Doppio binario sanzionatorio e ne bis in idem. Luci e ombre della recente giurisprudenza

Pasquale Fimiani
21 Gennaio 2019

Nel corso del 2018 la Cassazione, civile e penale, si è ripetutamente confrontata, specie nelle materie del market abuse e degli illeciti tributari, con le decisioni in tema dell'applicazione del divieto di bis in idem nel c.d. doppio binario sanzionatorio prese dalla Corte Edu (sentenza della Grande Camera del 15 novembre 2016 A e B c. Norvegia) e dalla Grande Sezione della Corte di Giustizia (sentenze del 20 marzo 2018 nelle cause Menci, Garlsson Real Estate e altri e Di Puma/Zecca)...
Abstract

Nel corso del 2018 la Cassazione, civile e penale, si è ripetutamente confrontata, specie nelle materie del market abuse e degli illeciti tributari, con le decisioni in tema dell'applicazione del divieto di bis in idem nel c.d. doppio binario sanzionatorio prese dalla Corte Edu (sentenza della Grande Camera del 15 novembre 2016 A e B c. Norvegia) e dalla Grande Sezione della Corte di Giustizia (sentenze del 20 marzo 2018 nelle cause Menci, Garlsson Real Estate e altri e Di Puma/Zecca) aprendo definitivamente lo spazio per un diffuso controllo di proporzionalità del complessivo regime sanzionatorio da parte del giudice ordinario.

La sentenza della Corte Edu A e B c. Norvegia

L'art. 4, p. 1, del protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali (secondo cui «nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge ed alla procedura penale di tale Stato») che sancisce a livello convenzionale il divieto di bis in idem ha costituito oggetto di plurimi interventi della Corte Edu e, in particolare, da ultimo, della sentenza della Grande Camera del 15 novembre 2016 A e B c. Norvegia, relativa ad un caso di due contribuenti norvegesi che lamentavano di essere stati perseguiti e puniti due volte - in procedimenti amministrativi e penali - per lo stesso fatto illecito tributario, la quale ha segnato un netto superamento rispetto ai principi enunciati dalla stessa Corte in tema di ne bis in idem convenzionale e doppio binario sanzionatorio amministrativo e penale (si rinvia più diffusamente al Nostro, Doppio binario sanzionatorio per abuso di informazioni privilegiate. Ricadute della sentenza Cedu A e B c. Norvegia, in questo sito, 2 gennaio 2017).

Hanno trovato conferma:

  • l'adozione dei criteri Engel (Corte Edu, 8 giugno 1976, Engel c. Paesi Bassi) per la qualificazione della sanzione formalmente amministrativa come sostanzialmente penale (criteri ritenuti alternativi e non cumulativi: della qualificazione giuridico formale dell'infrazione nel diritto interno; della natura dell'infrazione o dell'illecito; della natura o del grado di severità della sanzione);
  • la nozione di idem fattuale enunciata dalla Corte Edu (pur dovendosi registrare una certa elasticità nell'individuazione dell'idem che, infatti, nella sentenza della Grande Camera Zolotoukhine c. Russia del 10 febbraio 2009 si fonda su fatti identici o sostanzialmente uguali, mentre nella sentenza Grande Stevens c. Italia del 4 marzo 2014 si fonda sull'identità del comportamento ed in quella Lucky c. Svezia del 27 novembre 2014 torna a essere un insieme di circostanze fattuali concrete che riguardano lo stesso imputato e che sono inestricabilmente avvinte nel tempo e nello spazio).

È stata invece abbandonata la regola tassativa, enunciata dalla sentenza Grande Stevens, della interruzione del procedimento ancora pendente quando sia divenuto definitivo l'altro avente ad oggetto l'idem factum e ne viene fissata una nuova, per la quale la violazione del ne bis in idem convenzionale ex articolo 4, protocollo 7, Cedu è esclusa e i distinti procedimenti sanzionatori, penale ed amministrativo, ben possono esaurirsi entrambi, quando tra essi sussiste una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta.

