Le esenzioni da revocatoria nel fallimento

Lorenzo Gambi
18 Gennaio 2019

Il legislatore, con la prima riforma fallimentare di cui al d.l. n. 35/2005, ha elencato al terzo comma dell'art. 67 l. fall. una serie di atti, operazioni e negozi giuridici che restano immuni dall'esercizio dell'azione revocatoria da parte del curatore fallimentare.

Il legislatore, con la prima riforma fallimentare di cui al d.l. n. 35/2005, ha elencato al terzo comma dell'art. 67 l. fall. una serie di atti, operazioni e negozi giuridici che restano immuni dall'esercizio dell'azione revocatoria da parte del curatore fallimentare.

Dal momento che il catalogo delle “esenzioni” in oggetto è stato inserito all'interno della norma disciplinante la revocatoria fallimentare (art. 67 l. fall.) è sorta, sin da subito, la questione se lo stesso fosse applicabile anche agli altri atti pregiudizievoli ai creditori.

Ci si riferisce, in particolare, agli atti, operazioni e negozi ex artt. 64 l. fall. (atti a titolo gratuito), 65 l. fall. (pagamenti di debiti non scaduti), 66 l. fall. (atti soggetti a revocatoria ordinaria).

Ha contribuito ad alimentare tale incertezza la formula – insieme, lapidaria e generica – con la quale prende avvio il terzo comma dell'art. 67 l. fall: “non sono soggetti ad azione revocatoria: […]”.

In questo contesto, sono andate formandosi, in dottrina, diverse soluzioni interpretative, mentre, dal lato giurisprudenziale, poco numerosi sono stati i pronunciamenti sul tema, atteso anche il ridimensionamento della portata delle azioni revocatorie post riforma.

Secondo un primo orientamento, il perimetro delle esenzioni interesserebbe il solo ambito della revocatoria fallimentare, considerato il profilo di “eccezionalità” dell'art. 67 l. fall. rispetto alle categorie di cui agli artt. 64, 65 e 66 l. fall. (G. Tarzia, L'ambito di applicazione delle esenzioni nel nuovo art. 67 l. fall., in Fall., 2008, 640).

In questo senso, con riferimento agli atti a titolo gratuito ed ai pagamenti di debiti non scaduti, in relazione al biennio ante fallimento, la sanzione prevista è l'inefficacia, applicabile in via automatica una volta che sia stata rilevata dal giudice, con sentenza di natura dichiarativa.

E poiché il terzo comma dell'art. 67 l. fall. fa espresso riferimento alla sola azione revocatoria, la quale presuppone un accertamento del giudice di carattere costitutivo, le esenzioni in oggetto sarebbero inapplicabili rispetto ai casi di inefficacia ex lege.

Del resto, tale ultima sanzione è comminata proprio in funzione dei profili di “liberalità”, tanto del compimento di atti a titolo gratuito, quanto dell'adempimento di obbligazioni non esigibili.

Il ritenere, poi, applicabili le esenzioni di cui al terzo comma dell'art. 67 alla revocatoria ordinaria, così come richiamata dall'art. 66 l. fall. (“Il curatore può domandare che siano dichiarati inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile”), varrebbe ad estendere al campo del diritto civile una norma destinata ad operare con riferimento al solo ambito concorsuale (D. Galletti, Le nuove esenzioni dalla revocatoria fallimentare, in Giur. comm., 2007, II, 167).

Dovrebbero, così, esser tenute “distinte, nell'evidente diversità, le due azioni, mostrando le autentiche difficoltà dell'estensione del regime (eccezionale) delle esenzioni previste per l'ipotesi fallimentare anche all'ipotesi della revocatoria ordinaria: che resterebbe vincolata alle esenzioni sol perché esercitata nel contesto del fallimento, mentre non ne soffrirebbe qualora quello stesso debitore non fosse stato dichiarato fallito” (F. Di Marzio, Regime delle esenzioni e azione revocatoria ordinaria, in questo portale, 8 maggio 2014).

