PTT e D.L. n. 119/2018: obbligatorietà della modalità telematica, interpretazione autentica del “doppio binario” e certificazione di conformità

Aurelio Parente
11 Febbraio 2019

Con il D.L. n. 119/2018 il legislatore ha voluto stabilire alcune linee di confine nell'applicazione del PTT introducendo la sua obbligatorietà d'utilizzo a partire dal 1° luglio 2019 e precisando la modalità con cui esercitare il potere di certificazione di conformità dei documenti analogici estratti da quelli digitali. Inoltre, il decreto guarda al futuro, istituendo la possibilità dell'udienza virtuale.
Abstract

Con il D.L. n. 119/2018 il legislatore ha voluto stabilire alcune linee di confine nella applicazione del Processo Tributario Telematico introducendo, innanzitutto, la sua obbligatorietà d'utilizzo a partire dal 1° luglio 2019 e, nel contempo, andando a precisare la modalità con cui esercitare il potere di certificazione di conformità dei documenti analogici estratti da quelli digitali, utilizzabile anche per il deposito cartaceo autorizzato in via eccezionale, per l'estrazione di atti dal fascicolo informatico e per fornire la prova cartacea della notifica effettuata a mezzo PEC. Il decreto si chiude con uno sguardo al futuro, istituendo la possibilità di una udienza che si svolga unicamente in modalità virtuale con collegamento audiovisivo tra giudici e parti in causa.

Il quadro normativo

Il Processo Tributario Telematico segue le regole generali processuali del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, applicate attraverso quelle introdotte dal Regolamento del Processo Telematico (Decreto ministeriale 23 dicembre 2013, n. 163) e da quelle di carattere specificamente tecnico-operative contenute nel decreto direttoriale del 4 agosto 2015, previsto dal co. 3 dell'art. 3 del detto Regolamento.

Ove espressamente rinviato o per quanto non regolamentato, trovano applicazione gli articoli del Decreto Legislativo 7 marzo 2005, n. 82 – “Codice dell'Amministrazione Digitale”.

Pertanto, per quanto riferito agli argomenti in trattazione, l'art. 16-bis del decreto n. 546/1992, introdotto dal d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, è quello che contiene le disposizioni in tema di comunicazioni e notificazioni per via telematica e, fino al decreto in commento, concedeva la possibilità di effettuarle, da parte delle segreterie o delle parti processuali, utilizzando la Posta Certificata, precisando gli effetti di alcune tipologie di mancato perfezionamento di esse.

Sempre l'art. 16-bis, al terzo comma, rinviava al regolamento del Processo Tributario Telematico per il cosiddetto “doppio binario”, ossia la possibilità di avvalersi delle modalità telematiche per le attività processuali relative ai documenti del fascicolo di causa.

Tale disposizione si correla con il regolamento – decreto n. 162/2013 - il quale, all'art. 2, al primo comma, introduce la possibilità per le parti processuali di formare, notificare e depositare gli atti e documenti processuali con modalità telematiche ed, al terzo comma, impone alla parte che abbia utilizzato in primo grado le modalità telematiche di utilizzarle per l'intero grado del giudizio nonché per l'appello, salvo sostituzione del difensore.

Con i successivi articoli 9 e 10 del Regolamento viene fissato il momento in cui avviene la scelta dell'opzione telematica (notifica del ricorso a mezzo Posta Elettronica Certificata) ed il conseguente obbligo di depositare i documenti ed eseguire la costituzione in giudizio utilizzando esclusivamente il S.I.Gi.T..

Per quanto, poi, allo specifico tema dell'utilizzo dei documenti informatici e del valore probatorio delle copie informatiche degli stessi, a seguito di attestazione della loro conformità all'originale da cui sono tratti, trovano applicazione le disposizioni del Codice dell'Amministrazione Digitale - CAD (d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82), salvo però ove non diversamente stabilito dal Regolamento, ai sensi del quarto comma dell'art. 2 del medesimo, e per quanto nello stesso CAD non espressamente rinviato al Regolamento del PTT per la notifica, il deposito e la consultazione degli atti nel processo tributario.