Sotto il profilo sostanziale la sentenza (§ 132) ha ritenuto possibile configurare tale connessione:

  1. quando i due procedimenti, non solo in astratto ma anche in concreto, perseguono scopi complementari e hanno a oggetto differenti aspetti della medesima condotta antisociale. Secondo la sentenza (§ 144) tale condizione sussiste in quanto nel sistema norvegese le sanzioni amministrative tributarie hanno finalità sia di deterrenza, sia di compensare gli sforzi, umani e finanziari, che l'amministrazione fiscale deve affrontare, nell'interesse dell'intera collettività, per scoprire e sanzionare le evasioni fiscali, mentre quelle penali hanno finalità esclusivamente punitiva della condotta antisociale, costituendo un implicito rimprovero per un comportamento doloso e fraudolento;
  2. quando la duplicità dei procedimenti sia una prevedibile conseguenza, sotto il profilo giuridico e pratico, della stessa condotta;
  3. quando i due procedimenti siano condotti in modo da evitare per quanto possibile ogni duplicazione nella raccolta e nella valutazione della prova, in particolare attraverso una adeguata interazione tra le varie autorità competenti in modo da far sì che l'accertamento dei fatti in un procedimento sia utilizzato altresì nell'altro procedimento;
  4. quando, soprattutto, la sanzione imposta nel procedimento che diventa definitivo per primo sia tenuta in considerazione in quello che diviene definitivo per ultimo, in modo da impedire che l'interessato sopporti un onere eccessivo, rischio quest'ultimo che è meno probabile quando vi sia un meccanismo di compensazione finalizzato a garantire che le sanzioni complessivamente imposte siano proporzionate.

La sentenza (§ 146) ha ritenuto sussistere tali ultime due condizioni poiché l'amministrazione tributaria aveva basato la sanzione, tra l'altro, sulle dichiarazioni rese dagli interessati nel procedimento penale e, per quanto riguarda la proporzionalità della pena globale imposta, la sanzione penale teneva conto della sanzione tributaria.

Sotto il profilo temporale tale connessionesi configura (§ 134) quando tra i due procedimenti vi sia anche un collegamento di natura cronologica, requisito che però non comporta che i due procedimenti debbano essere condotti simultaneamente dall'inizio alla fine.

Resta infatti salva la facoltà degli Stati dioptare per lo svolgimento progressivo dei due procedimenti quando ricorrono ragioni di efficienza e di buona amministrazione della giustizia. Tuttavia, per evitare all'interessato di subire un pregiudizio sproporzionato, il collegamento temporale tra i diversi procedimenti deve essere «sufficientemente vicino, in modo da evitare incertezza, ritardo e l'eccessivo protrarsi dei tempi di definizione, tenendo presente che più debole è la connessione temporale, maggiore è l'onere per lo Stato di spiegare e giustificare tale ritardo riconducibile alle modalità di svolgimento dei procedimenti».

Sussistendo la connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta nei termini illustrati, non vi è violazione del ne bis in idem convenzionale ex articolo 4, protocollo 7, Cedu, in quanto la previsione normativa di un doppio binario sanzionatorio, pur se la sanzione amministrativa in base ai criteri Engel abbia natura penale ex articolo 7 Cedu, si traduce in «un sistema integrato che permette di affrontare i diversi aspetti dell'illecito in maniera prevedibile e proporzionata nel quadro di una strategia unitaria».

Le sentenze della Corte di Giustizia nelle cause Menci, Garlsson Real Estate e Di Puma/Zecca

Per quanto riguarda le materie di rilievo eurounitario (market abuse, illeciti tributari relativi a imposte armonizzate quali l'Iva) il principio del ne bis in idem è enunciato dall'articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali della Unione europea (C.D.F.Ue) per il quale «nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell'Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge». È di rilievo rammentare che nelle spiegazioni al testo di detto articolo 50 si precisa «che la regola che vieta il cumulo si riferisce al cumulo di due sanzioni della stessa natura, nelle fattispecie penali» e che la regola del ne bis in idem «corrisponde all'acquis del diritto dell'Unione (articoli dal 54 al 58 della Convenzione Schengen e sentenza della Corte di Giustizia 11 febbraio 2003 causa 187/01; art 7 della Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari della Ce; art. 10 della Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione. Le eccezioni, molto limitate, per le quali dette convenzioni consentono agli Stati membri di derogare alla regola del ne bis in idem sono disciplinate dalla clausola orizzontale dell'articolo 52 paragrafo 1 sulle limitazioni eventuali all'esercizio dei diritti e delle libertà riconosciute dalla presente Carta che devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti limiti e libertà. Per quanto riguarda le situazioni contemplate dall'articolo 4, protocollo 7, Cedu, vale a dire l'applicazione del principio all'interno di uno Stato membro, il diritto garantito ha lo stesso significato e la stessa portata del corrispondente diritto sancito dalla CEDU)".