D'altra parte, ove le esenzioni in oggetto fossero applicabili all'azione ordinaria, il creditore che avesse avviato il giudizio ex art. 2901 c.c. prima dell'apertura del concorso verrebbe “ingiustamente” avvantaggiato, non subendo la propria azione alcun depotenziamento come quello che subirebbe l'azione introdotta dal curatore ex art. 66 l. fall. (N. Abriani-L. Quagliotti, An e quantum della “novissima” revocatoria delle rimesse bancarie, in Fall., 2008, 377 ss.).

Alla tesi “restrittiva” si contrappone un primo orientamento dottrinario, di segno opposto.

Il quale, muovendo dalla lettera del terzo comma dell'art. 67 l. fall. (“azione revocatoria”), ritiene che il catalogo delle esenzioni ivi previsto sia applicabile a tutte le azioni astrattamente esercitabili dalla curatela fallimentare.

E ciò dunque sia con riferimento all'azione revocatoria ordinaria ex art. 66 l. fall., sia con riferimento alla domanda d'inefficacia avente ad oggetto tanto gli atti a titolo gratuito ex art. 64 l. fall., quanto i pagamenti anticipati ex art. 65 l. fall., dovendosi, la nozione di revocabilità, interpretare in senso “estensivo”.

Vi rientrerebbe, allora, qualsiasi atto pregiudizievole per i creditori, dunque anche i negozi cui sia correlata l'inefficacia ex lege (S. Bonfatti, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in A. Didone (a cura di), Le riforme della legge fallimentare, I, Torino, 2009, 667).

A render più “confuso” il quadro contribuisce, poi, il tenore del quarto comma dell'art. 67 l. fall.

Tale norma, trattando di un'ulteriore serie di esenzioni rispetto a quelle previste dal terzo comma, dispone che “Le disposizioni di questo articolo non si applicano all'istituto di emissione, alle operazioni di credito su pegno e di credito fondiario […]”.

Se l'ambito di applicazione delle esenzioni previste dal quarto comma dell'art. 67 l. fall. fosse circoscritto alla sola azione revocatoria fallimentare (“le disposizioni di questo articolo […]”), a contrariis,le esenzioni del terzo comma dello stesso art. 67 l. fall. sarebbero applicabili a qualsiasi azione revocatoria promossa dal curatore.

Secondo altro orientamento, che diremmo “intermedio”, sarebbe di fatto impossibile giungere ad una soluzione unitaria, a motivo, da un canto, della scarsa tenuta del dato letterale dell'art. 67, comma 3, l. fall., dall'altro, della poca rilevanza della sedes materiae, la quale, appunto, col dato letterale, all'evidenza contrasta (“non sono soggetti ad azione revocatoria: […]”). Si dovrebbe, allora, piuttosto muovere dalla ratio delle esenzioni ex art. 67, comma 3, l. fall., le quali – com'è stato rilevato – si possono raggruppare in tre categorie, suddivise in base a criteri “funzionali” (G.B. Nardecchia, Le nuove esenzioni del terzo comma dell'art. 67 l. fall., in Fall., 2009, 15).

Una prima categoria è posta a protezione di atti che riguardano l'ordinario svolgimento dell'attività d'impresa (pagamenti e rimesse bancarie: lett. a e b).

Una seconda categoria è posta a protezione di atti finalizzati alla gestione negoziale della crisi d'impresa (piano attestato, concordato preventivo, accordo di ristrutturazione: lett. d, e, g).

Un'ultima categoria è posta a protezione di atti “socialmente” rilevanti (immobili abitativi e/o adibiti a sede d'impresa, pagamenti di emolumenti per prestazioni di lavoro:lett. c e f).

Le esenzioni di cui all'art. 67, comma 3, l. fall. dovrebbero, così, essere valutate rispetto alla finalità di “incentivare” i singoli atti, operazioni e negozi giuridici previsti dalla stessa norma.