Difatti già in via generale il CAD all'art. 2, co. 6, stabilisce che esso si applica al processo tributario nel limite di quanto compatibile e salvo che non sia diversamente stabilito dalle disposizioni in materia di processo telematico; successivamente all'art. 21, comma 2, ed all'art. 64, comma 2-septies, si conferma che, in eccezione a quanto in tali articoli regolato, per il deposito telematico di atti e documenti restano ferme le disposizioni secondo la normativa anche regolamentare in materia di processo telematico.

L'estrazione di copie autentiche degli atti contenuti nel fascicolo informatico, ai sensi degli artt. 25 e 38 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, è effettuato, secondo l'art. 14 del citato regolamento, a cura dell'ufficio di segreteria della Commissione tributaria, ma previo pagamento delle spese, con invio della copia stessa al richiedente tramite PEC.

L'ultima novità introdotta dal decreto n. 119/2018 si raccorda con le regole disciplinanti la pubblica udienza, di cui all'art. 34 del d.lgs. n. 546/1992, nel quale è semplicemente disposto che il presidente, se presenti le parti, le ammette alla discussione.

Modifiche all'art 16-bis del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546

A) Perfezionamento delle comunicazioni di segreteria

La prima modifica introdotta dal decreto in commento riguarda il quarto periodo del primo comma; la previgente formulazione stabiliva che “Nei procedimenti nei quali la parte sta in giudizio personalmente e il relativo indirizzo di posta elettronica certificata non risulta dai pubblici elenchi, il ricorrente può indicare l'indirizzo di posta al quale vuol ricevere le comunicazioni”, mentre quella attuale dispone che “La comunicazione si intende perfezionata con la ricezione avvenuta nei confronti di almeno uno dei difensori della parte”.

Come si vede, non si tratta di una precisazione o integrazione di quanto già presente, ma di completa sostituzione dell'argomento trattato; ragione di tale inusuale operazione la rinveniamo, da un lato, nell'inserimento dopo il comma 3 del medesimo articolo, delle nuove regole sull'indirizzo di posta elettronica certificata per la parte che sta in giudizio personalmente, alla luce della introdotta futura obbligatorietà, e, dall'altra, dalla opportunità di utilizzare questo comma per chiarire una problematica sorta dall'utilizzo pratico del S.I.Gi.T., ossia come si perfezioni la comunicazione PEC di segreteria nel caso di difensori di parte plurimi.

La scelta operata di precisare che la comunicazione si perfezioni con la ricezione del messaggio di PEC della segreteria avvenuta nei confronti di almeno uno dei difensori della parte, oltre a sottintendere la presenza di un mandato difensivo conferito a due professionisti con il medesimo incarico di assistenza e difesa, a prescindere se in forma disgiunta o congiunta, non fa altro che applicare principi già consolidati della Suprema Corte espressi riguardo le nuove forme di gestione informatizzata del processo, nelle quali si ribadisce che essa non costituisce un nuovo rito procedurale o un nuovo tipo di processo, ma solo una modalità applicativa differente, a livello tecnico, delle medesime regole già vigenti.

La variazione delle modalità comunicative da parte della segreteria di commissione attraverso le PEC non incide, infatti, sui principi fino ad ora adottati nel processo tributario, ma agevola il perfezionamento della presunzione di conoscenza degli atti processuali.

La Corte di Cassazione, seppur con riferimento ad un processo civile, mutuando la propria giurisprudenza formatasi prima della introduzione delle trasmissioni telematiche, ha ritenuto validamente effettuata la comunicazione di cancelleria via PEC ad uno solo dei componenti del collegio difensivo (Cass. civ. sez. un., n. 12924/2014) precisando che "la nomina di una pluralità di procuratori, ancorché non espressamente prevista nel processo civile, è certamente consentita, non ostandovi alcuna disposizione di legge e fermo restando il carattere unitario della difesa; tuttavia, detta rappresentanza tecnica, indipendentemente dal fatto che sia congiuntiva o disgiuntiva, esplica nel lato passivo i suoi pieni effetti rispetto a ciascuno dei nominati procuratori, mentre l'eventuale carattere congiuntivo del mandato professionale opera soltanto nei rapporti tra la parte ed il singolo procuratore, onerato verso la prima dell'obbligo di informare l'altro o gli altri procuratori. Ne consegue la sufficienza della comunicazione ex art. 377 c.p.c., ad uno solo dei procuratori costituiti".