La verifica dell'applicazione del ne bis in idem sotto il profilo eurounitario va fatta tenendo presenti le sentenze della Corte di Giustizia del 20 marzo 2018 nelle cause Menci (C-524/15), Garlsson Real Estate e altri (C-537/16) e Di Puma e Zecca (C-596/16 e C-597/16).

Basti ricordare, in questa sede, i dispositivi delle tre decisioni.

Con la sentenza Menci la Grande Sezione ha dichiarato:

«1) L'articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale in forza della quale è possibile avviare procedimenti penali a carico di una persona per omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto dovuta entro i termini di legge, qualora a tale persona sia già stata inflitta, per i medesimi fatti, una sanzione amministrativa definitiva di natura penale ai sensi del citato articolo 50, purché siffatta normativa

  • sia volta ad un obiettivo di interesse generale tale da giustificare un simile cumulo di procedimenti e di sanzioni, vale a dire la lotta ai reati in materia di imposta sul valore aggiunto, fermo restando che detti procedimenti e dette sanzioni devono avere scopi complementari,
  • contenga norme che garantiscano una coordinazione che limiti a quanto strettamente necessario l'onere supplementare che risulta, per gli interessati, da un cumulo di procedimenti, e
  • preveda norme che consentano di garantire che la severità del complesso delle sanzioni imposte sia limitata a quanto strettamente necessario rispetto alla gravità del reato di cui si tratti.

2) Spetta al giudice nazionale accertare, tenuto conto del complesso delle circostanze del procedimento principale, che l'onere risultante concretamente per l'interessato dall'applicazione della normativa nazionale in discussione nel procedimento principale e dal cumulo dei procedimenti e delle sanzioni che la medesima autorizza non sia eccessivo rispetto alla gravità del reato commesso».

Con la sentenza Garlsson Real Estate e altri la Grande Sezione ha dichiarato:

«1) L'articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea dev'essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, che consente di celebrare un procedimento riguardante una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale nei confronti di una persona per condotte illecite che integrano una manipolazione del mercato, per le quali è già stata pronunciata una condanna penale definitiva a suo carico, nei limiti in cui tale condanna, tenuto conto del danno causato alla società dal reato commesso, sia idonea a reprimere tale reato in maniera efficace, proporzionata e dissuasiva.

2) Il principio del ne bis in idem garantito dall'articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea conferisce ai soggetti dell'ordinamento un diritto direttamente applicabile nell'ambito di una controversia come quella oggetto del procedimento principale».

Con la sentenza Di Puma e Zecca la Grande Sezione ha dichiarato:

«L'articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2003/6/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, relativa all'abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato), letto alla luce dell'articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, va interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale in forza della quale un procedimento inteso all'irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale non può essere proseguito a seguito di una sentenza penale definitiva di assoluzione che ha statuito che i fatti che possono costituire una violazione della normativa sugli abusi di informazioni privilegiate, sulla base dei quali era stato parimenti avviato tale procedimento, non erano provati».

La sentenza della Corte costituzionale n. 43/2018

La sentenza ha restituito gli atti al tribunale di Monza che aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 649 del codice di procedura penale, «nella parte in cui non prevede l'applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti dell'imputato al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia già stata irrogata in via definitiva, nell'ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione di carattere sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e dei relativi Protocolli» nell'ambito di un procedimento penale per il reato previsto dall'art. 5, comma 1, del d.lgs. 74/2000 nei confronti di soggetto già sanzionato in via amministrativa, ai sensi degli artt. 1, comma 1, e 5, comma 1, del d.lgs. n. 471/1997.

