La sentenza ora in commento è difficilmente sintetizzabile, come emerge dallo stesso “principio di diritto”, che si mostra in realtà più un catalogo dei rimedi cui potrà attingere il giudice di merito, che una sicura e cogente guida per esso.
Tuttavia, se si vuole ridurre ai minimi termini il percorso compiuto tra la prima pronuncia a Sezioni Unite e questa ulteriore, si può notare che si è passati dalla indicazione di un controllo del contratto di assicurazione claims made ai sensi del comma 2 dell'art. 1322 c.c. (Cass. civ., n. 9140/2016 , poi confermata dalla successiva sentenza Sez. Un., n. 24645/2016, in cui la Corte aveva ritenuto “doveroso assicurare continuità” al richiamato precedente di qualche mese prima (n. 9140/2016), non innovando dunque i termini della questione giuridica), a quella di un controllo ai sensi del comma 1 del medesimo art. 1322 c.c. (Cass. civ., n. 22437/2018). Le Sezioni Unite, nella prima decisione, avevano ritenuto che il contratto claims made fosse “atipico” e dunque soggetto al controllo di meritevolezza, ed ora, invece, ci indicano che il contratto resta pur sempre tipico (Cfr. par. 14.4. motiv.: «l'ambito delineato risulta allora consentaneo ad una deroga convenzionale, abilitata dall'art. 1932 c.c., alla disciplina del modello di assicurazione della responsabilità civile (o sotto-tipo) di cui al primo comma dell'art. 1917 c.c., senza che ciò comporti una deviazione strutturale della fattispecie negoziale tale da estraniarla dal tipo, nel contesto del più ampio genus dell'assicurazione contro i danni (art. 1904 c.c.), della cui causa indennitaria la clausola claims made è pienamente partecipe»), ed il controllo, alla stregua del primo comma dell'art. 1322 cit., deve appuntarsi sul rispetto, o meno, dei “limiti imposti dalla legge” ivi richiamati.
La sentenza a Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un., n. 22437/2018) censura dunque il giudice di appello per aver deciso «senza farsi carico della concretezza dell'operazione negoziale, da correlare funzionalmente all'assetto di interessi che le polizze stesse avrebbero dovuto realizzare. Una tale prospettiva in iure avrebbe, invece, dovuto guidare il giudice di appello nel considerare, in modo sinergicamente complessivo, l'atteggiarsi della vicenda dedotta in giudizio (ossia, della scansione diacronica tra verificazione del sinistro e richiesta risarcitoria da apprezzarsi nel precipuo contesto storico-ambientale), la sua incidenza sugli obblighi informativi che essa imponeva, la corrispettività tra premio e rischio assicurato - che doveva giustificare ragionevolmente la sensibile modificazione dell'importo della franchigia, nel collegamento stretto tra la stipulazione della prima e seconda polizza, tale da non ridondare in fenomeno di abuso del diritto -, la presenza, infine, di clausola di recesso in costanza di rapporto».
Ampia è la gamma dei rimedi cui può aspirare l'assicurato, secondo le Sezioni Unite, in caso di claims made cheportino a “buchi di copertura”: «responsabilità risarcitoria precontrattuale, nullità, anche parziale, del contratto per difetto di causa in concreto, con conformazione secondo le congruenti indicazioni di legge o, comunque, secondo il principio dell'adeguatezza del contratto assicurativo allo scopo pratico perseguito dai contraenti».
Tra le affermazioni, che si leggono nell'assai articolata decisione delle Sezioni Unite del settembre 2018 vi è poi quella secondo cui: «Rimane, però, vivo e vitale il test su come la libera determinazione del contenuto contrattuale, tramite la scelta del modello claims made, rispetti, anzitutto, i "limiti imposti dalla legge", che il comma 1 dell'art. 1322 c.c. postula per ogni intervento conformativo sul contratto inerente al tipo, in ragione del suo farsi concreto regolamento dell'assetto di interessi perseguiti dai paciscenti, secondo quella che suole definirsi "causa in concreto" del negozio».
