Irretroattività del Patto d'Integrità e prova dell'illecito professionale

Francesca Cernuto
11 Febbraio 2019

Il Patto d'Integrità, ontologicamente distinto dalle norme poste a presidio della moralità dei concorrenti, spiega i suoi effetti solo con riguardo alla procedura di gara nell'ambito della quale è stato sottoscritto e non può riferirsi alle condotte tenute dall'operatore economico nei precedenti appalti. Al fine di disporre l'esclusione dalla gara, la prova dell'illecito professionale deve risultare da una sentenza di condanna, ancorché non definitiva, non essendo sufficiente il mero rinvio a giudizio o l'applicazione di misure cautelari.

Il caso. Una società contesta l'ammissione alla gara di due delle imprese concorrenti, lamentando che le stesse avrebbero omesso di dichiarare il rinvio a giudizio e la misura cautelare degli arresti domiciliari che avevano colpito, rispettivamente, l'amministratore dell'una e il direttore tecnico dell'altra. Ad avviso del ricorrente, l'aver sottaciuto tali circostanze configura una violazione tanto del Patto di Integrità, sottoscritto in occasione della partecipazione alla procedura, quanto dell'art. 80 c.c.p., e ciò avrebbe dovuto condurre all'esclusione dalla gara delle due imprese.

Il valore del Patto di Integrità. Il Tar Catanzaro rigetta il ricorso rilevando, preliminarmente, come il Patto d'Integrità determini l'insorgere di obbligazioni circoscritte alla procedura di gara nel cui ambito viene sottoscritto e non può riferirsi a condotte tenute dall'impresa in occasione dei precedenti appalti. Milita in tal senso lo stesso tenore letterale del Patto d'Integrità, ove è stata inserita un'apposita clausola risolutiva per il caso in cui il concorrente, nel corso dell'esecuzione, veda i propri rappresentanti interessati da misure cautelari o rinvii a giudizio.

Ad ulteriore sostegno dell'anzidetta conclusione ed in linea con i costanti arresti giurisprudenziali (Cons. Stato, sez. V, 5 febbraio 2018, n. 722), il Collegio precisa che, ove con il patto d'integrità venisse imposto un impegno di lealtà riferito anche agli appalti già eseguiti, si determinerebbe un'indebita sovrapposizione con le norme poste a presidio della verifica circa i requisiti di moralità.

Irrilevanza del rinvio a giudizio e dell'applicazione della misura cautelare. Nell'ulteriore disamina della censura proposta, il Tar afferma che il rinvio a giudizio per corruzione o riciclaggio e l'applicazione di una misura cautelare per le medesime ipotesi di reato non costituisce mezzo di prova del grave illecito professionale ai sensi dell'art. 80, co. 5, lett. c) D.Lgs. 50 del 2016 e la loro omessa dichiarazione non rileva, pertanto, ai sensi della lett. c-bis) del medesimo art. 80 c.c.p.. Tale conclusione è corroborata dalle Linee guida Anac n. 6 che - nell'enucleare i mezzi di prova cui l'Amministrazione può ricorrere ai fini di disporre l'esclusione dell'operatore - richiede che l'illecito professionale sia comprovato quanto meno da un provvedimento di condanna, ancorché non definitiva.

In conclusione: Non è sufficiente il mero rinvio a giudizio o l'applicazione della misura cautelare al fine di disporre l'esclusione dell'operatore economico. Nel quadro degli strumenti posti a presidio dei requisiti di moralità dei concorrenti, il Patto d'Integrità può spiegare i suoi effetti unicamente con riferimento alla procedura nell'ambito della quale viene sottoscritto e non anche con riguardo alle condotte tenute in occasione dei precedenti appalti.

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