La Corte costituzionale nel valorizzare l'iter argomentativo che esprime il diritto vivente europeo ha preso atto del principio della close connection «legittimante la facoltà di coordinare nel tempo e nell'oggetto il doppio binario sanzionatorio e del fatto che il divieto di bis in idem ha perso in termini di garanzia individuale, a causa dell'attenuazione del suo carattere inderogabile, ma viene compensato impedendo risposte punitive nel complesso sproporzionate»

Tale dictum è stato assunto con riferimento ad un caso di omessa dichiarazione anche ai fini Iva, sicché la Consulta ha preso in considerazione anche la sentenza del 26 febbraio 2013 in causa Fransson della Corte Ue, mentre, per aver preso la propria decisione il 24 gennaio 2018, non ha potuto valutare le tre pronunce della Grande Sezione della Corte Ue in data 20 marzo 2018 che si sono occupate dei limiti di compatibilità con l'articolo 50 della C.D.F.Ue del sistema di doppio binario sanzionatorio sia in tema di omessa dichiarazione dell'Iva, sia di market abuse.

Un anacronismo che risulta tuttavia privo di concreto incidenza sul dictum della Consulta, dal momento che la Grande Sezione è pervenuta ad un risultato legittimante il regime di doppio binario sanzionatorio, purché, in particolare, si garantisca in ogni caso la proporzionalità della sanzione complessiva inflitta in concreto, secondo un autonomo iter argomentativo che valorizza l'eccezione ex articolo 52, comma 1, rispetto all'articolo 50 della C.D.F.Ue.

Assume piuttosto rilievo il fatto che la Corte costituzionale abbia riconosciuto che già a seguito di A B c. Norvegia «non si può continuare a sostenere che il divieto di bis in idem convenzionale ha carattere esclusivamente processuale, giacché criterio eminente per affermare o negare il legame materiale è proprio quello relativo all'entità della sanzione complessivamente irrogata».

Gli illeciti in tema di market abuse

L'intero background giurisprudenziale maturato presso le tre Corti è stato sintetizzato dalla Corte di cassazione in sede sia civile sia penale quando si è giudicato della compatibilità con l'articolo 50 della C.D.F.Ue del regime di doppio binario sanzionatorio in materia di market abuse, sicuramente rientrante nell'ambito di applicazione della Carta come delimitato dal suo articolo 51.

Si impone pertanto un breve elenco delle più rilevanti decisioni adottate nel 2018 in merito dalla Cassazione, riservando all'esito di tale elencazione specifiche osservazioni sul vissuto del principio di proporzionalità in termini sulla diretta applicabilità da parte del giudice interno.

Va premesso che la materia del market abuse è stata recentemente interessata anche dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 107, recante norme di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 596/2014, relativo agli abusi di mercato e che abroga la direttiva 2003/6/Ce e le direttive 2003/124/Ue, 2003/125/Ce e 2004/72/Ce, che tra l'altro ha sostituito l'art. 187-terdecies Tuf nel senso di prevedere il necessario confronto del giudice con il principio di proporzionalità.

Anche con tale novità si è confrontata la sezione tributaria civile (sentenza n. 27564/2018, relativa al caso Garlsson ed altri) che si è occupata del cumulo sanzionatorio a fronte di un idem factum ma che sia al contempo penalmente rilevante ex articolo 185 Tuf e sanzionabile amministrativamente ex articolo 187-ter Tuf con una gravità tale da imporre la riconducibilità nella materia penale ex articolo 7 Cedu. Previa una diffusa illustrazione della giurisprudenza delle tre Corti, la sezione operato una importante esegesi delle novità normative ex decreto legislativo 107 del 2018 sopravvenuto alle tre sentenze della Grande Sezione della Corte Ue.

In proposito la sezione tributaria civile ha osservato che la nuova formulazione dell'articolo «appare confliggente con i principi della Corte Ue, nella parte in cui consente l'applicazione del principio del ne bis in idem anche nel caso di sanzioni inflitte a soggetti diversi (quali ad esempio, la società e il suo legale rappresentante)».

