Cannabis sativa: la Cassazione rilegge la norma e afferma la liceità della commercializzazione
04 Febbraio 2019
La legge 242/2016 attesta che la coltivazione delle varietà di canapa, nella stessa considerate, non è reato ex art. 73 d.P.R. 309/1990 e viene consentita senza necessità di autorizzazione: il coltivatore non ha l'obbligo di comunicarne l'inizio alla P.G. ma solo di conservare i cartellini della semente e le fatture di acquisto, e se all'esito dei controlli […] il contenuto complessivo di THC della coltivazione risulti superiore allo 0,2 % e entro il limite dello 0,6 % nessuna responsabilità è prevista per l'agricoltore che ha rispettato le prescrizioni. Pertanto, il sequestro o la distruzione delle coltivazioni di canapa impiantate nel rispetto delle disposizioni stabilite dall'art. 4, comma 7, l. 242/2016 possono essere disposti solo se – a seguito di un accertamento effettuato ai sensi del comma 3 della citata norma – risulti che il contenuto di THC sia superiore allo 0,6 %. Date queste premesse, la Cassazione penale, Sez. VI (sentenza n. 4920/2018), ha ritenuto dover prendere le distanze dall'interpretazione sinora data dalla giurisprudenza (ex multis Cass. pen., 56737/2018, con nota di TRINCI, L'insostenibile leggerezza della cannabis sativa) e affermare la liceità della commercializzazione dei prodotti della predetta coltivazione e, in particolare, delle infiorescenze: «dalla liceità della coltivazione della cannabis alla stregua della l. 242/2016, deriverebbe la liceità dei suoi prodotti contenenti un principio attivo THC inferiore allo 0,6 %, nel senso che non potrebbero più considerarsi (ai fini giuridici), sostanza stupefacente soggetta alla disciplina del d.P.R. 309/1990, al pari delle altre varietà vegetali che non rientrano tra quelle inserite nelle tabelle allegate al predetto d.P.R.». |