Sull'utilizzabilità processuale del Sari: il confronto automatizzato di volti rappresentati in immagini

16 Gennaio 2019

A partire dal settembre del 2018 tutti i Gabinetti di Polizia scientifica della Polizia di Stato dispongono di un nuovo straordinario strumento di indagine, il Sari, utile per l'identificazione degli autori di delitti attraverso il confronto automatizzato delle immagini ritraenti il volto dei medesimi con quelle presenti in AFIS. Benché tale strumento appaia a prima vista estremamente efficace per la soluzione di casi giudiziari, sorge spontaneo un interrogativo: i risultati probatori raggiunti attraverso l'impiego del Sari possono essere...
Abstract

A partire dal settembre del 2018 tutti i Gabinetti di Polizia scientifica della Polizia di Stato dispongono di un nuovo straordinario strumento di indagine, il Sari, utile per l'identificazione degli autori di delitti attraverso il confronto automatizzato delle immagini ritraenti il volto dei medesimi con quelle presenti in AFIS. Benché tale strumento appaia a prima vista estremamente efficace per la soluzione di casi giudiziari, sorge spontaneo un interrogativo: i risultati probatori raggiunti attraverso l'impiego del Sari possono essere validamente utilizzati nel processo penale per giustificare la condanna dell'imputato? E in caso affermativo: a quali condizioni?

Il Sari

Il Sari, Sistema automatico di riconoscimento immagini, è un sistema elettronico in dotazione alla Polizia di Stato, basato sul funzionamento di due algoritmi di elaborazione delle immagini, in grado di analizzare immagini e video per permettere il riconoscimento automatico dei volti in diversi scenari. Esso opera mediante l'impiego, contestuale o separato, di due algoritmi (Parsec, elaborato da una società italiana, e Neurotechnology, sviluppato negli Usa), i quali ricercano, sull'immagine di un volto in visione frontale, dei punti caratteristici: si tratta di punti caratterizzanti, prevalentemente nella zona degli occhi, della piramide nasale e del mento, che costituiscono proiezioni cutanee di punti di repere ossei, come tali tendenzialmente immodificabili nel tempo (si tratta di punti c.d. anatomici precisi o “fiduciari”).

Il sistema giunge a verificare contemporaneamente fino a 850 elementi caratteristici, ossia i “punti fiduciari” e le reciproche distanze e i rapporti dimensionali tra di loro.

Il Sari, che è divenuto pienamente operativo a partire dal settembre 2018, risulta in grado di gestire due scenari operativi: Real-Time e Enterprise.

Il primo, lo scenario Real-Time, con funzione di supporto a operazioni di controllo del territorio in occasione di eventi e manifestazioni, è utile per il riconoscimento in tempo reale di volti, data un'area geografica ristretta, presenti in flussi video provenienti da telecamere ivi installate. Esso consente di monitorare aree popolate, dove vi è adunanza di folle e vi è pericolo di attentati o di disturbo all'ordine pubblico (es. stadi, aeroporti, manifestazioni, ecc.). Il sistema confronta i volti presenti nei flussi video con quelli di una banca dati ristretta e predefinita, denominata watch-list, la cui grandezza è dell'ordine delle centinaia di migliaia di soggetti: la watch-list contiene una lista di candidati variabile a seconda delle motivazioni dell'evento (ad esempio in caso di partita allo stadio, nella lista vi saranno tutti i “daspati”); la banca dati del sistema Real time può essere arricchita non soltanto con immagini tratte da precedenti fotosegnalamenti, ma anche con foto tratte da Facebook o altri social network; deve trattarsi però di foto in visione frontale, con un grado sufficiente di dettaglio. Il Sari analizza quindi in tempo reale più volti presenti contemporaneamente nei fotogrammi dei video in ingresso e, in caso di match positivo, genera degli alert, in grado di richiamare l'attenzione degli operatori. La generazione degli alert è realizzata applicando un algoritmo di riconoscimento facciale ai flussi video ottenuti dalle telecamere installate in molteplici punti di osservazione a supporto delle operazioni di controllo del territorio, in occasione di eventi o manifestazioni.