Ad avviso della sezione tributaria «il giudice nazionale dovrà disapplicare la sola parte dell'articolo 187-terdecies novellato confliggente con i principi della Corte Ue (anche in forza del principio del favor rei)», compito ritenuto non necessario nel caso da decidere. Tuttavia, la Cassazione giustifica il suo spunto ermeneutico, denunciando la novità in quanto prodromo di «condotte elusive con la comminatoria di pena nei confronti di persone fisiche che potrebbero essere adoperate come schermo (cosiddette teste di legno) per salvaguardare il patrimonio di società ».

In applicazione dei principi affermati della Grande Sezione nella sentenza Garlsson e altri, in tema di sanzioni amministrative applicabili dopo un patteggiamento ex articolo 444 c.p.p. ormai definitivo, la sezione tributaria civile ha quindi rinviato alla Corte di appello perché valuti «nell'ottica del bilanciamento operato dalla Corte Ue tra il principio del ne bis in idem e l'esigenza di tutela dell'effettiva proporzionalità e dissuasività della sanzione, la congruità della sanzione amministrativa» inflitta all'imputato patteggiante.

Il rigoroso rispetto del principio di proporzionalità che la Grande Sezione del procedimento Di Puma/Zecca ha evocato nel suo paragrafo 43 per escludere «la prosecuzione di un procedimento inteso all'irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale [...] in esito alla definizione del procedimento penale» con il proscioglimento dell'imputato dal reato ex articolo 184 Tuf, non risultando provati i medesimi fatti fondanti la irrogazione della sanzione amministrativa ex articolo 187-bis, è alla base anche delle sentenze n. 31632 e n. 31633 del 2018 della seconda sezione civile della Cassazione (relative, rispettivamente, ai casi Di Puma e Zecca) con le quali si è preso «atto della improseguibilità del giudizio di accertamento dell'illecito amministrativo» nella situazione data di pregressa assoluzione in sede penale.

Anche in sede penale la quinta sezione, con la sentenza n. 49869/2018, riferita al caso di soggetto, imputato ex articolo 184 Tuf, che per l'idem factum aveva subito definitiva condanna alla sanzione amministrativa ex articolo 187-bis TUF, e con la sentenza 45829 del 2018, relativa al caso di imputato ex articolo 185 Tuf invocante il ne bis in idem per essere stato già definitivamente sanzionato dalla Consob ex articolo 187-ter e quater Tuf, si è fatta diretta applicazione dei principi affermati dalla Grande Sezione Ue le tre sentenze citate, ritenendo nella seconda sentenza che fosse possibile da parte della stessa Cassazione operare la verifica di complessiva proporzionalità dell'assetto sanzionatorio, mentre in quella n. 49869 si è esclusa tale possibilità per essere necessari accertamenti di fatto da demandare al giudice del merito in punto di entità della lesione all'integrità del mercato e di valore complessivo degli strumenti finanziari negoziati (tale sentenza ha affermato che l'eventuale disapplicazione delle norme relative ai trattamento sanzionatorio, con esclusione della multa, in virtù del meccanismo "compensativo" di cui all'art. 187-terdecies Tuf, si traduce nella possibilità di derogare in mitius al minimo edittale, deroga comunque circoscritta, per quanto riguarda la reclusione, nel limite minimo insuperabile dettato dall'art. 23 c.p., stante il carattere "di sistema" rivestito dal limite minimo di quindici giorni della durata della reclusione).

Va osservato che in ordine alla diretta applicabilità da parte della Cassazione dell'interpretazione data dalla Grande Sezione nelle sentenze del 20 marzo 2018 al combinato disposto degli articoli 50 e 52, comma uno, della C.D.F.Ue tutte le sentenze elencate convengono. Ma la seconda sezione civile ha ritenuto necessario precisare che, grazie alla peculiarità della vicenda sottoposta al proprio esame, concernente previe assoluzioni in sede penale, non si ponesse proprio il problema del se fosse operativo il regime di doppia pregiudizialità quale imposto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 269 del 2017, assertiva della necessità di sollevare incidente di costituzionalità quando sorga un dubbio di contrasto di norme interne sia con la costituzione, sia con la C.D.F.Ue

Tale riconoscimento di diretta applicabilità dei dicta della Grande Sezione comporta che qualunque giudice interno è chiamato alla verifica di proporzionalità, che riterrà sussistente solo quando «la severità dell'insieme delle sanzioni inflitte sia limitata a quanto strettamente necessario rispetto alla gravità del reato in questione» (sentenza Garlsson par. 60; va ricordato che anche la Consulta nella sentenza n. 43/2018 affermato che spetta al giudice ordinario sindacare sulla ricorrenza della close connection e, quindi, del suo indice eminente costituito dalla proporzionalità).

