No alla pensione di reversibilità se l'ex coniuge ha ricevuto l'una tantum
21 Gennaio 2019
Massima
Ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilità in favore del coniuge nei cui confronti è stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, è necessaria la titolarità attuale e concretamente fruibile dell'assegno periodico divorzile al momento della morte dell'ex coniuge e non già una titolarità astratta del diritto all'assegno, già definitivamente soddisfatto con la corresponsione in un'unica soluzione. In quest'ultimo caso, infatti, difetta il requisito funzionale del trattamento di reversibilità, che è dato dal medesimo presupposto solidaristico dell'assegno periodico di divorzio, finalizzato alla continuazione del sostegno economico in favore dell'ex coniuge, mentre nel caso in cui sia stato corrisposto l'assegno una tantum non esiste una situazione di contribuzione economica che viene a mancare. Il caso
La prima sezione della Suprema Corte, con ordinanza Cass. 10 maggio 2017, n. 11453, ha rimesso al primo presidente, per l'assegnazione alle Sezioni Unite, la questione relativa al diritto, per il coniuge divorziato, in caso di decesso dell'altro ex coniuge, a percepire la pensione di reversibilità (o una quota di essa) nell'ipotesi in cui l'assegno divorzile sia stato versato in un'unica soluzione ex art. 5, comma 8, legge n. 898/1970. Nel caso posto all'esame del giudice di legittimità la corte territoriale aveva negato l'attribuzione affermando che la “titolarità” dell'assegno doveva essere intesa quale “attualità”, nel senso che la pensione di reversibilità poteva essere erogata unicamente in favore dell'ex coniuge che al momento del decesso dell'altro percepiva periodicamente un assegno. Nell'ordinanza di rimessione si evidenzia che sul punto si contrappongono due diversi orientamenti: secondo il primo, poiché il diritto alla pensione di reversibilità ha natura previdenziale e autonoma, ai fini dell'attribuzione del beneficio è sufficiente che sia stata accertata la sussistenza delle condizioni che consentirebbero, in astratto, il riconoscimento dell'assegno divorzile, e non rileva, invece, l'effettivo riconoscimento o la sua quantificazione in un'unica soluzione; secondo l'altro, invece, con la corresponsione dell'una tantum viene meno il requisito richiesto dalla legge della titolarità dell'assegno in capo al coniuge richiedente, con conseguente venir meno del diritto alla pensione. La questione
Il coniuge divorziato, che ha percepito l'assegno divorzile mediante versamento di una somma una tantum, in caso di decesso dell'ex coniuge ha diritto o meno alla pensione di reversibilità (o di una quota parte di essa)? Le soluzioni giuridiche
La questione relativa alla natura dell'assegno di reversibilità è stata affrontata e dibattuta più volte e con la pronuncia in commento le Sezioni Unite ripercorrono con estrema precisione l'evoluzione interpretativa che ha interessato l'art. 9 l. div. analizzando, in particolare, la precedente decisione delle medesime Sezioni Unite Cass. n. 159/1998 richiamata dalla ricorrente a sostegno del proprio ricorso. Si evidenzia, in primo luogo, che con la sentenza n. 159/1998 erano state affrontate tre diverse questioni: se il diritto alla pensione di reversibilità sia analogo al diritto all'assegno divorzile e sia esercitabile nei confronti dell'ex coniuge, quali siano i criteri da adottare per determinare la quota da attribuire all'ex coniuge e quali quelli per determinare la durata del matrimonio (da valutare ai fini della concreta determinazione dell'assegno previdenziale). Nell'ambito di tale complessiva valutazione, per la prima volta è stato affermato il principio che il diritto a ricevere la pensione di reversibilità è autonomo, di natura previdenziale, esercitabile nei confronti dell'ente previdenziale, limitato rispetto a quello del coniuge superstite. Si tratta quindi di un precedente indubbiamente importante, ma non specifico rispetto alla fattispecie posta al vaglio delle Sezioni Unite, in quanto non vi si rinviene alcun riferimento alla modalità di percezione dell'assegno divorzile. Successivamente la Corte costituzionale, con la sentenza Corte cost. n. 419/1999 aveva precisato che la pensione di reversibilità svolge la propria funzione solidaristica in una duplice direzione: da un lato consentire al coniuge superstite di continuare ad avere quel sostentamento che prima gli era assicurato dal coniuge deceduto, dall'altro dare continuità al sostegno all'ex coniuge, che aveva diritto a ricevere i mezzi necessari per il proprio sostentamento mediante l'assegno divorzile, conservando il diritto a un trattamento pensionistico geneticamente collegato al periodo in cui era presente il vincolo coniugale. Secondo il giudice costituzionale, ciò che rileva, pertanto, non è la qualità di ex coniuge, ma il fatto che uno degli elementi costitutivi del diritto alla pensione sia la titolarità dell'assegno, la cui attribuzione si fonda sulla accertata necessità di assicurare all'ex coniuge adeguati mezzi di sostentamento. Di tale duplice finalità si deve quindi necessariamente tenere conto per ripartire la pensione di reversibilità tra più aventi diritto e, in considerazione del rilievo della funzione solidaristica della pensione medesima, tale operazione non può essere frutto di automatismi, deve essere effettuata valutando diversi elementi, primo tra tutti l'ammontare dell'assegno divorzile di cui godeva l'ex coniuge superstite. In ragione di tali premesse, che costituiscono ormai principi consolidati, per le Sezioni Unite si può correttamente affermare che il diritto alla pensione di reversibilità non si fonda sul contributo dato dall'ex coniuge alla formazione del patrimonio comune, né ha lo scopo di soddisfare una legittima aspettativa creatasi in costanza di