del servizio di recuperare, attraverso il meccanismo della variazione in diminuzione in conseguenza dell'insolvenza del debitore, l'imposta versata anticipatamente all'Erario.

La recente evoluzione normativa

Va a questo punto ricordato che la legge di stabilità 2016, commi 126 e 127, con efficacia dal primo gennaio 2017, aveva riscritto integralmente il testo dell'art. 26 del D.P.R. 633/1972 innovando profondamente la procedura inerente la “variazione IVA” da operare in caso di mancato pagamento da parte del cessionario/committente assoggettato ad una procedura concorsuale.

In particolare, era stata introdotta la possibilità, per il cedente/prestatore, di emettere la nota d'accredito IVA, oltre il periodo dell'anno, a partire dalla data in cui il cessionario/committente fosse stato assoggettato ad una procedura concorsuale. In questo modo, il cedente non era più costretto ad attendere l'accertamento dell'infruttuosità della relativa procedura per recuperare l'intero importo dell'IVA.

In sostanza, tale criterio permetteva al creditore di recuperare l'imposta addebitata in via di rivalsa al verificarsi di una circostanza che comunque sanciva, in modo ufficiale e inequivocabile, lo stato di crisi del debitore e, quindi, la ragionevole certezza che in tutto o in parte il credito insoluto non sarebbe stato pagato senza, però, attendere l'esito dell'insinuazione allo stato passivo dello specifico credito ovvero l'effettivo realizzo dell'attivo concordatario e quindi l'esecuzione del piano con i relativi riparti.

Infatti, la variazione in diminuzione, secondo la nuova disposizione, avrebbe potuto essere effettuata a partire dalla sentenza dichiarativa del fallimento o del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa o del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo o del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (così paragrafo 22 della Circolare dell'Agenzia delle Entrate del 30 dicembre 2014, n. 31/E). Il nuovo disposto normativo avrebbe dovuto applicarsi alle procedure concorsuali instaurate successivamente al 31 dicembre del 2016.

Tuttavia, tale modifica normativa è stata abrogata dall'art. 1, comma 567, lett. d), della legge 232/2016, a decorrere dal 1° gennaio 2017 e, pertanto, non è mai entrata in vigore. In senso critico a tale intervento legislativo, si rinvia alla Circolare Assonime n. 1 del 25 gennaio 2017.

Conseguentemente, a seguito della mancata entrata in vigore della nuova normativa, la nota di variazione può essere emessa solo quando è definitivamente accertata l'infruttuosità della procedura concorsuale.

In via generale, vale la pena d‘osservare che in base all'attuale previsione dell'art. 26, secondo comma, d.P.R. 633/72, la suddetta circostanza si verifica allorquando il soddisfacimento del creditore attraverso l'esecuzione collettiva sul patrimonio dell'imprenditore viene meno, interamente o parzialmente, per l'insussistenza di somme disponibili per la relativa soddisfazione una volta ultimata la ripartizione dell'attivo.

Ad ogni buon conto, in via preventiva devono sussistere due presupposti: il primo di tipo oggettivo, dato dal mancato pagamento del credito a causa di procedure concorsuali a cui è stato assoggettato il debitore; il secondo di tipo soggettivo, dato dalla partecipazione del creditore alla procedura, ossia per quanto attiene al fallimento, al concorso per effetto dell'ammissione allo stato passivo; per il concordato preventivo, l'inserimento del creditore nell'elenco dei creditori.

Al fine di individuare il momento in cui tale circostanza si verifica, è necessario rifarsi ai chiarimenti forniti in passato dall'Amministrazione finanziaria nella Circolare del 17 aprile 2000, n. 77/E.

In particolare, per quanto riguarda i concordati preventivi, l'Agenzia delle Entrate ha precisato che occorre far riferimento non solo al passaggio in giudicato del decreto di omologazione del concordato che, ai sensi dell'art. 181 della legge fallimentare, chiude la procedura concordataria, ma anche al successivo adempimento degli obblighi che il debitore concordatario ha assunto in sede di concordato nei confronti del ceto creditorio.

Secondo l'Agenzia delle Entrate, nel caso di mancato adempimento della proposta concordataria, ovvero qualora, in conseguenza di comportamenti dolosi, venga dichiarato il fallimento del debitore, la rettifica in diminuzione può essere eseguita solo dopo che il piano di riparto dell'attivo sia divenuto definitivo ovvero, in assenza di un piano, a chiusura della procedura fallimentare. Il condizionamento della legittimità dell'emissione della nota di variazione in diminuzione all'esito infruttuoso delle procedure concorsuali ha sollevato dubbi circa la conformità dell'art. 26 del d.P.R. n. 633/1972 alla normativa comunitaria, atteso che in tal modo viene esclusa la rilevanza di ogni altra ipotesi nella quale si verifichi la perdita, totale o parziale, del corrispettivo, e perché continua a postporsi ad un termine a priori indefinibile il momento in cui poterla emettere.