Tutto ciò premesso è utile sottolineare che la verifica di proporzionalità si renderà necessaria solo quando sull'idem factum confluiscano oltre alle sanzioni da reato, quelle amministrative da ritenere penali secondo i criteri Engel, criteri da applicare confrontandosi con la giurisprudenza della Corte Edu in materia.

Tale confronto è stato invece totalmente omesso dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 240 del 2018 con la quale si è dichiarata infondata la questione di costituzionalità per violazione del ne bis in idem convenzionale ravvisato dal Tar Lazio per ciò che due procedimenti amministrativi (di sospensione sanzionatorie ex articolo 196 Tuf e di sospensione cautelare ex articolo 55, comma 2, Tuf, abrogato e sostituito dal d.lgs. 129 del 2017) avevano una medesima base storica costituita da un procedimento penale ex articolo 166 Tuf ed avevano comportato rispettivamente una sospensione dell'attività di consulente finanziario per quattro mesi e per un anno.

Ad avviso della Corte costituzionale risultava dirimente, per negare la natura penale della sospensione cautelare ex articolo 55, comma 2, Tuf, l'orientamento concorde delle Supreme magistrature civili e amministrative per il quale si trattava di una misura che non ha «una funzione servente o anticipatoria rispetto ad eventuali provvedimenti sanzionatori o al possibile esito di un procedimento penale» e che conferisce «un potere avente natura di vigilanza attiva» e funzionale «ad evitare il rischio che l'allarme sociale derivante dal coinvolgimento del consulente finanziario in gravi vicende penali possa compromettere la fiducia dei risparmiatori e investitori nel buon funzionamento del mercato e nella correttezza degli operatori del mercato».

Come osservato dal giudice Pinto di Albuquerque nella sua opinione dissenziente (paragrafo 32) alla sentenza A e B c. Norvegia, la Corte Edu ha in più sentenze accettato un ventaglio di criteri più ampio dei criteri Engel al fine di stabilire se un procedimento fosse di carattere penale ai sensi dell'articolo 4 del protocollo n. 7.

Forse solo per questa puntualizzazione non sembra condivisibile la pretermissione totale da parte della Consulta del confronto con la giurisprudenza della Corte Edu sul tema della natura convenzionalmente penale di misure che non vengono qualificate come tali dal diritto interno ma che, come nella specie, in quanto privative per un anno della possibilità di esercitare la propria attività professionale di consulente finanziario, determinano conseguenze gravi per il soggetto che ne è onerato, quantomeno sul versante economico.

Gli illeciti in materia tributaria

L'esame delle decisioni assunte dalla Cassazione in tema di ne bis in idem tra sanzioni amministrative convenzionalmente penali e reati tributari nel contesto giurisprudenziale convenzionale ed eurounitario più recente viene, per ragioni di sintesi, limitato ai dicta più rilevanti del 2018.

Nella sentenza n. 38594/2018 a difesa della legittimità del doppio binario sanzionatorio è stato riproposto l'approdo ermeneutico di Sezioni unite n. 37424/2013 assertivo di una progressione illecita della ipotesi criminosa ex articolo 10-ter d.lgs. 74/2000 rispetto la sanzione amministrativa ex articolo 13 d.lgs. 471/1997. Progressione giustificata dalle differenze strutturali tra i due illeciti i cui elementi costitutivi divergerebbero un alcune componenti essenziali.

La successiva sentenza 52142 del 2018 sostiene che la suddetta tesi «conservi tutta la sua attualità», riconoscendone peraltro la tensione con la sentenza 43 del 2018 della Corte costituzionale di cui viene operata un'ampia sintesi, facendone diretta applicazione in un caso concernente la condanna del legale rappresentante di una società quale autore di un reato di cui articolo 10-ter d.lgs. 74/2000, preceduta da sanzione amministrativa definitivamente irrogata e pagata dalla società contribuente.

