CTP ex legge Gelli: riflessioni sull'applicazione dell'istituto in base all'esperienza della IV sez. civ. del Tribunale di Torino

Stefania Tassone
05 Febbraio 2019

Riflessioni, a carattere eminentemente pratico, sulle questioni maggiormente rilevanti e ricorrenti, a livello operativo, nella applicazione e quotidiana gestione dell'istituto della consulenza tecnica preventiva prevista dall'art. 8 della l. 24/2017 (legge Gelli-Bianco) da parte della IV Sezione Civile del Tribunale di Torino.
Premessa

Dopo più di un anno e mezzo dall'entrata in vigore l. 24/2017, cd. legge Gelli Bianco, “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”, è possibile constatare che l'applicazione concreta dell'istituto della consulenza tecnica preventiva prevista dall'art. 8 della legge ha dato luogo a molteplici questioni, sia di interpretazione giuridica sia di (connessa) gestione organizzativa, tanto nella fase dell'accertamento tecnico ante causam, quanto nella instaurazione del successivo giudizio di merito di responsabilità sanitaria.

Il presente scritto si propone di svolgere alcune riflessioni su questi profili, alla luce dell'esperienza sinora maturata presso la IV Sezione Civile del Tribunale di Torino, che annovera quale specifica competenza tabellare la trattazione dell'intero contenzioso in materia di responsabilità sanitaria.

Natura e caratteristiche dell'istituto

La procedura di consulenza tecnica preventiva, prevista dall'art. 8 della legge Gelli-Bianco con espresso richiamo al disposto dell'art. 696-bis c.p.c., viene espressamente configurata come condizione di procedibilità obbligatoria dell'azione risarcitoria nei confronti dell'esercente la professione sanitaria, che deve quindi necessariamente essere esperita da «chi intende esercitare un'azione avanti al giudice civile relativa ad una controversia di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria».

La disposizione è immediatamente applicabile laddove la parte intenda instaurare azione di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria, anche se i fatti fossero anteriori all'entrata in vigore della l. 24/2017, trattandosi di norma processuale e dovendo pertanto essere applicato il principio “tempus regit actum” (Trib. Roma, ord., 12 marzo 2018).

Il richiamo è riferito al solo disposto dell'art. 696-bis c.p.c. (e non anche a quello dell'art. 696 c.p.c. in materia di accertamento tecnico preventivo, per cui non è richiesto che la parte ricorrente prospetti alcun requisito di urgenza), salvo il fatto che l'art. 8 l. 24/2017 contiene poi alcune ulteriori disposizioni specifiche di tipo integrativo, per adattare l'istituto alle peculiarità del contenzioso in materia di responsabilità sanitaria (e sono proprio queste disposizioni a determinare alcune criticità applicative, come si dirà infra nel testo).

La condizione di procedibilità costituita dalla consulenza tecnica preventiva è configurata non come esclusiva, bensì come esperibile in alternativa alla mediazione (v. art. 8 comma 2), sebbene poi il favor del legislatore per tale nuovo istituto emerga piuttosto chiaramente dal comma 2, ultima parte, del citato art. 8, laddove si prevede, nel caso in cui il giudizio di responsabilità sanitaria sia stato instaurato senza espletamento di nessuna condizione di procedibilità, che l'improcedibilità debba essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza e che, ove il giudice rilevi che il procedimento «non è stato espletato ovvero che è iniziato ma non si è concluso, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dinanzi a sé dell'istanza di consulenza tecnica in via preventiva ovvero di completamento del procedimento», facendo dunque riferimento esclusivamente alla consulenza preventiva e non anche alla mediazione (v. sul punto AMIRANTE, La nuova condizione di procedibilità, in Ridare.it)

La ratio dell'introduzione (e del menzionato favor) per la consulenza ex art. 696-bis c.p.c. ed art. 8 l. 24/2017 è stata condivisibilmente spiegata (v. DALFINO, Il processo civile per responsabilità medica: condizioni di procedibilità e riparto dell'onere della prova, in Questione Giustizia) nel senso per cui, essendo le cause di responsabilità sanitaria improntate ad assoluta scientificità e tecnicismo, solo mediante consulenza tecnica d'ufficio è possibile ricostruire i fatti, accertare le condotte (con ogni conseguenza in punto successiva valutazione giuridica delle responsabilità da parte del Giudice) ed individuare il nesso causale tra evento dannoso e comportamenti non conformi alle linee guida ovvero alle buone pratiche clinico-assistenziali, nonché infine quantificare il danno (sul fatto per cui le«conoscenze di specifica natura tecnica debbano specificamente essere acquisite tramite CTU», v. Cass. civ., n. 2794/1989; Cass. civ., n. 3105/1987).

Quindi, una volta eseguito l'accertamento tecnico su tutti i profili sopra esposti, le parti avranno ben chiaro il rispettivo rischio di causa e saranno indotte a conciliare; mentre, nel caso in cui non si addivenga alla conciliazione (si pensi a fattispecie complesse, in cui l'accertamento tecnico non esaurisce tutte le questioni per cui è lite tra le parti, come per es., sotto il profilo della responsabilità, l'esistenza di valido consenso informato, ovvero, sotto il profilo del quantum risarcitorio, il riconoscimento della cd. personalizzazione del danno) il consulente redigerà e depositerà la relazione peritale, che potrà essere acquisita nel futuro giudizio di merito, al quale ben potrà fornire significativo e rilevante apporto istruttorio (v. Trib. Torino, 31 marzo 2008).