Mi pare che, come in precedenti scritti avevo sostenuto (Cfr. DELFINI, Le sezioni unite nuovamente sollecitate a pronunciarsi sulle clausole claims made, in Giurisprudenza Italiana, III, 2018, 559 – 568), il rispetto dei limiti ex art. 1322, comma 1, c.c. richieda una tendenziale simmetria qualitativa tra rischio oggetto dell'assicurazione RC professionale e responsabilità professionale medesima: simmetria “qualitativa”, perché da riferirsi a tutti i contrassegni giuridici della responsabilità civile professionale, tra cui l'esposizione nel tempo rispetto ai possibili legittimati al risarcimento (Simmetria solo “qualitativa” - e non anche “quantitativa” - perché assicurato ed assicuratore ben possono convenire limiti di massimale e franchigie (o scoperto); né può esservi simmetria dal punto di vista del coefficiente psicologico, perché la responsabilità civile opera a fortiori anche a fronte di condotte dolose, mentre ciò è escluso per l'assicurazione, per evidenti ragioni di ordine pubblico, dall'art. 1917 medesimo (e, più in generale, dall'art. 1900 c.c.). E, avevo aggiunto nel commentare la ordinanza interlocutoria a quo, il rispetto della causa del contratto di assicurazione R.C. può con maggiore sicurezza intravedersi, anche nella variante claims made, se vi è la previsione di una deeming clause o se la si ricomprende tra i naturalia negotii del contratto (La necessaria previsione di una deeming clause, per poter orientare il giudice nazionale, nel caso concreto, nel senso della meritevolezza del modello claims made adottato pare inoltre giustificata nella sostanza, perché la clausola porterebbe ad un ragionevole equilibrio giuridico del contratto, con equo contemperamento dei contrapposti interessi. Da un lato, l'assicuratore otterrebbe la ricercata maggiore convenienza di appostazione delle riserve tecniche e di gestione economica del rischio e dovrebbe tuttavia offrire all'assicurato quella copertura risultante dalla deeming clause che ridurrebbe i paventati “buchi di copertura” ed eviterebbe che l'assicurato più diligente debba ricercare (spesso invano) e pagare coperture “postume” rispetto ad una claims made che è stata restrittivamente configurata. Dall'altro, il cliente sarebbe sollecitato a un'attenta revisione della propria condotta professionale nell'anno in corso, per ottemperare all'onere di comunicazione previsto nella deeming clause; e ne verrebbe altresì ridotto il contenzioso in punto di conoscibilità delle circostanze rilevanti ex art. 1892–1893 c.c. Né si potrebbe lamentare che la deeming clause abbisogni di un proprio correspettivo economico – o giustificare per tale via una richiesta di incremento di premio – perché il flusso di comunicazioni attuative delle deeming clauses consentirà agli assicuratori, stante l'attuale segmentazione annuale delle polizze, di beneficiare di un accurato sistema di informazioni sulla rischiosità dei clienti e di eventualmente aggiustare così (in via incrementativa) la richieste di premio per gli anni successivi, a fronte di denunce “deemed”. Ciò che avrebbe inoltre un effetto di selezione rispetto ad una eventuale ipertrofia di comunicazioni cautelative da parte dei clienti: tema questo ampiamente trattato nella giurisprudenza inglese e impostato soprattutto sulla valutazione del carattere di necessaria specificazione (oltreché tempestività) della comunicazione di circostanze rilevanti, perché possano dirsi attuative delle deeming clauses). Puntualmente, nella sentenza in commento, riscontro che viene condivisibilmente valorizzata, per orientare il giudice di merito, la presenza di deeming clauses (insieme ad eventuali pattuizioni di ultrattività della coperture, quali le c.d. sunset clauses). Le S.U. evidenziano infatti la esistenza di varianti al modello claims made, «per un verso, volte a rendere effettiva la copertura assicurativa rispetto a claimsintervenute anche in un certo arco temporale successivo alla scadenza del contratto (cd. sunset clauseo clausola di ultrattività o di "postuma"); per altro verso, dirette a consentire all'assicurato, in aggiunta alla richiesta del danneggiato, di comunicare all'assicuratore, ai fini di operatività della polizza, anche le circostanze di fatto conosciute in corso di contratto e dalle quali potrebbe, in futuro, originarsi la richiesta risarcitoria (c.d. deeming clause)» (p.11).