Il secondo scenario, denominato Enterprise, ha lo scopo di ricercare l'identità di un volto presente in un'immagine e ha una finalità più prettamente “investigativa”. Il sistema esegue tale ricerca in automatico, per mezzo di uno o più algoritmi di riconoscimento facciale, all'interno della banca dati del casellario centrale di identità, ossia l'AFIS, che a oggi contiene circa sedici milioni di immagini, tratte da altrettante procedure di fotosegnalamento: di esse, circa nove milioni sono relative a soggetti singoli, mentre sette milioni sono relative a soggetti fotosegnalati più volte. Esso rappresenta di fatto una evoluzione del sistema S.S.A. (Sottosistema Anagrafico, anch'esso in dotazione ai Gabinetti di Polizia scientifica della Polizia di Stato) il quale pure consente di ricercare tutte le persone sottoposte a rilievi foto-dattiloscopici, ma solo con criterio di ricerca anagrafico (non anche mediante il confronto fotografico). Il Sari trova attualmente la sua base di ricerca nell'AFIS ma, potenzialmente, potrebbe consentire la ricerca all'interno di altre banche dati (quale, in prospettiva futura, la banca dati europea EURODAC – European Dactyloscopie – ossia il database europeo delle impronte digitali). Il risultato della ricerca è una lista di volti simili a quello ricercato ordinata in base a un “punteggio” che ne indica il grado di similarità. L'operatore ha inoltre la possibilità di limitare la ricerca a una singola banca dati o ad una porzione di essa, filtrandola sulla base di informazioni anagrafiche o descrittive (quali ad es. il sesso, l'etnia, l'altezza, la presenza di segni caratteristici quali tatuaggi o cicatrici, ecc.) associate alle immagini. Nel caso in cui nell'immagine da analizzare siano presenti più volti, l'applicativo fornisce all'operatore la possibilità di selezionare il (singolo) volto da ricercare.

Il sistema automatico è configurato per mostrare all'utente cinquanta (o più) volti simili trovati. Sarà poi l'utente a cercare se tra questi vi è un possibile candidato. Ovviamente l'immagine proposta come prima nella lista è quella che presenta una somiglianza maggiore. Il sistema indica la percentuale di compatibilità: tanto più la percentuale si avvicina al 100%, quanto più è verosimile che il candidato proposto dal Sari e l'indagato siano la stessa persona. Nel caso la soglia di percentuale raggiunga il 100%, viene formulato un giudizio di identità tra il candidato e la persona la cui immagine è stata sottoposta a confronto.

È evidente l'utilità che può avere un tale sistema per permettere il riconoscimento automatico di volti di persone sconosciute: ad esempio, attraverso il confronto delle immagini riprese dal sistema di videosorveglianza della filiale di una banca o di un ufficio postale dove sia stata commessa una rapina, Sari Enterprise potrebbe consentire di individuare l'autore ignoto del reato, se solo lo stesso fosse stato già in precedenza fotosegnalato.

L'utilizzabilità processuale dello scenario Enterprise

Il 7 settembre 2018, dopo pochi giorni dal raggiungimento della piena operatività del sistema, è stata comunicata la notizia dell'identificazione (e arresto) di due ladri d'appartamento a Brescia, resa possibile grazie all'utilizzo del Sari. La notizia ha avuto ampio risalto sui media e tale innovativo sistema è stato da subito salutato (giustamente, aggiungiamo noi) come formidabile strumento di indagine.

Dobbiamo però chiederci ora: in ottica dibattimentale, il sistema risulta affidabile per giustificare la prova dell'identificazione dell'autore del reato al di là di ogni ragionevole dubbio? È cioè sufficiente l'identificazione dell'indagato condotta dal Sari – in ipotesi attraverso un riconoscimento automatico con una compatibilità del 100% – per giustificarne il rinvio a giudizio e, quindi, la condanna?

La risposta, a nostro sommesso avviso, deve essere negativa.

Perché no?

Ogniqualvolta venga introdotta nel processo una nuova prova scientifica, il problema fondamentale che deve affrontare il giudice – ma, a diverso titolo, anche il P.M. e le altre parti private – riguarda, in una parola, l'affidabilità della teoria, tecnica o metodo scientifico applicati. È in altri termini il problema di cosa può essere definito “scientifico”, nel senso che una prova scientifica è veramente tale solo se affidabile.

Negli Stati Uniti una tale problematica è stata ampiamente affrontata non solo a livello legislativo ma anche giurisprudenziale. In particolare sono stati individuati alcuni criteri idonei a valutare l'ammissibilità delle prove scientifiche (e dunque a dare ingresso processuale anche alla c.d. scienza nuova) e, in sostanza, a verificare la validità e attendibilità di dette prove.

Tali criteri sono stati anche recepiti dalla giurisprudenza italiana, sia pure solo in alcuni casi limitati (emblematica, tra le altre, Cass. pen., Sez. IV, 17 settembre 2010, n. 43786, Cozzini).