La scelta tra le due condizioni di procedibilità, entrambe obbligatorie, spetta al difensore della parte attrice (cioè del paziente che assume aver riportato danni dalla malpratice medica o più in generale sanitaria), il quale dovrà valutare le diverse caratteristiche dei due istituti (l'art. 8 l. 24/2017 stabilisce invece espressamente che non trova applicazione nel contenzioso di responsabilità sanitaria la negoziazione assistita ex art. 3 d.l. 132/2014 conv. in l. 162/2014).

Potrà quindi essere valutato:

a) il fatto che rispetto ad alcune questioni, spesso dibattute nel contenzioso di responsabilità sanitaria (quali l'esistenza di valido consenso informato ovvero il riconoscimento della personalizzazione del danno ovvero ancora del danno da perdita del congiunto) non è di utilità esperire la consulenza tecnica, posto che tali profili implicano:

  • o pressoché esclusivamente valutazioni giuridiche che il consulente non può esprimere, in quanto riservate solo al Giudice (ciò particolarmente nel caso del consenso informato; peraltro potrebbero esservi eccezioni, nel senso che in taluni casi la comprensione “tecnica” del contenuto del consenso informato, onde valutare se lo stesso sia stato compiutamente predisposto rispetto al tipo di intervento o di terapia o di cura effettuati, potrebbe essere demandata al CTU, non avendo il Giudice le necessarie competenze conoscitive sul punto);
  • o accertare fatti che la parte deve allegare e dimostrare a mezzo prova orale o documentale (posto che la personalizzazione del danno non patrimoniale si risolve nella allegazione prima e nella prova poi di specifiche circostanze di fatto, peculiari al caso oggetto di giudizio: v. Cass. civ., n. 21939/2017);

b) il fatto che la mediazione tenda -anche mediante sessioni separate e comunque con maggiore libertà di forme- a creare una sorta di “terreno comune” tra le parti, onde individuare e vagliare tutti i concreti interessi in gioco e sottesi alla lite (v. DALFINO, cit.: «Il mediatore assiste le parti nel far emergere i reali bisogni sottesi alle rispettive posizioni e nel perseguire una soluzione conciliativa conveniente ad entrambe le parti, che assicuri la reciproca soddisfazione dei contrapposti interessi»), mentre la procedura ex art. 8 l. 24/2017 è una procedura contenziosa, gestita e diretta dal Giudice secondo le regole del codice di procedura civile (art. 696-bis c.p.c. e ss.) ed alcune disposizioni integrative contenute nel citato art. 8;

c) il fatto che, se viene assolta la condizione di procedibilità ricorrendo alla mediazione, la parte ha poi la libera scelta di instaurare il successivo giudizio di merito nelle forme del giudizio ordinario, con citazione, ovvero sommario, con ricorso ex art. 702-bis c.p.c.; se invece la condizione di procedibilità è assolta ricorrendo alla consulenza preventiva, la parte deve instaurare il successivo giudizio di merito nelle forme del ricorso ex art. 702-bis c.p.c. (sul punto v. ancora infra nel testo);

d) il fatto che solo per la consulenza preventiva ex art. 8 l. 24/2017 venga prevista la partecipazione obbligatoria di tutte le parti, comprese le imprese di assicurazione, che hanno l'espresso obbligo di formulare l'offerta di risarcimento del danno ovvero di comunicare i motivi per cui ritengono di non formularla (inoltre il comma 4 dell'art. 8 l. 24/2017 prevede che con il provvedimento che definisce il successivo giudizio di merito il Giudice debba obbligatoriamente condannare al pagamento delle spese di consulenza e di lite, nonché ad una sanzione pecuniaria determinata equitativamente, le parti che non abbiano partecipato alla consulenza, in favore della parte che è invece comparsa);

e) il fatto che la durata del procedimento di mediazione sia stata ex lege prevista in tre mesi, mentre quella del procedimento di consulenza preventiva in sei mesi;

f) il fatto che solo per la consulenza preventiva il termine di durata di sei mesi sia previsto come “perentorio”, all'esito del quale, ed entro i 90 giorni successivi, la parte deve depositare ricorso ex art. 702-bis c.p.c. onde salvaguardare la procedibilità e gli effetti della domanda, meccanismo questo che invece non è previsto in caso di esperimento della mediazione.

Un'ultima notazione è quella concernente l'ipotesi in cui venisse formulata domanda risarcitoria per responsabilità professionale sanitaria in via riconvenzionale nell'ambito di un giudizio instaurato dal medico o dalla struttura per il pagamento delle proprie spettanze.

È stato condivisibilmente rilevato (RUVOLO, ATP conciliativo ed altri profili processuali della legge 24/2017 sulla nuova responsabilità sanitaria, in Ridare.it), come sia possibile seguire sul punto la giurisprudenza formatasi in tema di mediazione obbligatoria, peraltro divisa tra chi segue la tesi negativa (Trib. Palermo, Sez. dist. Bagheria, 11 luglio 2011) e chi quella positiva, nel senso cioè dell'obbligatorio esperimento anche in questo caso (Trib. Roma, Sez. dist. Ostia, 15 marzo 2012; Trib. Bari, ord., 28 novembre 2016; Trib. Verona, ord., 12 maggio 2016).