Rimasto inspiegato il superamento della suddetta tensione, la sentenza n. 52142/2018 omette ogni confronto con il dictum della Corte Ue sentenza Orsi/Baldetti del 5 aprile 2017 (secondo cui «l'articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale […] che consente di avviare procedimenti penali per omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto dopo l'irrogazione di una sanzione tributaria definitiva per i medesimi fatti, qualora tale sanzione sia stata inflitta ad una società dotata di personalità giuridica, mentre detti procedimenti penali sono stati avviati nei confronti di una persona fisica») che, al contrario, aveva trovato applicazione nella sentenza n. 43003/2018 (stessa terza sezione, stesso presidente).

In quest'ultima sentenza (conformi le successive Sez. fer. n. 42897/2018 e Sez. III n. 43637/2018, peraltro in linea con un principio ormai pacifico), si registrava infatti il difetto di identità soggettiva, precondizione di operatività del ne bis in idem eurounitario,ì ma anche convenzionale (Corte Edu, Pirttimäkicontro Finlandia del 20 maggio 2014), tra il legale rappresentante della S.R.L., autore materiale del reato di cui all'articolo 10-ter e la S.R.L. gravata dalla sanzione amministrativa convenzionalmente penale, escludendo conseguentemente la indebita duplicazione di sanzioni.

In esito a tale omissione la sentenza n. 52142 ha potuto concludere per un necessario approfondimento da parte del giudice del merito diretto, in particolare, a verificare se nel caso concreto era stata rispettata la proporzionalità sanzionatoria che, per la sentenza n. 43/2018 della Consulta, è «criterio eminente per affermare o negare il legame materiale» e indice della close connection.

Va altresì aggiunto che, nonostante si trattasse di un caso relativo all'Iva, tributo armonizzato, è stato omesso il riferimento alla giurisprudenza della Grande Sezione della Corte Ue (causa Menci) per la quale la proporzionalità sanzionatoria non si configura quale indice di stretta connessione materiale, ma piuttosto quale precondizione per l'operatività dell'articolo 52, comma 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Ue.

A causa dell'omesso confronto con la sentenza Menci si è anche evitato di registrare come l'affermata attualità del principio di progressione criminosa fosse in tensione con la nozione di idem factum avallata dalla stessa sentenza ed attestata sulla identità storico naturalistica dei fatti materiali, cui è estranea (paragrafo 36) sia la qualificazione giuridica, in diritto nazionale, dei fatti, sia l'interesse giuridico tutelato e sia, ancora, un elemento costitutivo aggiuntivo quale l'elemento psicologico (paragrafo 38).

Un'ultima notazione va fatta in ordine al diverso rigore motivazionale adottato dalla sentenza n. 47717/2018 rispetto alla sentenza n. 6993/2018 in punto di verifica della close connection, diffusamente argomentato in quest'ultima sentenza, mentre nella prima ci si limita ad affermare che «nel caso di specie, non emerge il fatto che tra il procedimento amministrativo e quello penale non sussiste una connessione sostanziale temporale sufficientemente stretta», asserzione a dir poco sbrigativa specie ove si consideri che all'interno della stessa Corte Edu (si veda l'opinione dissenziente del giudice Pinto de Albuquerque della sentenza GIEM S.R.L. ed altri c. Italia del 28 giugno 2018 in tema di lottizzazione abusiva) gli indici della close connection vengono con diffusa argomentazione tacciati di vaghezza.

In conclusione

Con le recenti decisioni delle Corti sovranazionali si è passati dalla natura esclusivamente processuale dell'istituto del ne bis in idem, quale enunciato dalla sentenza Grande Stevens, ad una natura mista, processuale e sostanziale, nella quale la verifica di proporzionalità del trattamento sanzionatorio complessivo, da assoggettare a sindacato diffuso del giudice interno, ha un rilievo eminente (Corte cost. n. 43/2018).

Tale verifica costituisce il tratto comune tra la giurisprudenza della Corte Edu e quella della Grande Sezione UE, mentre va evidenziata, in quest'ultima, la dequotazione della connessione temporale, neppure menzionata dalle tre sentenze di marzo 2018, laddove, di contro, la sentenza A B c. Norvegia la valorizza specificamente al punto da affermare che, ove il secondo procedimento sulla idem factum segua l'esaurimento del primo procedimento, quanto maggiore è lo iato temporale tra i due, tanto più difficile è sottrarsi alle regole del ne bis in idem, stante il difetto della connessione temporale.