Esemplificando, i principali criteri possono essere individuati nei seguenti:

  • consenso generale da parte della comunità scientifica (general acceptance);
  • verificabilità, controllabilità o falsificabilità della teoria o tecnica posta a fondamento della prova;
  • sottoposizione della teoria o tecnica al controllo, alla revisione critica da parte degli altri membri della comunità scientifica (peer review) nonché pubblicazione dei risultati delle relative ricerche su riviste specializzate (publication);
  • altro (duplice) criterio richiede che il giudice, nel vagliare l'ammissibilità della prova scientifica, tenga conto della frequenza (o percentuale) di errore, conosciuta o potenziale, nonché della presenza di standard costanti di verifica, ossia dell'eventuale riscontro di una molteplicità di casi.

Naturalmente il giudice nel singolo caso può anche elaborare ulteriori criteri (indici di attendibilità della teoria) idonei per valutare la validità della particolare prova scientifica che di volta in volta viene introdotta nel processo.

Peraltro, se vogliamo esaminare la giurisprudenza di legittimità formatasi sull'argomento, ci accorgiamo che il criterio del consenso della comunità scientifica viene adottato quale criterio prevalente se non esclusivo per il vaglio di affidabilità della prova scientifica. La Suprema Corte, soprattutto allorché chiamata a pronunciarsi in tema di nuove metodologie scientifiche poste a fondamento della domanda di revisione del processo, tende infatti a limitare lo scrutinio sull'affidabilità della prova scientifica alla verifica dell'avvenuto riconoscimento della stessa da parte della comunità scientifica di riferimento (ex alios: Cass. pen., 8 marzo 2011, n. 12751, Cutaia; Cass. pen., 4 luglio 2013, n. 34531, Mazzagatti; Cass. pen., 14 novembre 2017, n. 16751, Cirocco).

Se andiamo ora a esaminare il caso del Sari, ci accorgiamo che non sono stati resi pubblici i parametri di ricerca con i quali opera il sistema, non sono noti i test svolti in merito all'effettiva capacità di riconoscimento dei volti analizzati, non sono conosciuti i tassi di falsi positivi e di falsi negativi, e non è noto come sia stata effettuata la validazione del sistema (dimensione del campione di test, procedura impiegata per misurare l'accuratezza di predizione dei volti); in tale contesto, sia per l'assoluta novità del sistema sia soprattutto per la non conoscibilità degli elementi ora indicati, si capisce come non si sia neppure formato un consenso della comunità scientifica sulla validità del metodo utilizzato.

Dunque, benché i primi risultati derivanti dall'impiego del sistema Sari siano stati estremamente incoraggianti, l'incertezza sulla validità del metodo impiegato per la formulazione di un giudizio di identità non pare consentire l'impiego del sistema a scopo forense.

Non a caso il 19 settembre u.s. è stata proposta un'interrogazione parlamentare (Atto Camera, Interrogazione a risposta scritta 4-01149 presentato dall'on.le D'INCÀ Federico, seduta n. 47), nella quale vengono avanzati dubbi sulla affidabilità del sistema, oltre a quelli – forse ancora più pregnanti nell'ottica del proponente – relativi al suo possibile impiego per finalità non rispettose di libertà fondamentali e in particolare della riservatezza (a tale proposito si deve dare comunque atto che, solo due mesi prima, il Garante per la protezione dei dati personali, con provvedimento n. 440 del 26 luglio 2018, aveva espressamente escluso che il trattamento di dati personali mediante il sistema Sari “present[asse] criticità sotto il profilo della protezione dati”).

Il risultato del sistema automatico richiede dunque una seconda fase di confronto manuale da parte dell'operatore esperto applicando una metodologia di comparazione fisionomica (tramite un processo manuale realizzato da un operatore esperto), conforme agli standard e procedure elaborati dalla comunità scientifica di riferimento, atta a stabilire in che misura due volti rappresentati in immagini appartengano alla stessa personaSari.

In proposito si potrebbe obiettare come il risultato di una metodologia fondata sul riconoscimento computerizzato di punti caratteristici del volto e dei loro rapporti metrici effettuata valutando decine di punti e misurando le distanze relative con la precisione che la moderna tecnologia ci sa offrire, debba alla fine essere “convalidato” da un ulteriore riconoscimento effettuato con modalità in parte anche empiriche e soggettive. Tuttavia il riconoscimento condotto dall'esperto deve superare il vaglio dell'affidabilità, deve in altri termini essere condotto nel rispetto delle linee guida elaborate e riconosciute dalla comunità scientifica (si può menzionare al riguardo il Best Practice Manual for Facial Image Comparison, elaborato dall'ENFSI nel gennaio 2018, con lo specifico obiettivo «to provide a framework for procedures, quality principles, training processes and approaches to forensic facial image comparison (FIC)»).