Gli atti relativi all'ordinaria attività d'impresa (pagamenti di beni e servizi, rimesse bancarie) dovrebbero essere esentati da revocatoria solo ove siano posti in essere con modalità “normali” (termini d'uso, per i pagamenti; assenza di finalità solutorie, per le rimesse).

Al contrario, se tali atti fossero compiuti con modalità “anormali”, non dovrebbe esser loro accordato alcun beneficio in termini d'esenzione da revocatoria.

Diversamente, sia per gli atti finalizzati alla gestione negoziata della crisi d'impresa, sia per i negozi “socialmente” rilevanti, le esenzioni si applicherebbero in ogni caso, dunque ove anche posti in essere con modalità straordinarie, considerata la loro particolare, tutelata meritevolezza.

Rientrerebbero, così, nell'ambito di operatività delle esenzioni in oggetto, tanto i pagamenti anticipati ex art. 65 l. fall., quanto i negozi anormali ex art. 67, comma 1, l. fall.

In realtà, a nostro avviso, le esenzioni di cui all'art. 67, comma 3, l. fall. devono essere valutate ed interpretate in una prospettiva unitaria e sistematica, che riduca al massimo, per quanto possibile, ogni profilo di discrezionalità applicativa della norma.

Quello previsto dal terzo comma dell'art. 67 l.fall. è, a ben vedere, un catalogo esentativo recante fattispecie ben “tipizzate”, che si pongono in relazione di specialità rispetto agli atti, operazioni e negozi giuridici previsti dall'art. 67, commi 1 e 2, l. fall.

Tali esenzioni si caratterizzano per la presunta mancata conoscenza dello stato d'insolvenza del debitore in capo ai terzi, consentendo loro – in una prospettiva di “certezza” del diritto degli affari – di poter negoziare con l'imprenditore in crisi senza incorrere, al verificarsi delle condizioni previste dalla norma, in caso di successivo fallimento, al rischio d'inefficacia degli atti compiuti con il debitore (in senso conforme, Trib. Torino, 23 aprile 2009; Trib. Milano, 7 giugno 2010).

Quanto sopra, vuoi perché i negozi siano stati conclusi secondo condizioni di preveduta “normalità” (pagamenti avvenuti secondo termini d'uso; rimesse affluite su conti bancari senza finalità solutorie), vuoi perché le transazioni siano state eseguite nell'ambito di uno strumento legale adottato dal debitore per la gestione negoziata della crisi d'impresa (tutela dell'affidamento), vuoi perché si sia trattato di operazioni meritevoli di tutela “in sé” (acquisto di immobili abitativi ovvero destinati a sede d'impresa, conclusi a giusto prezzo; pagamenti di corrispettivi a fronte di prestazioni di lavoro).

In altre parole, le esenzioni ex art. 67, comma 3, l. fall. sono idonee, sussistendone i requisiti, a tener indenne l'avente causa del debitore (poi) sottoposto a fallimento, tanto con riferimento all'azione revocatoria ex art.. 67, comma 1, l. fall. (si pensi, in particolare, agli atti “straordinari” posti in essere in funzione del piano di risanamento attestato o dell'accordo di ristrutturazione dei debiti), quanto con riferimento all'azione revocatoria ex art. 67, comma 2, l. fall. (in senso conforme, G. Lo Cascio (diretto da), Codice commentato del fallimento, Milano, 2015, 712).

Ne consegue, in conclusione, che ove il curatore eserciti l'azione revocatoria ex art. 67, commi 1 e 2, l. fall. – ma non anche le azioni ex artt. 64, 65 e 66 l. fall., per le condivisibili ragioni elaborate dalla teoria “restrittiva” –, il terzo convenuto, per restare immune dagli effetti dell'azione revocatoria fallimentare, avrà l'onere di provare la configurabilità di una delle cause previste dal catalogo esentativo di cui all'art. 67, comma 3, l. fall.