Il Giudice competente

A differenza di quanto previsto per l'accertamento tecnico preventivo ex art. 696 c.p.c., che menziona la competenza del “Presidente del Tribunale”, la consulenza preventiva ex artt. 696-bis c.p.c. e art. 8 l. 24/2017 va espletata «avanti al giudice competente»; sempre l'art. 8 stabilisce inoltre che il successivo ricorso ex art. 702 c.p.c. vada depositato «presso il giudice che ha trattato il procedimento» di consulenza tecnica preventiva.

È dunque chiara la ratio legislativa di far trattare tutto il procedimento, praticamente a struttura bifasica (consulenza tecnica prima e giudizio di merito poi) davanti al medesimo Giudice: tale riferimento, che per alcuni commentatori (DALFINO, cit.) va inteso nel senso di “ufficio”, per il Tribunale di Torino, suddiviso in Sezioni con competenza tabellare specificatamente ripartita, ed in cui una soltanto, appunto la Sezione IV Civile, si occupa di responsabilità sanitaria, ben può essere inteso come riferimento alla Sezione; l'esperienza attuale della IV Sezione Civile, poi, è nel senso per cui è possibile conseguire maggiore funzionalità ed efficienza assegnando il ricorso ex art. 702-bis c.p.c. allo stesso Giudice Istruttore, inteso come persona fisica, che si è occupato della consulenza ex art. 696-bis c.p.c. e che quindi già conosce la controversia nei suoi aspetti sostanziali salienti (la previsione è oggetto di discussione ed è al vaglio del Presidente del Tribunale di Torino in vista di una prossima ed espressa variazione tabellare).

Le parti del procedimento di consulenza tecnica preventiva

Il comma 4 dell'art. 8 della l. 24/2017 prevede l'obbligatoria partecipazione di tutte le parti coinvolte nella vicenda.

È possibile pertanto ritenere, nonostante sul punto vi siano contrasti nella giurisprudenza di merito (v. in senso negativo Trib. Padova, 27 novembre 2017; Trib. Venezia, 11 settembre 2017), che alla procedura debbano partecipare anche le imprese di assicurazione, indipendentemente dall'entrata in vigore dei decreti ministeriali, previsti dall'art. 12 della legge citata, che devono prevedere i requisiti minimi delle polizze assicurative e che dovevano essere emanati entro 120 giorni dall'entrata in vigore della legge Gelli Bianco (in questo senso v. Trib. Verona, 31 gennaio 2018; Trib. Venezia, 18 gennaio 2018; Trib. Marsala, 7 dicembre 2017).

La soluzione trova supporto sistematico nella previsione della cd. “clausola di salvezza”, prevista dall'art. 12 l. n. 24/2017, che fa salve le disposizioni di cui all'art. 8, nonché nella finalità conciliativa dello strumento processuale previsto nell'art. 696-bis c.p.c., che potrebbe raggiungere pienamente tale obiettivo solo con la presenza anche della compagnia assicurativa della struttura o del sanitario, se evocato nella procedura di consulenza preventiva.

In sintesi, dunque, è possibile affermare che sono parti necessarie del procedimento di consulenza preventiva ex art. 8 l. 24/2017 tutti i soggetti che il ricorrente prospetti come obbligati al risarcimento dei danni lamentati.

Questione particolarmente spinosa tuttavia (così VACCARI, Il protocollo sull'ATP ex art. 8 Legge Gelli dell'Osservatorio Valore Prassi del Tribunale di Verona, in Ridare.it) è quella in cui la struttura resistente intenda chiamare in causa il singolo sanitario o i singoli sanitari ritenuti responsabili: tale evenienza va valutata dal Giudice adito (in generale sulla discrezionalità del Giudice per la chiamata del terzo, anche da parte del convenuto, v. Cass. civ., Sez. Un., n. 4309/2009), da un lato tenuto conto che la molteplicità delle chiamate in causa compromette il rispetto del termine di sei mesi previsto dal legislatore per la conclusione della procedura, termine definito espressamente come “perentorio” e fatto decorrere come dies a quo dal giorno del deposito del ricorso (sic !), per altro verso tenuto conto del fatto che la legge delinea in prima battuta la responsabilità della struttura (evidenziando all'art. 1 i concetti di prevenzione del rischio e di cd. risk management, delineando all'art. 7 solo la responsabilità della struttura come contrattuale, con i noti, spesso forse troppo enfatizzati, vantaggi derivanti dal regime dell'onere della prova e della prescrizione decennale) e tenendo conto dei limiti, previsti all'art. 9 della legge, all'esercizio dell'azione di rivalsa.

Il vaglio di ammissibilità della consulenza preventiva

In molti commenti di dottrina ritorna l'affermazione, anche ripresa in alcuni atti difensivi, secondo cui, in sintesi, essendo la consulenza preventiva ex artt. 696-bis c.p.c. e 8 l. 24/2017 una condizione di procedibilità obbligatoria, la stessa sarebbe in quanto tale sempre ammissibile, cioè in altre parole, sottratta al vaglio di ammissibilità da parte del Giudice adito.