Sempre in tema di perfezionamento delle comunicazioni di segreteria, il decreto n. 119/2018 sostituisce anche il secondo comma dell'art. 16-bis, ma integrando questa volta il testo precedente, per adeguarlo alla obbligatorietà dal 1° luglio; viene, difatti, specificato che l'ipotesi di mancata indicazione dell'indirizzo di PEC può riferirsi al difensore o alla parte e che la disposizione del comma opera solo nel caso in cui l'omesso indirizzo non sia “reperibile da pubblici elenchi”, ponendo, di fatto, tale onere in capo al personale di segreteria.

L'ultimo periodo del nuovo comma precisa, infine, che nel caso in cui trovi applicazione il deposito della comunicazione in segreteria, allora le notificazioni saranno eseguite ai sensi dell'art. 16, ossia mediante avviso consegnato alle parti o spedito a mezzo del servizio postale in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento, come logico corollario della impossibilità di utilizzo di un canale digitale per assenza dell'indirizzo PEC utile.

B) Esclusività dell'utilizzo della modalità telematica per notifiche e deposito

La sostituzione dei commi dell'art. 16-bis prosegue con quella del comma 3, che, nella nuova versione, recita “Le parti, i consulenti e gli organi tecnici indicati nell'articolo 7, comma 2, notificano e depositano gli atti processuali i documenti e i provvedimenti giurisdizionali esclusivamente con modalità telematiche, …introducendo l'obbligo di utilizzo del S.I.Gi.T. e la fine delle alterne decisioni giurisprudenziali sulla ammissibilità del deposito telematico in presenza di una parte che avesse utilizzato la modalità cartacea o di uso del cartaceo nel grado precedente (anche alla luce della interpretazione autentica fornita dal medesimo decreto e di cui parleremo di seguito).

Il comma 5, dell'art. 16 del decreto n. 119 fissa la decorrenza di tale obbligo al 01 luglio 2019, per i ricorsi notificati a partire da tale data.

Ciò significa, quindi, che per i ricorsi già notificati prima di essa, o per i processi già incardinati al 30 giugno 2019, le parti avranno ancora la facoltà e non l'obbligo di utilizzare il S.I.Gi.T..

La nuova versione del terzo comma introduce anche una prima eccezione all'obbligatorietà anzidetta, di cui ci occuperemo nel successivo punto, mentre la seconda eccezione è contenuta nel comma 3-bis.

C) Eccezione all'utilizzo della modalità telematica

Una prima eccezione, come appena ricordato, la rinveniamo nel secondo periodo del comma 3, art. 16-bis, su esaminato, nel quale si prevede che “In casi eccezionali, il Presidente della Commissione tributaria o il Presidente di sezione, se il ricorso è già iscritto a ruolo, ovvero il collegio se la questione sorge in udienza, con provvedimento motivato possono autorizzare il deposito con modalità diverse da quelle telematiche.”

L'eccezione introdotta nasce dalla esperienza pratica di questi due anni di vita operativa del Processo Tributario Telematico e dai limiti alle dimensioni di 10 Mb dei file imposte, non solo a quelli inviabili a mezzo S.I.Gi.T., ma anche a quelli che il sistema può gestire all'interno dello stesso nella propria banca dati; unica soluzione, al momento, senza modificare la struttura informatica di gestione è stata quella di consentire, come fa il comma in esame, il deposito analogico per documenti la cui digitalizzazione, in relazione alle caratteristiche intrinseche degli stessi (si pensi alle mappe catastali o ad allegati immagine in alcun modo riducibili a versioni inferiore a 10 mb) non consentiva di scendere al disotto del limite soglia su ricordato.

Diverso è il soggetto preposto ad autorizzare tale eccezione, a seconda della fase processuale: prima del deposito occorrerà rivolgersi al Presidente della Commissione, se invece esso è già avvenuto ed abbiamo un numero di RG, allora essa può essere concessa dal Presidente della sezione che la ha avuto in carico e, da ultimo, se la necessità insorgesse in sede di udienza, sarà il collegio giudicante ad autorizzare.