Una volta dunque che il sistema avrà fornito un possibile match, ossia le verosimili generalità della persona ripresa dalla telecamera, si dovrà poi verificare, attraverso un accertamento tecnico antropometrico, ma anche – ad esempio ove siano state repertate impronte papillari o tracce biologiche riconducibili all'autore del reato – attraverso ulteriori tecniche di identificazione (in particolare, dattiloscopiche o genetiche), l'effettiva identità della persona di interesse investigativo, quale in ipotesi suggerita dal Sari. Ma è anche possibile che lo spunto investigativo offerto da questo innovativo strumento trovi riscontro attraverso l'impiego di tecniche di indagine “tradizionali” o comunque non strettamente identificative: è possibile ad esempio che l'esame delle celle d'appoggio agganciate dal telefono utilizzato dalla persona sospettata ne attesti la presenza nella zona teatro del delitto, oppure che la stessa sia stata riconosciuta da altri testi come presente in quel luogo, o nelle immediate vicinanze di esso, in momenti contigui a quello della commissione del reato (in tale ultimo caso, sia detto per inciso, potrebbe peraltro osservarsi come il teste, per riconoscere il sospettato, utilizzi i “meccanismi cerebrali” preposti al riconoscimento dei volti - cd metodo olistico: una metodologia per la quale, paradossalmente, potrebbero essere sollevate obiezioni fin maggiori rispetto a quelle mosse al Sari).

In conclusione

Il caso esaminato ci suggerisce che in linea teorica è possibile ipotizzare una distinzione tra tecniche investigative in grado di produrre risultati probatori suscettibili di utilizzazione processuale diretta, ossia elementi di conoscenza dotati di capacità dimostrativa in relazione al thema probandum, e tecniche di indagine utili “solo” a offrire spunti investigativi per gli organi inquirenti, ossia per indirizzare le indagini e agevolarne lo svolgimento, ad esempio favorendo l'individuazione del possibile autore del reato, richiedendo comunque il ricorso ad altri strumenti o tecniche dotati di validità scientifica, idonei a offrire conferma di attendibilità dell'ipotesi investigativa.

Nel secondo casosi può forse tollerare il ricorso a tecniche, ancorché di incerta affidabilità, comunque in grado di dare risultati orientativi, per sviluppare strategie, accrescere la comprensione del caso ed eventualmente individuare il plausibile autore del delitto: una volta “aggiustata la mira” grazie all'ausilio di tali tecniche, sarà sempre possibile acquisire poi elementi di prova più solidi e di maggior tenuta probatoria attraverso il ricorso, sussistendone i presupposti, ai mezzi di ricerca della prova tradizionali (quali perquisizioni, sequestri, intercettazioni telefoniche e ambientali, ecc.) che potranno essere orientati nella giusta direzione. Si può citare ad esempio il ricorso all'“identikit genetico” (o DNA phenotyping), consistente nell'impiego di una tecnica innovativa (next generation sequencing) per l'estrapolazione del profilo genetico da una traccia biologica attribuita all'autore del reato, al fine di predire talune caratteristiche fenotipiche del soggetto, quali la razza, il colore degli occhi, il colore dei capelli, l'altezza e, in prospettiva, anche la conformazione ossea del viso: si tratta di un metodo ancora in fase sperimentale che ha un margine di errore più o meno noto, e che dunque non può essere risolutivo né potrebbe essere impiegato come prova in dibattimento (né del resto avrebbe utilità in quella sede), ma può essere validamente utilizzato (come avvenuto nel caso dell'omicidio di Yara Gambirasio), per restringere il campo della ricerca.

Risulta evidente dunque che, se nella fase delle indagini può anche apparire tollerabile il ricorso a una tecnica che abbia un relativo margine di errore, resta comunque imprescindibile il vaglio di validità e scientificità degli strumenti utilizzati.

Tornando al sistema Sari Enterprise, dobbiamo osservare che lo stesso si basa sulla rilevazione di elementi oggettivi, quali i punti di repere e la misurazione dei rapporti metrici, nonché sull'applicazione di un metodo matematico – quindi su base scientifica – ed è in grado di produrre risultati che si sono rivelati molto validi: si deve quindi riconoscere che lo stesso rappresenta un efficace strumento di indagine, in grado di offrire spunti investigativi non reperibili diversamente.

Guida all'approfondimento

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