Sul punto, va ricordato in linea generale che, sebbene possa dirsi superata (v. la ancora recente Trib. Foggia, 9 maggio 2016) la tesi secondo cui la consulenza de qua sarebbe inammissibile quando il resistente espressamente dichiara di non voler conciliare o comunque assume difese incompatibili con la prospettiva conciliativa, poiché in tal modo sempre il resistente paralizzerebbe l'azione svolta in tal senso dal ricorrente, per altro verso, onde salvaguardare il diritto alla prova preventiva (cioè alla costituzione della prova a futura memoria) ed onde svolgere attività processuale funzionale ad un futuro instaurando giudizio di merito, la giurisprudenza richiede che il ricorrente svolga allegazioni puntuali e precise in ordine ai fatti da accertare (cfr. Trib. Avellino, 30 novembre 2016).

In caso contrario il ricorso è inammissibile o in quanto esplorativo o in quanto inutile ed irrilevante, perché non vertente su questioni prettamente tecniche su cui il consulente si possa esprimere e dunque del tutto privo di di qualsivoglia strumentalità o funzionalità rispetto all'instaurando giudizio di merito (v. Trib. Parma, ord., 18 settembre 2014: «il ricorso ex art. 696 c.p.c. non è ammissibile laddove le parti, controvertendo in primis sulla effettiva sussistenza dell'obbligazione… condizionano la decisione della causa di merito alla soluzione di questioni giuridiche complesse o all'accertamento di fatti che esulino dall'ambito di indagini di natura tecnica»; Trib. Macerata, ord. 11 novembre 2015, secondo cui la consulenza preventiva è ammissibile solo quando l'“accertamento tecnico” richiesto sia «destinato a dirimere l'unica o le uniche questioni tecniche controverse tra le parti, quando tutti gli altri elementi costitutivi della posizione di diritto soggettivo vantata da una parte nei confronti dell'altra siano pacifici, cosicché, accertati gli aspetti tecnici, la controversia tra le parti venga integralmente a cessare”, ovvero, in altre parole, quando “presupposto dell'accertamento in parola è che la controversia fra le parti abbia come unico punto di dissenso ciò che, in sede di processo di cognizione, può costituire oggetto di consulenza tecnica, acquisita la quale… non residuano – con una valutazione da compiersi in concreto ed ex ante – altre questioni controverse»: così Trib. Barcellona Pozzo di Gotto, ord. 3 marzo 2009; Trib. Arezzo, ord. 4 luglio 2011; Trib. Pavia, ord. 14 luglio 2008; Trib. Reggio Emilia, ord. 20 dicembre 2010; Trib. Napoli, 20 febbraio 2017).

La IV Sezione Civile del Tribunale di Torino ritiene di applicare tale orientamento anche alla consulenza preventiva ex art. 8 l. 24/2017: se è pur vero che la stessa costituisce condizione di procedibilità obbligatoria (peraltro non esclusiva, ma alternativa alla mediazione), è pur vero che la stessa debba poter essere utilmente esperita o in funzione conciliativa o in funzione di istruzione preventiva rispetto al giudizio di merito.

E dunque, il ricorso che non prospetti quegli elementi fattuali e tecnici rispetto ai quali soltanto il consulente può fornire le proprie valutazioni, ovvero ancora, il ricorso che, pur rimanendo in ambito tecnico, tenda a voler sollecitare una indagine rispetto alle cause dei danni riportati o del decesso sopravvenuto, senza volere descrivere i fatti di causa con un minimo di specificità, non può che essere considerato inammissibile in quanto esplorativo).

Va ricordato infatti che costante giurisprudenza di Cassazione formatasi ante legge Gelli-Bianco in materia di contenzioso di responsabilità sanitaria (all'epoca dunque qualificata tout court come responsabilità contrattuale anche per i singoli sanitari e non solo per la struttura: v. invece ora il “doppio binario” delineato dall'art. 7 l. Gelli Bianco), afferma che il danneggiato (paziente) deve allegare un inadempimento qualificato (del sanitario) astrattamente idoneo a causare il danno lamentato (v. Cass. civ., Sez. Un., n. 577/2008; Cass. civ., n. 20547/2015; Trib. Firenze, 9 ottobre 2017).

Tale impostazione è anche stata di recente seguita dal Tribunale di Roma (Trib. Roma, ord. 12 marzo 2018), che ha inoltre affermato l'ammissibilità della consulenza preventiva ex art. 8 l. 24/2017 sul presupposto per cui (pur essendovi contestazione della parte resistente sull'an della pretesa risarcitoria, cioè sulla responsabilità), non era contestato il fatto storico del rapporto intercorso tra medico e paziente.

Trasponendo le considerazioni di cui sopra su un piano strettamente pratico e fattuale, dinanzi ad un ricorso proposto ex artt. 696-bis e 8 l. 24/2017 il Giudice adito deve quindi porsi il problema di «riuscire a redigere il quesito peritale» sulla scorta di quanto prospettato dal ricorrente nell'atto.

Se ciò non riesce possibile in concreto, allora il ricorso sarà inammissibile, perché non può essere dato ingresso ad una consulenza tecnica che finirebbe, partendo da presupposti di indagine non ben definiti ovvero del tutto confusi, per essere inammissibilmente esplorativa (v. Cass. civ., 1266/2013: «La CTU non costituisce un mezzo di soccorso volto a sopperire all'inerzia delle parti»).