E' intervenuta recentemente la Corte di Giustizia con la sentenza del 23 novembre 2017, causa C-246/16, mettendo in discussione le regole oggi previste nel nostro ordinamento per l'emissione delle note di variazione in diminuzione, in caso di mancato pagamento totale o parziale del corrispettivo.

La Corte di Giustizia infatti ha stabilito che uno Stato membro non può prevedere che, a fronte del mancato pagamento del corrispettivo, la detrazione dalla base imponibile IVA sia subordinata al verificarsi dell'infruttuosità di una procedura concorsuale la cui durata può superare anche i dieci anni.

Secondo i giudici comunitari, in presenza di una “probabilità ragionevole” che l'obbligazione di pagamento non venga adempiuta da parte del debitore sottoposto alla procedura concorsuale, la riduzione della base imponibile dovrebbe essere possibile anche senza attendere che il relativo credito diventi definitivamente irrecuperabile.

Ciò porterebbe alla conclusione che la rettifica IVA, secondo il diritto dell'UE, potrebbe essere effettuata anche prima dell'infruttuosità della procedura concorsuale se la stessa è ultradecennale, in quanto tale termine potrebbe causare al creditore delle problematiche (anche in termini di svantaggi competitivi) di liquidità.

Peraltro, la Corte di Giustizia ha precisato che spetta al contribuente fornire la prova per dimostrare la probabile durata prolungata (addirittura ultradecennale) del mancato pagamento, rimettendo agli Stati la previsione delle modalità con le quali dovrà essere fornita tale prova.

Va anche rilevato però che il termine ultradecennale indicato dalla Corte di Giustizia (che si è pronunciata su una fattispecie in cui trovava applicazione la disciplina fallimentare precedente alla riforma del 2005) risulta “ridimensionato” alla luce delle modifiche legislative alla legge fallimentare introdotte dagli artt. 6 e 7 del D.l. 83/2015, convertito con L. n. 132/2016, applicabili ratione temporis ai fallimenti dichiarati successivamente al 27 giugno 2015.

In particolare, l'art. 104-ter secondo e terzo comma l.fall., che prevede l'obbligo per il curatore di indicare nel programma di liquidazione il termine di realizzo dell'attivo, che non potrà eccedere comunque i due anni dal deposito della sentenza dichiarativa del fallimento, salva la sussistenza di specifiche e motivate ragioni che giustificano la richiesta di un termine maggiore per il realizzo di alcuni determinati cespiti. Il mancato rispetto dei termini previsti nel programma di liquidazione costituisce causa di revoca del curatore.

Ai sensi dell'art. 118, secondo comma, l.fall. la pendenza di eventuali contenziosi non impedisce la chiusura dei fallimenti, posto che il curatore può mantenere la legittimazione processuale anche nei successivi gradi di giudizio.

Quindi è evidente che le suddette modifiche legislative determinano una (notevole) riduzione delle tempistiche di chiusura delle procedure fallimentari, con la conseguenza che le note di variazione IVA verrebbero emesse ai sensi dell'art. 26 d.P.R. 633/72 in termini decisamente più brevi rispetto all'orizzonte temporale ultradecennale al quale ha fatto riferimento la Corte di Giustizia.

Alcuni effetti della variazione in diminuzione in capo alla procedura

Nel sistema dell'art. 26, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, se si riduce l'importo di un'operazione imponibile, la nota di variazione viene emessa al fine di adeguare l'imposta al corrispettivo effettivamente incassato; pertanto il cedente o prestatore del servizio può portare in detrazione l'Iva, nella misura esposta nella nota di variazione, mentre la controparte è tenuta a ridurre in pari misura la detrazione che aveva effettuato, riversando l'imposta all'Erario.

Infatti, il comma 5 dell'art. 26 prevede che laddove il cedente/prestatore si avvalga della facoltà di emettere una nota di variazione in diminuzione, il cessionario/committente, che ha già contabilizzato l'operazione nel registro Iva degli acquisti, è tenuto a registrare la corrispondente variazione in aumento, salvo il suo diritto alla restituzione di quanto pagato a titolo di rivalsa. L'art. 1, comma 567 lett. d), della legge n. 232 del 2016 ha abrogato la norma che escludeva tale obbligo in caso di procedure concorsuali.

Ne consegue che, come precisato dall'Amministrazione finanziaria, gli organi della procedura sono tenuti ad annotare nel registro Iva la corrispondente variazione in aumento; tale adempimento, tuttavia, non determina l'inclusione del relativo credito IVA vantato dall'Amministrazione nel riparto finale, ormai definitivo, ma consente di evidenziare il credito eventualmente esigibile nei confronti del fallito tornato in bonis. Per quanto sopra, non sussistendo il debito a carico della procedura, il curatore fallimentare non è tenuto ad ulteriori adempimenti (v. Risoluzione dell'Agenzia Entrate del 12 ottobre 2001 n. 155/E).