Come noto, si intende per deeming clause la clausola con cui si conviene che siano denunciabili in corso di polizza anche le “circostanze” che rendano verosimile una futura richiesta di risarcimento: per effetto della clausola, saranno dunque oggetto di copertura anche le richieste di risarcimento, (pur) pervenute dopo la scadenza della polizza, (ma) che siano conseguenti o relative a “circostanze” denunciate in corso di vigenza della polizza stessa.
Le deeming clauses rientrano nei naturalia negotii per il mondo anglosassone, ed una valid claims made policy viene dalle Corti inglesi “construed” – e dunque interpretata ed integrata – nel senso che in caso di successione pluriennale di polizze con lo stesso assicuratore si considerano, appunto, oggetto di copertura anche le richieste di risarcimento pervenute dopo la scadenza della polizza, ma che siano conseguenti o relative a “circostanze” denunciate in corso di vigenza della polizza stessa: in questo senso è esplicito il leading case inglese “Kidsons v. Lloyds Underwriters” (Kidsons (A Firm) v. Lloyds Underwriters, [2007] EWHC 1951 (Comm), cit. Par. 21 (mia enfasi) «It is integral to the structure of claims made policies being successively renewed from year to year, that provision is made for claims arising after the expiry of any one policy period out of circumstances of which the assured has first become aware during that period. Unless provision is made to treat such claims as having been made during that policy period, the concept of claims made policies applying in successive policy years would create an unexpected and inappropriate gap in coverage»), dove la Queen's Bench Division della High Court of Justice ha osservato – con formulazione in evidente sintonia rispetto al riferimento ai “buchi di copertura” fatto dalle Sezioni Unite italiane nel 2016 - che in difetto di ciò vi sarebbe un «unexpected and inappropriate gap in coverage» (Indicazioni nel medesimo senso giungono anche da un altro paese di common law, l'Australia, ove la disciplina delle assicurazioni è contenuta nell'Insurance Contracts Act 1984 (No. 80, 1984: ICA), la cui Section 54(1) ICA prevede: «Subject to this section, where the effect of a contract of insurance would, but for this section, be that the insurer may refuse to pay a claim, either in whole or in part, by reason of some act of the insured or of some other person, being an act that occurred after the contract was entered into but not being an act in respect of which subsection (2) applies, the insurer may not refuse to pay the claim by reason only of that act but the insurer's liability in respect of the claim is reduced by the amount that fairly represents the extent to which the insurer's interests were prejudiced as a result of that act». Come ho avuto modo di osservare in un precedente scritto (DELFINI, Claims-made insurance policies in Italy: the domestic story and suggestions from the UK, Canada and Australia, in Italian Law Journal 2018, n. 1, pp. 117 – 131) “Section 40 ICA provides that whatever are the terms of the contract, if the insured becomes aware of circumstances which might lead to a claim, he can notify these circumstances to the insurer and any claim later arising from those circumstances will be in any case covered by the policy. In other words, S. 40(3) is a statutory provision that extends the scope of the contract, despite the insurer's intention. It broadens coverage in claims-made policies, including claims made after the policy period (on condition that it arises from a circumstance notified during the policy period)”).