Alla facile obiezione per cui, come è vero, le cause di responsabilità sanitaria sono connotate da questioni complesse e che oltretutto il ricorrente (paziente) non ha la cd. vicinanza alla prova (su cui v. Cass. civ., n. 6511/2016; Cass. civ., n. 17923/2016), è altrettanto facile rispondere che la Cassazione richiede la sola allegazione (e non la prova) di un inadempimento qualificato (e quindi, in sostanza, la descrizione in fatto della malpratica) e che in caso di insormontabile complessità l'alternativa (più libera nelle forme, purché se ne capisca la sostanza e la finalità) è data dal ricorso alla mediazione, per cui la condizione di procedibilità obbligatoria può essere assolta in tal modo, senza vulnus al diritto di azione ex art. 24 Cost.

La formulazione del quesito e la nomina del collegio peritale

Una volta ritenuta l'ammissibilità del ricorso ex art. 8 l. 24/2017 il Giudice adito deve formulare il quesito peritale e nominare il consulente tecnico.

Per prassi consolidata e virtuosa della IV Sezione Civile, il quesito peritale viene formulato inserendo:

a) anzitutto una “premessa” riepilogativa delle allegazioni (e dunque delle doglianze) del ricorrente e delle replica e difese della resistente e dei terzi chiamati, anche in riferimento ad eventuale documentazione e perizie ante causam prodotte, così da delineare il campo di indagine peritale;

b) poi una parte introduttiva a carattere processuale con l'indicazione del conferimento dei poteri al CTU ex art. 194 c.p.c. e con menzione espressa dei parametri valutativi cui fa riferimento all'art. 5 la l. 24/2017 (e cioè le linee guida e le buone pratiche), vigenti all'epoca dei fatti di causa, che si richiede al consulente di indicare espressamente ed analiticamente nella relazione peritale(«Esaminati gli atti di causa, presa visione della documentazione prodotta dalle parti, visitata la signora P.R., sentite le parti ed i loro CTP, con analitico e numerico riferimento ai quesiti che seguono, previa sintetica illustrazione dei dati anamnestici e tenuto conto delle linee guida vigenti e delle buone pratiche clinico-assistenziali accreditate dalla comunità scientifica, da indicare espressamente ed analiticamente»);

c) l'espresso inserimento non solo dell'inciso «tentata la conciliazione tra le parti», ma anche della frase «Indicate nella relazione peritale le ragioni per cui le parti non sono addivenute alla conciliazione».

Seguono le richieste di accertamento dell'an (cioè della condotta tenuta dai sanitari: verificare cioè se si siano attenuti, «salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida, ovvero, in mancanza delle stesse, allebuone pratiche clinico-assistenziali»), del nesso causale e del quantum debeatur (vengono richiesti l'accertamento dell'invalidità temporanea (totale/assoluta, anche in regime ospedaliero, e parziale/relativa, e del danno permanente biologico nella sua misura percentuale, con l'indicazione della tabella di valutazione medico-legale di riferimento).

Va dunque evidenziato, secondo la prassi della Sezione:

1) che dal tenore del quesito emerge chiaramente che il consulente tecnico deve tentare la conciliazione tra le parti, che non è dunque solo un'eventualità (v. tra l'altro l'art. 15 l. 24/2017, secondo cui «Nei procedimenti civili e nei procedimenti penali aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria l'autorità giudiziaria affida l'espletamento della consulenza tecnica e della perizia a un medico specializzato in medicina legale e a uno o più specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento, avendo cura che i soggetti da nominare, scelti tra gli iscritti negli albi di cui ai commi 2 e 3, non siano in posizione di conflitto di interessi nello specifico procedimento o in altri connessi e che i consulenti tecnici d'ufficio da nominare nell'ambito del procedimento di cui all'art. 8, comma 1, siano in possesso di adeguate e comprovate competenze nell'ambito della conciliazione acquisite anche mediante specifici percorsi formativi»), in quanto l'art. 8 richiama il disposto dell'art. 696-bis c.p.c. che espressamente prevede: «Il consulente, prima di provvedere al deposito della relazione, tenta, ove possibile, la conciliazione tra le parti»;

2) che l'inciso “ove possibile” vaquindi interpretato nel senso per cui, essendo assolutamente doveroso il tentativo di conciliazione, in caso di mancato raggiungimento dell'accordo il consulente dovrà espressamente indicare nella relazione peritale le ragioni della mancata, sebbene tentata, conciliazione (ragioni che, come anche si desume argomento dal disposto dell'art. 185-bis c.p.c., possono essere ravvisate nella natura e nel valore della causa, nel numero delle parti, nella complessità e molteplicità delle questioni, nella parte di questioni che, sfuggendo all'accertamento tecnico in senso stretto, non possono allo stato trovare soluzione e dunque impediscono allo stato la complessiva conciliazione), anche eventualmente indicando i punti in cui la conciliazione si sarebbe raggiunta, se non vi fossero state di ostacolo altre ragioni, parimenti da indicare.

Sotto altro profilo, particolarmente rilevante, va evidenziato che, a differenza che per la consulenza tecnica che viene espletata in corso di causa e dunque, generalmente, dopo che le parti sono addivenute alla trattazione scritta con il deposito delle tre memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c., che determina anche il maturare delle preclusioni assertive di merito e delle preclusioni istruttorie (su tali concetti v. Trib. Reggio Emilia, 14 giugno 2012), nella consulenza preventiva non vi sono preclusioni.

