Al vaglio della CGUE i dubbi sul regime in house e sul divieto di acquisire partecipazioni inidonee a garantire il controllo analogo

10 Gennaio 2019

La V Sezione del Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di giustizia dell'Unione europea due questioni pregiudiziali ai sensi dell'art. 267 del TFUE in tema di affidamento in house.

Il caso. Il caso concerne la contestazione di un affidamento diretto del servizio di igiene urbana ad una società in house pluripartecipata in regime di controllo analogo congiunto, da parte di un socio di minoranza.

Ai fini della decisione, il Consiglio di Stato ha ritenuto necessario risolvere talune questioni di diritto relative all'interpretazione del diritto dell'Unione europea, primario e derivato in relazione i) alla asserita assenza di una previa ed effettiva valutazione da parte della Stazione appaltante circa la congruità del ricorso al modello in house providing prima di procedere all'affidamento diretto; ii) al mancato rispetto dei vincoli imposti dall'ordinamento nazionale alla partecipazione al capitale sociale da parte dei soggetti pubblici che non esercitino un controllo analogo (diretto) sulla società.

I dubbi di compatibilità con il diritto euro-unitario.

La prima questione pregiudiziale. La V Sezione, nel valutare la dedotta violazione del “Regime speciale degli affidamenti in house” e delle condizioni imposte dall'art. 192, comma 2, del Codice dei contratti pubblici ha, infatti, posto in dubbio che le disposizioni del diritto interno, nel subordinare gli affidamenti in house a condizioni aggravate e a motivazioni rafforzate rispetto alle altre modalità di affidamento, siano autenticamente compatibili con le pertinenti disposizioni e princìpi del diritto primario e derivato dell'Unione europea, atteso che le disposizioni eurounitarie sembrano comportare una piena equiordinazione fra le diverse modalità di assegnazione dei servizi di interesse delle amministrazioni pubbliche, se non addirittura la prevalenza logica del sistema di autoproduzione rispetto ai modelli di esternalizzazione.

Si tratta quindi secondo la Collegio di stabilire se il restrittivo orientamento ultradecennale nazionale in tema di affidamenti in house risulti conforme con i princìpi e disposizioni del diritto dell'Unione europea, avuto particolare riguardo al principio della libera organizzazione e autodeterminazione delle amministrazioni pubbliche sancita dall'art. 2 della Direttiva 2014/23/UE.

Infatti, nell'ordinamento dell'Unione gli affidamenti in house (sostanziale forma di autoproduzione) non sembrano posti in una posizione subordinata rispetto agli affidamenti con gara; al contrario, sembrano rappresentare una sorte di prius logico rispetto a qualunque scelta dell'amministrazione pubblica in tema di autoproduzione o esternalizzazione dei servizi di proprio interesse.

Se questi sono gli esatti termini della questione risulta che lo stesso in house providing rappresenta non un'eccezione residuale, ma una normale opzione di base, al pari dell'affidamento a terzi tramite mercato, cioè tramite gara: paradigma, quest'ultimo, che non gode di alcuna pregiudiziale preferenza. Di tal ché si impone la questione della conformità fra da un lato i richiamati princìpi e disposizioni del diritto dell'Unione europea e, dall'altro, le previsioni del diritto nazionale italiano, atteso che le restrittive condizioni nazioni a cui è subordinato l'in house potrebbero giustificarsi in relazione ai princìpi e alle disposizioni del diritto dell'UE solo a condizione che lo stesso diritto dell'Unione riconosca a propria volta priorità sistematica al principio di mesa in concorrenza rispetto a quello della libera organizzazione.

La seconda questione pregiudiziale Quanto alla seconda questione pregiudiziale concernente i vincoli imposti in ordine alla partecipazione al capitale sociale da parte dei soggetti pubblici che non esercitino il c.d. controllo analogo, il Consiglio di Stato ha affermato che lo schema della partecipazione societaria che si configura come organismo ‘in house' per alcune amministrazioni pubbliche e come organismo ‘non-in house' per altre amministrazioni pubbliche non sembra in contrasto con il diritto comunitario.

Sennonché è in dubbio la conformità fra il diritto dell'UE (in particolare, fra l'art. 5 della Direttiva 2014/24/UE), che ammette il controllo analogo congiunto nel caso di società non partecipata unicamente dalle amministrazioni controllanti e il diritto interno (in particolare, l'art. 4, comma 1, cit., interpretato nei detti sensi) che non appare consentire alle amministrazioni di detenere quote minoritarie di partecipazione in un organismo a controllo congiunto, neppure laddove tali amministrazioni intendano acquisire in futuro una posizione di controllo congiunto e quindi la possibilità di procedere ad affidamenti diretti in favore dell'organismo pluripartecipato.

In conclusione la V sezione ha domandato alla CGUE se il diritto dell'UE - e segnatamente il principio di libera amministrazione delle autorità pubbliche e i principio di sostanziale equivalenza fra le diverse modalità di affidamento e di gestione dei servizi di interesse delle amministrazioni pubbliche - osti a una normativa nazionale, come quella dell'art. 192, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, la quale colloca l'in house su un piano subordinato ed eccezionale rispetto agli affidamenti tramite gara di appalto: i) consentendo tali affidamenti solo in caso di dimostrato fallimento del mercato rilevante, nonché ii) imponendo all'amministrazione che intenda operare un affidamento in regìme di delegazione interorganica di fornire una specifica motivazione circa i benefìci per la collettività connessi a tale forma di affidamento;

se il diritto dell'UE - e in specie l'art. 12, paragrafo 3 della Direttiva 2014/24/UE - osti a una disciplina nazionale, come quella dell'art. 4, comma 1, del Testo Unico delle società partecipate, di cui al d.lgs. n. 175 del 2016, che impedisce a una P.A. di acquisire in un organismo pluriparecipato da altre amministrazioni una quota di partecipazione (comunque inidonea a garantire controllo o potere di veto) laddove tale amministrazione intenda acquisire in futuro una posizione di controllo congiunto e quindi la possibilità di procedere ad affidamenti diretti in favore di siffatto organismo.

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