Suggerimento

Nel caso in cui vi stia per scadere il termine di deposito e, pur avendo un documento non trasformabile in formato digitale, non avete i tempi per chiedere l'autorizzazione al Presidente della Commissione, per evitare che l'allegato non depositato unitamente al fascicolo iniziale possa non essere ammesso successivamente, magari perché era tra quelli da inviare congiuntamente al ricorso principale, in sede di deposito trasmettete nella NIR anche il file del frontespizio dell'allegato di cui dovrete chiedere il deposito eccezionale in formato analogico, indicando in calce, o nel foglio seguente di esso, che “Considerato che le dimensioni digitali dell'allegato non ne consentono la trasmissione quale documento informatico, si fa riserva di chiederne il deposito in via eccezionale nel formato analogico, ai sensi dell'art. 16-bis del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546”. Subito dopo il deposito, poi, inoltrate la richiesta di autorizzazione al deposito analogico al Presidente della Commissione, segnalando che, in via preventiva, ne avete dato notizia in allegato alla NIR.

Il quinto comma del decreto in esame introduce nell'art. 16-bis in questione il comma 3-bis e si occupa della seconda delle eccezioni ammesse all'obbligo introdotto dal comma precedente, ossia concede alla parte che sta in giudizio senza assistenza tecnica di continuare a poter scegliere se utilizzare o meno la modalità telematica.

Ricordiamo che, ai sensi dell'art. 12, comma 2, “Per le controversie di valore fino a 3.000 € le parti possono stare in giudizio senza assistenza tecnica” ed è questo, pertanto, l'ambito di operatività del novello comma 3-bis.

Quest'ultimo, nel disporre che la parte che rientri nella ricordata casistica possa scegliere se utilizzare la modalità telematica, impone in tale eventualità come obbligo connesso quello di indicazione “nel ricorso o nel primo atto difensivo dell'indirizzo di posta elettronica certificata al quale ricevere le comunicazioni e le notificazioni”, ciò al fine di evitare di incorrere nelle conseguenze di cui al nuovo secondo comma del 16-bis per il perfezionamento delle comunicazioni di segreteria.

Ultima nota: l'eccezione in questione è concessa unicamente alla parte che, nel limite del valore di causa previsto, si difenda in proprio, per cui, se il ricorrente, nonostante il valore inferiore a 3.000 euro, decidesse di affidarsi ad un difensore, quest'ultimo non potrà avvalersi della facoltà di scelta, ma dovrà obbligatoriamente utilizzare il canale telematico.

D) Interpretazione autentica della facoltà di utilizzo della modalità telematica per le parti processuali

Il secondo comma dell'art. 16 del decreto n. 119/2018 pone fine alla lunga sequenza di sentenze contrastanti sulla questione della interpretazione della portata del cosiddetto “doppio binario” nelle modalità di deposito e costituzione in giudizio: l'interpretazione autentica fornita ha precisato che l'art. 16-bis, comma 3, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nel testo vigente antecedentemente al citato decreto n. 119, si interpreta nel senso che le parti potevano e possono utilizzare in ogni grado di giudizio (NOTA: fino al 1° luglio 2019) la modalità telematica prevista dal DM 23 dicembre 2013, n. 163, e dai relativi decreti attuativi, indipendentemente dalla modalità prescelta da controparte nonché dall'avvenuto svolgimento del giudizio di primo grado con modalità analogiche.

Quindi, per mero riepilogo, l'obbligo di utilizzare il canale telematico rimane unicamente in capo alla parte che, notificando a mezzo PEC, abbia in tal modo optato per tale modalità (ai sensi del combinato disposto degli artt. 2, 9 e 10 del DM 23 dicembre 2013, n. 163).

Se il ricorrente ha scelto in primo grado la modalità cartacea, può sempre cambiarla in appello e, parimenti, il resistente può scegliere autonomamente la modalità da utilizzare per il deposito delle controdeduzioni, a prescindere da quella scelta dal ricorrente.

Per precisione, ricordiamo che già in passato, commentando le sentenze emesse dalle varie Commissioni, avevamo evidenziato come a tale interpretazione si poteva giungere dalla lettura complessiva di tutte le disposizioni del DM n. 163/2013, in particolare dall'art. 12; dispone, difatti, tale articolo che nel caso in cui atti o documenti processuali risultassero depositati in formato cartaceo, essi saranno acquisiti dalla Segreteria della Commissione sotto forma di copia informatica, al fine dell'inserimento degli stessi nel fascicolo informatico, dopo che ad essi sia stata apposta la firma digitale, al fine di attestarne la conformità agli originali analogici, nel rispetto di quanto in materia previsto dall'art. 22 del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82. Rimane da definire quando scatta per la Segreteria tale obbligo, atteso che certamente esso non vale per tutti i ricorsi, altrimenti non avrebbe senso porsi il problema dei fascicoli misti e tutto l'onere della informatizzazione del processo tributario graverebbe sulle spalle dell'ufficio.