Occorre tuttavia che anche in questa procedura i difensori delle parti, nel rispetto del dovere di lealtà ex art. 88 c.p.c. e senza abuso dello strumento processuale, evitino prospettazioni difensive e produzioni “alluvionali” tali da eccessivamente dilatare tempi e costi del procedimento, dovendosi ribadire che un siffatto comportamento non solo è di per sé da stigmatizzare ma, nel caso della consulenza ex art. 8 l. 24/2017 compromette sin da subito il rispetto del termine di sei mesi ex lege previsto per la conclusione del procedimento.

Sotto diverso, sebbene connesso profilo, poi, la documentazione prodotta nel corso delle operazioni peritali dovrà passare al vaglio del Giudice (la parte la depositerà in via telematica segnalando tale evenienza al magistrato designato per la consulenza preventiva) e, anche se dal medesimo venga autorizzata la sua produzione, dovrà essere attentamente esaminata nel contraddittorio tecnico tra CTU e consulenti delle parti.

Per altro verso, dal fatto che il procedimento di consulenza tecnica preventiva non prevede preclusioni discende la possibilità, da valutare caso per caso, di fissare una prima udienza unicamente destinata a verificare la corretta instaurazione del contraddittorio tra le parti e la corretta impostazione della vertenza, onde scongiurare profili di inammissibilità del ricorso, per esempio consentendo alla parte ricorrente di integrare le proprie difese ed allegazioni (anche argomentando ex art. 164 c.p.c.), al fine di correttamente prospettare quell'inadempimento qualificato da cui fa discendere la prospettata responsabilità sanitaria; in tal caso solo all'esito di tale udienza il Giudice potrà formulare il quesito e nominare il CTU.

La possibilità di utilizzare una prima udienza di mera comparizione delle parti principali della procedura (il ricorrente ed il resistente) per ottenere chiarimenti ed informazioni sul contenuto del quesito peritale ed eventualmente anche sulla individuazione della corretta specializzazione dei consulenti da nominare nel collegio (sul punto v. SCARPA-AULETTA, La scelta del CTU è veramente “cosa del giudice”?, in Giustiziainsieme.it) trova fondamento normativo nel fatto per cui l'art. 696-bis c.p.c. fa riferimento all'art. 696, comma 3, c.p.c. che a sua volta rimanda al disposto dell'art. 695 c.p.c., che prevede che il giudice della prova preventiva possa assumere «quando occorre, sommarie informazioni» prima di procedere all'espletamento della stessa.

Va invece recisamente escluso (e tale è l'orientamento granitico della IV Sezione) di poter fissare udienza dopo il deposito della relazione peritale, soprattutto per chiarimenti: tale evenienza non è prevista né dall'art. 696-bis c.p.c. né dall'art. 8 l. 24/2017 e quindi la relativa richiesta va dichiarata irrituale.

È invece da ritenere ammissibile, argomentando ex art. 92 disp. att. c.p.c. ma sempre valutando il caso concreto alla luce del termine semestrale ex lege previsto per l'espletamento della procedura, di poter sempre fissare udienza in corso di operazioni peritali (tale strumento può anche essere usato financo quando venga segnalato al Giudice che il CTU non stia percependo i fondi spese o i compensi previsti al momento del giuramento e del conferimento dell'incarico peritale: sul punto va evidenziato che, per pacifica giurisprudenza della Suprema Corte, le spese della consulenza preventiva, come quelle dell'ATP ex art. 696 c.p.c., sono a carico della parte che la richiede e dunque del ricorrente -v. Cass. civ., n. 21045/2016- il quale è anche tenuto per prassi a pagare un fondo spese al collegio peritale, per cui il mancato versamento può essere segnalato dal collegio peritale al Giudice, il quale convocherà le parti per assumere, soprattutto dal ricorrente, i chiarimenti del caso: non pare infatti corretto né conforme ad equità che il collegio peritale debba espletare una complessa consulenza tecnica, nel termine perentorio ex lege stabilito, senza ricevere emolumento o anticipazione alcuna).

Quanto alla nomina del collegio peritale, va rilevato che l'art. 15 della l. 24/2017 espressamente prevede che la consulenza tecnica e la perizia vengano affidate «a un medico specializzato in medicina legale e a uno o più specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento, avendo cura che i soggetti da nominare, scelti tra gli iscritti negli albi di cui ai commi 2 e 3, non siano in posizione di conflitto di interessi nello specifico procedimento o in altri connessi e che i consulenti tecnici d'ufficio da nominare nell'ambito del procedimento di cui all'art. 8, comma 1, siano in possesso di adeguate e comprovate competenze nell'ambito della conciliazione acquisite anche mediante specifici percorsi formativi», e dunque, anzitutto, ad un collegio peritale.

Nessuna sanzione o nullità è prevista in caso di mancata nomina del collegio, ma il Tribunale di Torino già prima dell'entrata in vigore della l. 24/2017 seguiva tale prassi virtuosa, che ora è stata recepita da norma espressa, e dunque continua a seguirla, anche alla luce degli ottimi risultati conseguiti in punto completezza ed esaustività dell'accertamento tecnico.