Oggi la Cassazione a Sezioni Unite sembra dunque indicare nella deeming clause uno di quei materiali di sostituzione che il giudice potrebbe impiegare, ex art. 1419 c.c., a fronte di una nullità parziale per violazione di regole di struttura (quali quelle emergenti dalle normative di settore, che prevedono obblighi di assicurazione RC professionale), evitando che l'operazione ortopedica per rimediare ad un contratto che in concreto non superi il test di “adeguatezza” (Cfr. punto 19.7 motiv., ove si richiama: «l'obbligo di adeguatezza del contratto assicurativo, (…) già presente nell'ordinamento in forza del principio di buona fede e correttezza (artt. 1375 c.c. e 2 Cost.), prima ancora che fosse esplicitato dalla legislazione speciale (il citato art. 183, comma 2, d.lgs. n. 209 del 2005)…») – pure adombrato dalle medesime Sezioni Unite – sia attuata facendo applicazione, in funzione integrativa e sostitutiva della claims made, dell'art. 1917 comma 1 che il predisponente intendeva derogare (Cfr. punto 19.6 motiv.: «A tanto il giudice potrà porre rimedio, per garantire l'equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l'abuso del diritto (Cass., S.U., n. 9140 del 2016, citata), in forza della norma di cui al secondo comma dell'art. 1419 c.c., così da integrare lo statuto negoziale (non già tramite il modello della c.d. loss occurencedi cui all'art. 1917, primo comma, c.c., bensì) attingendo quanto necessario per ripristinare in modo coerente l'equilibrio dell'assetto vulnerato dalle indicazioni reperibili dalla stessa regolamentazione legislativa. Regolamentazione che, per la sua imperatività, viene a somministrare delle "regole di struttura", siccome orientate a rendere il contratto idoneo allo scopo, tenuto conto anzitutto delle esigenze dell'assicurato, oltre che delle ricordate istanze sociali. Con la precisazione che la stessa legge di settore presenta, come si è visto, multiformi calibrature, modellando l'assicurazione "claims made" secondo varianti peculiari (ad es., la deeming clause e/o la sunset clause) anche tra loro interagenti, così da mostrare una significativa elasticità di adattamento rispetto alla concretezza degli interessi da soddisfare»).
Come si è detto, le Sezioni Unite hanno demandato al giudice di rinvio di effettuare «il test su come la libera determinazione del contenuto contrattuale, tramite la scelta del modello claims made, rispetti, anzitutto, i "limiti imposti dalla legge", che il comma 1 dell'art. 1322 c.c. postula per ogni intervento conformativo sul contratto inerente al tipo…».
La dottrina tradizionalmente non ha assegnato una concreta portata precettiva al comma 1 dell'art. 1322 c.c., limitandosi ad inquadrarlo tra le norme di sistema, sulla base delle quali sviluppare, per lo più negli anni '70 del secolo scorso, un dibattito sul rapporto tra autonomia privata, ruolo dello Stato e interesse pubblico.
L'art. 1322 comma 1 è oggi chiamato dalla Sezioni Unite ad un ruolo applicativo concreto. Esso, col menzionare la “determinazione del contenuto” del contratto ad opera delle parti, pare idoneo a consentire di edificare una, seppur embrionale, disciplina della determinazione unilaterale dell'oggetto contrattuale, colmando quella lacuna - evidenziata dalla più risalente giurisprudenza sulle cassette di sicurezza – cui fa da contrappunto l'espressa disciplina della limitazione convenzionale di responsabilità (art. 1229 c.c.) (Altra norma che fa riferimento alla determinazione del contenuto del contratto è, come noto, l'art. 1349 c.c., ma essa disciplina un fenomeno diverso, da quello qui in esame, sotto due profili:
- la determinazione dell'oggetto è successiva alla conclusione del contratto;
- è affidata ad un terzo e non ad una parte.