La verifica di proporzionalità del trattamento sanzionatorio complessivo è quindi resa più complicata, per quanto concerne il ne bis in idem convenzionale, dal necessario preventivo accertamento anche della connessione temporale tra i procedimenti sanzionatori (passaggio logicamente prioritario rispetto alla verifica di proporzionalità).

Un tema non ancora esaminato dalla giurisprudenza è poi quello della configurabilità del ne bis in idem in presenza di doppio binario sanzionatorio quando la sanzione relativa al procedimento divenuto per primo definitivo non sia stata eseguita o sia estinta (va ricordato come sia pacifico che è preclusa la deducibilità della violazione del divieto di "bis in idem" in conseguenza della irrogazione, per un fatto corrispondente sotto il profilo storico-naturalistico a quello oggetto di sanzione penale, di una sanzione formalmente amministrativa, ma della quale venga riconosciuta la natura "sostanzialmente penale", quando manchi qualsiasi prova della definitività della irrogazione della sanzione amministrativa medesima: ex plurimis, Sez. III, n. 48591/2016).

I precedenti della sentenza A e B c. Norvegia e della sentenza Menci non offrono spunti in proposito, dal momento che, nei casi decisi, la sanzione tributaria prioritariamente inflitta era stata versata (sia pure, nel caso Menci, tramite rateizzazione).

E' viceversa utile il dictum della sentenza Garlsson, che è relativo anche alla posizione di una persona fisica il cui patteggiamento ha preceduto la sanzione amministrativa a suo carico, ma la relativa sanzione detentiva si è estinta per indulto.

La Corte UE, ai fini della verifica di proporzionalità, ha ritenuto irrilevante la mancata esecuzione della pena detentiva.

Anche il giudice remittente la questione affrontata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 43/2018 ha ritenuto sufficiente per l'insorgere di un problema di ne bis in idem la definitività del provvedimento irrogante la sanzione tributaria, indipendentemente dal concreto pagamento della stessa e la Consulta, a fronte di tale contesto fattuale, lo ha investito della verifica di proporzionalità.

Ne consegue che dagli orientamenti giurisprudenziali che hanno affrontato il problema ermeneutico è possibile evincere il principio per cui il secondo giudice chiamato alla suddetta verifica di proporzionalità dovrà comunque valutarne la sussistenza tenuto conto della sanzione prioritariamente inflitta anche se non eseguita o se estinta.

Altro dato generale da tenere presente è la precisazione della Grande Sezione secondo cui il giudice terrà conto anche della sanzione inflitta con la condanna penale “successivamente estinta per indulto “(sentenza Garlsson paragrafo 62), principio dal quale può, a maggior ragione, dedursi la necessità di includere nella verifica di proporzionalità anche le sanzioni penali sottoposte a sospensione condizionale che è, solo potenzialmente, prodromo dell'estinzione del reato.

Va infine ricordato che la questione del doppio binario sanzionatorio e del ne bis in idem si è posta anche nei rapporti con le sanzioni disciplinari carcerarie. Vanno al riguardo ricordate le due decisioni della seconda sezione penale della Cassazione (n. 9184/2017 e n. 43435/2017) che hanno escluso la configurabilità del divieto di bis in idem nel caso di soggetto detenuto, già sanzionato disciplinarmente, che per lo stesso fatto sia successivamente chiamato a rispondere del reato di danneggiamento aggravato di cui all'art. 635 c.p. (si rinvia più diffusamente al Nostro, Ne bis in idem tra sanzioni disciplinari penitenziarie e danneggiamento, in questo sito, 10 Novembre 2017).

Una questione di applicabilità del principio del ne bis in idem, invece, neppure si pone quando si escluda la natura sostanzialmente penale della sanzione amministrativa, come anche recentemente affermato dalla Cassazione civile in materia di sanzioni disciplinari forensi (Sezioni unite n. 29878/2018) e dalla Cassazione penale in tema di rapporto tra demolizione amministrativa e reati urbanistici (Sez. III, n. 51044/2018).

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