Certamente l'obbligo è riferito alla presenza di un fascicolo informatico, stante il contenuto letterale dell'esaminato art. 12, è, quindi, alla casistica in cui almeno una delle parti si sia costituita depositando con modalità telematica mentre l'altra abbia invece scelto quella cartacea. Come evidenziato, pertanto, tale articolo già rendeva esplicito che la scelta della modalità di costituzione in giudizio era libera per le parti, non avendo esso altrimenti alcuna ragione di essere stato scritto.

Introduzione dell'art. 25-bis d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546

Il novello art. 25-bis del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, conferisce la possibilità ai difensori ed al personale della segreteria di attestare la conformità della copia informatica dei documenti analogici depositati e, viceversa, di quella dei documenti analogici estratti dai documenti informatici presenti nel fascicolo informatico, previa assegnazione ad essi della veste di pubblici ufficiali.

Ad un prima lettura del novello art. 25-bis del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, lo stesso sembrava interpretabile nel senso che la introdotta possibilità di attestare la conformità della copia informatica dei documenti analogici fosse riservata ai soli difensori della parte pubblica, mentre, come chiarito nella risposta fornita dal MEF sull'argomento (in sede di risposte del Ministero dell'Economia e Finanze - Direzione della Giustizia Tributaria ai quesiti di Telefisco 2019) la conferma per i difensori delle parti del potere di attestazione di conformità, assumendo la veste di pubblico ufficiale, proviene proprio dal testo letterale della norma”.

Difatti, una più attenta lettura del testo complessivo del decreto n. 119/2018, ed in particolare il contenuto del comma 4 del citato art. 25-bis (esenzione dal pagamento dei diritti di copia autentica), chiarisce come la disposizione non possa che essere intesa come estesa ai difensori delle parti private, atteso che i difensori degli uffici fruivano già dell'esenzione dal pagamento di tali diritti, ai sensi dell'art. 263 del Testo unico sulle spese di giustizia di cui al DPR n. 115/2002.

Va, inoltre, ribadito che l'analogo potere di attestazione di conformità è esteso alla estrazione di copie analogiche dal fascicolo informatico presente nel S.I.Gi.T., e ciò sia se effettuata dal difensore delle parti che dalla segreteria di Commissione; in tale ultimo caso, il comma specifica che per la segreteria non vi è obbligo di attestare la conformità sulla copia rilasciata, ma quest'ultima si intende implicita, tanto è che il successivo quarto comma esenta dal pagamento di diritti di alcun tipo.

Qualora ce ne fosse bisogno, il terzo comma dell'articolo in commento ribadisce, come disposto in via generale dal CAD, che la copia informatica o cartacea, munita dell'attestazione di conformità apposta dal soggetto con qualifica di pubblico ufficiale, equivale all'originale del provvedimento detenuto dalla parte o presente nel fascicolo informatico.

Ma l'esame dell'art. 25-bis sulla possibilità di estrarre copie conformi dai documenti informatici del fascicolo processuale, fruendo della relativa cennata esenzione, dà anche la possibilità di porre l'accentosul significato implicito che la disposizione dell'art. 25-bis assume nei confronti della conformità all'originale da cui è tratto del documento utilizzato per la notifica con modalità telematiche.

La questione è quella della validità delle notifiche a mezzo PEC degli atti impositivi prodotti in semplice formato .PDF e privi di firma digitale, in quanto ritenuti non idonei a provarne la conformità agli originali analogici da cui siano tratti, ed è stata oggetto di molte sentenze delle Commissioni Tributarie, con decisioni spesso contrastanti.

La circostanza che il legislatore abbia sentito la necessità di introdurre l'art. 25-bis, conferendo ai difensori la veste di pubblico ufficiale, non fa altro che confermare che ogni documento notificato in via telematica debba poter dimostrare, con le sue caratteristiche informatiche, di essere conforme all'originale cartaceo da cui proviene e ciò mediante l'attestazione di conformità da parte del mittente.