matrimonio, ma trae origine dal diritto alla solidarietà post coniugale, e ha la funzione di sopperire al venir meno del sostegno economico apportato dal de cuius (del resto, in tal senso si erano già espresse da Cass. civ., sez. VI, 5 luglio 2017, n. 16602, Cass. civ., sez. I, 30 giugno 2014 n. 14793, Cass. civ., sez. I, 21 settembre 2012, n. 16093, Cass. civ., sez. I, 28 novembre 2011, n. 25174). Se però questo è il fine, la fattispecie tutelata dalla norma si realizza solo se viene concretamente a mancare un contributo economico attuale, e l'attualità si presume per il coniuge superstite, mentre, per l'ex coniuge divorziato, poiché non opera tale presunzione, è necessario che l'esistenza di un contributo attuale sia attestata dalla titolarità di un assegno divorzile, da intendersi quale “attuale fruizione dell'assegno”. Sul punto la Corte precisa altresì che anche lessicalmente, nel nostro ordinamento, il richiamo alla titolarità di un diritto può significare solo che esiste la possibilità di esercitarlo immediatamente e che, una volta che il diritto sia stato esercitato e sia stato soddisfatto, esso non è più attuabile e, pertanto, non è possibile esserne titolari. Fatta tale premessa, le Sezioni Unite affermano che è corretta l'interpretazione dell'art. 5, comma 8, l. div. offerta dall'unanime giurisprudenza della sezione lavoro della Suprema Corte, che esclude la possibilità di proporre domande di contenuto economico da parte del beneficiario di un assegno erogato in unica soluzione. Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente nel giudizio che ha portato all'ordinanza di rimessione, infatti, la giurisprudenza giuslavoristica non nega la natura previdenziale del diritto alla pensione, ma evidenzia che – in caso di percezione una tantum – con la morte del coniuge non viene meno la contribuzione economica (Cass. civ., sez. lav., 5 maggio 2016, n. 9054, che affronta, in particolare, la questione delle attribuzione sostitutive dell'assegno; Cass. civ., sez. lav., 8 marzo 2012, n. 3635) e, quindi, manca il presupposto solidaristico, ovvero il fine della continuità del sostegno economico. Se è infatti vero che l'assegno di reversibilità non costituisce continuazione dell'assegno divorzile (carattere che si rinviene, invece, nell'assegno a carico dell'eredità, il quale presenta, però, una continuità con quello divorzile anche sotto il profilo soggettivo e che, inoltre, ha un presupposto diverso, la sussistenza di uno stato di bisogno), è altrettanto vero che le ragioni che lo giustificano sono le stesse che hanno determinato l'attribuzione dell'assegno. In conclusione, con la decisione in commento si afferma che l'assegno di reversibilità è sottoposto a una “condizione legale”, costituita dalla titolarità dell'assegno divorzile, titolarità che deve essere attuale e definitiva, per cui, lo si ricorda, non è sufficiente che il diritto all'assegno sia stato attribuito in via temporanea e urgente con l'ordinanza presidenziale, o comunque non sia stata recepita nella sentenza che ha definito il giudizio (Cass. civ., sez. I, 20 febbraio 2018, n. 4107; Cass. civ., sez. VI, 23 ottobre 2017, n. 25053). Le Sezioni Unite infine ritengono infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla ricorrente - a parere della quale prevedere conseguenze diverse in base alla corresponsione in unica soluzione, o mediante un assegno periodico del contributo all'ex coniuge - determinerebbe una irragionevole esclusione del diritto a fruire di una prestazione previdenziale, garantita dall'art. 38 Cost.. A parere del giudice delle leggi, una corretta interpretazione della norma, come illustrata nella medesima motivazione (funzione previdenziale dell'assegno di reversibilità, ma determinata dalla finalità solidaristica dell'assegno) porta ad affermare che con l'art. 9, comma 3, legge n. 898/1970, si tutela il perdurare del vincolo di solidarietà post coniugale, che spiega i suoi effetti anche in futuro, e non il diritto al mantenimento e all'assistenza sociale da parte dello Stato. Osservazioni
Con la sentenza in esame, si riprende il tema della solidarietà post coniugale, ribadendo che l'assegno ha il fine di garantire al coniuge che lo percepisce i mezzi necessari per il proprio sostentamento, ma non si soddisfa una aspettativa sorta in costanza di matrimonio, e che l'assegno di reversibilità non ha funzione perequativa in ragione del contributo apportato dall'ex coniuge alla formazione del patrimonio dell'altro. La decisione, pertanto, si inserisce nel solco della più recente giurisprudenza che, pur dando il dovuto rilievo al progetto di vita comune dei coniugi, tuttavia, ritiene che non si possa sostenere che con la celebrazione del matrimonio possano sorgere aspettative tali da determinare, in futuro, una ingiusta locupletazione a vantaggio del soggetto economicamente più debole. Da un lato, quindi, si conferma che l'assegno divorzile svolge molteplici funzioni in applicazione dei principi di eguaglianza e di solidarietà di cui agli artt. 2 e 29 Cost., e che qualora sia dimostrata l'inadeguatezza dei mezzi di uno dei due coniugi (da accertarsi con rigore utilizzando i parametri indicati dall'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, e verificando, in particolare, se la sperequazione sia o meno la conseguenza del contributo fornito dal richiedente alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ognuno) deve essere quantificato in modo da garantire all'avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo sopra richiamato (come affermato recentemente da Cass. civ., S.U., 11 luglio 2018, n. 18287) e, con riferimento alla pensione di reversibilità, si precisa che tale beneficio ha il fine di consentire l'ultrattività del principio di solidarietà, anche per il periodo successivo alla morte dell'onerato. |