Concorrenza vs tutela del patrimonio culturale: il caso della qualificazione dei consorzi

Carlo M. Tanzarella
22 Gennaio 2019

Nelle procedure di affidamento degli appalti nel settore dei beni culturali, non opera integralmente la disciplina pro-concorrenziale prevista in generale per la qualificazione dei consorzi, prevalendo invece l'interesse costituzionale alla tutela e alla conservazione del patrimonio culturale (art. 9, Cost.).

La controversia e la questione giuridica. All'esito di una procedura di gara indetta da un'amministrazione municipale per l'affidamento di lavori di manutenzione di immobili di interesse culturale e, come tali, soggetti a tutela ai sensi del d.lgs. n. 42/2004, è sortita al primo posto della graduatoria l'offerta presentata da un consorzio che, tuttavia, aveva dichiarato di concorrere per due proprie consorziate entrambe prive di qualificazione SOA.

La stazione appaltante ha pertanto deciso di chiedere all'ANAC un parere precontenzioso avente per oggetto la valutazione circa la necessità o meno della qualificazione tecnica specifica in capo ad imprese consorziate esecutrici di lavori relativi ai beni culturali.

I diversi approdi dell'ANAC e del TAR. Con propria delibera 6 dicembre 2017, n. 1239, l'Autorità ha affermato che, nello specifico settore dei beni culturali, i consorzi sono tenuti ad indicare quali esecutori delle opere i soli consorziati che posseggano in proprio le qualificazioni richieste dalla legge di gara.

A diverse conclusioni è invece giunto il Tar Piemonte che, investito del ricorso promosso dal consorzio nei confronti della propria esclusione (medio tempore disposta dall'Amministrazione in recepimento del parere espresso dall'ANAC), con sentenza 24 aprile 2018 n. 483 lo ha accolto ritenendo che le regole in tema di qualificazione dei consorzi non sono derogate dalla disciplina di affidamento degli appalti nel settore dei beni culturali, e che pertanto il relativo modulo associativo, disciplinato dall'art. 45, secondo comma, lett. c) del d.lgs. n. 50/2016, dà vita ad un soggetto giuridico autonomo che opera in base ad un rapporto organico con le imprese associate, per il quale deve ritenersi ancora operativo il criterio del c.d. “cumulo alla rinfusa” già previsto dall'art. 36, settimo comma, del d.lgs. n. 163/2006.

La decisione di riforma del Consiglio di Stato. L'appello dell'impresa seconda classificata è stato accolto dal Consiglio di Stato che, con la sentenza in commento, dopo aver respinto la tesi dell'appellante secondo cui il termine per la notificazione del ricorso avrebbe dovuto essere attestato alla data della seduta pubblica nel corso della quale era stato verbalmente comunicato ai rappresentanti delle imprese l'intendimento di escludere il consorzio, ha innanzitutto delimitato l'oggetto della controversia, avente ad oggetto non la generale operatività del c.d. “cumulo alla rinfusa” per i consorzi stabili di cui all'art. 45, secondo comma, lett. c) del d.lgs. n. 50/2016 (che, quindi, ferma restando la possibilità di qualificarsi con i requisiti posseduti in proprio e direttamente, possono ricorrere anche alla sommatoria dei requisiti posseduti dalle singole imprese partecipanti, secondo la regola dell'art. 47, secondo comma, del Codice), ma la sua ammissibilità nella materia dei contratti nel settore dei beni culturali.

Al riguardo, il Consiglio di Stato ha sottolineato la rilevanza costituzionale dell'interesse alla tutela e alla conservazione del patrimonio culturale (art. 9 Cost.) e, muovendo da tali premesse, ha ritenuto che l'esegesi, sia letterale che funzionale, dell'art. 146, primo comma, del d.lgs. n. 50/2016 esclude che nei contratti in materia di beni culturali i consorzi stabili possano qualificarsi con il cumulo alla rinfusa, essendo richiesto dalla norma il possesso di requisiti di qualificazione specifici ed adeguati ad assicurare la tutela del bene oggetto di intervento.

In tale prospettiva è dunque irrilevante che un soggetto, quale il consorzio, si assuma direttamente la responsabilità della buona esecuzione dell'intervento nei confronti dell'Amministrazione, pretendendo il legislatore una particolare garanzia di qualità in funzione della tutela dei beni culturali, il che giustifica, sul piano della comparazione dei valori, anche una limitazione della regola della concorrenzialità, con il suo portato del favor partecipationis.

A conferma della propria interpretazione, il Consiglio di Stato ferma l'attenzione, da un lato, sul rinvio operato dall'art. 146, primo comma del Codice all'art. 29 del d.lgs. n. 42/2004 che enuclea il carattere professionale dei restauratori e degli altri operatori che svolgono attività complementari al restauro, e dall'altro, sul terzo comma della medesima disposizione che esclude l'applicabilità dell'istituto dell'avvalimento, con ciò attribuendo particolare rilievo, ai fini della qualificazione, al profilo soggettivo dell'esecutore dei lavori.