Difatti il citato 25-bis rinvia, per l'attestazione, alle modalità di cui al CAD – decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 – ed, in particolare, all'art. 22, rubricato proprio “Copie informatiche di documenti analogici”, il quale, al comma 2, specifica che tali copie informatiche hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono tratte se la loro conformità è attestata da un pubblico ufficiale,come appunto ora i difensori delle parti.

Il primo comma del richiamato art. 22 chiarisce anche come tale conformità debba o possa essere attestata nella spedizione effettuata da parte degli anzidetti pubblici ufficiali, ossia è sufficiente che essi siano formati ai sensi dell'art. 20, comma 1-bis del medesimo CAD; ebbene tale norma prevede come requisito per soddisfare la validità richiesta che ai documenti informatici risulti apposta una firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata.

Bene hanno fatto, quindi, quei giudici che hanno annullato le notifiche di atti impositivi informatici notificati a mezzo PEC e prodotti in semplice formato .PDF e privi di firma digitale, perché solo quest'ultima, come chiarito, è in grado di attestare la loro integrità ed

B) Connessione con il comma 3 dell'art. 16

Il terzo comma dell'art. 16 in esame stabilisce che il difensore ed il rappresentante della parte pubblica che debba depositare con modalità cartacea la prova dell'avvenuta notifica dell'atto processuale effettuata a mezzo di PEC, potrà provvedere ai sensi dell'art. 9, comma 1-bis, della L. 53/1994, introdotto dalla Legge n. 228/2012, la quale dispone che: "l'avvocato estrae copia susupporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazionee di avvenuta consegna e ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte ai sensi dell'art. 23 , comma 1, del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82″.

Tale facoltà trova logica connessione con la a potestà in capo ai difensori ed al personale della segreteria di attestare la conformità della copia informatica dei documenti analogici depositati, esaminata nel precedente comma, ma essa, in effetti, non fa altro che colmare una lacuna connessa alle tipologie di formati utilizzabili nel Processo Tributario Telematico.

Difatti, secondo le regole complessivamente stabilite dal DM 4 agosto 2015 (Regole tecniche del Processo Tributario Telematico), in particolare dall'art. 10, le ricevute di PEC nel loro formato elettronico originale (.eml) non sono utilizzabili in via diretta se così depositate nel fascicolo elettronico.

In via preliminare, prima di chiarire cosa intendiamo per colmare tale lacuna, occorre ricordare che il legislatore già da tempo ha individuato il formato PDF quale particolarmente utile ad essere utilizzato per i file che dovessero rappresentare documenti informatici; dovendo, poi, lo stesso garantire tutti i requisiti che gli articoli del CAD e del DPCM del 13 novembre 2014 prescrivono in tema di conservazione documentale e leggibilità nel tempo dei documenti informatici, al formato PDF da utilizzare nel Processo Tributario Telematico è stata aggiunto l'obbligo di corrispondenza allo standard internazionale ISO 19005, detto anche standard /A.

Il PDF/A è uno standard internazionale, sottoinsieme dello standard PDF, appositamente pensato per l'archiviazione nel lungo periodo di documenti elettronici e garantisce che il documento sia visualizzabile sempre allo stesso modo, anche a distanza di tempo e con qualunque tipo di piattaforma software.

In conformità a quanto stabilito dall'art. 10 del citato DM 4 agosto 2015, un documento PDF/A non può contenere macro-istruzioni o riferimenti ad elementi od informazioni (come i font) esterni al file stesso, in quanto la presenza di essi potrebbe comprometterne la sicurezza divenendo porta di accesso per violazione dell'integrità originale.

Il PDF/A è anche uno dei formati presenti nell'allegato 2 delle Regole tecniche DPCM del 13 novembre 2014, rispondente ai criteri di scelta ed ai requisiti di cui ai capitoli 3 e 5 dello stesso, sia perché idoneo a garantire la leggibilità e la reperibilità del documento informatico nel suo ciclo di vita, e sia in quanto sviluppato con l'obiettivo specifico di rendere possibile la conservazione documentale a lungo termine su supporti digitali, presentando tra le principali caratteristiche:

  • assenza di collegamenti esterni;
  • assenza di codici eseguibili quali javascript ecc.;
  • assenza di contenuti crittografati.

Caratteristiche che rendono il file indipendente da codici e collegamenti esterni che ne possono alterare l'integrità e l'uniformità nel lungo periodo.