Sebbene poi l'art. 15 faccia riferimento a consulenti scelti tra gli iscritti negli albi (ma allo stato ancora gli Uffici non hanno proceduto alla revisione degli albi per i consulenti ed i periti in materia sanitaria secondo quanto previsto dalla l. 24/2017) non pare debba ritenersi implicitamente abrogato il disposto dell'art. 22 disp. att. c.p.c.: pertanto laddove la controversia, per la sua natura ovvero per ragioni di opportunità, richieda la nomina di specialisti non iscritti all'Albo del Tribunale di cui fa parte il Giudice della consulenza preventiva ex art. 8 l. 24/2017, il medesimo potrà sceglierli fuori dall'Albo e nominarli, inviando al Presidente del Tribunale la comunicazione prescritta dall'art. 22 disp. att. c.p.c.

Se il collegio peritale riesce a conciliare le parti, deve essere fatta applicazione dei commi 3 e 4 dell'art. 696-bis c.p.c., secondo cui il verbale di conciliazione ha efficacia di titolo esecutivo ed è esente dall'imposta di registro.

Se la conciliazione non riesce il collegio peritale deposita la relazione (in cui, come si è detto, anche darà atto delle ragioni che hanno impedito la conciliazione della controversia) unitamente alla proposta di parcella (sul punto va ricordato che l'ultimo comma dell'art. 15 legge Gelli espressamente prevede, con disposizione non del tutto chiara, che «Nei casi di cui al comma 1 l'incarico è conferito al collegio e, nella determinazione del compenso globale, non si applica l'aumento del 40 per cento per ciascuno degli altri componenti del collegio previsto dall'art. 53 TU n. 115/2002»: la IV Sezione la interpreta nel senso di non riconoscere l'aumento per l'incarico collegiale, premurandosi tuttavia di sempre adeguatamente remunerare i componenti del collegio peritale con onorario in parte fisso ex art. 21 D.M. 30 maggio 2002 ed in parte a vacazioni ex art. 1 DM cit. e con l'eventuale aumento fino al doppio ex art. 52 d.P.R. n. 115/2002).

L'andamento e la durata della procedura

Dal letterale disposto del comma 3 dell'art. 8 si desume:

1) che se la conciliazione non riesce e quindi il consulente deposita la relazione peritale, ovvero se il procedimento di consulenza preventiva è ancora in corso nonostante siano passati sei mesi dal deposito del ricorso, la condizione di procedibilità è comunque assolta se entro i 90 giorni successivi al deposito della relazione ovvero alla scadenza del termine perentorio di sei mesi, è depositato ricorso ex art. 702-bis c.p.c.;

2) che tale ricorso va depositato avanti allo stesso Giudice che ha trattato il procedimento di consulenza preventiva;

3) che il deposito del ricorso ex art. 702-bis c.p.c. non solo rende procedibile la domanda risarcitoria, ma fa anche salvi gli effetti di tale domanda: la disposizione non chiarisce espressamente quali siano questi effetti, ma si ritiene che siano quelli di interruzione della prescrizione (e, seppure la dottrina sul punto non sia unanime, anche di sospensione della prescrizione ex art. 2945, comma 2, c.c.).

Quid juris, se il giudizio di merito è introdotto in maniera difforme da quanto previsto dall'art. 8, comma 3, l. 24/2017, ed in particolare se è introdotto con atto di citazione ?

Pare preferibile la tesi secondo cui gli effetti previsti dalla citata disposizione (in primis quello di rendere procedibile la domanda risarcitoria) si realizzano anche nel caso della citazione notificata, purché poi depositata nel termine previsto di 90 giorni; resta peraltro fermo il potere del Giudice adito di disporre la conversione del procedimento così instaurato, dunque un procedimento ordinario, in procedimento sommario, secondo quanto previsto dall'art. 183-bis c.p.c. (e comunque fatta salva, ad avviso della scrivente, la possibilità di proseguire il giudizio nelle forme ordinarie).

L'art. 8 comma 2 disciplina anche il caso in cui sia stato notificato atto di citazione introduttivo di ordinario giudizio di risarcimento del danno da responsabilità sanitaria, senza che sia stata previamente esperita alcuna delle condizioni di procedibilità (mediazione o consulenza preventiva): la IV Sezione tendenzialmente ritiene di fare applicazione del letterale disposto della norma succitata e quindi di assegnare 15 giorni (che non è qualificato espressamente come perentorio e quindi risulta essere mero termine ordinatorio) per l'esperimento della procedura di consulenza preventiva (v. diversamente VACCARI, cit., secondo cui si potrebbe anche mandare le parti in mediazione, soluzione che trova fondamento nell'istituto della cd. mediazione delegata, ma non nel letterale tenore dell'art. 8, comma 2).

La norma, a differenza di quella analoga dettata in materia di mediazione, non prevede la fissazione di udienza successiva, ma si ritiene che la stessa debba essere fissata, tenuto conto della durata di sei mesi ex lege prevista, per verificare l'avveramento della condizione di procedibilità e per la naturale prosecuzione del processo.

Ipotesi ancora diversa è quella, già capitata nella pratica (in relazione alla successione nel tempo della normativa in materia di mediazione obbligatoria per le cause di responsabilità sanitaria e della legge Gelli Bianco), in cui la parte proponga ricorso per consulenza preventiva ex artt. 696-bis c.p.c. e art. 8 l. 24/2017 pur avendo già esperito procedura di mediazione: in tal caso si deve ritenere che già con la mediazione sia stata assolta la condizione di procedibilità, per cui la consulenza preventiva, se ammissibile, può essere esperita ma ben potrebbe essere qualificabile come ordinaria consulenza preventiva in funzione conciliativa ex art. 696-bis c.p.c. (così fuoriuscendo dall'alveo dell'art. 8 l. Gelli e relative disposizioni integrative, quali quelle riferite al termine di durata semestrale ed al meccanismo di instaurazione del successivo giudizio di merito).