Tale principi devono essere applicati anche al concordato preventivo, che, come procedura concorsuale, consente al debitore di evitare la dichiarazione di fallimento, a condizione che egli adempia agli obblighi assunti nei confronti dei creditori. Con gli effetti estintivi del concordato si ha la riduzione del credito chirografario di rivalsa Iva.

Conseguentemente, dato che la nota di variazione è afferente l'Iva non riscossa dal creditore, per un debito sorto prima dell'avvio della procedura concorsuale, la registrazione della predetta nota non comporterebbe, per il debitore concordatario, l'obbligo di rispondere verso l'Erario di un debito sul quale si sono già prodotti gli effetti estintivi del concordato preventivo.

Diversamente, si avrebbe una deroga all'efficacia liberatoria della procedura, da ritenersi ingiustificata in relazione alle norme che dispongono l'estinzione di ogni debito sorto anteriormente all'inizio della procedura medesima. Pertanto, la società in concordato non è obbligata a riversare l'Iva a debito indicata nelle note di variazione che dovesse eventualmente ricevere (così Risoluzione dell'Agenzia delle Entrate del 17 ottobre 2001, n. 161/E).

In definitiva, il debitore concordatario non è tenuto a rettificare “in aumento” il documento ricevuto, ferma la detrazione dell'imposta già operata a seguito della registrazione della fattura di acquisto. Per cui registra la nota di variazione ricevuta nel registro IVA degli acquisti, senza che questo abbia riflessi sul piano dichiarativo.

In conclusione

Con la Risposta n. 54 del 2018, l'Agenzia delle Entrate conferma che anche nell'ambito della procedura di concordato preventivo in continuità le note di variazione emesse dai creditori per recuperare l'IVA relativa al credito oggetto di falcidia vanno registrate nei registri IVA senza che tale adempimento determini un obbligo di versamento dell'imposta.

Infatti, come si è già esposto precedentemente, è stata abrogata la normativa che prevedeva la possibilità, per il cedente/prestatore, di emettere la nota d'accredito IVA, oltre il periodo dell'anno, a partire dalla data in cui il cessionario/committente fosse stato assoggettato ad una procedura concorsuale. Con essa, è stato abrogato anche il comma 6 dell'art. 26 che prevedeva l'obbligo in capo al cessionario/committente in procedura concorsuale di registrare la corrispondente variazione in aumento, salvo il suo diritto alla restituzione di quanto pagato a titolo di rivalsa (art. 1, comma 567 lett. d), della legge n. 232/2016).

Pertanto, sembrerebbe che il legislatore italiano, con tale abrogazione, si sia avvalso della facoltà di evitare tale versamento ai sensi del comma 2 dell'art. 185 della Direttiva CE n. 112 del 28/11/2006.

Secondo l'Agenzia delle Entrate, inoltre, non sarebbe applicabile al caso in oggetto quanto statuito dalla sentenza della Corte di Giustizia del 22 febbraio 2018, causa C-396/16, riferita ad un caso riguardante la Repubblica di Slovenia, che potrebbe avere ricadute anche nel nostro ordinamento.

Infatti, la normativa nazionale, evidentemente in modo differente da quella slovena, qualificherebbe le procedure concorsuali come causa del “mancato pagamento in tutto o in parte del prezzo convenuto”, cui consegue il diritto del debitore al mantenimento della detrazione dell'IVA conseguente all'operazione originaria.

Secondo l'Ufficio, inoltre, tale conclusione sarebbe anche coerente con quanto sancito dalla Circolare 8/E del 7 aprile 2017 (paragrafo 13.1.), secondo la quale, laddove il cedente/prestatore si avvalga della facoltà di emettere una nota di variazione in diminuzione, gli organi della procedura sono tenuti ad annotare nel registro IVA la corrispondente variazione in aumento. Tuttavia tale incombenza non determina l'inclusione del relativo credito IVA vantato dall'amministrazione finanziaria nel riparto finale ormai definitivo (e quindi a versare l'imposta a debito), in quanto lo scopo di tale adempimento sarebbe solo quello di evidenziare il credito eventualmente esigibile nei confronti del fallito tornato in bonis .

Tale chiarimento potrebbe fare sorgere il dubbio se, relativamente alle previsioni di pagamento dei creditori formulate nelle proposte concordatarie relative a piani di concordato in continuità aziendale ex art. 186-bis l.fall. ovvero negli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l.fall. e nei piani attestati ex art. 67 terzo comma lett. d) l.fall., i cui piani prevedano la prosecuzione dell'attività d'impresa, si debba procedere al versamento dell'IVA.

Con la risposta n. 54 in commento, almeno con riferimento ai concordati in continuità, tale dubbio dovrebbe essere venuto meno. Per gli altri istituti, invece, sarebbe auspicabile una conferma da parte della stessa Agenzia delle Entrate.