Analoga regola è stabilita, anche nel citato DPCM, per i documenti ottenuti mediante acquisizione della copia per immagine su supporto informatico di un documento analogico o acquisizione della copia informatica di un documento analogico e, pertanto, i requisiti previsti al comma 1 dell'art. 10 per i documenti informatici contenenti il ricorso e gli altri atti processuali vengono replicati nel comma 2 per i documenti informatici allegati sotto forma di scansione in formato immagine.

È per i motivi sin qui elencati che un documento informatico in formato .eml non è utilizzabile per il corretto deposito nel fascicolo informatico, in quanto esso individua un file che, per potersi aprire e leggere, deve connettersi ad un sistema operativo esterno al S.I.Gi.T. (Microsoft Outlook) e potrebbe, quindi, diventare un punto di accesso al sistema, minandone la sicurezza.

Secondo il regolamento del Processo Tributario Telematico l'utente potrà comunque depositare un file in formato .eml, ricevendo una segnalazione di anomalia di formato ed il sistema procederà comunque all'iscrizione nel Registro Generale e contestualmente renderà disponibile nell'area riservata del sistema un messaggio contenente l'indicazione della suddetta anomalia riscontrata (codice e descrizione dell'anomalia riscontrata: F1- o F2, Formato non conforme dell'atto processuale), tuttavia, fino a quando non verrà implementata una modifica all'elenco dei formati ammessi, il S.I.Gi.T. assicurerà la completa gestione e conservazione dei file solo se questi sono nei formati indicati all'art. 10 del Direttore Generale delle Finanze del 4 agosto 2015.

Allo stato attuale, quindi, il file .eml può essere depositato, con segnalazione di anomalia, ma non aperto, perché non è ammessa la presenza di collegamenti esterni o di macro e file eseguibili.

Ecco chiarita la portata del terzo comma dell'art. 16 del decreto n. 119/2018, ossia che la corretta prova della notifica potrà essere data stampando le ricevute di accettazione e consegna, con l'apposita funzione del sistema di Posta Elettronica Certificata utilizzato, depositandone la copia digitale ottenuta mediante scansione, nei formati ammessi, e firmata digitalmente, attestandone in tal modo la conformità all'originale.

Introduzione dell'” udienza virtuale”

Il quinto comma, che introduce una futura udienza virtuale, su istanza di una delle parti, mediante collegamento audiovisivo tra l'aula di udienza ed il luogo indicato dall'istante, non abbisogna di particolare commento, atteso che la sua concreta possibilità di realizzarsi è completamente rinviata ai decreti attuativi, di non prossima pubblicazione considerando tutte le difficoltà logistiche connesse.

Conclusioni

In via generale le novità introdotte dal decreto n. 119/2018 possono tutte essere salutate con favore, tranne, forse, quella che lascia alla parte che sta in giudizio senza assistenza tecnica di poter continuare a scegliere il deposito del ricorso con modalità cartacea.

Facile è cogliere la ratio di tale infausta scelta: non volendosi ancora individuare un canale di assistenza tecnica per il ricorrente che non sia tenuto ad avvalersi del difensore, la scelta unica residuante è stata quella di lasciare in tale fattispecie la facoltà di continuare ad utilizzare il cartaceo, con tutte le conseguenze che tale canale misto continuerà a comportare.

In effetti se non vi fosse stata la fretta di pubblicare il decreto che introduce l'obbligo del Processo Tributario Telematico dal 1° luglio 2019, ci sarebbe stato il tempo per mettere a punto apposite convenzioni per l'assistenza del contribuente che dovesse utilizzare il deposito telematico ma non ne avesse i mezzi o le competenze, alla stessa stregua di come da tempo fatto per l'inoltro telematico delle dichiarazioni dei redditi e ciò, indifferentemente, con gli attuali CAF o con gli stessi Ordini dei difensori processuali.

Nel caso in cui la parte si rivolgesse allo studio incaricato per il solo inoltro, avendo già compilato sia il ricorso che la NIR cartacea, l'operazione non dovrebbe per lui avere alcun costo, mentre per il professionista scatterebbe il contributo statale; se invece la parte chiedesse allo studio non solo l'inoltro, ma anche la compilazione degli atti, potrebbe essere prevista una tariffa da pagare al professionista, differenziata a seconda se la richiesta coinvolga o meno il testo del ricorso.

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