È inoltre capitato il caso in cui, già operante il regime della legge Gelli Bianco, fosse stata instaurata con atto di citazione una ordinaria causa di responsabilità sanitaria sul presupposto del già avvenuto esperimento di consulenza preventiva peraltro anteriormente alla entrata in vigore della legge e del relativo art. 8 (e dunque ai sensi dell'art. 696-bis c.p.c., in allora unica norma disciplinante l'istituto): il Giudice, accertato che nel caso di specie la consulenza preventiva era stata espletata nei confronti di tutte le parti coinvolte nella vicenda, compagnie di assicurazione comprese, ha ritenuto che la condizione di procedibilità fosse comunque stata assolta.

Diversamente (v. RUVOLO, cit.), laddove cioè la procedura ex art. 696-bis c.p.c. non fosse stata espletata nei confronti di tutte le parti di cui è obbligatoria la partecipazione, non si sarebbe realizzata la condizione di procedibilità ed il Giudice dovrebbe disporre l'esperimento di nuova consulenza preventiva ai sensi e per gli effetti dell'art. 8 l. 24/2017.

La consulenza preventiva ed il successivo giudizio di merito ex art. 702-bis c.p.c.

Una volta instaurato il giudizio di merito, «ciascuna parte può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito», come previsto dall'art. 696-bis, comma 5, c.p.c.: la lettera della norma menziona l'istanza di parte, escludendo quindi il potere officioso del Giudice adito, nonché la (sola) relazione peritale (e dunque parrebbe non anche l'intero fascicolo della consulenza preventiva).

Inoltre l'art. 696-bis c.p.c. non richiama il disposto dell'art. 698, commi 2 e 3 c.p.c., per cui è possibile ritenere che l'istanza di acquisizione della relazione, formulata dalla parte, sia necessaria e sufficiente a dare ingresso alle risultanze peritali nel giudizio di merito (così DALFINO, cit.), senza ulteriore vaglio di ammissibilità.

Il legislatore ha inteso espressamente positivizzare il raccordo tra la procedura di consulenza preventiva ed il procedimento sommario, posto che la consulenza tecnica è proprio la fonte di prova maggiormente compatibile con il procedimento ex art. 702-bis c.p.c. (v. App. Campobasso, 31 gennaio 2017; Trib. Catania, 3 maggio 2016; Trib. Mondovì, 10 novembre 2009) e che il sindacato sulla ammissibilità della stessa è già stato effettuato dal Giudice in relazione al contenuto del ricorso proposto dalla parte ex art. 8 l. 24/2017, per cui non deve essere ulteriormente rinnovato.

Potrebbe porsi il problema per cui, onde salvaguardare la procedibilità e gli effetti della domanda, il difensore della parte sia stato costretto a depositare il ricorso ex art. 702-bis c.p.c. “al buio”, cioè ancor prima che il procedimento di consulenza tecnica preventiva si sia concluso: in tal caso il Giudice adito potrebbe, a seconda dei casi, o continuare a gestire la vertenza nelle forme del procedimento sommario, concedendo tuttavia un rinvio per consentire il completamento della procedura di consulenza tecnica, oppure, debitamente valutando la tempistica del rinvio, convertire il rito da sommario ad ordinario, fissando nuova prima udienza ex art. 183 c.p.c. (tale ultima soluzione appare preferibile onde assicurare alle parti la precisazione delle rispettive difese e conclusioni nelle memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c. alla luce delle finalmente sopravvenute risultanze peritali).

La conversione del rito da sommario ad ordinario è possibile anche quando, pur essendo stata completata la procedura di consulenza preventiva con il deposito della relazione peritale, la stessa non esaurisca l'intero contenzioso tra le parti, per cui, onde compiutamente trattare questioni che sfuggono all'accertamento tecnico, occorre disporre la tale conversione per consentire la successiva articolata trattazione assertiva ed istruttoria con il deposito delle memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c.

La gestione dell'iter processuale secondo i modelli sopra prospettati risulta essere non solo opportuna ma anche pienamente ammissibile sul piano dello stretto diritto, posto che, a differenza di quanto previsto nel d.lgs. 150/2011, in cui viene fatto obbligo per il Giudice di gestire il giudizio nelle forme del procedimento sommario, l'art. 8 l. 24/2017 espressamente stabilisce prevede: «Si applicano gli artt. 702 e seguenti del codice di procedura civile» (v. art. 8 comma 3, l. 24/2017), consentendo dunque l'applicazione dell'art. 702-ter c.p.c. che prevede e permette la conversione del rito sommario in rito ordinario di cognizione.

In conclusione

In conclusione, dunque, l'applicazione dell'istituto della consulenza tecnica preventiva prevista dall'art. 8 della l. 24/2017 (legge Gelli-Bianco) presenta molteplici questioni interpretative ed operative, che tuttavia il quotidiano lavoro giudiziario e la costante elaborazione giurisprudenziale stanno progressivamente chiarendo ed affinando, nel doveroso contemperamento tra il perseguimento di obiettivi di efficiente gestione e di possibile deflazione del contenzioso ordinario ed il costante rispetto dei principi del giusto processo.

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