Si discute se sia possibile, ed in che limiti, la determinazione unilaterale (e successiva) dell'oggetto del contratto ad opera di una delle parti: è il tema dell'arbitraggio della parte, appunto. Esso ha trovato risalenti aperture (cfr. CARRESI, Il contratto, in Tratt. Cicu Messineo, Milano, 1987, t. 1, 235, che lo consentiva, purché compiuto secondo equo apprezzamento) e, più di recente, la tesi dell'ammissibilità ha potuto trovare spazi argomentativi nella legislazione, seppur di settore, che ha consentito uno jus variandi unilaterale alla banca o la previsione, nei contratti dei consumatori, di una clausola che consenta tale potere di modifica unilaterale purché subordinato ad un giustificato motivo. L'attenzione anche monografica al tema resta alta: cfr. BARENGHI, Determinabilità e determinazione unilaterale del contratto, Napoli, 2005 e FICI, Il contratto “incompleto”, Torino, 2005. La dottrina più recente ne attesta ormai la possibilità – anche ricordando il dato comparatistico e le c.d. fonti persuasive, quali i PECL - approvando il richiamo del canone di buona fede per il controllo a posteriori dell'arbitraggio della parte (E. GABRIELLI, Dell'oggetto del contratto, sub art. 1349, in Comm. Gabrielli, Torino, 2011, 822). E mi pare che alla disciplina della prestazione caratterizzante il tipo evocato dal predisponente - ancorché non sia dichiarata inderogabile - possa guardarsi per concretare quei limiti imposti dalla legge per i contratti tipici, cui fa riferimento all'art. 1322, comma 1, c.c. (E ciò a maggior ragione nel nostro caso, ove la rilevanza meta- individuale della disciplina del tipo – segnatamente il modello loss occurence delineato dall'art. 1917, comma 1, c.c. – è stata enfatizzata dalle Sezioni Unite (nella sentenza del 2016), che ricordano la funzionalizzazione, all'interesse dei clienti del professionista, dell'obbligo di assicurazione previsto dalla recente legislazione speciale).
Tale controllo, ora imposto da Cass. civ., Sez. Un. n. 22437/2018, in luogo di quello di meritevolezza ex art. 1322, comma 2 (di cui a Cass. civ., Sez. Un. n. 9140/2016), non può identificarsi con il mero mancato ricorrere di una nullità per violazione di norme imperative ex art. 1418 c.c.: a ragionare in tal senso, si negherebbe alcuna portata precettiva al comma 1 dell'art. 1322 cit. e, soprattutto, si priverebbe di senso il percorso compiuto dalle Sezioni Unite, dal 2016 al 2018.
L'art. 1322, comma 1, parla di determinazione del contenuto del contratto “liberamente” e ad opera delle parti: esso presuppone, dunque, una negoziazione individuale e non considera la contrattazione per adesione ad un testo unilateralmente predisposto.
Il fenomeno economico – le polizze claims made - oggetto delle decisioni della Cassazione richiamate non è verosimilmente quello della contrattazione individualizzata. E tuttavia la Cassazione non giunge ad esplicitare che le fattispecie decise vanno ricondotte all'art. 1322 (comma 1) non già direttamente, ma per analogia, perché la norma presuppone una esplicazione della autonomia privata paritetica, e frutto di negoziazione individuale.
Tale mancata esplicitazione può derivare non solo dalla mancata piena consapevolezza di tale circostanza, ma altresì da un saggio agnosticismo circa la effettiva possibilità – che in qualche caso potrebbe esservi – di una avvenuta negoziazione individualizzata del contenuto giuridico (in specie nella centrale alternativa configurazione come claims made o loss occurrence) del contratto di assicurazione RC.
Le istanze e ragioni dell'industria assicurativa sono state di recente ben espresse, e difese, da autorevole dottrina (Albina CANDIAN, La giurisprudenza e le sorti delle clausole claims made, in Riv. Dir. Civ., 2018, 685 ss.) e la sentenza delle Sezioni Unite da ultimo resa costituisce allora, a mio parere, un saggio esercizio di equilibrio e pragmatismo giuridico, sul presupposto dell'attuale assenza di concrete alternative offerte dal mercato assicurativo, della assenza di un obbligo a contrarre dell'assicuratore e della realistica impossibilità di imporre nel breve periodo, e per sentenza, uno stravolgimento dei connotati fondamentali economici con cui l'industria assicurativa ha plasmato il mercato di riferimento. In altre parole, sembrerebbe che la nuova sentenza delle Sezioni Unite abbia voluto prendere le distanze dall'osservazione, forse fin troppo esplicita ed inusuale per un provvedimento di legittimità, che si leggeva nella ordinanza interlocutoria n. 1465/2018, secondo cui la clausola claims made «non è affatto quel baluardo contro il rischio di tracolli finanziari che certa dottrina vorrebbe far credere, ma è, più banalmente, una clausola conveniente per l'assicuratore» (par. 9.4, p. 30).